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L’informazione selettiva delle società quotate nelle nuove Q&A Consob

7 Maggio 2021

Gioacchino Amato, Nicola Pierotti, Rachel Benvenuto, Deloitte Legal

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

In data 18 marzo 2021, la Consob ha pubblicato le “Q&A sull’informazione selettiva nei confronti dei soci e, in particolare, del socio di controllo nonché sulla pubblicazione delle informazioni privilegiate relative ai piani industriali” attraverso le quali l’Autorità di Vigilanza ha inteso divulgare innanzitutto alcuni orientamenti applicativi in materia di informazione selettiva da parte delle società quotate, elaborati a seguito di approfondimenti effettuati a partire dal 2017 (le “Q&A”)[1]. Ciò al fine di fare chiarezza su alcuni aspetti dell’informazione selettiva (c.d. selective disclosure), fenomeno non disciplinato in maniera organica nell’ordinamento interno e che risulta particolarmente delicato nella prassi operativa degli emittenti quotati[2], anche dal punto di vista dell’organizzazione interna.

La materia dell’informazione selettiva trova la propria principale fonte normativa nel Regolamento (UE) n. 596/2014 sugli abusi di mercato (“MAR”) il quale, individuando nella parità e simmetria informativa tra gli investitori lo strumento principale posto a tutela della fiducia e dell’integrità del mercato dei capitali, legittima pertanto la comunicazione selettiva a terzi di informazioni privilegiate solamente in via eccezionale ed in presenza di determinate garanzie.

A tal riguardo, sebbene il MAR sia caratterizzato da sufficiente chiarezza con riferimento sia alla nozione di informazioni privilegiate di cui all’art. 7 sia alla disciplina della comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate (inclusa l’ipotesi dell’informazione selettiva di cui all’art. 17, par. 8), la corretta individuazione in concreto delle informazioni aventi carattere privilegiato e delle ipotesi in cui sussiste un “rapporto giustificativo” che legittima la selective disclosure non sempre sono agevoli per gli emittenti e rendono di fatto complessala gestione delle cd. corporate information nelle società quotate. In particolare, una delle maggiori difficoltà risiede infatti nella necessità di bilanciare, in sede di interpretazione ed applicazione, da un lato la regola generale del divieto di comunicazione selettiva, quale presidio avanzato a tutela dell’integrità di mercato, e dall’altro le esigenze di carattere informativo legate alla gestione dell’impresa, anche di gruppo.

La Consob, consapevole sia della complessità della materia sia del fatto che i flussi informativi rappresentano un elemento cardine nella governance societaria, ha voluto dunque fornire indicazioni concrete sulle condizioni legittimanti un flusso informativo selettivo tra società e azionisti, concentrandosi su ipotesi di flussi cd. bottom-up, ossia a salire lungo la catena di controllo. In particolare, mediante le Q&A, l’Autorità ha specificato le condizioni che legittimano la ricezione di informazioni privilegiate da parte degli azionisti in posizione di (mero) controllo (cfr. Q 1.1.) nonché dei soci che esercitano direzione e coordinamento ai sensi degli artt. 2497 e ss. codice civile (cfr. Q 1.2). Inoltre, dopo aver illustrato le ulteriori situazioni legittimanti il flusso informativo de quo a favore dei soci e in particolare del socio di controllo (cfr. Q 1.3, Q 1.4, Q 1.5), si è soffermata sulle concrete misure adottabili dagli emittenti a presidio della riservatezza delle informazioni comunicate in maniera selettiva (cfr. Q 2). Da ultimo, sono state oggetto di analisi le informazioni privilegiate contenute nei business plan degli emittenti (cfr. Q 3).

2. La condizioni di legittimità della comunicazione selettiva di informazioni privilegiate in favore del socio di controllo

Il transito di informazioni privilegiate da una società quotata, e in particolare dall’organo amministrativo, in favore dei soci esercitanti il controllo societario di cui all’art. 2359 c.c. costituisce un’ipotesi di informazione selettiva ampiamente analizzato in dottrina[3], tenuto conto delle numerose ipotesi concrete nelle quali sussiste l’interesse della società stessa a favorire il flusso informativo de quo: potrebbe rendersi utile, infatti, ottenere un preciso indirizzo di gestione ovvero sondare le intenzioni dei soci rilevanti a fronte di un’operazione proposta prima della discussione in sede assembleare.

Ciò detto, la specifica questione attinente la legittimità di un dialogo selettivo, avente ad oggetto informazioni privilegiate, tra il socio di controllo e il soggetto controllato necessitava certamente di un intervento che fornisse chiarimenti utili in sede di interpretazione ed applicazione delle disposizioni rilevanti alla luce della scarsa organicità dell’impianto normativo in materia composto da diverse disposizioni che, anche indirettamente, affrontano tale questione.

A tal riguardo, rispondendo alla domanda Q 1.1 “È possibile che il socio di controllo di una società quotata riceva in maniera selettiva informazioni privilegiate inerenti alla gestione sociale e/o alle strategie aziendali?”, la Consob ha precisato in primo luogo che l’informazione selettiva a favore del socio di controllo possa considerarsi legittima solamente laddove:

  1. sia oggetto di un obbligo espressamente previsto da una disposizione normativa; ovvero
  2. avvenga nel rispetto all’art. 10 e 17, par. 8 del MAR, sussistendo, cioè, un “rapporto giustificativo” dell’informazione selettiva e

purché siano adottate misure idonee a preservare la confidenzialità dell’informazione.

Dal tenore di tale risposta appare evidente che l’Autorità abbia avallato una lettura della disciplina della selective disclosure, peraltro pacifica in dottrina, in base alla quale, non solo la qualità di semplice azionista non implica, al di fuori delle ipotesi di legge, un generale diritto individuale del socio all’informazione societaria (comprese le informazioni di natura privilegiata), ma neppure l’esercizio del controllo societario garantisce un siffatto diritto.

A sostegno della sostanziale “eccezionalità” della selective disclosure a favore del socio di controllo la Consob non si è limitata a richiamare il testo del MAR e dunque le esigenze di tutela dell’integrità del mercato, ma ha altresì invocato l’art. 92 del D. Lgs. n. 58/1998 (“TUF”) il quale sancisce il principio della parità di trattamento dei portatori di strumenti finanziari che si trovano nelle medesime condizioni, imponendo all’emittente di garantire agli stessi portatori di strumenti finanziari le informazioni necessarie per l’esercizio dei rispettivi diritti (art. 92, co.2 del TUF). In particolare, l’Autorità ha chiarito che il diritto all’informazione societaria deve essere sempre garantito “secondo una modalità che assicuri la parità di trattamento tra tutti gli azionisti” e dunque la stessa esigenza di tutela di tutte le categorie di soci ed in particolare quelli di minoranza preclude il riconoscimento di un diritto all’informazione selettiva a favore del socio di controllo al di fuori delle ipotesi di legge.

La Consob sembra dunque aver dato rilevanza alle implicazioni, in termini di governance, di una consultazione consuetudinaria tra amministratori e azionista di controllo che, nelle società a proprietà concentrata, può creare tensione tra quest’ultimo e i soci di minoranza, in quanto generalmente i secondi non sono dotati di poteri e strumenti per monitorare e conoscere un’eventuale influenza esercitata dall’azionista di controllo sulla gestione sociale al di fuori del contesto assembleare.

Peraltro, tale impostazione risulta coerente con la dimensione prettamente assembleare nella quale si manifesta il controllo societario ai sensi della disciplina codicistica di cui all’art. 2359, co.1 c.c., richiamato anche dall’art. 93 del TUF, sia nella forma del controllo interno di “diritto”, i.e. consistente nella titolarità della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea di una società e sia nella forma del controllo interno di “fatto”, cioè dato dalla titolarità di una quantità di voti sufficienti all’esercizio di un’influenza dominante in assemblea.

Difatti, il socio di controllo, ai sensi della disciplina codicistica e del TUF, non dispone di diritti amministrativi, e dunque di strumenti di governance, ulteriori rispetto ai diritti di “voice”, riconosciuti in favore di qualsiasi azionista, il cui esercizio non può che avvenire in sede assembleare. Ciò che semai distingue e pone il socio di controllo su un piano di primazia, per così dire, rispetto al resto dei soci, è rappresentato dal quantum dei diritti di voto a sua disposizione che gli permettere di nominare la maggioranza dei membri dell’organo amministrativo[4]. Tuttavia, il potere di nominare la maggioranza dei membri dell’organo amministrativo non costituisce il legittimo fondamento per l’instaurazione di dialoghi extra-assembleari tra il socio di maggioranza e gli amministratori della controllata.

In altre parole, generalmente, l’assemblea dei soci rappresenta l’unico “luogo” nel quale l’azionista di controllo, come qualsiasi altro azionista, è legittimato a partecipare alla “vita” sociale e ad influire sulla gestione di una società, non potendo, al tal fine, utilizzare canali di comunicazione o di influenza diversi e/o ulteriori rispetto all’assemblea stessa.

Dunque, ne deriva che l’assemblea dei soci, ad eccezione dei casi espressamente previsti dalla legge e da altre ipotesi di rapporti giustificativi, rappresenta altresì l’unico “luogo” dove si può legittimamente instaurare un flusso informativo tra l’emittente ed il socio di controllo. Ancora, conformemente all’orientamento della Consob, eventuali dialoghi tra i predetti soggetti che abbiano luogo in occasioni diverse dalla riunione assembleare debbono considerarsi anzitutto contrari al principio di parità di trattamento degli azionisti di cui all’art. 92. co. 2 del TUF, in quanto determinanti un vantaggio informativo in favore dell’azionista di controllo e a discapito degli altri azionisti.

Inoltre, con particolare riferimento alle ipotesi di legge che legittimano la selective disclosure a favore del socio di controllo, la Consob ha precisato che le informazioni privilegiate, in ogni caso, possano essere comunicate:

  1. al solo fine di consentire al socio di controllo di ottemperare, a sua volta, a obblighi di legge” e
  2. in una misura circoscritta alle sole informazioni espressamente indicate dal legislatore ovvero alle informazioni strettamente necessarie all’adempimento dei predetti obblighi”.

Ciò implica che, anche qualora un emittente sia obbligato dalla legge alla disclosure di informazioni privilegiate a favore del socio di controllo o comunque la richiesta di informazioni di quest’ultimo sia legittima, il primo dovrà comunque verificare che le informazioni specificamente fornite all’azionista di controllo non siano ulteriori rispetto a quelle richieste dalla legge. E soprattutto, compito più arduo, in mancanza di una puntuale indicazione normativa in tal senso, dovrà compiere un giudizio di stretta necessarietà delle informazioni fornite ai fini dell’adempimento dell’obbligo, assumendosi il rischio di comunicare illecitamente informazioni privilegiate ai sensi dell’art. 10 del MAR.

Inoltre, sul punto, la Consob ha passato in rassegna le ipotesi normative, rinvenute sia nella disciplina codicistica (applicabile quindi anche alle società “chiuse”) che alla disciplina dei mercati finanziari, le quali permettono il flusso informativo de quo indicando, inter alia:

  • l’obbligo previsto dall’art. 43 del D. Lgs. n. 127/1991 in capo alle società controllate di comunicare alla controllante le informazioni necessarie per la redazione del bilancio consolidato;
  • l’art. 2428[5] c.c. il quale indica il contenuto della relazione sulla gestione redatta dall’organo amministrativo e correlata al bilancio che deve illustrare la situazione della società nonché l’andamento e il risultato della gestione conclusasi in un’ottica complessiva oltre che specifica ai vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate. Pertanto, si configura un diritto in capo al soggetto controllante di ricevere dalle controllate, in ottemperamento del relativo obbligo, le informazioni utili alla redazione della relazione;
  • l’art. 2381, co. 5 c.c. attinente all’informativa sull’assetto organizzativo, contabile e amministrativo garantita dagli amministratori delegati al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale la quale deve includere le informazioni sulle operazioni di maggior rilievo realizzate (anche) dalle società controllate. Gli amministratori esecutivi della controllante hanno, cioè, il diritto di conoscere le principali operazioni compiute dalle controllate che, a sua volta, saranno comunicate anche all’organo di amministrazione e di controllo;
  • specularmente alla previsione precedente, l’art. 2403-bis c.c. consente al collegio sindacale di ottenere informazioni sull’andamento delle operazioni e/o su determinati affari relativi (anche) alle società controllate potendosi, inoltre, confrontare con i rispettivi organi delle controllate medesime;

Specificamente, per quanto attiene agli obblighi informativi previsti dal TUF, i quali si applicano esclusivamente a società quotate in un mercato regolamentato, la Consob ha richiamato:

  • l’art. 114 TUF il quale prevede l’obbligo in capo all’emittente di comunicare le informazioni price sensitive di cui all’art. 17 del regolamento MAR, incluse le informazioni privilegiate riguardanti fatti o eventi avvenuti nella sfera delle controllate. Al riguardo, si specifica che secondo la dottrina prevalente non sussiste un obbligo speculare in capo alla società controllata quotata di comunicare agli investitori le informazioni privilegiate createsi in seno alla controllante non quotata, dovendo, invece, limitarsi a comunicare le informazioni la cui conoscenza è imputabile all’emittente stessa[6];
  • l’art. 150 TUF il quale stabilisce che gli amministratori di una società quotata devono riferire al collegio sindacale sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate;
  • l’art. 151 comma primo, 151-bis comma primo e 151-ter comma primo TUF che conferiscono il medesimo potere previsto dall’art. 2403-bis c.c. in capo all’organo di controllo degli emittenti;

Infine, Consob ha richiamato l’obbligo in capo agli emittenti di comunicare al pubblico e alla Consob medesima le informazioni inerenti le operazioni sui propri strumenti finanziari compiute sia dall’emittente che dalle sue controllate.

Come anticipato, oltre alle citate ipotesi di legge, il socio di controllo sarebbe legittimato a ricevere informazioni privilegiate solo ove vengano rispettati i requisiti previsti dall’art. 17, par. 8 del MAR[7], ossia che la comunicazione dell’informazione avvenga nell’esercizio normale di un’occupazione, professione o funzione purché il destinatario sia soggetto ad un obbligo di riservatezza[8].

A tal riguardo, giova precisare che anche la selective disclosure a favore del socio di controllo effettuata ai sensi dell’art. 17, par. 8 del MAR potrà dirsi legittima solamente ove sussista un legame di stretta necessarietà tra la comunicazione e l’esercizio del lavoro, della professione o della funzione. Ciò in ossequio all’interpretazione restrittiva in ordine al criterio della “normalità” dello svolgimento del “rapporto giustificativo” avanzata dalla Corte di Giustizia nel caso Knud Grøngaard and Allan Bang[9] risalente al 2005 ma tutt’ora non superata dalla giurisprudenza della stessa corte.

Da ultimo, si segnala che la Consob non si è espressamente pronunciata su una questione relativa alla selective disclosure in virtù di un rapporto giustificativo che ha suscitato diverse interpretazioni in dottrina[10], ossia se il “normale esercizio di un’occupazione, una professione o una funzione” di cui all’art. 17, par. 8 del MAR debba riferirsi al mittente o al destinatario della comunicazione dell’informazione privilegiata. Al riguardo, in generale, sembra doversi far riferimento anche per tale aspetto alla citata pronuncia della Corte di Giustizia la quale ha giudicato la legittimità della comunicazione tra un componente del consiglio di amministrazione di una società quotata, quale mittente, e un esponente di un sindacato dei lavoratori, quale ricevente, sulla base dell’attività normalmente svolta dal primo soggetto. Tale impostazione appare senz’altro ragionevole considerato che, alla luce di una lettura sistematica del MAR, sarebbe improbabile ritenere legittima la comunicazione di un’informazione privilegiata che non sia prima di tutto fondata su una esigenza ascrivibile all’emittente.

3. La selective disclosure a favore del socio che esercita l’attività di direzione e coordinamento

Il quesito di cui al punto Q 1.2. delle Q&A si sofferma sulla legittimità del flusso informativo di natura privilegiata intercorrente tra società quotate eterodirette e società che esercita il potere di direzione e coordinamento. Al riguardo, l’Autorità di Vigilanza ha accolto espressamente l’orientamento dottrinale prevalente che individua proprio nell’esistenza giuridica stessa del gruppo, rectius nello svolgimento dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 e ss. c.c., la legittimazione di un flusso di informazioni privilegiate a favore del socio che esercita tale attività.

In particolare, l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di una società quotata rappresenterebbe una situazione legittimante una selective disclosure – da considerarsi quale ipotesi autonoma e ulteriore rispetto a quelle espressamente previste dalla legge – che permette alla società capogruppo di ricevere informazioni anche privilegiate ogniqualvolta ciò “risulti funzionale a un’efficace gestione del gruppo nel suo complesso”. Dunque, il flusso informativo destinato al soggetto che dirige e coordina non si limita alle specifiche informazioni circoscritte da obblighi di legge[11] potendo essere più ampio e dunque inglobare “istruzioni, impartite dalla società controllante e recepite dagli organi della controllata, che riguardano momenti significativi della vita della società quali, ad esempio, le scelte sul perimetro del business, il reperimento dei mezzi finanziari, le politiche di bilancio, la conclusione di importanti contratti”.

L’impostazione seguita da Consob si basa fondamentalmente sulla considerazione che l’attività di direzione e coordinamento sia espressione di un “quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo, essendo indicativa della presenza di un’influenza sulle decisioni delle società controllate, tale da configurare un’unica entità economica, organizzata nella forma del gruppo di società”. Più nello specifico, presupposto e al contempo conseguenza dell’esercizio di direzione e coordinamento sarebbe rappresentato dalla capacità della società posta al vertice del gruppo di ricevere le informazioni utili alla pianificazione della gestione e del coordinamento fra le eterodirette nonché al successivo accertamento delle strategie attuate dalle stesse.

Giova al riguardo evidenziare che – a differenza del rapporto di mero controllo il quale, come evidenziato precedentemente, si manifesta in maniera pressoché esclusiva mediante l’esercizio del diritto di voto in assemblea (salvo l’eccezione del controllo di tipo “esterno”) e si sostanzia nel potere di nominare la maggioranza degli amministratori – nel caso di direzione e coordinamento la sfera di influenza del socio che la esercita non si limita all’assemblea, ma giunge direttamente all’organo amministrativo della società eterodiretta.

In particolare, il socio che esercita direzione e coordinamento impartisce direttive vincolanti all’organo amministrativo della società eterodiretta, dalle quali quest’ultimo non può discostarsi in quanto organo esecutivo sprovvisto di un reale potere strategico riservato invece all’organo amministrativo della società capogruppo. Tale assetto organizzativo presuppone ovviamente un flusso informativo costante tra società capogruppo e organo amministrativo della società eterodiretta che invece non trova ragion d’essere nel rapporto tra socio di mero controllo e società controllata.

L’Autorità di Vigilanza, quindi, ha coerentemente riconosciuto la necessarietà dei flussi informativi infragruppo, qualificati come “elementi caratteristici” dell’attività di direzione e coordinamento, affinché possa attuarsi il potere di dirigere e coordinare le eterodirette e, quindi, realizzarsi la stessa logica del gruppo contemplata a livello legislativo. In altre parole, e più in generale, l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento sarebbe idonea a determinare un’attenuazione del principio della parità di trattamento informativa sul quale si fonda il divieto di selective disclosure e ciò anche al fine di comporre ragionevolmente un potenziale conflitto tra interessi espressamente tutelati dall’ordinamento, ossia l’interesse all’integrità dei mercati finanziari da una parte e quello all’adozione della forma organizzativa del gruppo societario, quale forma dell’impresa considerata legittima dall’ordinamento interno.

Quanto poi al contenuto della selective disclosure nei confronti del socio che esercita attività di direzione e coordinamento, si segnala che la Consob sembra muovere proprio dall’art. 2497-ter statuendo che le comunicazioni infragruppo debbano avere ad oggetto le (sole) informazioni funzionali all’efficace gestione del gruppo fermo restando l’obbligo in capo agli amministratori delle società eterodirette di considerare l’interesse della società amministrata nella decisione di comunicare informazioni privilegiate a favore della capogruppo.

Sembra dunque evidente come, anche con riferimento all’ipotesi di selective disclosure in esame, la Consob abbia mantenuto lo stesso approccio restrittivo della “stretta” funzionalità o necessarietà riguardo il contenuto delle informazioni oggetto di comunicazione già espressamente individuato con riferimento alla disclosure in favore del socio di mero controllo. Inoltre, anche in caso di informazione selettiva in virtù dell’esercizio di attività di direzione e coordinamento, è necessario che siano adottate le misure preventive necessarie per preservare la riservatezza dei dati oggetto di comunicazione.

Tuttavia, occorre segnalare che – nell’ordinamento interno ed in particolare ai sensi della normativa di rango regolamentare – il fenomeno della direzione e coordinamento assume caratteristiche del tutto peculiari quando ad essere eterodiretta è una società quotata in un mercato regolamentato, tanto da potersi ben considerare detta fattispecie come un tertium genus nel contesto del più ampio spettro dei rapporti di controllo, distinguendosi tanto dal mero controllo assembleare quanto dalla direzione e coordinamento di società non quotate.

Più nello specifico, il Regolamento emanato da Consob con delibera n. 20249 del 28 dicembre 2017 (“Regolamento Mercati”), sottopone la fattispecie della direzione e coordinamento di società quotate in un mercato regolamentato a stringenti vincoli, volti a salvaguardare le prerogative dei soci di minoranza e degli investitori, che dunque fungono da contrappeso alle esigenze di unitarietà di azione del gruppo. Si fa particolare riferimento all’art. 16 del Regolamento Mercati, il quale impone all’emittente sottoposto ad altrui direzione e coordinamento, tra gli altri, i seguenti requisiti in caso di quotazione in un mercato regolamentato italiano:

  1. sussistenza di autonoma capacità negoziale nei rapporti con i clienti e fornitori;
  2. assenza di un rapporto di tesoreria accentrata con la società che esercita direzione e coordinamento o con altre società del gruppo, a meno che ciò risponda ad un interesse della controllata;
  3. istituzione di un comitato di controllo interno composto da amministratori indipendenti. È previsto, inoltre, che i medesimi requisiti di indipendenza[12] debbano sussistere in capo agli amministratori facenti parte di eventuali ulteriori comitati.

Dunque, è evidente che il Regolamento Mercati delinei un’autonoma fattispecie di direzione e coordinamento che si contraddistingue per una maggiore autonomia organizzativa e negoziale riconosciuta alla società eterodiretta, autonomia che è funzionale alla salvaguardia dei tipiciconcerns del diritto dei mercati finanziari, ossia le prerogative dei soci di minoranza della società quotata eterodiretta e dei potenziali investitori. Da ciò ne deriva una sensibile attenuazione dell’intensità dell’eterodirezione, le cui istanze assumono un carattere parzialmente “recessivo” in un’ottica di bilanciamento con altri interessi tutelati dall’ordinamento quali quelli appena menzionati.

Ebbene – benché sia indubbiamente ragionevole affermare che la sussistenza di direzione e coordinamento di una società quotata in un mercato regolamentato giustifichi di per sé l’instaurazione di flussi informativi selettivi bottom-up tra capogruppo e società eterodiretta – occorre tuttavia rilevare che la maggiore autonomia riconosciuta alla società quotata eterodiretta debba necessariamente riverberarsi anche nell’ambito della selective disclosure, con l’effetto di riespandere parzialmente le esigenze di parità e simmetria informativa tra gli azionisti e di integrità del mercato.

A tal riguardo, si segnala che le Q&A non hanno dato particolare rilevanza a tale peculiarità ed alle implicazioni in termini di selective disclosure. Nondimeno, pur nel silenzio dell’Autorità di Vigilanza e tuttavia coerentemente con il criterio della stretta necessarietà, da quanto rappresentato non può che derivarne che gli spazi per una selective disclosure a favore del socio che eserciti direzione e coordinamento di una società quotata in un mercato regolamentato, sebbene ampi, debbano comunque tenere conto delle limitazioni alle prerogative dell’eterodirezione stabilite dall’art. 16 del Regolamento Mercati. A titolo meramente esemplificativo, stante l’autonomia negoziale riconosciuta alla società quotata eterodiretta nei rapporti tra clienti e fornitori, eventuali flussi informativi aventi ad oggetto informazioni in questo ambito dovranno essere limitati o comunque ridotti allo stretto indispensabile ai fini della direzione unitaria del gruppo.

4. La selective disclosure di dati contabili e altri rapporti giustificativi

I quesiti Q.3 e Q.4 e Q.5 e le relative risposte illustrano altre fattispecie capaci di rientrare nel concetto di “rapporto giustificativo” legittimante la disclosure di informazioni privilegiate in favore dei soci e in particolare del socio di controllo.

Quanto al quesito Q.3, la Consob ha ribadito che la legittimità dello scambio, tra controllante e controllata, delle informazioni necessarie alla redazione del bilancio consolidato in ragione di un vero e proprio obbligo di legge in tal senso. Al riguardo, la disciplina civilistica è priva di ambiguità nel porre in capo alle controllate l’obbligo di comunicare i dati contabili all’uopo necessari (cfr. art. 43 D. Lgs. 127/1991). Laddove, invece, la società tenuta al consolidamento sia soggetta ai principi contabili internazionali, trova applicazione il principio IFRS n. 10[13].

Al di là del dato normativo, la Consob ha individuato nella ragionevole esigenza della società controllante di “disporre di tutte le informazioni necessarie ai fini della redazione del bilancio consolidato” la ratio della legittimità dell’ipotesi di selective disclosure in esame.

Per quanto attiene ad ulteriori circostanze che possono legittimare lo scambio di informazioni privilegiate (Q 1.4), la Consob ha esemplificato alcune situazioni in cui, astrattamente, potrebbero essere integrati i requisiti giustificativi di cui all’art. 17, par. 8 del MAR. In tale prospettiva, una tipica fonte di “rapporto giustificativo” sarebbe rappresentata da rapporti contrattuali instaurati dall’emittente con il socio di controllo: l’Autorità di Vigilanza ha individuato le ipotesi di contratti di servizi, quali outsourcing o consulenza, come tipologie di rapporti contrattuali più frequentemente riconducibili nella prassi ad un “rapporto giustificativo” della selective disclosure.

Fermo restando tale esemplificazione, il cuore della risposta fornita dalla Consob al quesito in esame è rappresentato dal triplice ordine di condizioni che deve sussistere affinché possa dirsi presente un “rapporto giustificativo” di natura contrattuale:

  1. il contratto deve essere concluso nell’interesse della società controllata;
  2. le informazioni comunicabili devono essere solamente quelle strettamente indispensabili per l’esecuzione del contratto e
  3. deve essere in ogni caso garantito il rispetto dei presìdi di confidenzialità anche da parte del socio di controllo che riceve l’informazione.

Alla luce di quanto esposto, pare evidente che quella ipotizzata dalla Consob sia una selective disclosure che dovrebbe aver luogo durante l’esecuzione del rapporto contrattuale e non al momento genetico dello stesso (si parla di un “rapporto giustificativo” a fondamento di un flusso informativo selettivo) e che dunque riguarderebbe informazioni privilegiate non attinenti al contenuto del contratto stesso[14], ma semplicemente comunicate in occasione, o meglio in ragione, dell’esecuzione dello stesso.

Tuttavia, l’Autorità di Vigilanza ha altresì affermato “la possibilità di instaurare un dialogo con gli azionisti prima dell’annuncio di un’operazione sul capitale al mercato”, dovendosi dunque ammettere che sia legittima anche una selective disclosure che abbia ad oggetto il contenuto stesso di un contratto o di un’operazione anche in fase di negoziazione, ovviamente a condizione che tale dialogo selettivo sia imprescindibile per la conclusione del contratto o dell’operazione stessa. A sostegno di tale affermazione la Consob ha richiamato lo schema n. 2 dell’Allegato 3A del Regolamento emanato da Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 (“Regolamento Emittenti”)[15], il quale richiede, che l’organo amministrativo indichi nella relazione illustrativa per l’assemblea straordinaria convocata per deliberare su un aumento di capitale e/o sull’emissione di obbligazioni, inter alia, “gli azionisti che hanno manifestato la disponibilità a sottoscrivere, in proporzione alla quota posseduta, le azioni e/o le obbligazioni convertibili di nuova emissione, nonché gli eventuali diritti di opzione non esercitati” ammettendo dunque, implicitamente, un confronto con gli azionisti preliminare alla conclusione di un’operazione.

In ogni caso, secondo la Consob, qualsiasi rapporto giustificativo ulteriore alle ipotesi previste dalla legge dovrà trovare fondamento in un interesse dell’emittente, il quale dovrà eseguire una valutazione cd. case-by-case per stabilire se sussista un simile interesse e dunque un rapporto giustificativo, fermo restando che tale valutazione dovrà avvenire “nel rispetto del dovere di diligenza e di cura dell’interesse sociale che vige in capo agli amministratori”.

Ciò detto, nello svolgere tale valutazione l’emittente dovrebbe necessariamente tenere conto del fatto che i rapporti contrattuali intercorrenti tra socio di controllo e società controllata quotata in un mercato regolamentato si qualificano come “operazioni con parti correlate”[16] in conformità all’Allegato 1 del regolamento operazioni tra parti correlate emanato da Consob con delibera n. 17221 del 12 marzo 2010 (“Regolamento OPC”) ed impongono, in alcuni casi, obblighi di disclosure dopo la conclusione dell’operazione.

In particolare, le operazioni tra parti correlate presentano una disciplina che impone notevoli obblighi di comunicazione al pubblico laddove un’operazione superi una delle soglie di rilevanza indicate nell’Allegato 3 del regolamento citato (qualificandosi dunque in termini di “operazione di maggiore rilevanza”), tra i quali, in particolare, l’obbligo di pubblicare, entro 7 giorni dal dall’approvazione della stessa, un documento informativo[17].

Diversamente, le operazioni tra parti correlate che non superino le predette soglie (cd. operazioni di minore rilevanza o sottosoglia), godono di un grado di opacità consentita ai sensi del Regolamento OPC, essendo esenti dall’obbligo di pubblicazione del documento informativo.

Inoltre, tanto le operazioni di maggiore rilevanza quanto quelle di minore rilevanza, qualora costituiscano o implichino esse stesse informazioni privilegiate, sarebbero certamente soggette all’obbligo di comunicazione al pubblico di cui all’art. 17 del MAR. In tal senso depone lo stesso art. 6 del Regolamento OPC, il quale individua delle informazioni che devono necessariamente essere fornite nel caso in cui l’emittente comunichi al pubblico informazioni privilegiate che abbiano ad oggetto un’operazione tra parti correlate.

Alla luce di quanto rappresentato, emerge un quadro normativo piuttosto articolato applicabile ai rapporti contrattuali tra società quotata in un mercato regolamentato e socio di controllo in materia di obblighi di disclosure. In particolare, la difficoltà maggiore per l’emittente consiste nel coordinare gli obblighi di disclosure che possono riguardare momenti diversi dei predetti rapporti contrattuali (fase negoziale, conclusione ed esecuzione del contratto) e attengono ad informazioni privilegiate inerenti sfere differenti, dovendosi a tal fine distinguere tra price sensitivity del contratto/operazione e price sensitivity delle informazioni scambiate in ragione dell’esecuzione del rapporto. Dunque, si possono individuare tre diversi scenari:

  1. contratti qualificabili come operazioni di maggiore rilevanza. Considerando che generalmente le operazioni di maggiore rilevanza hanno un carattere price sensitive, in virtù della significativa materialità delle stesse, in questa ipotesi, l’emittente quotato è tenuto, nel seguente ordine temporale: (a) ad effettuare un comunicato price sensitive ai sensi dell’art. 114 del TUF, “quanto prima possibile”, avente ad oggetto il contratto/operazione[18]; (b) a pubblicare un documento informativo entro 7 giorni dalla data di conclusione del contratto e (c) ad effettuare un’ulteriore comunicato, ai sensi dell’art. 114 del TUF laddove sorgano successivamente informazioni privilegiate ulteriori e diverse da quelle oggetto di precedente pubblicazione. A tal riguardo, nelle circostanze di cui alle lettere (a) e (b), sebbene la Consob stessa abbia ammesso, a talune condizioni, la possibilità di effettuare una selective disclosure di informazioni privilegiate inerenti un contratto o un’operazione prima dell’annuncio al mercato – date le spiccate esigenze di trasparenza e simmetria informativa che sussistono in caso di operazioni di maggiori rilevanza, pare ragionevole ritenere che in tale ipotesi sia consigliabile limitare la selective disclosure di informazioni connesse all’operazione prima della pubblicazione del comunicato price-sensitive o del documento informativo riguardante l’operazione con parte correlata.
  2. contratti price-sensitive qualificabili comeoperazioni di minore rilevanza. In questa ipotesi, l’emittente è tenuto ad effettuare, nel seguente ordine temporale: (a) un comunicato price sensitive ai sensi dell’art. 114 del TUF, “quanto prima possibile”, avente ad oggetto il contratto/operazione, mentre (b) non sussiste l’obbligo di pubblicare un documento informativo riguardante l’operazione con parte correlata. In tal caso dovendosi pubblicare un comunicato price-sensitive riteniamo non opportuna una selective disclosure prima della pubblicazione dello stesso. Semmai potrebbero residuare spazi per una selective disclosure, coperti dalla fattispecie del rapporto giustificativo, ove dovesse sorgere l’esigenza di una selective disclosure in corso di svolgimento del rapporto contrattuale.
  3. contratti non price-sensitive qualificabili comeoperazioni di minore rilevanza. In questo caso l’emittente non è soggetto ad obblighi di public disclosure dell’informazione, quindi non vi sono ragioni ostative alla selective disclosure di informazioni societarie.

Infine, la Consob ha escluso la possibilità che un patto parasociale destinato alla gestione concertata di partecipazioni sociali sia qualificabile come “rapporto giustificativo” legittimante la ricezione di informazioni privilegiate da parte dei soci aderenti (Q 1.5). Si è evidenziato, infatti, come i patti parasociali non consentano di per sé la trasmissione selettiva di informazioni privilegiate, in quanto non essendo l’emittente parte degli stessi non è possibile in astratto riscontrare un interesse dello stesso emittente alla disclosure.

Tuttavia, la Consob non ha escluso in assoluto la legittimità dell’informazione selettiva in favore dei soggetti partecipanti ad un patto parasociale, a condizione che sia verificata nel caso concreto la sussistenza di un rapporto giustificativo e quindi di un interesse dell’emittente alla comunicazione.

5. I presidi a protezione della riservatezza delle informazioni privilegiate

In risposta al Q 2[19] in tema di condizioni e presìdi procedurali necessari in caso di selective disclosure, la Consob ha chiarito che l’emittente è tenuto ad adottare presìdi a protezione della confidenzialità e riservatezza dei dati.

Avendo rilevato l’assenza di una disciplina specifica in materia di procedure per la gestione dei flussi informativi di natura privilegiata intercorrenti tra una società quotata e il suo socio di controllo, la Consob ha suggerito due possibili modelli dai quali attingere:

  • il modello delineato dalla disciplina del ritardo della comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate. L’Autorità, in particolare, ha suggerito l’adozione delle misure previste dal Regolamento di Esecuzione (UE) n. 2016/1055 inerente gli obblighi in capo alla società che abbia ritardato la comunicazione di informazioni privilegiate al pubblico. In particolare, tale regolamento richiede alla società di garantire la riservatezza delle informazioni mediante il continuo monitoraggio dei flussi, l’individuazione di un soggetto responsabile della decisione di ritardo nonché attraverso la predisposizione di adeguate procedure volte ad evitare l’impossessamento dei dati price sensitive da parte di soggetti non legittimati e
  • il modello delineato dalla disciplina dei sondaggi di mercato ex art. 11 regolamento MAR. In particolare, l’Autorità ha consigliato di prendere spunto dalle regole procedurali applicabili ai sondaggi di mercato in quanto “atte a garantire un’attenta gestione dei flussi informativi e a monitorare nel tempo i contenuti delle informazioni trasmesse, anche a prescindere dal loro carattere privilegiato” e tenuto altresì conto del fatto che tali regole rivolgono una particolare attenzione “ai destinatari delle informazioni, tenuti al rispetto degli obblighi di confidenzialità e di astensione dall’operatività”.

Il riferimento ai predetti modelli sarebbe giustificato, secondo la Consob, per il fatto che sia l’ipotesi di ritardo nella pubblicazione delle informazioni privilegiate sia quella dei sondaggi di mercato rappresentano delle fattispecie di informazione selettiva (sebbene solo momentaneamente selettiva in caso di ritardo) considerate dal legislatore come lecite al ricorrere di determinate condizioni e purché vengano adottati idonei presìdi.

Tale orientamento della Consob, oltre al merito di aver fornito indicazioni utili su un aspetto cruciale della selective disclosure dal punto di vista pratico e organizzativo, risulta apprezzabile anche su un piano meramente teorico nella misura in cui sembra aver recepito degli orientamenti dottrinali che già avevano colto le forti analogie esistenti tra la selective disclosure da una parte e l’ipotesi del ritardo nella pubblicazione delle informazioni privilegiate e dei sondaggi di mercato dall’altra[20].

6. Pubblicazione delle informazioni contenute nei piani industriali

Nella risposta al quesito Q 3 “In quali circostanze le informazioni di un piano industriale devono essere rese pubbliche?” la Consob ha fornito dei chiarimenti circa gli obblighi di comunicazione e gestione delle informazioni privilegiate contenute nei piani industriali.

Giova al riguardo precisare che, come specificato dall’Autorità di Vigilanza, nell’ordinamento interno non sussiste un obbligo di pubblicazione dei piani industriali predisposti dagli emittenti, tuttavia, tenuto conto della disciplina del MAR, sussistono in ogni caso gli “obblighi di comunicazione e gestione delle informazioni privilegiate in esso contenute”.

Da ciò ne deriva che, qualora il piano industriale predisposto dall’emittente non sia stato reso pubblico e contenga informazioni privilegiate, quest’ultimo avrebbe sostanzialmente due possibilità: la tempestiva comunicazione al pubblico di tali informazioni privilegiate ai sensi dell’art. 17, par. 1 del MAR oppure il ricorso alla procedura del ritardo ai sensi dell’art. 17, par. 4 del MAR.

Nel primo caso, l’emittente è tenuto alla comunicazione “quanto prima possibile” di tali informazioni: l’emittente, cioè, deve organizzarsi in modo tale da assicurare la tempestiva comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, potendo incorrere un certo lasso di tempo tra l’individuazione dell’informazione e comunicazione medesima nella misura in cui ciò sia necessario a verificare la ragionevole prevedibilità della verificazione di un evento che costituisca il fondamento dell’informazione privilegiata[21].

In alternativa, l’emittente può esimersi dalla tempestiva comunicazione avvalendosi della disciplina del ritardo di cui all’art. 17, par. 4 del MAR: a tal fine è indispensabile che la pubblicazione tempestiva dei dati previsionali contenuti nei piani industriali: (i) possa arrecare un pregiudizio ai legittimi interessi dell’emittente e, allo stesso tempo, (ii) che tale ritardo nella comunicazione non sia suscettibile di fuorviare il pubblico, nonché (iii) l’emittente sia in grado di garantire la riservatezza di tali informazioni. Dunque, laddove l’emittente si sia avvalso della disciplina del ritardo ex art. 17, par. 4 del MAR dilazionando la comunicazione delle informazioni privilegiate contenute nei business plan, il medesimo è tenuto alla disclosure al pubblico delle informazioni privilegiate ivi contenute qualora sia venuta meno la confidenzialità delle stesse ovvero nel caso in cui sulle stesse si siano verificate indiscrezioni.

Inoltre, a tal riguardo, la Consob ha precisato che gli emittenti godono della facoltà di avvalersi della procedura del ritardo anche con riferimento a “processi prolungati di definizione dei piani industriali eventualmente legati al verificarsi di eventi e circostanze particolari”, purché venga rispettata la disciplina di cui al citato art. 17, par. 4 del MAR.

Diversamente, nel caso il piano industriale sia stato già oggetto di comunicazione al pubblico, l’Autorità ha puntualizzato che gli emittenti hanno altresì l’obbligo di monitorare le informazioni contenute nei piani industriali pubblicati e nei comunicati stampa ed eventualmente – al fine di scongiurare che informazioni price sensitive divenute obsolete possano essere usate dagli operatori di mercato per fondare le loro scelte di investimento o disinvestimento – aggiornare tali informazioni laddove siano intervenuti cambiamenti rilevanti.

7. Conclusioni

In conclusione, si può affermare che le Q&A rappresentino sicuramente un contributo prezioso, soprattutto per gli operatori, in quanto anzitutto fanno chiarezza sulle condizioni che legittimano il ricorso al dialogo selettivo tra gli emittenti e i loro azionisti, con particolare riferimento agli azionisti di controllo e gli azionisti che esercitano l’attività di direzione e coordinamento ai sensi degli artt. 2497 e ss. c.c.; tali ipotesi, anche alla luce della scarsa organicità delle disposizione normative in materia, rappresentano infatti i casi più problematici per gli emittenti in termini di corretta gestione delle informazioni privilegiate.

A tal riguardo, gli orientamenti consolidati dall’Autorità di Vigilanza esposti nelle Q&A evidenziano un’interpretazione restrittiva del fenomeno dell’informazione selettiva, dimostrandosi in linea con le posizioni della dottrina e conformi alle spiccate finalità di tutela della simmetria e parità informativa nei mercati finanziari alla base del MAR, tali per cui la selective disclosure di informazioni privilegiate deve considerarsi legittima solamente in via eccezionale. In particolare, si può affermare che l’elemento cardine nel complesso degli orientamenti analizzati è rappresentato dal concetto di “rapporto giustificativo” dell’informazione selettiva ricavato dall’art. 17, par. 8 del MAR, nell’interpretazione del quale la Consob – pur non richiamando esplicitamente la citata giurisprudenza dalla Corte di Giustizia – si è attenuta al consolidato principio della stretta necessarietà.

In tale prospettiva, la Consob, anche alla luce del principio di parità di trattamento degli azionisti di cui all’art. 92 del TUF, non ha ritenuto che possa sussistere né in capo alla generalità dei soci, né in capo al socio di controllo un generale diritto alla ricezione di informazioni privilegiate dall’emittente. Al contrario, anche nelle ipotesi di selective disclosure previste dalla legge a favore del socio di controllo, tale comunicazione dovrà riguardare solamente le informazioni strettamente necessarie all’adempimento dell’obbligo di legge che assume rilievo nel caso specifico. Tale impostazione risulta inoltre allineata con la disciplina civilistica del rapporto di controllo, secondo la quale tale rapporto si realizza esclusivamente nella dimensione assembleare, non essendo di regola concesso al socio di controllo, come a qualsiasi altro socio, di dialogare con la società controllata, ed in particolare con l’organo amministrativo, mediante canali diversi ed ulteriori rispetto a quello assembleare.

Inoltre, appare condivisibile la differenziazione della posizione del socio che esercita l’attività di direzione e coordinamento rispetto al socio di mero controllo e ciò in virtù della rilevanza e delle prerogative attribuite dal diritto societario al fenomeno del gruppo di società. Difatti, volendo negare l’imprescindibilità dell’instaurazione di flussi informativi di natura privilegiata tra l’emittente e la propria capogruppo ai fini dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, si finirebbe per svuotare di significato concreto il fenomeno del gruppo societario che rappresenta una fondamentale modalità organizzativa delle attività imprenditoriali, largamente impiegata nella prassi societaria. Al tal riguardo, giova in ogni caso tenere presente che, ai sensi dell’art. 16 del Regolamento Mercati, le prerogative dell’eterodirezione vengono stemperate in favore di una maggiore autonomia negoziale e organizzativa della società eterodiretta, nel caso in cui quest’ultima sia una società quotata in un mercato regolamentato. Da ciò ne deriva che, tale ipotesi di selective disclosure, sebbene presenti spazi rilevanti di legittimità, alla luce della predetta maggiore autonomia riconosciuta alla società quotata eterodiretta, non possa in ogni caso determinare sacrifici eccessivi delle esigenze di simmetria informativa e integrità del mercato, anche in ossequio del principio della stretta necessarietà ribadito dalla Consob.

Da un punto di vista operativo ed organizzativo può considerarsi altresì apprezzabile l’indicazione di specifici modelli procedurali dai quali prendere spunto – ossia quelli delineati dalla disciplina del ritardo nella comunicazione di informazioni privilegiate e dei sondaggi di mercato – nell’adozione di presidi idonei a garantire la riservatezza delle informazioni privilegiate oggetto di comunicazione selettiva.

Da ultimo, si segnala che la Consob – con particolare riferimento alle ipotesi di selective disclosure a favore del socio di controllo al di fuori dei casi di legge – ha rimarcato la necessita che l’emittente svolga di volta in volta una specifica valutazione sull’eventuale sussistenza di un “rapporto giustificativo” idoneo a consentire la trasmissione di informazioni privilegiate al socio di controllo. A tal riguardo, eventuali rapporti contrattuali tra emittente e socio di controllo, in quanto operazioni con parti correlate, possono altresì essere soggetti agli obblighi di trasparenza imposti dal Regolamento OPC, essendo dunque necessario per gli emittenti coordinare l’adempimento di questi con quello degli obblighi informativi di cui al MAR, valutando attentamente un’eventuale ricorso alla selective disclosure a favore del socio di controllo. Alla luce dell’inevitabile elemento di discrezionalità che implicano le predette valutazioni e tenuto conto del rischio di realizzare una comunicazione illecita di informazioni privilegiate, gli emittenti saranno ragionevolmente portati ad adottare un approccio prudenziale nei confronti della selective disclosure e, in ogni caso, a continuare a dedicare risorse economiche e organizzative alla gestione delle informazioni privilegiate.

 

 


[1] Il testo integrale delle Q&A di Consob del 18 marzo 2021 è disponibile presso il seguente link: https://www.consob.it/web/consob/novita/-/asset_publisher/xMXdfdeSuZFj/content/richiamo-di-attenzione-consob-n-4-21-del-15-marzo-2021/10194.

[2] Con il termine emittenti quotati o società quotate, all’interno del presente contributo, si fa riferimento a società aventi strumenti finanziari ammessi alla negoziazione (i) su un mercato regolamentato o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione su un mercato regolamentato; (ii) su un MTF, ammessi alla negoziazione su un MTF o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione su un MTF e (iii) su un OTF. Ciò in ossequio all’ambito di applicazione del Regolamento (UE) n. 596/2014 sugli abusi di mercato (cd. MAR) che, come noto, comprende tutte le suddette categorie di strumenti finanziari e non solo quelli quotati in un mercato regolamentato ai sensi della Direttiva n. 2014/65/UE (cd. MiFID II). Laddove si faccia riferimento a previsioni che si applicano alle sole società quotate in un mercato regolamentato, come numerose disposizioni del D. Lgs. n. 58/1998 (cd. TUF), ciò è oggetto di espressa indicazione.

[3] In particolare, sul tema si veda: F. ANNUNZIATA, The duty to disclose inside information and the proper organization of the company: the market abuse regulation (“MAR”) and Italian company law, Bocconi legal studies research paper series, giugno 2020; F. ANNUNZIATA, Riflessi organizzativi della rinnovata disciplina in materia di market abuse, in Società, 2016, n. 2, p. 169; C. DI NOIA, M. GARGANTINI, Corporate governance e comunicazione di informazioni privilegiate, in Seminario Prosperi-Corporate governance e comunicazione di informazioni privilegiate; S. LOMBARDO, L’informazione privilegiata, in Società, 2016, n. 2, p. 147; M. MAUGERI, Gruppi di società e informazioni privilegiate, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 6, 1 dicembre 2017, p. 907; C. MOSCA, Comunicazione selettiva dagli amministratori agli azionisti e presidi a tutela del mercato, in Rivista delle Società, fasc. 1, 1 febbraio 2018, p. 29; A. RE, Market abuse: the EU legal framework, in Cammino diritto, n. 10, 2016.

[4] Cfr. G. MOLLO, D. MONTESANTO, Il controllo societario nel Testo unico della finanza. Problemi e prospettive di riforma, in Quaderni Giuridici Consob, 8 giugno 2015, disponibile al seguente link: https://www.consob.it/documents/11973/201676/qg8.pdf/228bc96a-b225-4c54-b1db-00b3f40da4fc.

[5] Si segnala che, ai sensi del comma secondo del medesimo articolo, la relazione sulla gestione debba indicare altresì i rapporti con le imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo di queste ultime: si devono illustrare, cioè, le operazioni maggiormente rilevanti compiute con ogni singola società controllata ovvero collegata specificando se sono state concluse a prezzi di mercato o a condizioni particolari, ed in tal caso indicando l’eventuale influenza dell’operazione sul risultato dell’esercizio: G. E. COLOMBO, Informazione societaria e gruppi di società, in P. ALVISI – P. BALZARINI – G. CARCANO (a cura di), L’informazione societaria. Atti del Convegno internazionale di studi. Venezia, 5-6-7 novembre 1981, Milano, 1982, p. 680 e s.

[6] Vedasi al riguardo: M. MAUGERI, Gruppi di società e informazioni privilegiate, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 6, dicembre 2017, p. 907 e ss. il quale sostiene che in tali casi l’emittente (ossia la società controllata) debba effettuare la disclosure solo nel caso in cui abbia la concreta possibilità, giuridica e fattuale, di recepire le informazioni privilegiate relative alla controllante tramite idonee procedure; al di fuori di tali casi, l’emittente non ha diritto a ricevere informazioni price sensitive derivanti dal vertice.

[7] Si tenga presente che l’art. 10 del MAR vieta la comunicazione selettiva illecita di informazioni privilegiate indipendentemente dal loro eventuale utilizzo sul mercato.

[8] L’esigenza di garantire la protezione delle informazioni è riconosciuta dalla stessa autodisciplina: la raccomandazione n. 11 del Codice di Corporate Governance, infatti, nonostante sia tesa a garantire la costanza e la completezza dei flussi informativi all’interno dell’organo amministrativo, si cura di garantirne la riservatezza delle informazioni circolanti.

[9] Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 22 novembre 2005 avente ad oggetto il procedimento penale a carico di Knud Grøngaard e Allan Bang, causa C-384/02. Il divieto previsto dall’art. 10 del Regolamento MAR conduce, cioè, ad un’interpretazione restrittiva del requisito della normalità: C. MOSCA, Comunicazione selettiva dagli amministratori agli azionisti e presidi a tutela del mercato, in Rivista delle Società, fasc. 1, febbraio 2018, p. 29 e ss.

[10] Cfr. C. DI NOIA, M. GARGANTINI, op. cit., pp. 26-27.

[11] Indicate al paragrafo 1.

[12] Si fa riferimento ai requisiti stabiliti dall’dall’articolo 148, co. 3 del TUF e degli eventuali ulteriori requisiti individuati nelle procedure previste dall’articolo 4 del regolamento adottato con delibera n. 17221 del 12 marzo 2010 in materia di operazioni con parti correlate o previsti da normative di settore eventualmente applicabili in ragione dell’attività svolta dalla società.

[13] Si evidenzia che l’obbligo di consolidamento ai sensi del principio IFRS n. 10 par. 4 dipende dalla sussistenza di un rapporto di “controllo” il quale si esplica quando: (i) un’entità ha il potere di dirigere le attività rilevanti dell’entità oggetto di investimento; (ii) l’entità è esposta o è titolare di diritti a rendimenti variabili che dipendono dall’andamento economico dell’entità oggetto di investimento; (iii) l’entità è in grado di esercitare il potere in modo tale da incidere sui rendimenti ad essa spettanti.

[14] In questo caso, il contratto avrebbe dovuto già essere stato oggetto di disclosure mediante un comunicato price-sensitive ai sensi dell’art. 114 del TUF, ragionevolmente prima dell’inizio dell’esecuzione dello stesso.

[15] Il testo aggiornato con le delibere n. 21623 e 21625 del 10 dicembre 2020 e n. 21639 del 15 dicembre 2020 in vigore dal 1° gennaio 2021 è disponibile presso: https://www.consob.it/documents/46180/46181
/reg_consob_1999_11971.pdf/bd8d1812-6866-473e-8234-c54c75c0363a.

[16] Ai sensi dell’Allegato 1 del Regolamento OPC un soggetto è definito come parte correlata ad una società se controlla tale società e ed è definita come “operazioni con parte correlata” “qualunque trasferimento di risorse, servizi o obbligazioni fra parti correlate, indipendentemente dal fatto che sia stato pattuito un corrispettivo”.

[17] Cfr. Art. 5 del Regolamento OPC.

[18] Tale comunicato dovrà altresì contenere le informazioni stabilite dall’art. 6 del Regolamento OPC.

[19] L’esatto contenuto di tale domanda è il seguente: “Nel caso in cui si dovesse ritenere sussistente una causa giustificativa della selective disclosure, quali condizioni devono sussistere e quali presìdi procedurali devono essere adottati dalla società quotata?”

[20] Cfr. MAUGERI, op. cit. e MOSCA, op. cit.

[21] Cfr. MOSCA, op. cit., p. 13. In tal senso si ritiene di leggere l’espressione “quanto prima possibile”.

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