Il presente contributo analizza il tema della clausola floor nei contratti di finanziamento con i consumatori anche alla luce della decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF n. 4137 del 4 aprile 2024.
1. Premessa: la clausola floor nei contratti di finanziamento con i consumatori e la questione oggetto della decisione del Collegio di Coordinamento
1. Con la decisione qui in esame il Collegio di Coordinamento dell’ABF ha espresso il seguente principio: “la clausola floor attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto e/o all’adeguatezza del corrispettivo e, pertanto, è esclusa dal vaglio di vessatorietà ai sensi dell’art 34, comma 2°, del codice del consumo, se formulata in maniera chiara e comprensibile”[1].
Per comprendere la genesi e la rilevanza della decisione, occorre anzitutto spendere alcune parole sulla clausola floor e sugli orientamenti della giurisprudenza di merito e dell’ABF al riguardo.
Infatti, come precisato dalla decisione, la questione che ora esamineremo era stata sottoposta dal Collegio remittente dell’ABF al Collegio di Coordinamento per le ragioni che passiamo ad illustrare.
2. La clausola floor è quella clausola che può essere inserita nei contratti di mutuo stipulati tra un intermediario mutuante e il mutuatario con lo scopo di consentire al mutuante: a) di garantirsi una remunerazione minima anche laddove l’andamento dei tassi di interesse sia tale da ridurre in modo rilevante il costo del denaro; b) di evitare di dover continuare a finanziare il cliente per un corrispettivo, parametrato al tasso di interesse sul capitale finanziato, non adeguato.
3. In tema di clausola floor contenuta in contratti di finanziamento stipulati con consumatori, l’orientamento maggioritario dell’ABF è stato, nel tempo, il seguente: la clausola floor non è assoggettabile a controllo di vessatorietà (ai sensi dell’art. 34, comma 2, del Codice del Consumo), sempre che essa sia formulata in maniera chiara e comprensibile.
Tuttavia, a seguito (e alla luce) di “due recenti sentenze della Corte d’Appello di Milano”, l’ABF ha ritenuto di sottoporre al Collegio di Coordinamento la valutazione di “un ripensamento dell’orientamento dell’ABF” al riguardo.
Infatti, come si legge nella decisione in commento, il Collegio rimettente ha osservato che tali sentenze: a) “hanno (…) affermato il carattere vessatorio delle clausole floor inserite in contratti stipulati da consumatori”; b) “sarebbero rispettose del quadro giuridico dell’Unione europea, così come riconducibile alla direttiva 93/13/CEE e alla normativa di attuazione italiana, oggi contenuta negli artt. 33 ss. del codice del consumo”.
4. Da qui, secondo il Collegio remittente, “l’opportunità di rimettere la questione al Collegio di coordinamento, data la sua particolare importanza e al fine di evitare l’insorgere di eventuali contrasti interpretativi tra i Collegi territoriali dell’ABF”.
Fatte queste precisazioni preliminari, occorre, a questo punto, prendere le mosse, in sintesi, proprio dalle sentenze della Corte d’Appello di Milano richiamate dal Collegio remittente.
2. Le sentenze della Corte d’Appello di Milano in tema di clausola floor
Come noto, in tema di clausola floor nei contratti di finanziamento con i consumatori la Corte d’Appello di Milano ha affermato i seguenti principi:
- è vessatoria la clausola che determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto;
- la previsione dell’art. 34, c. 2, Codice del Consumo esclude dal controllo di vessatorietà le clausole che attengono alla determinazione dell’oggetto del contratto;
- tuttavia, tale previsione, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (cfr. sentenza Corte di Giustizia 30.4.2014 Kasler C-26/13), va intesa in senso restrittivo, e quindi non si applica alle clausole che abbiano natura accessoria;
- la clausola floor non è un elemento essenziale del contratto di mutuo; ciò nel senso che la disciplina legale di tale contratto non richiede, per la sua validità, che vi sia tale clausola; essa ha, quindi, carattere accessorio;
- ne segue che la clausola floor, non essendo un elemento essenziale del contratto di mutuo, non attiene all’oggetto principale del contratto: come tale, essa è soggetta al controllo di vessatorietà;
- il risultato di tale controllo è che la clausola, ove non accompagnata da un meccanismo correttivo (cap o riduzione dello spread) determina un significativo squilibrio ai danni del consumatore, ed è quindi vessatoria (App. Milano, 6 settembre 2022, n. 2836. Cfr. anche nello stesso senso: App. Milano, 24 marzo 2022; App. Milano, 17 febbraio 2023, n. 558; cfr. anche App. Milano, 19 settembre 2023, n. 2691, che richiama il proprio precedente orientamento, pur ritenendolo applicabile solo nei confronti dei consumatori. Tutte in dejure.it).
3. L’orientamento in senso contrario dell’ABF (anche a seguito delle pronunce della Corte d’Appello di Milano)
Come noto, l’ABF ha espresso negli anni un orientamento maggioritario opposto a quello seguito dalle citate sentenze della Corte d’Appello di Milano.
In particolare, l’ABF, anche prendendo posizione, in particolare, sulla citata sentenza del 6 settembre 2022, n. 2836 della Corte d’Appello di Milano, ha affermato che:
- secondo l’orientamento prevalente dell’ABF, la clausola floor non è soggetta al controllo di vessatorietà ex 34, c. 2, Codice del Consumo: infatti essa attiene alla determinazione del corrispettivo del mutuante, ed è nulla solo se formulata in modo non chiaro e non comprensibile (ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 4239 del 23 maggio 2023);
- la decisione della Corte d’Appello di Milano del 6 settembre 2022, n. 2836 non è condivisibile: se è vero, infatti, che la clausola non è un elemento essenziale del tipo contrattuale del mutuo, è altrettanto vero che, in concreto, essa ha per oggetto la remunerazione del mutuante, e quindi attiene al corrispettivo e all’oggetto principale del contratto (ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 4239 del 3 maggio 2023[2]);
- in quest’ottica, essa non è soggetta al controllo di vessatorietà, e, anche in mancanza di un cap, non comporta un significativo squilibrio ai danni del consumatore secondo il Codice del Consumo, sempre, che, come ricordato, non sia formulata in modo oscuro e poco comprensibile (ABF, Collegio di Napoli, Decisione n. 7355 del 16 settembre 2015).
4. L’orientamento della giurisprudenza di merito
1. Il Tribunale di Milano ha espresso anch’esso un orientamento opposto rispetto a quello della Corte d’Appello di Milano, e ha escluso che la clausola floor abbia natura vessatoria anche ai sensi del Codice del Consumo:
“La clausola floor non può neppure considerarsi vessatoria ai sensi dell’art. 33 e dell’art. 34 del Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005) posto che l’art. 34 delimita la possibile vessatorietà delle clausole prescrivendo che ‘La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile’. In sostanza, la valutazione non può riguardare il contenuto economico del contratto, salvo il caso in cui le clausole presentino un difetto di chiarezza e di comprensibilità” (Trib. Milano, 31 luglio 2021, n. 6614, in www.dejure.it).
2. Va qui segnalato che, anche di recente, il Tribunale di Milano ha avuto modo di occuparsi della clausola floor, ancorché inserita in un contratto con una società (e quindi non soggetto alla disciplina del Codice del Consumo). In particolare, con sentenza del 26 marzo 2024, n. 3373 (in questa Rivista) il Tribunale ha affermato, in sintesi che la clausola floor concorre a determinare la prestazione posta a carico di una delle parti del contratto (e non rientra in alcuna delle tipologie di clausole contenute nell’art. 1341 c.c.).
Anche altra giurisprudenza di merito ha escluso la sindacabilità della clausola floor sotto il profilo della vessatorietà, come ricordato, peraltro, dalla medesima decisione del Collegio di Coordinamento[3].
5. La decisione del Collegio di Coordinamento
Nel contesto sopra descritto si inserisce, dunque, la decisione del Collegio di Coordinamento.
Il Collegio si discosta dalle decisioni della Corte d’Appello di Milano (e conferma il contrario, maggioritario, orientamento dell’ABF) sulla base, in sintesi, del seguente ragionamento:
- la normativa europea e italiana (art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE e art. 34, c. 2, Codice del Consumo) esclude dal controllo di vessatorietà le clausole che attengono alla determinazione dell’oggetto del contratto, e all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile;
- tale divieto di controllo va, in effetti, inteso in senso restrittivo, e non si applica, quindi, alle clausole che hanno carattere accessorio;
- senonché la clausola floor – che peraltro non rientra tra quelle di cui all’art. 1341 c.c., non ha carattere accessorio: infatti essa è proprio volta a determinare, in concreto, il corrispettivo dovuto dal cliente; in altre parole, circoscrive la misura minima di un elemento essenziale del contratto, il tasso di interesse, che rappresenta la remunerazione dell’intermediario per il godimento del capitale da parte del cliente finanziato per mezzo del contratto di mutuo;
- ne segue che essa non è soggetta a controllo di vessatorietà, e, se formulata in modo chiaro e comprensibile, è valida.
6. Osservazioni alla luce del quadro vigente
1. La decisione del Collegio di Coordinamento – alla cui lettura completa qui si rimanda – offre lo spunto per mettere in luce alcuni punti utili per inquadrare correttamente la questione, rispetto ai quali è possibile fare le considerazioni che seguono:
A) anzitutto, è vero che la clausola floor non è, in astratto, un elemento essenziale del contratto di mutuo (nel senso che tale clausola potrebbe anche non essere presente in tale contratto); tuttavia ciò non pare poter escludere l’applicabilità del principio di cui all’art. 34, c. 2, Codice del Consumo (“ La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”).
Infatti:
- anche interpretando in modo restrittivo la nozione di “oggetto del contratto” di cui all’art. 34, c. 2, Codice del Consumo e all’art. 4 della Direttiva, ciò non fa venir meno il fatto che, laddove sia pattuita la clausola floor, la stessa attiene all’oggetto principale del contratto ovvero al corrispettivo dovuto al mutuante;
- al riguardo è la stessa Corte d’Appello di Milano che riconosce che, “come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la clausola floor riveste una funzione garantistica e di salvaguardia per l’istituto di credito, in quanto assicura che gli interessi corrispettivi rimangano almeno pari al valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il parametro di calcolo, variabile e parametrato in base all’Euribor, divenisse inferiore per la fluttuazione del mercato al valore del tasso assunto dalla clausola stessa”, ossia essa rappresenta “una modalità per determinare convenzionalmente il tasso di interesse al fine di garantire all’istituto mutuante una remuneratività minima, quale prezzo del proprio servizio” (App. Milano, 18 luglio 2023, n. 2346); in altre parole, tale qualificazione della Corte conferma che la clausola floor attiene direttamente alla determinazione del corrispettivo, e non ha pertanto carattere accessorio.
B) Né pare condivisibile l’argomento per cui: a) per clausole afferenti all’oggetto del contratto e/o al corrispettivo dovrebbero intendersi solo quelle senza le quali non vi sarebbe un contratto di mutuo e b) la clausola floor, non essendo necessitata, sarebbe per definizione accessoria: infatti per clausola accessoria del contratto deve intendersi una clausola che non attiene agli elementi essenziali del contratto e, in particolare, all’oggetto, e non anche quella clausola che, pur non prevista dalla disciplina tipica del contratto, sia inserita dalle parti nel contratto per disciplinare e/o circoscrivere l’oggetto del contratto (o il corrispettivo).
C) Peraltro, anche la sentenza della Corte di Giustizia 30 aprile 2014 Kasler C-26/13, richiamata dalla Corte d’Appello di Milano, non sembra affermare che le clausole essenziali del contratto di mutuo sarebbero solo quelle previste dalla relativa disciplina legale; essa precisa, al contrario, che per “clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto» ai sensi di tale disposizione devono intendersi (…) quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano”; clausole che, quindi, possono essere diverse e/o ulteriori rispetto a quelle previste dalla disciplina legale in quanto inserite dalle parti nell’ambito dello specifico contratto da esse concluso; la Corte di Giustizia aggiunge, con specifico riferimento alla clausola oggetto della decisione, che “spetta al giudice del rinvio valutare, dati la natura, l’economia generale e le stipulazioni del contratto di mutuo, nonché il suo contesto giuridico e fattuale, se la clausola che determina il tasso di cambio delle rate mensili costituisca un elemento essenziale della prestazione del debitore consistente nel rimborso dell’importo messo a disposizione dal creditore”. Il che conferma che la valutazione in merito all’inerenza della clausola all’oggetto principale del contratto va fatta in concreto, e non in astratto.
D) Del resto, anche nelle decisioni successive a quella del 30 aprile 2014, la Corte di Giustizia, da un lato, risulta aver ribadito il principio di cui alla precedente lettera F), ossia che la valutazione dell’inerenza o no di una clausola all’oggetto principale del contratto “spetta al giudice del rinvio”, e va fatta “alla luce della natura, delle clausole e della struttura generale del contratto di credito (…) nonchè del contesto fattuale e giuridico in cui quest’ultimo si inserisce”; dall’altro lato, in diversi casi, ha ritenuto essere inerenti all’oggetto principale del contratto clausole che non risultavano essere tipiche, ossia previste dalla disciplina del tipo legale[4].
Infatti la ratio dell’esclusione di cui all’art. 34 Codice del Consumo è legata alla valutazione di “inopportunità di consentire al giudice un così ampio potere di ingerenza nell’operazione contrattuale” in tema di oggetto e/o corrispettivo, e quindi di convenienza dell’operazione (cfr. Barenghi, in Codice del Consumo, a cura di Cuffaro, Barba, Barenghi, Milano, 2023, sub art. 34).
E) Al riguardo, del resto, proprio di recente la Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza del 23 febbraio 2023, n. 5657, ha affermato che:
- “la libertà negoziale è principio cardine del nostro ordinamento e del diritto dei contratti”, e “l’ordinamento garantisce in egual misura tanto la protezione contro gli abusi di posizioni dominanti, quanto il diritto di iniziativa economica”;
- “l’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale”.
F) Dunque – ferme restando le tutele previste dalla normativa consumeristica – anche quest’ultima deve essere interpretata alla luce dei principi – di rilevanza costituzionale – richiamati dalle Sezioni Unite della Cassazione.
[1] Riportiamo qui di seguito l’art. 34 del Codice del Consumo:
“Art. 34
Accertamento della vessatorietà delle clausole.
- La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
- La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile.
- Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell’Unione europea o l’Unione europea.
- Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale.
- Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore”.
[2] Cfr., sempre in chiave critica dell’orientamento della Corte d’Appello di Milano:
- ABF Collegio di Roma, Decisione n. 5018 del 23 maggio 2023: “per quanto concerne la valutazione della vessatorietà dell’art. 3.2. del Contratto in base all’art. 1341, comma 2, c.c., quest’ultimo dispone che sono vessatorie ‘le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria’. In linea con il costante orientamento dell’ABF, si osserva che la ‘clausola floor’ non è in sé vessatoria attenendo alla determinazione delle condizioni economiche del contratto (…). La clausola floor potrebbe configurarsi illegittima sotto questo aspetto solo se formulata in modo ambiguo o non chiaramente intellegibile e tuttavia nel caso di specie è espressamente contenuta nel Contratto ed è inserita in modo chiaro e visibile nello stesso articolo dedicato alla determinazione del tasso di interesse quale elemento essenziale del finanziamento (cfr. Collegio di Napoli, decisione n. 8843/2022 Collegio di Roma, decisione n. 6953/2022; Collegio di Roma, decisione n. 6936/2022; Collegio di Milano, decisione n. 11583/18). L’art. 3.2. del Contratto va dunque considerato legittimo”;
- ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 3872 del 21 aprile 2023: “questo Collegio ha già avuto modo di affermare che “per pacifico orientamento dell’Arbitro, in linea con la giurisprudenza prevalente, si esclude che la clausola floor rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1341 c.c.: essa è, pertanto, ritenuta legittima se indicata in contratto in modo chiaro e comprensibile (cfr. art. 34, comma 2, cod. cons.: ‘la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile’). Detta clausola, in particolare, non pone problemi di legittimità se la stessa è indicata in contratto con modalità ‘corrette, chiare e non fuorvianti’, come previsto dall’art. 21 TUF (ABF Milano n. 688/2011; ABF Roma n. 2688/2011 e 8605/2014; ABF Napoli n. 395/2012 e n. 2735/ 2014; ABF nn. 7669/2015, 7355/2015; ABF 8867/2016; ABF 10381/2016; Trib. Como 13 luglio 2017; Trib. Trento 6 luglio 2017; Trib. Bologna 26 giugno 2017 e 31 gennaio 2018; Trib. Lanciano 17 ottobre 2017 e 20 novembre 2017; Trib. Chieti 3 ottobre 2017). Al riguardo si osserva che la clausola floor in esame è espressamente indicata nel suddetto art. 4 e dalla documentazione in atti emerge, inoltre, che il suo inserimento in contratto è stato portato a conoscenza della cliente in fase precontrattuale. Nel caso di specie, in definitiva, non si rinvengono elementi che possano portare a ritenere che la clausola sia formulata in modo oscuro e poco comprensibile e/o assuma natura vessatoria. Attesa, dunque, la presenza nel contratto de quo di una (legittima) clausola floor, pare inconferente il richiamo della ricorrente a quanto previsto nella Comunicazione del 03.02.2016, con la quale la Banca d’Italia ha invitato gli intermediari ad ‘attenersi a uno scrupoloso rispetto della normativa di trasparenza e correttezza e alla rigorosa applicazione delle condizioni pattuite con la clientela. In particolare, gli intermediari dovranno astenersi dall’applicare di fatto clausole di c.d. ‘tasso minimo’ (‘floor clause’) non pubblicizzate e non incluse nella pertinente documentazione di trasparenza e nella modulistica contrattuale’”;
- ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 3738 del 18 aprile 2023: “la clausola negoziale ora in esame è prevista dall’art. 4 del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente, che stabilisce che, qualora il parametro Euribor assuma un valore negativo ‘lo stesso sarà convenzionalmente considerato pari a zero’. La clausola risulta, pertanto, indicata in modo chiaro e comprensibile nel contratto, così come richiesto dall’art. 34, comma 2, cod. cons. Sul punto, è del resto costante l’orientamento dei Collegi territoriali dell’Arbitro, secondo cui ‘si esclude che la clausola floor rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1341 c.c.: essa è, pertanto, ritenuta legittima se indicata in contratto in modo chiaro e comprensibile (cfr. tra le molte Coll. Milano, n. 20051/2020)’”.
[3] Cfr. anche, in senso conforme:
- Bologna, 17 aprile 2023, n. 836, per cui “la vessatorietà della clausola non p(uò) comunque pronunciarsi ai sensi del Codice del Consumo, il cui art. 34, comma 2, prevedeva che “la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e intellegibile”;
- Firenze, 24 maggio 2023, n. 1115, per cui la vessatorietà della clausola floor non può essere “ravvisata ai sensi dell’art. 1469- bis c.c. (ora confluito nell’art. 33 del codice del consumo), applicabile ratione temporis poiché la nozione di significativo squilibrio «fa esclusivo riferimento ad uno squilibrio di carattere giuridico e normativo e non anche economico (…) In tal senso rileva l’unanime giudizio espresso dalla dottrina che ha avuto modo di studiare le norme in tema di clausole vessatorie, la quale ha rimarcato che la norma contempla uno squilibrio tra i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto, ma che non permette di sindacare l’equilibrio economico, ossia la convenienza economica dell’affare concluso, come confermato dal testo attuale dell’art. 34 del codice del consumo [in precedenza dall’art. 1469-ter c.c.] che, appunto, precisa che il carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi» (Cass. n. 36740 del 2021, in motivazione)”;
- Forlì, 23 gennaio 2024, n. 45, secondo cui “le clausole floor sono pattuizioni di per sé pienamente valide ed efficaci, non essendo ammissibile alcun sindacato del giudice sul profilo dell’equilibrio economico del contratto, nemmeno ai sensi della normativa a tutela dei consumatori, ciò ovviamente a condizione che la relativa pattuizione risulti contrattualizzata in forma chiara e trasparente” (tutte in www. bdp.giustizia.it).
[4] Cfr., ad esempio, sentenze 20 settembre 2017, n. 186, nella causa C-186/16; 10 giugno 2021 n. 776, nelle cause riunite da C-776/19 a C-782/19, sentenza 12 gennaio 2023, 395 nella causa C-395/21, tutte in www.dejure.it.