Secondo la ricostruzione sviluppata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 28314/2019, alla vittoriosa proposizione, da parte del cliente investitore, di una domanda di nullità selettiva non segue alcuna «restituzione reciproca» delle prestazioni hinc et inde ricevute. L’intermediario non può – una volta riscontrata la nullità del contratto per violazione di una regola di protezione – agire a sua volta in ripetizione di indebito per gli spostamenti patrimoniali non attivati dal cliente; né potrebbe paralizzare l’azione in ripetizione posta in essere dal cliente investitore con una eccezione di omologo segno e opposto vettore. E’ questa, nei fatti, una caratteristica tipica, costitutiva, della figura della nullità di protezione, che segue direttamente al suo operare solo a vantaggio della parte specificamente protetta dalla stessa.
Diversamente, nel caso di esercizio vittorioso di un’azione di nullità selettiva, l’altro contraente (non specificamente protetto) può solamente opporre una eccezione di buona fede oggettiva.
Questa eccezione – che si richiama alla nota teorica della natura valutativa (e non solo integrativa) del canone di buona fede e la svolge secondo tipologie standard – abilita l’altro contraente a paralizzare gli effetti selettivi della corrispondente azione di nullità, in modo da poterli neutralizzare «nei limiti dell’utilitas economica ritratta dall’investitore in conseguenza del contratto quadro affetto dalla nullità da lui fatta valere e solo da lui invocabile» (così, nel riprendere diffusamente la traccia sviluppata dalla più volte richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, pure la pronuncia di Cass., 3 giugno 2020, n. 10505). E questo allo scopo – preso particolarmente in considerazione dalla decisione delle Sezioni Unite – di evitare il prodursi di «squilibri eccessivi» nell’applicazione delle «regole di legittimazione in tema di nullità protettive».
L’uso selettivo della nullità di protezione viene così a confrontarsi – a seguito della proposta eccezione di buona fede – con un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli oggetto dell’azione di (nullità e) restituzione con quelli che ne rimangono esclusi e che pure promanano dallo stesso rapporto in essere tra intermediario e investitore: al fine, appunto, di verificare se permanga, o meno, un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum azionato.
Se un pregiudizio permane, l’investitore ha agito coerentemente con la funzione tipica della nullità protettive, ovvero quella di operare a vantaggio di chi può farle valere.
Nel caso opposto, in cui le operazioni non colpite dall’azione di nullità hanno prodotto un profitto superiore alle perdite confluite nel petitum, può allora essere proposta – appunto per paralizzare gli effetti «in esubero» della dichiarazione di nullità delle operazioni selezionate – detta eccezione di buona fede oggettiva.