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Approfondimenti

L’IP Box alla luce delle novità dell’Investment Compact

20 Aprile 2015

Roberto Valenti, Partner, dipartimento Intellectual Property & Technology, Carlotta Benigni, Associate, dipartimento Tax, DLA Piper Italia

Di cosa si parla in questo articolo

L’IP Box in Italia

Il regime del “patent box” (o meglio, dell’IP Box) è stato introdotto in Italia dalla Legge di Stabilità 2015 approvata lo scorso dicembre, e successivamente modificato con il Decreto cosiddetto “Investment Compact” pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 24 gennaio e convertito in Legge 25 marzo 2015, n. 33. Si tratta di un regime fiscale che mira ad incentivare, detassandoli, i ricavi derivanti dallo sfruttamento diretto e indiretto degli intangible assets individuati dalla norma.

Con l’IP box il Governo intende incentivare il mantenimento in Italia dei beni immateriali sviluppati in Italia, o addirittura favorirne il rientro in Italia, creando un ambiente favorevole anche dal punto di vista fiscale, cercando di porre un limite alla costituzione di “IP companies” in Stati esteri (anche europei) che da sempre hanno fornito tali tipologie di incentivi.

Il regime dell’IP Box è a norma di legge applicabile dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, e dunque già dal 2015 per i soggetti solari. Per l’applicazione effettiva rimangono tuttavia da chiarire alcuni aspetti, primo fra tutti come calcolare il reddito che potrà beneficiare dell’esclusione parziale da tassazione.

Il compito di delineare questi aspetti operativi è demandato ad un apposito Decreto Attuativo del Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico.

Gli IP agevolabili

Rispetto alla prima versione contenuta nella legge di Stabilità, si completa il passaggio dal patent box all’IP Box: l’agevolazione è infatti applicabile ai “redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di disegni ed modelli, nonché di processi, formule e informazioni relative a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”, praticamente tutti i redditi collegati alla proprietà intellettuale di titolarità dell’impresa che sceglie di avvalersi della misura.

Chi ne può beneficiare

Possono accedere al regime dell’IP box i soggetti titolari di reddito di impresa residenti in Italia, a prescindere dalla forma giuridica adottata. Il regime è applicabile anche ai soggetti residenti all’estero in un Paese che ha firmato con l’Italia un accordo per lo scambio di informazioni al quale ha dato concreta attuazione, si ritiene quando svolgano attività di impresa in Italia mediante una stabile organizzazione.

Grazie alle modifiche apportate dall’Investement Compact viene allentato il cosiddetto “nexus approach” di stampo OCSE, per cui potevano optare per la misura solo società che avessero svolto attività di ricerca e sviluppo internamente o, al limite, mediante contratti con università o enti di ricerca. Con le modifiche introdotte, i contratti di ricerca possono essere stipulati anche con società diverse dalle università e dai centri di ricerca, purché non facenti parte del medesimo gruppo della società che beneficia della misura.

In cosa consiste

La norma prevede a regime l’esclusione, sia ai fini IRES sia ai fini IRAP, del 50% dei redditi derivanti dalla concessione a terzi degli IPs agevolabili, nonché i redditi ritratti dallo sfruttamento diretto dei brevetti e degli altri IPs, perché il soggetto utilizza i propri IP all’interno del processo manifatturiero o per la fornitura di servizi. Tuttavia, in questo caso, l’effettivo contributo del bene immateriale all’utile dell’esercizio deve essere individuato mediante una procedura di ruling in contradditorio con l’Agenzia delle Entrate.

L’Investment Compact ha invece eliminato l’obbligatorietà del ruling preventivo con l’Agenzia delle Entrate quando i beni siano concessi a società, residenti o non residenti, facenti parte del medesimo gruppo. Si applicano dunque le ordinarie regole in materia di transfer pricing, per cui è sempre possibile un advanced pricing agreement con l’Agenzia delle Entrate, ma in ogni caso il contribuente può stabilire l’ammontare della remunerazione attraverso un proprio studio di transfer pricing.

In sostanza, il carico fiscale sulle royalties ritratte dagli IP agevolabili a regime (i.e. dal 2017 in poi) sarà complessivamente pari al 15,7% (i.e. il 50% di 31,4%). Per i periodi di imposta 2015 e 2016 la percentuale di esclusione è ridotta rispettivamente al 30% e al 40%.

Sono poi integralmente esentate le plusvalenze derivanti dalla cessione della proprietà intellettuale, a condizione che almeno il 90% del corrispettivo percepito dalla vendita sia reinvestito entro 2 anni in attività di manutenzione o sviluppo di altri beni immateriali della stessa tipologia di quelli agevolabili.

Si accede al regime dell’IP box mediante opzione irrevocabile della durata di 5 anni, successivamente rinnovabile, come opportunamente chiarito dalla Legge n. 33 di Conversione dell’Investment Compact.

Il calcolo del reddito agevolabile

Il regime dell’IP Box prevede specifiche metodologie di calcolo del reddito che può beneficiare della detassazione. In particolare, la norma prevede che la percentuale di reddito agevolabile sia da calcolarsi come rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti annualmente per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale che gode delll’agevolazione e il totale dei costi della produzione del medesimo bene.

L’Investment Compact ha inciso anche sulle modalità di calcolo della quota di reddito agevolabile.

Tra le spese che costituiscono il numeratore del rapporto è incluso ora anche il costo sostenuto per l’acquisto del bene o per contratti di ricerca stipulati con società del medesimo gruppo, fino al limite del 30% delle spese totali di R&S.

Come si legge nella relazione illustrativa, lo scopo è proprio quello di permettere di raggiungere più agevolmente un rapporto pari a 1, e quindi la detassazione del 100% del reddito. Anche in questo caso, il legislatore italiano ha inteso mitigare il c.d. “nexus approach” OCSE,

Tale “agevolazione” deve comunque essere letta insieme al requisito di accesso iniziale al regime, per cui potranno comunque optare per l’IP box solo le imprese che esercitano attività di ricerca e sviluppo, anche se mediante contratti di outsourcing con società esterne. Si esplicita dunque la possibilità di beneficiare del regime dell’IP box anche in caso di beni immateriali acquistati da terzi, purché il contribuente successivamente sostenga costi per il suo mantenimento, accrescimento o sviluppo.

In tal modo, se in un anno il soggetto interessato non sostiene spese di ricerca e sviluppo sul bene immateriale da cui ritrae reddito, il rapporto sarà pari a zero, e conseguentemente il reddito non sarà agevolabile.

Il nodo centrale delle modalità di calcolo del rapporto tra costi di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene dovrebbe essere risolto dal Decreto attuativo attualmente in discussione al MEF.

Lo scenario europeo

Da questo punto di vista, alcuni dei nostri partner (prima fra tutti la Germania) potrebbero sollevare dubbi sull’IP box italiano. Basti pensare che, in occasione dell’adozione della misura da parte del governo inglese, infatti, il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, aveva manifestato la propria disapprovazione per uno strumento “capace di alterare i meccanismi del mercato interno”. Nel marzo 2014, inoltre, la Commissione europea ha chiesto chiarimenti al Ministero del Tesoro inglese nell’ambito di un’indagine informale volta a verificare se la normativa sulle agevolazioni fiscali in materia di proprietà industriale non possa essere considerata come un aiuto di Stato. La buona notizia è che – dopo un vertice anglo-tedesco sulla misura nella seconda metà dello scorso anno – la Germania ha accettato una serie di modifiche al patent box inglese e ha concordato con il governo una moratoria relativamente ai regimi di patent box ad oggi esistenti fino al 2021. Ciò significa almeno un quinquennio di applicazione della misura.

Ora, è possibile che effettivamente sia opportuno – in un’ottica europea – adottare un approccio comune rispetto al patent box. Ciò detto, puntando soprattutto sull’innovazione, il Governo ha deciso di non aspettare i tempi potenzialmente biblici della normazione europea, e ad adottare una misura che – se bene implementata – potrebbe contribuire a realizzare la tanto attesa scossa dell’economia italiana.

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