Con la sentenza n. 26432/2024, la Corte di Cassazione si è occupata del rapporto tra i criteri di determinazione del valore “normale” dei prezzi di trasferimento nelle operazioni infragruppo transnazionali, rilevanti per la disciplina del cd. transfer pricing di cui all’art. 110, co. 7, del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), avuto altresì riguardo alla qualificazione ed al ruolo ricoperto dalle osservazioni OCSE nel nostro ordinamento.
Segnatamente, la Suprema Corte è stata chiamata ad esprimersi sul rapporto tra il metodo del margine netto della transazione (cd. “TNMM”), che valorizza i profitti operativi netti derivanti da transazioni controllate confrontandoli con quelli di società terze che effettuano transazioni comparabili, e quello del “prezzo non controllato comparabile” (cd. “CUP”), che, invece, si basa sul confronto specifico delle operazioni infragruppo con le comparabili concluse con soggetti terzi.
In esito al ragionamento svolto, è così giunta ad escludere l’esistenza di una relazione gerarchica tra i diversi metodi applicabili, affermando, invece, come ricada sugli operatori il compito di “individuare quello più aderente alla fattispecie concreta, tenendo presente lo scopo perseguito dalla norma”.
Il giudizio riguardava un avviso di accertamento per l’anno 2008 con cui – tra altre – l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ad una società contribuente l’errata applicazione del metodo del CUP ad operazioni infragruppo cui aveva preso parte, alle quali, invece, si sarebbe più adeguatamente adattato il diverso metodo del TNMM, valorizzando la ripartizione dei ruoli e l’assunzione dei relativi rischi all’interno del gruppo, così riprendendo ad imposizione talune componenti di reddito.
Il caso ha rappresentato l’occasione anche per passare in rassegna l’orientamento della Suprema Corte in tema di metodi matematici, statistici e attuariali secondo le osservazioni OCSE, della loro natura e della loro relativa collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto.
L’OCSE, chiariscono i giudici, nella propria qualità di organismo sovranazionale di natura convenzionale, si prefigge l’obiettivo di fornire delle linee guida per armonizzare il modus operandi tra i Paesi aderenti, per rendere gli stessi comparabili e garantire l’esistenza di un mercato concorrenziale basato sui principi di “trasparenza” e “parità dei punti di partenza”.
Su tale presupposto, è chiaro che l’introduzione diretta di disposizioni cogenti negli ordinamenti nazionali rimanga estranea alle finalità dell’ente, da ciò conseguendo l’esclusione delle raccomandazioni e gli altri documenti elaborati dallo stesso dalla gerarchia delle fonti.
Le Raccomandazioni OCSE, infatti, devono essere interpretate per la loro evidente natura come “norme tecniche, sistemi derivati da modelli matematici, contabili e attuariali che sono tradizionalmente sussidiari alle disposizioni normative di rango legislativo o regolamentare”.
Sulla scorta di tale ricostruzione, la Corte esclude l’esistenza di una gerarchia tra i diversi modelli elaborati dall’OCSE, ivi compresi tra quelli relativi alla determinazione della “normalità” dei prezzi di trasferimento, la cui scelta rimane guidata prevalentemente dai criteri della “comparabilità” delle transazioni, così da ristabilire le condizioni di libera concorrenza, e l’aderenza delle caratteristiche del metodo alla fattispecie concreta affrontata.
In applicazione di tali principi, la Suprema Corte giunge a rigettare il ricorso della contribuente concludendo che il TNMM fosse più idoneo del CUP a fornire un’indicazione attendibile della normalità delle operazioni nella fattispecie affrontata, ritenendo il margine di guadagno “più indicativo rispetto al prezzo che non è frutto di libero mercato”, alla luce dell’organizzazione del gruppo, del ridotto rischio di mercato assunto dalla società e, appunto, non trattandosi di situazione “di mercato aperto con prezzo non controllabile” .