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Giurisprudenza

La clausola di prelazione societaria tra efficacia reale e strumenti di tutela del socio pretermesso

22 Giugno 2015

Martina Gentile, Avvocato in Prato

Tribunale di Milano, 09 marzo 2015, n. 4852

Il caso

L’ordinanza n. 4852 del Tribunale di Milano, pubblicata il 9.3.2015, decide sul reclamo proposto avverso il provvedimento emesso ante causam dal medesimo Giudice milanese il 14.1.2015.

Questa la fattispecie: la società resistente aveva acquisito per conferimento una partecipazione azionaria di una S.p.A., partecipazione che precedentemente apparteneva a due persone fisiche. Nonostante lo statuto della citata S.p.A. prevedesse una clausola di prelazione, il conferimento azionario non era stato preceduto da alcuna validadenuntiatio, talché il socio pretermesso aveva agito in via cautelare (nella specie, con richiesta di sequestro giudiziario dei titoli azionari trasferiti), assumendo la propria legittimazione ad ottenere il riscatto delle azioni cedute da altro socio in violazione della clausola, offrendo il medesimo prezzo di quello pattuito in occasione della cessione in favore del terzo.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda cautelare, nel presupposto che il tenore letterale del patto di prelazione, come inserito nello statuto, determinasse il semplice obbligo di preferire il socio a fronte di offerte di prestazioni in denaro, o comunque fungibili (e non come nel caso di specie, laddove il terzo fornisse una prestazione infungibile per il socio, quale l’attribuzione di una frazione di capitale sociale in quella determinata società, a fronte dei conferimenti).

La decisione. Efficacia reale della clausola di prelazione e tutela dei soci pretermessi

L’ordinanza del 4852/2015, nel ribadire la sostanziale legittimità e correttezza del provvedimento reclamato, si spinge oltre la mera esegesi della lettera del patto di prelazione rilevante nella fattispecie, inserendosi nella querelle giurisprudenziale sorta in merito all’efficacia delle clausole di prelazione contenute negli statuti delle società di capitali, nonché ai rimedi da riconoscersi ai soci pretermessi.

Le clausole di prelazione, in deroga al tendenziale principio della libera circolazione dei titoli azionari, impongono al socio che intende trasferire a titolo oneroso le azioni, di offrirle preventivamente agli altri soci e di preferirli ai terzi a parità di condizioni economiche. Tali clausole, in sostanza, costituiscono dei meccanismi di protezione dell’integrità della compagine, volti a privilegiare l’elemento personalistico della società rispetto a quello capitalistico, pur consentendo al socio che intenda alienare la propria partecipazione di realizzarne comunque il valore economico.

L’analisi giurisprudenziale e dottrinaria si è a lungo interrogata sull’efficacia di dette clausole di prelazione: accanto ad un orientamento che proclamava la mera efficacia obbligatoria delle clausole di prelazione poste negli statuti di S.p.A.[1], se ne è sviluppato un altro, invero maggioritario, volto a riconoscerne l’efficacia reale[2], quantomeno laddove il patto di prelazione sia contenuto non in mere pattuizioni vigenti fra i soci (come i patti parasociali), bensì nello statuto dell’ente, soggetto ad un regime di pubblicità che lo proietta nella sfera di conoscibilità di tutti i terzi.

L’ordinanza 4852/2015 del Tribunale di Milano condivide il principio per cui le clausole di prelazione abbiano efficacia reale; efficacia, che, come vedremo, nell’interpretazione del giudice milanese, finisce a ben vedere per coincidere col concetto di opponibilità.

In altre parole, la pronuncia si riallaccia ad un filone interpretativo della Suprema Corte, e fatto proprio da precedenti pronunce dello stesso Tribunale di Milano[3], in base al quale la c.d. efficacia reale della clausola di prelazione, ove inserita in statuti di società, comporta  l'opponibilità erga omnes della stessa, con conseguente inefficacia rispetto alla società dell'atto di trasferimento eseguito in violazione del patto. Inefficacia, che, in ultima istanza, abilita la società a rifiutare il riconoscimento come socio del terzo acquirente[4].

L’opponibilità erga omnes del patto di prelazione, in questa impostazione, è il naturale portato del regime di pubblicità cui è soggetto lo statuto societario: il terzo è messo nella legale conoscenza delle regole che presiedono al funzionamento della società cui intende aderire, e dunque deve rispettarle.

Diversa la posizione del socio pretermesso che abbia manifestato la volontà di acquistare la quota alienata alle medesime condizioni del terzo. Questi potrà sì agire autonomamente per far valere l’inefficacia della cessione nei confronti della società (surrogandosi pertanto all’ente medesimo), ma non potrà esperire su dette quote anche una tutela reale a presidio delle proprie ragioni di soggetto pretermesso. Né, a fortiori, potrà vedersi riconosciuto il diritto di “riscattare”, e dunque di vedersi attribuiti, i titoli alienati in violazione del patto.

La ragione, ed è questa una notazione interessante dell’ordinanza in commento, risiede (anche, ma non solo) nella qualificazione giuridica del patto di prelazione. Esso non costituisce una clausola che trasferisce diritti reali (nell’accezione di negozio ad effetti reali di cui all’art. 1376 c.c.), ma non rappresenta neppure una promessa a stipulare (o meglio, a trasferire) suscettibile di esecuzione in forma specifica (si pensi al rimedio di cui all’art. 2932 c.c.). La ratio della prelazione, al contrario, si sostanzia in un mero obbligo di denuntiatio, peraltro con facoltà del denunziante di non accettare la proposta dell'oblato e, in definitiva, di non procedere ad alcuna vendita.

Ed è (anche) questo il motivo per cui non può riconoscersi al socio pretermesso (che non gode di un diritto “perfetto” a vedersi trasferite le azioni del socio che intende alienare) alcun potere di riscatto sulle azioni medesime. Difetta infatti, in radice, un diritto di proprietà (o meglio, un diritto a vedersi trasferita la proprietà) del soggetto pretermesso sulle azioni traferite.

La decisione, in questo senso, si pone in contrasto con un certo orientamento, giurisprudenziale e dottrinario, che riconosce invece il diritto del socio pretermesso a riscattare dal terzo acquirente le relative azioni[5], nel presupposto che l’inefficacia del trasferimento si produca anche nei riguardi dei beneficiari del diritto di prelazione.

A ciò deve aggiungersi, prosegue il Tribunale, l’ulteriore e dirimente motivo che il riscatto – imprimendo un limite quanto mai incisivo all’autonomia negoziale privata – può essere esercitato solo nei casi espressamente contemplati dalla legge, riconducibili alle tre fattispecie tipiche del retratto successorio, della prelazione agraria e della prelazione nell'ambito della locazione di immobili ad uso non abitativo.

Ne deriva che il socio pretermesso laddove assuma violata l’obbligazione di denuntiatio, potrà esperire unicamente il rimedio del risarcimento per equivalente, chiedendo nei confronti del socio alienante (e, in forza dell’opponibilità erga omnes del patto, è da ritenersi anche del socio acquirente), il ristoro del danno subito a causa della violazione del patto di prelazione.



[1] Tribunale di Bassano del Grappa, 15.9.1993, inSocietà, 1994, 489; in dottrina: Corapi, Gli statuti delle società per azioni, Milano 1971, 183; Maccabruni, Clausole statutarie di prelazione, in Giur. comm., 1989, II, 101; Gatti, L'iscrizione nel libro dei soci, Milano 1969, 112.

[2] Così, Cass., Sez. III, 23.7.2012, n. 12797, in Giust. civ. Mass. 2012, 7-8, 946; in senso sostanzialmente conforme: Cass., Sez. I, 29.8.1998, n. 8645, in Giust. civ. Mass. 1998, 1815; in dottrina: Campobasso, Diritto delle Società, Milano, 2013, 241;De Ferra, La circolazione della partecipazioni societarie, Milano 1964, 213.

[3] Si veda, ad esempio, Trib. Milano 17.12.2012.

[4] Sul rifiuto della società di iscrivere l’acquirente nel libro dei soci, vd. anche, in giurisprudenza, Trib. Napoli 4 giugno 1993, in Giur. comm., 1994, II, 705; Trib. Milano 24 maggio 1982, in Banca borsa e titoli di credito, 1986, II, 338.

[5] In giurisprudenza Cass. 21 ottobre 1973 n. 2763, in Giur. comm., 1975, II, 23; in dottrina: Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile italiano,  (a cura di) Vassalli, X, t. 3, Torino 1985, 367; Campobasso, Diritto delle Società, cit., 241; Angelici, Le società per azioni, in Trattato di diritto privato,  (a cura di) Rescigno, XVI, Torino 1985, 101.


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