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Dossier

La Cassazione dice no alla tassazione (proporzionale) dell’atto di dotazione relativo ai trust

12 Febbraio 2018

Avv. Antonio Longo e Prof.ssa Marta Cenini, DLA Piper Studio Legale Tributario Associato

La recente pronuncia della sezione tributaria della Corte di Cassazione n. 975 del 17 gennaio 2018 prende posizione su un tema dibattuto, ovvero sul momento in cui sorge l’obbligo contributivo, ai fini delle imposte indirette, nel caso di trasferimento di beni in un trust e, più in generale, nel caso di costituzione di vincoli di destinazione.

Le interpretazioni al riguardo sono essenzialmente due e possono essere sintetizzate come segue: (i) da un lato, c’è la tesi secondo cui le imposte indirette (imposta di registro o imposta sulle donazioni e successioni e imposte ipotecarie e catastali) si rendono dovute sin dal momento del trasferimento dei beni dal disponente al trustee, in quanto l’istituzione del vincolo evidenzierebbe, in sé, una capacità contributiva suscettibile di tassazione, sebbene non si determini (o non si determini ancora) un diretto vantaggio economico per qualcuno; (ii) dall’altro lato, vi è l’interpretazione in base alla quale le imposte si applicano solo al momento dell’effettivo trasferimento dei beni dal trustee (che ne dispone solo a titolo fiduciario) ai beneficiari, cioè quando avviene l’effettivo arricchimento di questi ultimi.

Più in particolare, secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate, la tassazione ai fini dell’imposta sulle successioni e donazione dovrebbe essere anticipata al momento della costituzione del vincolo di destinazione (cioè quando il disponente attua la “segregazione” dei beni), sulla base del rapporto personale – al fine di determinare aliquote e franchigie – tra disponente e beneficiario finale, non rilevando il momento successivo in cui i beni vengono effettivamente devoluti ai beneficiari (cfr., Circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E, e 6 agosto 2007, n. 48/E).

L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate è stata spesso disattesa dalla giurisprudenza tributaria di merito con riferimento, ad esempio, a quelle tipologie di trust (a) in cui non sussistono beneficiari (cd. “trust di scopo”) o (b) in cui i beneficiari non sono espressamente individuati al momento dell’atto istitutivo (cd. “trust discrezionali”) o (c) in relazione ai trust la cui devoluzione ai beneficiari è sottoposta a condizione sospensiva o, ancora, (d) ai cd. trust liquidatori.

Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, dovrebbe escludersi da tassazione la mera costituzione del vincolo di destinazione in quanto l’oggetto del prelievo deve concretizzarsi in un trasferimento di ricchezza a favore di un soggetto terzo; trasferimento che si configurerebbe solo con la distribuzione del trust fund ai beneficiari, che, prima di allora, sono titolari di una mera aspettativa giuridica[1].

Occorre poi segnalare la posizione assunta dalla Corte di Cassazione con le ordinanze n. 3735, 3737 e 3886 del 4 febbraio 2015[2] proprio con riferimento alla tassazione indiretta della costituzione di trust[3]. La Corte, in queste fattispecie, ha cassato con rinvio le sentenze delle Commissioni tributarie regionali – che avevano accolto le ragioni dei contribuenti nel senso della sola imposizione fissa di registro alla costituzione del vincolo – ed ha ritenuto applicabile l’imposta di successione e donazione nella misura (residuale) dell’8% e le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale.

In specie, la Suprema Corte ha ritenuto che il D.L. n. 262/2006 (nel reintrodurre l’imposta sulle successioni e donazioni) abbia previsto una “imposta nuova”, ossia l’”imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione” applicabile ad ogni tipologia di costituzione di patrimoni separati, autonomi o segregati, inclusi quelli che non traslativi (tra cui anche di destinazione ex art. 2645- ter c.c.). Il presupposto impositivo di questa imposta sarebbe da individuare nella “predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti” e l’oggetto dell’imposizione consisterebbe nel “valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l’impoverirsi”, a prescindere dall’esistenza di qualsivoglia trasferimento.

Tuttavia, la stessa Cassazione, in antitesi rispetto alla precedente giurisprudenza di legittimità (i.e. le citate ordinanze 3735/15, 3737/15, 3886/15 e 5322/15 e la sentenza 4482/16), ha successivamente cambiato orientamento con la sentenza n. 21614/2016, ove si è affermato che la dotazione di un trust non è da intendere quale manifestazione di capacità contributiva e va tassata con la sola imposta fissa di registro.

Ora, con la sentenza n. 975/2018 qui in commento, la Suprema Corte aderisce a quest’ultimo orientamento e stabilisce che: (i) con l’atto di dotazione del trust non si arricchisce alcun soggetto, ma si affidano “transitoriamente” taluni beni a un trustee affinché questi li gestisca per la realizzazione dello scopo indicato dal disponente; (ii) l’intestazione dei beni al trustee deve ritenersi, fino allo scioglimento del trust, solo momentanea; (iii) non può, pertanto, applicarsi all’atto di dotazione del trust la tassazione propria degli atti che hanno un effetto patrimoniale; (iv) anche le imposte ipotecaria e catastale, per la stessa ragione, devono essere applicate in misura fissa.

Invero, la sentenza n. 975/18 riguarda un caso sorto anteriormente all’entrata in vigore del citato D.L. n. 262/06, convertito in L. n. 286/06, vale a dire la normativa che, nel reintrodurre nel nostro ordinamento l’imposta di successione e donazione (abolita con L. n. 383/01), ne ha disposto l’estensione agli atti a titolo gratuito e ai vincoli di destinazione (e, quindi, ai trust) e cassa una sentenza della CTR Lazio che aveva sancito l’applicazione all’atto di dotazione del trust dell’imposta di registro con l’aliquota del 3 per cento[4].

La circostanza che la sentenza in commento si riferisca ad uno scenario normativo ora superato non sembra però offuscare la centralità del principio statuito dalla Suprema Corte, tanto è vero che la più recente giurisprudenza di merito, da ultimo con la sentenza della C.T.P. di Treviso n. 26/4/18 del 12 gennaio 2018, è giunta alla stessa conclusione anche sulla base della disciplina vigente. Infatti, quale che sia l’imposta applicabile (prima era l’imposta di registro, oggi l’imposta di donazione), ciò che rileva è se l’atto di dotazione del trust abbia rilevanza patrimoniale e comporti l’applicazione di un’imposta proporzionale oppure si tratti di un mero momento transitorio in vista dell’attribuzione finale che il trustee compirà a favore dei beneficiari del trust al termine del suo mandato fiduciario.

In quest’ultimo arresto, la Cassazione non ha dubbi e argomenta che “indefettibilmente caratterizza lo schema negoziale del trust” il fatto che l’atto di dotazione “si può considerare non immediatamente produttivo di effetti traslativi in senso proprio, dal momento che sono tali solo quelli finali, costituenti il presupposto dell’imposta di registro, prima mancando l’elemento fondamentale dell’attribuzione definitiva dei beni al soggetto beneficiario”.

Infatti, “il trasferimento dei beni al trustee avviene, … a titolo gratuito, non essendovi alcun corrispettivo, e il disponente non intende arricchire il trustee, ma vuole che quest’ultimo li gestisca in favore dei beneficiari, segregandoli per la realizzazione dello scopo indicato nell’atto istitutivo del trust, per cui l’intestazione dei beni al trustee deve ritenersi, fino allo scioglimento del trust, solo momentanea”.

Pur censurando la sentenza della Commissione Tributaria, la Cassazione sembra in sostanza condividere con essa la convinzione per cui l’atto di dotazione dei beni nel trust non abbia effetti traslativi “in senso proprio” e che l’intestazione dei beni al trustee debba considerarsi solo momentanea.

Come accennato, l’affermazione appare condivisibile sotto il profilo tributario in ragione degli specifici presupposti di applicazione delle imposte indirette ai vincoli di destinazione; tuttavia va rilevato che, dal punto di vista civilistico, essa potrebbe prestare il fianco a qualche critica. Infatti, per quanto riguarda i veri e propri trust di common law, il trasferimento della proprietà dei beni in capo al trustee avviene in senso formale: il trustee è legal owner dei beni facenti parte del trust fund mentre i beneficiari divengono equitable owners; in questi ordinamenti, come noto, la presenza del corpo di regole chiamato Equity rende possibile tale dissociazione tra legal ownership e equitable ownership.

Anche nel nostro ordinamento, nel caso dei trust, non è dubbio che l’atto di dotazione trasferisca il diritto di proprietà dei beni in senso proprio in capo al trustee, tanto è vero che nel caso in cui si tratti di beni immobili e di partecipazioni sociali, la pubblicità nei registri è a nome del trustee stesso (e questo anche con riguardo ai cd. trust interni); i casi che la dottrina ascrive tra le cd. proprietà “temporanee” vanno dalla sostituzione fedecommissoria (artt. 692 ss. c.c., che ha rappresentato per alcuni un problema proprio in tema di ammissibilità dei trust successori) alla proprietà superficiaria, alla donazione con patto di riversibilità, o ancora alla vendita con patto di riscatto.

Piuttosto, va detto che, più che di proprietà “momentanea” o priva di effetti traslativi “in senso proprio”, si tratta di una cd. proprietà nell’interesse altrui e dunque la formale intestazione dei beni in capo al trustee non sembra incompatibile con la irrilevanza fiscale del trasferimento dei beni ai fini del tributo successorio e donativo.



[1] Cfr., ex pluribus, nel senso della non applicazione dell’imposta di donazione e dell’applicazione delle altre imposte indirette in misura fissa all’atto di passaggio dei beni dal disponente al trustee, si veda Comm. Trib. Prov. Lodi Sez. II, 7 marzo 2014, n. 70, cfr. in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; Comm. Trib. Reg. Toscana Sez. IX, 12 giugno 2015, n. 1077, cfr. in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; Comm. Trib. Reg. Lombardia Sez. XV, 21 gennaio 2016, n. 346, cfr. in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; Comm. Trib. Prov. Latina, 14 maggio 2015, n. 716, in Fisco, 2015, 35, p. 3391; Comm. Trib. Reg. Lombardia 13 maggio 2016, n. 2845 in Fisco, 2016, 26, p. 2597.

[2] La posizione assunta dalla Suprema Corte nelle ordinanze in questione è stata criticata dalla dottrina maggioritaria; si vedano, tra gli altri, D. STEVANATO, “La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione”, in GT Riv. Giur. Trib., 5/2015, p. 397; Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 132-2015/T, L’imposizione indiretta sui vincoli di destinazione: nuovi orientamenti e prospettive interpretative, approvato dall’Area Scientifica – Studi Tributari il 1 luglio 2015 e dal CNN nella seduta dell’1 e 2 ottobre 2015;A. CONTRINO, “Sulla nuova (ma in realtà inesistente) imposta sui vincoli di destinazione “creata” dalla Suprema Corte: osservazioni critiche”,inRass. trib., 1/2016, 30.

[3] Più in dettaglio, il trust oggetto della ordinanza n. 3735 era un trust “autodichiarato” e aveva la funzione di “rafforzare la generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari. Anche il trust oggetto della ordinanza n. 3886, costituito da due coniugi, era “autodichiarato” e funzionale “all’applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale”; come beneficiari erano stati indicati gli stessi disponenti, se in vita, ovvero i figli in parti uguali. L’ordinanza n. 3737 riguarda un trust costituito da una serie di enti pubblici, con provvista di denaro da parte di uno di questi, con la finalità di procedere alla manutenzione, alla riqualificazione ed allo sviluppo di un aeroporto.

[4] Va peraltro rilevato che la Suprema Corte, con sentenza 18 dicembre 2015 n. 25478, si era già espressa in questo senso sempre con riferimento ad una fattispecie antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 262/2006, ritenendo inapplicabili le imposte sui trasferimenti in misura proporzionale (in specie imposte di registro, ipotecarie e catastali) al momento del conferimento dei beni in trust, in quanto, fino al momento del loro passaggio ai beneficiari, non si verificherebbe alcun arricchimento da sottoporre a tassazione. La Cassazione aveva, in questo caso, statuito che il trust liberale, con il quale si dispone di assetti familiari, rientra nella categoria delle donazioni indirette ed è “[…] illogico affermare applicabile l’imposta […] già al momento della istituzione del trust […] perché non a tale momento è correlabile il trasferimento definitivo di ricchezza che in effetti rileva quale indice di capacità contributiva”. Si veda, a commento, D. STEVANATO, “Trust liberali e imposizione indiretta, uno sguardo al passato rivolto al futuro?”, in Corr. Trib., 2016, n. 9, p. 676.


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