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Attualità

La coercibilità del mantenimento delle linee autoliquidanti nel nuovo art. 182-septies L.Fall.

25 Maggio 2017

Fabrizio Bonato

Nel corso dell’estate 2015 il decreto-legge n. 83/2015 (“Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”), ha introdotto le figure dell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e quella della convenzione di moratoria, disciplinate dall’art. 182-septies L.Fall..

Il primo, mediante la possibilità di chiedere al Tribunale competente l’estensione dell’accordo di ristrutturazione anche alle banche e agli intermediari finanziari ad esso non aderenti, avrebbe la finalità di “togliere ai creditori finanziari che vantano un credito di piccola entità la possibilità di dichiararsi contrari ad operazioni di ristrutturazione concordate fra il debitore e la maggioranza dei creditori finanziari, decretando l’insuccesso complessivo dell’operazione e l’apertura di una procedura concorsuale[1], mentre il comma 5 della disposizione in oggetto ha previsto che possano essere estese anche ai creditori bancari e finanziari non aderenti le “convenzioni, sempre più frequenti nella prassi, che prevedono una moratoria temporanea fra creditori finanziari, finalizzata a consentire l’elaborazione della soluzione che, all’esito di successivi accertamenti, risulterà in concreto più idonea a risolvere la crisi (cosiddetta ‹‹standstill››)”[2].

La disposizione introdotta dal legislatore, anche sulla scorta dei risultati maturati in sistemi giuridici differenti[3] e della Raccomandazione della Commissione Europea 2014/145 UE[4], risulta bicefala, racchiudendo due istituti caratterizzati da autonome e slegate discipline.

Un punto di raccordo[5] tra le disposizioni in tema di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e quelle in tema di convenzione di moratoria può tuttavia individuarsi nel comma 7 dell’art. 182-septies L.Fall., ove il legislatore ha previsto che “in nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di cui ai commi precedenti, ai creditori non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Agli effetti del presente articolo non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati”.

Analizzando la disposizione, è in limine da rilevare che i creditori bancari e finanziari non aderenti possono essere vincolati al mantenimento in essere dei contratti di leasing già stipulati, al fine di evitare eventuali risoluzioni anticipate degli stessi che potrebbero comportare “danni irreparabili per l’impresa e per la stessa società di leasing, che sarebbe costretta a ricollocare i beni sul mercato a prezzi generalmente inferiori, laddove i contratti fossero stati sottoscritti in tempi recenti”[6].

L’impossibilità di coartare i creditori bancari e finanziari non aderenti pone rilevanti problematiche all’operatore pratico, in quanto nella larga maggioranza dei casi “un semplice rinnovo dei termini di adempimento e un impegno a non agire giudizialmente per la riscossione del credito e a non precostituirsi forme di garanzia in danno degli altri creditori può essere un contenuto insufficiente per affrontare la crisi”[7], così come potrebbe esserlo il riscadenziamento dell’esposizione debitoria o addirittura la conversione del credito in strumenti di equity o quasi-equity[8]: molto spesso il tema di maggior criticità sono infatti le c.d. linee autoliquidanti[9], dal cui mantenimento può dipendere l’esito di un’intera operazione di ristrutturazione aziendale.

Si tratterà dunque di capire se e in quale misura il mantenimento in essere di una linea di credito c.d. autoliquidante possa essere inteso quale “nuova prestazione” e dunque essere escluso dalle previsioni che possono essere coattivamente estese ai creditori bancari e finanziari non aderenti ai sensi dell’art. 182-septies L.Fall..

A tal proposito possono individuarsi due distinti orientamenti.

Un primo orientamento, più restrittivo e rigido, sostiene l’impossibilità di imporre ai creditori bancari e finanziari non aderenti il mantenimento delle linee di credito in essere[10]; di conseguenza, anche qualora il debitore “scaricasse” le linee di credito utilizzate, non avrebbe la possibilità di attingere nuovamente all’affidamento[11].

La tesi sopra esposta, sebbene coerente nell’ottica della tutela di soggetti vincolati da pattuizioni stipulate da altri[12], si pone in senso nettamente contrario alla ratio legis: si rispetta il disposto normativo, ma se ne frustra la finalità[13]. È stato infatti rilevato che “se la banca non fa nulla ma si limita ad incassare le rimesse dei terzi, si rispetta la norma, ma di fatto la neutralizzazione della crisi viene superata perché la banca riduce la propria esposizione debitoria” e, pare corretto aggiungere, l’impresa viene privata di una fonte di approvvigionamento finanziario spesso vitale.

Il secondo orientamento, più aderente ai principi ispiratori della riforma, ammette invece la possibilità di vincolare i soggetti bancari e finanziari non aderenti al mantenimento delle linee autoliquidanti in essere al momento della sottoscrizione dell’accordo ovvero della convenzione di moratoria.

L’impostazione, nel suo carattere assoluto, potrebbe facilmente essere considerata come comportante un eccessivo sacrificio per i soggetti bancari e finanziari non aderenti, i quali potrebbero essere obbligati a tenere fermi gli affidamenti accordati, e sono dunque in proposito necessarie alcune precisazioni.

Appare innanzitutto condivisibile limitare il mantenimento coattivo delle linee autoliquidanti esistenti all’importo “effettivamente utilizzato al momento di riferimento, con possibilità di accedere a nuove anticipazioni in via revolving o meglio simmetrica agli scarichi intervenuti”[14]: la banca sarebbe dunque vincolata non “a garantire al cliente di potersi approvvigionare sull’affidamento esistente ma non utilizzato”[15], bensì a consentire il normale smobilizzo e il simmetrico riutilizzo “nei limiti dell’affidamento utilizzato”[16]. Assumendo l’incremento del rischio di credito come linea di discrimine tra prestazioni coercibili e non coercibili, è da rilevare la correttezza e coerenza logica della tesi da ultimo esposta, in quanto “non vi è aggravamento dell’esposizione al rischio del creditore nel mantenere gli utilizzi in essere, siano essi relativi a linee di cassa, siano essi relativi a linee autoliquidanti”. La banca non vedrebbe infatti accresciuto il proprio rischio di credito, poiché a seguito degli ulteriori utilizzi revolving della linea di credito manterrebbe la propria esposizione quantitativamente invariata, per un importo pari alle somme “tirate” e non “scaricate” dall’imprenditore alla data di riferimento. Del resto, nella modalità tecnica c.d. autoliquidante assume peculiare rilevanza l’identità soggettiva del debitore dell’imprenditore, in quanto sarà tale soggetto a dover canalizzare in favore dell’istituto di credito le somme originariamente spettanti all’imprenditore: insomma “non tutti i crediti sono uguali”. A tal proposito si è correttamente osservato che “pare veramente arduo sostenere che [una linea concessa a fronte di specifiche posizioni attive] possa essere rialimentata con posizioni diverse da quelle iniziali una volta che esse si siano estinte, in quanto ciò avverrebbe in spregio alle pattuizioni contrattuali con la banca”[17]. Pertanto, nella circostanza da ultimo ipotizzata, la linea autoliquidante dovrebbe estinguersi definitivamente una volta che le posizioni attive a fronte delle quali la stessa sia stata concessa siano state monetizzate, senza possibilità alcuna di mantenimento coattivo[18].

Alla luce di quanto sopra esposto, e ferma restando la necessità di attendere le applicazioni pratiche dei due istituti per poter trarre delle indicazioni fondate[19], è possibile trarre una prima, provvisoria conclusione.

Se infatti “non è con le leggi che si agevola il credito alle imprese, né tanto meno si rimedia alle difficoltà finanziarie od economiche aziendali[20], e ancor meno con “leggi di natura concorsuale, la cui applicazione entra in gioco quasi sempre quando la crisi è già radicata[21], sembra per il momento da condividere l’interpretazione più aderente ai principi della riforma al fine di agevolare l’accesso al credito da parte dell’imprenditore in difficoltà e porre rimedio alla crisi di imprese ancora potenzialmente produttive di reddito.

 


[1] Relazione Illustrativa allo schema di disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dellamministrazione giudiziaria, disponibile all’indirizzo www.giustizia.it,11. Cfr anche Perrino,Gli accordi di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria, in Dir. Fall., 2016, 1454; Bianca, La nuova disciplina del concordato e degli accordi di regolazione della crisi: accentuazione dei profili negoziali, in Dir. Fall., 2015 537, secondo cui l’art. 182-septies L.Fall. “sembra volto ad evitare che il risanamento dell’impresa possa essere paralizzato o inutilmente rallentato dalle difficoltà frapposte da una modesta parte dei creditori finanziari”.

[2] Relazione Illustrativa cit., 13.

[3] È nella stessa Relazione Illustrativa che il legislatore riconosce alla semplificazione delle trattative con il ceto bancario è volta “la recente introduzione della sauvegarde financière accélerée francese e la recente e sempre più diffusa prassi di utilizzare a questo scopo lo scheme of arrangement inglese (strumento diverso da una procedura d’insolvenza, anche se viene di solito utilizzato al fine di prevenirla), anche da parte di imprese e finanziatori di altre nazionalità” (Relazione Illustrativa cit., 12).

[4] La Commissione ha individuato l’obiettivo della Raccomandazione nel garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale” (Raccomandazione della Commissione Europea 2014/135/UE del 12 marzo 2014, disponibile su www.eur-lex.europa.eu, Considerando n. 1).

[5] Nisivoccia, Il nuovo art. 182 septies l.fall.: quando e fin dove la legge può derogare a se stessa?, in Fall., 2015, 1184.

[6] Bombardelli, inAa. Vv., La nuova riforma del diritto concorsuale, Torino, 2015, 310.

[7] Fabiani, La convenzione di moratoria diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi, in Fall., 2015, 1274.

[8] Cndcec, Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria, in www.cndcec.it, ove si precisa che “se è vero che il capitale e gli strumenti finanziari partecipativi presentano un profilo di rischio più elevato rispetto al capitale di terzi (debito), è altrettanto vero che si tratta di prestazioni già eseguite il cui livello di rischio è commisurato alle alternative (allo stato) concretamente praticabili, in relazione alle quali è valutato il giudizio di convenienza; e pertanto non si ravvisano ostacoli alla coercibilità della conversione”. L’ammissibilità di tali previsioni è riconosciuta anche da Ranalli, Speciale Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari. Alcune considerazioni critiche, in il Fallimentarista, 23 luglio 2015, 2, secondo cui “ben potrebbero essere imposte, oltre che il riscadenziamento del debito, anche clausole del tipo “pay if you can” o di non fallibilità e addirittura di stralcio e conversioni in equity e in strumenti finanziari partecipativi anche nell’ottica di ristabilire il minimo legale del capitale sociale”.

[9] Secondo la dottrina per linee di credito autoliquidanti s’intendono“quelle facilitazioni finanziarie con cui gli istituti bancari assumono il rischio di credito caratterizzato da una relazione qualificata tra l’affidamento concesso al cliente e la pretesa creditoria da questi vantata nei confronti di un terzo: la banca smobilizza un credito non ancora scaduto anticipandone al cliente il valore nominale, se del caso previa deduzione dell’interesse, a fronte della canalizzazione del pagamento del terzo a favore della banca stessa e fermo l’impegno del cliente a rendere il valore nominale dei crediti anticipati in caso di omesso pagamento del terzo” (così Andretto, Effetti del concordato preventivo sulle linee di credito autoliquidanti aperte alla data della domanda, in Fall., 2016, 1372).

[10] Cagnasso-Panzani, Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Torino, 2016, 3144, secondo cui se “nell’ambito di un’apertura di credito il debitore ripristina la provvista e pretende di effettuare nuovi utilizzi, lo potrà fare in base alla disciplina contrattuale, ma non potrà pretendere, ove la banca abbia provveduto alla revoca dell’affidamento, che esso venga invece mantenuto”.

[11] Ranalli, La convenzione cit., 898. Secondo Trentini, op. cit., 488, l’istituto di credito avrebbe dunque la facoltà di “recedere dagli affidamenti”.

[12] Cagnasso-Panzani, op. cit., 3144, secondo cui sarebbe dunque giustificabile chiedere ai soggetti bancari e finanziari non aderenti all’operazione di ristrutturazione “di subire gli effetti degli accordi stipulati da altri ma non anche di agevolarli attivamente, perché questo sarebbe troppo”.

[13] Fabiani, op. cit., 1274; nello stesso senso anche Ranalli, La convenzione cit., 898.

[14] Ranalli, La convenzione cit., 898.

[15] Fabiani, op. cit., 1274.

[16] Fabiani, op. cit., 1274; Cndcec, op. cit., 8, secondo cui “la coercibilità del mantenimento della possibilità di nuove anticipazioni va considerata in via simmetrica alle singole posizioni anticipate che via via si scaricano”.

[17] Ranalli, La convenzione cit., 898.

[18] Cndcec, op. cit., 9.

[19] Varotti, Articolo 182 septies. Accordo di moratoria con intermediari finanziari e convenzione di moratoria (appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare – II parte), in il Caso, 18 agosto 2015.

[20] Lo Cascio, in Marinoni-Nisivoccia-Santoriello (a cura di), Decreto Giustizia, Le novità in materia fallimentare, Introduzione, Giuffrè, 2015.

[21] Nisivoccia, op. cit., 1185.

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