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Approfondimenti

La cointestazione di conti correnti bancari in un’ottica di pianificazione patrimoniale

19 Giugno 2019

Massimo Antonini e Giovanni Cristofaro, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

La recente e ricorrente giurisprudenza dimostra la tendenza dei risparmiatori a fare spesso ricorso alla cointestazione del conto corrente bancario anche per il perseguimento di finalità successorie.

L’incauto utilizzo della cointestazione rischia però di creare spesso forti dissidi tra eredi al momento dell’apertura della successione di uno dei cointestatari, con il rischio di un frazionamento del patrimonio ovvero di una sua – pur temporanea – indisponibilità.

La ragione di tali criticità è ascrivibile all’assenza nel nostro ordinamento di una disciplina ad hoc relativa alle operazioni effettuate su conto corrente intestato a più titolari, limitandosi il codice civile a disciplinare la fattispecie de qua con principi di ordine generale.

La finalità del presente articolo è, pertanto, quella di illustrare l’evoluzione della giurisprudenza con riferimento all’individuazione del regime giuridico da applicare alle rimesse effettuate su conti correnti cointestati.

2. L’inquadramento giuridico della cointestazione del conto corrente bancario

Il nostro ordinamento si limita a regolare i rapporti tra correntisti e banca (art. 1854 c.c.) e i rapporti interni tra correntisti (art. 1298, co.2 c.c.), senza, però, individuare il regime giuridico applicabile alle operazioni effettuate su conto corrente con più titolari.

Ai sensi dell’art. 1854 c.c. nell’ipotesi in cui il conto corrente sia intestato a più persone, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto, quand’anche ai rispettivi titolari sia riconosciuta la facoltà di compiere operazioni separatamente.

Qualificando come “solidale” il rapporto di debito-credito dei contestatari, l’art. 1854 c.c. rinvia alla disciplina di cui all’art. 1298 c.c., secondo cui nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno di essi. La norma ora richiamata pone, altresì, il principio c.d. di uguaglianza delle somme depositate sul conto, in base al quale tali somme si presumono di contitolarità in parti uguali dei cointestatari, salvo in ogni caso prova contraria.

3. Le donazioni indirette

Le si distinguono in c.d. dirette e donazioni c.d. indirette.

La donazione diretta (o tipica) è disciplinata dall’art. 769 c.c.: è il contratto con il quale una parte, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra, disponendo in suo favore di un proprio diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.

Ai sensi dell’art. 782 c.c., la donazione diretta esige il rispetto di talune formalità (la forma dell’atto pubblico, a pena di nullità, e la presenza di due testimoni), alle quali le parti non possono rinunziare.

La solennità della forma – da adottarsi qualunque sia il bene oggetto della donazione, con esclusione dei soli beni di modico valore – risponde alla duplice finalità di consentire al donante la maggiore ponderazione possibile per il depauperamento del proprio patrimonio e di fornire un mezzo di prova dotato di particolare efficacia, anche in considerazione degli interessi dei terzi, quali i creditori e gli eredi del donante.

Le donazioni indirette, invece, si sostanziano in una serie di atti, i quali, pur non essendo riconducibili allo schema proprio del contratto di donazione ex art. 769 c.c., producono gli effetti propri della donazione e, cioè, l’impoverimento di chi li pone in essere e l’arricchimento di chi ne beneficia.

Alle donazioni indirette si applicano talune previsioni proprie delle donazioni dirette, e in particolare quelle che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché quella sulla riduzione delle donazioni per integrare le quote dovute ai legittimari (art. 809 c.c.).

Alle donazioni indirette non si applica, invece, il requisito della forma solenne previsto per le donazioni dirette, essendo sufficiente l’osservanza della forma prescritta per l’atto utilizzato per lo scopo liberale.

Ciò nonostante, anche per le donazioni indirette è necessario l’animus donandi, di non agevole prova proprio per l’assenza della forma solenne.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la nota sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017, hanno effettuato una ricognizione delle ipotesi più significative che la giurisprudenza nel corso degli anni ha ricondotto nell’ambito della donazione indiretta, annoverando espressamente tra queste la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro[1].

4. Il regime giuridico applicabile alle operazioni effettuate su conto corrente cointestato secondo la giurisprudenza e le problematiche civilistiche connesse

Ai sensi dell’art. 1298 c.c., le somme depositate su un conto corrente cointestato si presumono di proprietà dei cointestatari, in parti uguali tra loro. Per superare la presunzione di comproprietà si rende necessario fornire la prova della disponibilità esclusiva – in capo ad uno solo dei cointestatari – delle somme versate.

Secondo la giurisprudenza prevalente[2], inoltre, il versamento di una somma di denaro su un conto corrente cointestato – con firma e disponibilità disgiunte – costituisce una donazione indiretta, nell’ipotesi in cui tale somma all’atto della cointestazione apparteneva ad uno soltanto dei cointestatari e risulti pienamente provato l’animus donandi di tale cointestatario nei confronti degli altri.

La tesi in parola si fonda sulla considerazione secondo cui, con lo schema del contratto bancario cointestato, si realizzano intenti liberali, ben diversi rispetto a quello perseguito con il contratto ad unico intestatario.

La prova dell’intento liberale è chiaramente piuttosto gravosa per il cointestatario, specie nell’ipotesi in cui colui che ha posto in essere l’atto donativo sia nel frattempo deceduto e gli eredi agiscano a tutela delle quote di legittima asseritamente violate dalle rimesse sul conto corrente cointestato.

A ciò si aggiunga che, in caso di morte di uno dei cointestatari, i superstiti potranno continuare a disporre delle somme depositate sul conto corrente (rectius, di tutte le somme, incluse quelle eventualmente cadute nella successione del cointestatario defunto), con il rischio che gli eredi del defunto agiscano in giudizio non soltanto per il recupero della quota parte spettante al loro dante causa ma anche per il recupero di tutte le rimesse sul conto corrente, se si dimostri che esse sono state effettuate esclusivamente dal defunto con animus donandi.

Sul punto la dottrina[3] ha addirittura osservato che affinché possa ritenersi pienamente assolto l’onere probatorio a carico del donante, non è sufficiente l’accertamento che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità, essendo, altresì, necessario che il donante dimostri la piena consapevolezza da parte del donatario del proprio intento liberale, specie nei casi di rinuncia.

Occorre, altresì, considerare che non sempre la cointestazione di un conto corrente risponde a finalità donative, potendo ragionevolmente assolvere ad esigenze di carattere meramente pratico[4].

Si pensi all’ipotesi in cui il titolare del rapporto, ormai in età avanzata, cointesti il conto corrente affinché il soggetto cointestatario compia talune attività al suo posto ed in suo favore, ovvero l’eventualità in cui la cointestazione sia disposta al solo fine di consentire una più agevole gestione delle spese familiari.

Le criticità non si fermano, però, al solo profilo probatorio.

Occorre, infatti, domandarsi se possano essere qualificate come donazione indiretta esclusivamente le somme esistenti sul conto corrente al momento della cointestazione ovvero anche quelle versate successivamente alla cointestazione.

A tale riguardo, parte della giurisprudenza[5] ha opposto il principio di cui all’art. 771 c.c., che sancisce la nullità della donazione di beni futuri.

Attenta dottrina[6] ha, però, osservato che tale impostazione parrebbe non tener conto del fatto che il conto corrente costituisce di per sé vicenda dinamica, che, come tale, non può ragionevolmente essere cristallizzata nei suoi effetti in un dato momento – seppur determinante, quale quello dell’apertura – salvo snaturarne il contenuto.

5. Alcune considerazioni sull’utilizzo concreto della cointestazione

Alla luce delle considerazioni svolte, risulta evidente come la fattispecie del conto corrente cointestato e la relativa qualificazione elaborata dalla giurisprudenza prevalente non siano esenti da criticità, sia nell’ipotesi in cui la cointestazione risponda effettivamente a finalità donativa, sia quando, invece, si limiti ad assolvere esigenze di carattere meramente pratico.

La possibilità di qualificare la cointestazione come donazione indiretta pone, infatti, la difficile prova dell’animus donandi, che il più delle volte costringe gli eredi ad attivare strumenti processuali già al momento dell’apertura della successione, con evidente sacrificio – in termini tanto di costi quanto di tempistiche – per le parti coinvolte.

Ciò nonostante lo strumento in parola si può rivelare senz’altro utile nell’ambito della pianificazione patrimoniale, consentendo di destinare talune risorse finanziarie a uno o più eredi senza necessità di svolgere ulteriori attività al momento dell’apertura della successione.

E’ sicuramente necessario aver chiare, sin dall’inizio, le finalità che si intendono perseguire con l’utilizzo della cointestazione del conto corrente.

Se le esigenze sono di natura prettamente pratica e sono prive di connotati donativi, il titolare del un conto corrente potrebbe limitarsi a conferire una delega ad uno o più soggetti affinché pongano in essere operazioni in suo nome e per suo conto; non vi sarebbero ripercussioni di natura ereditaria e dubbi sulla qualificazione delle rimesse sul conto corrente.

La delega, infatti, al contrario della cointestazione, non comporta alcun passaggio di proprietà delle risorse depositate sul conto corrente, limitandosi ad autorizzare il delegato al compimento delle attività ritenute necessarie, nel rispetto delle limitazioni espressamente previste dalla banca o dallo stesso titolare del conto corrente al momento del conferimento della delega. La delega, inoltre, si estingue alla morte del titolare del conto corrente, senza alcuna implicazione sul piano successorio.

Nell’ipotesi in cui, invece, il titolare di un conto corrente intenda utilizzare lo strumento della cointestazione anche a fini successori, potrebbe rivelarsi opportuno – al fine di distinguere quali tra le rimesse effettate sul conto abbiano finalità donativa e quali, invece, assolvano esigenze di carattere meramente pratico – che ciascuna rimessa (o l’insieme di tutte le rimesse) sia accompagnata da una dichiarazione scritta nella quale l’intestatario del conto confermi le ragioni dell’operazione e gli interessi rilevanti, così da rendere evidente e inequivocabile, nel caso di rimesse con finalità donativa, l’animus donandi che le accompagna.

6. Brevi considerazioni fiscali sulla cointestazione dei conti correnti

6.1. Imposte sui redditi

Anche ai fini delle Imposte sui redditi si rende applicabile il principio previsto dall’art. 1298, co. 2, del codice civile; pertanto, i redditi prodotti da un conto cointestato si presumono posseduti in parti uguali da ciascun cointestatario, salvo prova contraria.

6.2. Indagini finanziarie

Sia la prassi dell’amministrazione finanziaria, sia la giurisprudenza di legittimità, hanno sancito l’integrale rilevanza ai fini delle indagini finanziarie delle operazioni registrate sui conti correnti di cui il soggetto sottoposto a verifica è cointestatario.

Pertanto, posta anche in questi casi l’operatività dell’effetto presuntivo di cui agli artt. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e 51 del D.P.R. n. 633/1972, a fronte di contestazioni avanzate da parte degli Uffici in merito ad operazioni che interessano rapporti finanziari cointestati, grava sul contribuente verificato l’onere di dimostrare (i) l’estraneità delle somme alla propria sfera reddituale ovvero (ii) che gli importi sono imputabili esclusivamente ad altro cointestatario del conto.

La Guardia di Finanza, con Circolare 27 novembre 2017, n. 1/2018, ha confermato questa impostazione, chiarendo che l’obbligo del contribuente di fornire la prova liberatoria, in maniera puntuale e specifica, vale per tutti i rapporti finanziari intrattenuti dal contribuente, ancorché cointestati con terzi, “soprattutto ove si tratti di congiunti, dal momento che il vincolo familiare è da ritenersi sufficiente per suffragare l’attribuzione delle operazioni rilevate dalla documentazione all’attività del soggetto sottoposto ad attività ispettiva” .

6.3. Attività di riscossione

La presunzione di contitolarità delle somme depositate sul conto corrente cointestato si applica anche alle attività di riscossione. Di conseguenza, ai fini fiscali, tali attività potranno interessare soltanto la quota parte imputabile al debitore “fiscale”, salvo che l’ente che procede alla riscossione sia in grado di provare l’esclusiva riferibilità al debitore delle somme depositate sul conto, superando così la presunzione legale di ripartizione in parti uguali[7].

Per i conti cointestati vale un’importante deroga ai normali poteri dell’agente della riscossione. Infatti, per essi sembra non trovare applicazione l’art. 72-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il quale legittima l’agente della riscossione a procedere al pignoramento degli importi depositati sul conto del debitore in via extragiudiziale, ordinandone il versamento nelle casse erariali direttamente alla banca sino a concorrenza del credito vantato[8].

6.4. Imposta sulle successioni e donazioni

Come anticipato nei paragrafi precedenti, la cointestazione del conto corrente rappresenta civilisticamente una donazione indiretta.

Come noto, ai sensi dell’art. 1, co. 4-bis del Decreto Legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (c.d. “Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni”, “TUSD”) anche le liberalità indirette rientrano in linea di principio nell’ambito di applicazione dell’imposta sulle donazioni.

In particolare, esse scontano l’Imposta sulle donazioni solamente nelle seguenti ipotesi:

  1. se risultano da un atto soggetto a registrazione con l’eccezione delle liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende in quanto assoggettati ad Imposta di registro proporzionale ovvero a IVA;
  2. se contenute in un atto formato all’estero a favore di un beneficiario residente in Italia;
  3. se registrate volontariamente, mediante l’applicazione delle aliquote e delle franchigie di esenzione ordinarie;
  4. se dichiarate dal donatario nell’ambito di un procedimento volto all’accertamento di imposte e se di ammontare eccedente le ordinarie franchigie di esenzione (c.d. “donazioni confessate”). In tal caso, l’Agenzia delle entrate liquida l’Imposta di donazione sull’ammontare di tali liberalità indirette nel termine di cinque anni a partire dalla data in cui esse sono state dichiarate dal donatario, applicando l’aliquota dell’8%, senza irrogazione di sanzioni (sulla base della nostra esperienza, rileviamo tuttavia che in sede di adesione l’Agenzia delle entrate tende ad applicare le ordinarie aliquote e franchigie anche su tali donazioni, irrogando altresì le sanzioni amministrative nella misura dal 120% al 240% dell’imposta dovuta).

Per quanto poi attiene alla rilevanza della cointestazione ai fini dell’imposta sulle successioni, in linea con la disciplina civilistica vige anche in questo caso una presunzione di comproprietà dei saldi attivi e passivi del conto corrente di cui il defunto era cointestatario, salvo che le rispettive quote non risultino diversamente determinate. Pertanto, nel caso di premorienza di uno degli intestatari del conto corrente, ai sensi dell’art. 11, co. 2, del TUSD entra in successione ereditaria la sola quota riferibile al de cuius. Parallelamente, gli eventuali saldi passivi del conto corrente cointestato sono deducibili nei limiti della quota del defunto (che si presume pari, appunto, a quella degli altri cointestatari), ex art. 22, co. 4, del TUSD.

6.5. Monitoraggio fiscale

Ai fini del monitoraggio fiscale, contrariamente alla presunzione di possesso in parti uguali delle attività cointestate, l’obbligo di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi è posto a carico di ciascun cointestatario del conto corrente estero con riferimento all’intero valore dell’attività, con indicazione della rispettiva percentuale di possesso[9].

 


[1] Tra le ipotesi individuate dalla Cassazione figurano: (i) il contratto a favore di terzo, (ii) la cointestazione di buoni fruttiferi operata da un genitore per ripartire in anticipo tra i figli le proprie sostanze, (iii) il pagamento di un’obbligazione altrui effettuato da un terzo per spirito di liberalità verso il debitore, (iv) l’intestazione di beni in nome altrui, (v) la stipula di un contratto oneroso con corrispettivo significativamente inferiore al valore reale del bene trasferito ovvero ad un prezzo sensibilmente più alto, (vi) la rinuncia abdicativa.

[2] Cfr. ex plurimis Cass. 10 aprile 1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, pag. 2017; Cass. 28 febbraio 2018, n. 4682, in Famiglia e Diritto, n. 8-9 2018, p. 745.

[3] Cfr. Casulli, in Donazione, Enciclopedia del diritto, 1964, pp. 990.

[4] Cfr. ex plurimis Cass. 12 novembre 2008, n. 26983, 4 maggio 2012, n. 6784, in Foro it., 2009, I, p. 1103.

[5] Cfr. Tribunale di Mondovì, 4 febbraio 2010, n.40, in Giur. merito, n. 7/8, pag. 1782.

[6] Cfr. Francesca Badolato, L’intento di liberalità nella cointestazione di un conto corrente bancario, in Giur. merito, n. 7-8, 2010, pag. 1784.

[7] Cfr. Cass. 26 maggio 2009, n. 24092, secondo cui il sequestro conservativo sulle somme depositate in un conto corrente cointestato all’imputato e a persona estranea al reato non può riguardare l’intero ammontare del denaro ivi depositato, dovendosi presumere, salvo prova contraria, la contitolarità tra gli intestatari del conto.

[8] Cfr. risposta a interrogazione parlamentare n. 5-08330 del 7 aprile 2016.

[9] Si precisa che, ai sensi dell’art. 4, co. 3, del Decreto-Legge 28 giugno 1990, n. 167, sono soggetti agli obblighi di monitoraggio esclusivamente i conti correnti esteri il cui valore massimo raggiunto nel corso del periodo di imposta sia superiore a € 15.000.

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