La Corte di Cassazione, nel provvedimento in commento, si occupa di una peculiare fattispecie di irripetibilità della prestazione.
In particolare, nel caso di specie, il finanziatore che aveva sostenuto l’impresa ormai decotta (nello specifico, con erogazioni di denaro – qualificate quali anticipo su forniture – cui non era effettivamente seguita la consegna di alcuna fornitura da parte del debitore poi dichiarato fallito) è stato escluso dal passivo fallimentare, per aver posto in essere una prestazione contraria al buon costume e, pertanto, non suscettibile di ripetizione ai sensi dell’art. 2035 c.c..
A tal proposito la Suprema Corte, dopo aver confermato la ricostruzione della fattispecie operata dal giudice di merito, ha affermato in primo luogo che “ai fini dell’applicabilità della “soluti retentio” prevista dall’art. 2035 cod. civ., la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in certo momento storico; pertanto, chi abbia versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione”.
La Corte di Cassazione ha poi applicato al caso di specie il principio giuridico sopra riportato, affermando che il buon costume, da intendersi anche come opportunità e utilità sociale nelle relazioni di mercato, non sopporta “la permanenza artificiale in esso di concorrenti decotti, la cui insolvenza sia resa occulta ovvero ingiustificatamente ritardata nella sua emersione e strumentalizzata per operazioni in danno dei creditori”.
Pertanto, le erogazioni effettuate con tale finalità sono da considerarsi irripetibili ed escluse dallo stato passivo del fallimento del soggetto che ne ha beneficiato.