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Le riserve di appalto nei lavori pubblici (ovvero le contestazioni che l’esecutore dell’appalto rivolge, in corso di esecuzione, al direttore dei lavori della stazione appaltante, in vista di quantificare le proprie pretese economiche aggiuntive rispetto al prezzo contrattuale originario) sono diventate oggetto di significativo interesse degli operatori bancari e finanziari. Si tratta, infatti, di posizioni per molti versi assimilabili ad altri tipi di crediti verso una pubblica amministrazione, come tali suscettibili di essere monetizzati dall’appaltatore e cartolarizzati dagli operatori autorizzati. La quantificazione delle pretese economiche relative alle riserve di appalto ritualmente formulate risulta spesso complessa e, nella maggioranza dei casi, è il frutto di un lungo contenzioso. Questa precisa circostanza rende le riserve di appalto (rectius le richieste economiche connesse alle riserve formulate in corso di esecuzione) una materia di notevole interesse per gli operatori finanziari, poichè per gli appaltatori è ormai preferibile smobilizzare le posizioni economiche connesse alle riserve e monetizzarne il valore cedendole ad operatori finanziari specializzati. Lo smobilizzo delle riserve d’appalto è, sua volta, una operazione molto più complessa della normale cessione dei crediti, perchè la posizione inerente alle riserve d’appalto (e derivante dalle connesse richieste economiche) non è facilmente assimilabile alla nozione di crediti pecuniari in senso stretto.
Il quadro normativo di riferimento
Durante l’esecuzione dei lavori pubblici possono verificarsi eventi che comportano un aggravio di oneri e costi per l’impresa appaltatrice. Si pensi a titolo di esempio: (i) alla sospensione dei lavori operata discrezionalmente dal committente, (ii) alle condizioni meteo particolarmente avverse che determinino la prolungata interruzione dei lavori (iii) alle varianti del progetto originario in dipendenza di nuove scelte del committente; (iv) al ritardo nella messa a disposizione delle aree per l’esecuzione dei lavori; (v) alla necessità di rimuovere un ordigno bellico dall’area su cui devono svolgersi i lavori; (vi) alle condizioni insidiose del suolo, che comportano la necessità di rivedere l’iniziale progetto o la durata dei lavori; (vii) più in generale, all’anomalo andamento dei lavori, quale conseguenza anche di uno o più fattori sopra elencati, da cui discendano costi e ritardi lesivi della posizione economica dell’appaltatore.
In tutti questi casi, l’appaltatore prosegue i lavori con riserva di far valere il maggior costo in cui sia incorso nonché i danni sofferti per effetto degli eventi sopra menzionati.
La riserva è quindi la modalità con cui l’esecutore anticipa la formalizzazione delle proprie richieste economiche aggiuntive sulla base delle ragioni appositamente indicate. L’esplicazione delle ragioni a fondamento delle pretese economiche dovrà necessariamente avvenire in quindici giorni successivi alla apposizione delle relative riserve.
Dove e quando deve essere iscritta la riserva?
La riserva deve essere iscritta nel registro di contabilità dei lavori ovvero nel verbale di sospensione dei lavori o in quello di consegna delle aree o in quello di ripresa dei lavori, ovvero in ogni altro atto o documento inerente i lavori, che sia immediatamente successivo al verificarsi del fatto o dell’evento cui sia connessa la riserva. Nel successivo termine ristretto di quindici giorni l’appaltatore dovrà puntualizzare nel dettaglio l’entità ed il tipo di riserva, ossia specificare le pretese economiche correlate alle riserve tempestivamente iscritte.
In sostanza, la riserva va iscritta appena possibile (risultando intempestiva quella iscritta in una occasione successiva a quella immediatamente utile) e va debitamente documentata e motivata nei quindici giorni successivi alla iscrizione.
Fin qui a procedura di iscrizione delle riserve e successiva esplicazione delle relative richieste e pretese.
La riserva di appalto ha senz’altro la funzione di consentire alla stazione appaltante di avere contezza dell’effettivo costo dei lavori appaltati, vieppiù in ragione del verificarsi di fatti suscettibili di produrre spese aggiuntive rispetto a quelle preventivate al momento della aggiudicazione dei lavori.
La riserva d’appalto è però a sua volta condizione imprescindibile in forza della quale l’esecutore potrà vantare le relative pretese economiche. Una intempestiva od omessa apposizione delle riserve preclude la possibilità di far valere le rispettive pretese economiche e/o risarcitorie.
Una volta apposte le riserve, la normativa impone l’espletamento di un tentativo di accordo bonario tra le parti. L’obbligo di avviare il procedimento di accordo bonario scatta laddove il valore delle riserve rientri tra il 5% ed il 15% dell’importo del contratto (art. 205 del D. Lgs 50/2016).
Nel caso in cui tale tentativo non abbia portato ad una soluzione entro un periodo di tempo prescritto, l’appaltatore potrà agire in giudizio per vedersi riconosciute le pretese iscritte con le riserve.
Resta inteso che in ogni caso le parti possono addivenire ad una transazione per definire le controversie inerenti l’esecuzione dei lavori. Al di là del presupposto economico (ossia riserve inerenti importi ricompresi tra il 5% e il 15% del valore del contratto), la differenza principale tra accordo bonario e transazione consiste nella procedura che ne disciplina lo svolgimento. L’accordo bonario è sottoposto ad un regime procedimentalizzato, che implica il coinvolgimento di esperti indipendenti cui sia affidato il compito di favorire l’accordo tra le parti. La transazione soggiace alla comune disciplina di diritto civile, e opera come rimedio generale alternativo alla disputa giudiziale.
Vi è da dire che la strada giudiziaria non è più (o forse non lo è mai stata) un’opzione remota, vuoi per la rigidità e la scarsa incisività dell’accordo bonario, vuoi perché la crisi economica ha spinto la pubblica amministrazione a contestare ormai tutte le riserve apposte dagli appaltatori, evidentemente nel tentativo di rimandare e/o arginare le richieste economiche che (effettivamente) sono diventate troppo spesso la prassi nei contratti di appalto per lavori pubblici.
Sta di fatto che un’azione giudiziaria, che abbia ad oggetto il riconoscimento della legittimità e validità delle riserve d’appalto, comporterà (nella stragrande maggioranza dei casi) l’espletamento di una consulenza tecnica sulla tipologia, entità e tempestività (dell’apposizione stessa) delle riserve. In effetti, ciò che viene in questione quando si parla di riserve non è soltanto valutare il lavoro aggiuntivo (rispetto agli originari impegni contrattualmente assunti) svolo dall’appaltatore, bensì anche la quantificazione dei danni sofferti dall’appaltatore sia in dipendenza di un prolungato fermo del cantiere oppure sia per la perdita di ulteriori opportunità di impresa (non avendo l’esecutore potuto completare nei tempi previsti i lavori, rimanendo con ciò impossibilitato a disporre delle proprie risorse presso altri cantieri).
La cessione delle riserve d’appalto
Veniamo al punto cruciale di questa breve analisi. Da quanto sopra emerge chiaramente che tutte le riserve che non siano state oggetto di definizione bonaria sono quelle che divengono materia di interesse per eventuali accordi di cessione. Da quanto sopra ben si intende che la cessione delle riserve d’appalto non è una fattispecie perspicua. Non è infatti né immediata né univoca la qualificazione di quello che formerà preciso oggetto della cessione. Non tutte le riserve d’appalto rientrano sic et simpliciter nella nozione di crediti pecuniari presenti o futuri.
Le pretese economiche azionate con le riserve possono riguardare tanto lavori aggiuntivi o attività impreviste, quanto domande risarcitorie in senso stretto. Trattasi, pertanto, di pretese suscettibili di venire del tutto disconosciute o comunque ampiamente ridimensionate in sede di accertamento giudiziale. Diventa cruciale la corretta individuazione della cornice giurisprudenziale in cui si inquadrano le pretese economiche connesse alle riserve, vieppiù laddove si tratti di pretese risarcitorie. La dinamica dei lavori pubblici, pur con tutte le specificità di ciascun singolo appalto, presenta il ricorrere di fenomeni ed eventi (da cui scaturiscono le riserve) rispetto ai quali è ormai possibile stabilire un consolidato riferimento giurisprudenziale di talchè diventa altrettanto ragionevole formulare adeguate previsioni sulle possibilità di accoglimento delle pretese economiche formulate in dipendenza delle riserve contestate. La cessione delle riserve richiede pertanto una approfondita due diligence delle singole posizioni oggetto della cessione. In taluni casi si tratterà di crediti tout court (per quanto penda controversia tra le parti sull’importo), in altri casi di tratterà di aspettative economiche (che possono tramutarsi in crediti) rivenienti dai contenziosi eventualmente già instaurati dall’appaltatore cedente con riguardo a pretese eminentemente risarcitorie. Sarà determinante, ai fini della valutazione della consistenza finanziaria delle pretese in questione, condurre una ricognizione puntuale del quadro giurisprudenziale di riferimento, concentrando le maggiori aspettative su quelle rispetto alle quali è più lineare e pacifico l’orientamento dei giudici.
Così come sono diverse le fattispecie in cui consistono le riserve di appalto, così sarà diverso il regime da osservare per la notifica, al debitore ceduto, della cessione delle riserve de quibus, come diverso ancora sarà il regime in tema di (eventuale) accettazione della cessione delle stesse. Così, ancora, diverso sarà il regime processuale da osservare, in ragione del tempo in cui il cessionario sarà subentrato nel giudizio già instaurato dall’esecutore cedente.
Pur con tutte le cautele e le precisazioni dianzi richiamate, la cessione delle riserve d’appalto (ovvero delle connesse pretese economiche di vario tipo da queste discendenti) è un’operazione che ha acquisito una sempre maggiore diffusione e che ha mostrato la sua piena compatibilità anche con lo schema della cartolarizzazione dei crediti.