Conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18), l’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria, pure se esercitata dal curatore fallimentare ex art. 66 l. fall., è sempre ammissibile, anche in concorso con l’opposizione preventiva dei creditori sociali ex art. 2503 c.c., in quanto la prima mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto per renderlo inopponibile al creditore pregiudicato, mentre la seconda è finalizzata a farne valere l’invalidità.
La Corte di Cassazione – che aveva anticipato solo in un obiter dictum la preferenza per la tesi del cumulo tra rimedi specifici della scissione e azione revocatoria ordinaria (Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654, in Foro it., 2020, I, 163, con osservazioni di G. Niccolini) – ha avuto recentemente occasione di tornare specificamente sul tema, confermando, anche alla luce della sentenza dei giudici eurounitari (Sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18 IGI c. Cicenia ed altri), il proprio convincimento.
Il caso sotteso alla pronuncia della Suprema Corte riguardava la scissione parziale di una società di capitali, poi fallita, con la quale la società in bonis aveva assegnato ad una società in accomandita semplice, riveniente dalla scissione quale beneficiaria, parte del proprio patrimonio, comprendente un cespite immobiliare contabilizzato a valore di libro circa 1,5 milioni Euro, ma il cui valore di mercato era stimato in 2,5 milioni Euro. Accolta in primo ed in secondo grado l’azione revocatoria esperita, ex artt. 66 l. fall. e 2901 c.c. dalla curatela del fallimento della società scissa, la beneficiaria ricorreva per Cassazione contestando fondamentalmente l’ammissibilità stessa dell’azione revocatoria dell’atto di scissione, in relazione al sistema dei rimedi societari a tutela dei soci e dei creditori nella scissione. La Cassazione, tuttavia, rigetta il ricorso con queste argomentazioni.
Anzitutto, osserva la Corte – così smentendo la tesi che vede nelle operazioni straordinarie esclusivamente un fenomeno riorganizzativo – che la scissione parziale realizza effetti traslativi, comportando in capo alle beneficiarie l’acquisizione di valori prima in esse non presenti. Dal che si deve dedurre l’ammissibilità, almeno in astratto, del rimedio di cui all’art. 2901 c.c. A tale lettura non è ostativa la disposizione dell’art. 2506-quater, comma 3, c.c., che fa insorgere responsabilità solidale della scissa per i debiti assegnati alla beneficiaria. Secondo la Cassazione, infatti, tale norma incontra la sua ratio legis nell’esigenza di rafforzare la tutela dei creditori della società scissa, proprio in considerazione del mutamento di consistenza della garanzia patrimoniale generica offerta dal debitore principale, che – secondo la Cassazione – non è la beneficiaria, bensì la società scissa. Su queste premesse, la richiamata sentenza raffronta la disciplina dei debiti nella scissione a quella della cessione di azienda, reputandole accomunate sotto il denominatore della coobbligazione solidale limitata, in un caso di scissa e beneficiarie, nell’altro di cedente e cessionari. In entrambe le discipline il rafforzamento della garanzia patrimoniale discenderebbe dal fatto che non è richiesto al creditore il consenso per la liberazione del cedente e questo, pertanto, rimane obbligato, seppur con un patrimonio ridotto, ragion per cui alla sua obbligazione si somma quella del cessionario.
Confrontata la disciplina della scissione con quella della cessione d’azienda, la Cassazione rileva come, nonostante la coobbligazione del cedente e del cessionario, non si dubita dell’esperibilità dell’azione revocatoria avente ad oggetto una cessione di azienda. Tale dubbio non ha quindi ragione di porsi per la scissione. Anzi, la sentenza evidenzia che il cumulo di società debitrici, realizzato dall’art. 2506-quater, comma 3, c.c., «determinando un frazionamento del limite di responsabilità tra coobbligati (riferito per ciascun partecipante al solo “valore patrimoniale netto” trasferito con l’atto di scissione), comporta senza dubbio un pregiudizio […] per il creditore, tenuto, in caso di incapienza del limite di valore del singolo debitore, a dover moltiplicare le azioni dirette alla soddisfazione dell’intero importo del credito, rimanendo, peraltro, soggetto al rischio di insolvenza di ciascuna società partecipante dipendente dalla differente situazione patrimoniale nella quale si inseriscono gli elementi attivi e passivi trasferiti con la scissione».
Quanto alla tesi dell’incompatibilità tra revocatoria della scissione e regime dell’invalidità dell’operazione straordinaria, la Cassazione si allinea alle valutazioni dei giudici eurounitari, chiarendo la differenza di piani tra rimedi invalidatori, tesi all’annullamento dell’atto, e rimedi recuperatori, tesi a privare lo stesso solo dell’efficacia nei confronti dei creditori pregiudicati. Ampia considerazione è riservata all’argomento secondo cui i rimedi a carattere preventivo escluderebbero la necessità di quelli a carattere successivo, come la revocatoria. Sul punto la Cassazione sottolinea ampiamente la differente funzione, appunto, preventiva in un caso, riparatoria nell’altro. Infine, con affermazione da considerare attentamente la Suprema Corte afferma che «l’azione ex art. 2901 c.c. ed ex art. 66 l. fall. svolge, invece, una funzione ripristinatoria della garanzia generica offerta dal patrimonio del debitore, di cui si può avvalere non soltanto il creditore “anteriore” ma anche quello “successivo” al compimento dell’atto pregiudizievole, quando questo sia stato oggetto di accordo fraudolento».