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Giurisprudenza

La compensazione nel fallimento

5 Novembre 2019

Federica Dipilato, Avvocato presso Giovanardi Pototschnig & Associati

Cassazione Civile, Sez. I, 4 aprile 2019, n. 9528 – Pres. De Chiara, Rel. Campese

Il prossimo 15 novembre si terrà a Milano il Convegno di Rassegna di Giurisprudenza Fallimentare organizzato da questa Rivista. Per maggiori informazioni si rinvia al link indicato tra i contenuti correlati.

In sede fallimentare, per considerazioni di ordine tecnico e ragioni di equità, la disciplina della compensazione di cui all’art. 1243 cod. civ. subisce delle semplificazioni (in primis, la possibilità di compensare crediti tra loro non omogeni ovvero non ancora esigibili).

Ciò nonostante, tanto il legislatore, quanto la giurisprudenza, hanno posto dei limiti alla compensabilità dei crediti in sede fallimentare, al fine precipuo di scongiurare atti fraudolenti ad opera del debitore fallito in pregiudizio della massa fallimentare.

In particolare, la compensabilità dei contrapposti crediti non potrebbe in nessun caso prescindere dal requisito della coesistenza e della reciprocità degli stessi: la compensazione estingue i crediti esclusivamente dal giorno in cui entrambi i soggetti siano titolari di crediti l’uno nei confronti dell’altro.

Con il provvedimento in esame la Corte di Cassazione è stata per l’appunto chiamata a pronunciarsi in merito alla possibilità per un creditore (avente causa del credito per atto tra vivi successivo alla dichiarazione di fallimento) di eccepire la compensazione del proprio credito (scaduto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento) con il debito dallo stesso vantato nei confronti del fallito.

Prima facie, la fattispecie sottoposta al vaglio della Corte parrebbe sfuggire all’ambito di applicazione dell’art. 56 l. fall. a mente del quale, con riferimento ai crediti non ancora scaduti, la compensazione non può avere luogo se il creditore ha acquistato per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento (comma 2).

A detta dei giudici di legittimità, tuttavia, in coerenza con i principi vigenti in materia, non vi sarebbe ragione di trattare diversamente due situazioni omogenee (i.e. credito scaduto ceduto al terzo debitore del fallimento in data successiva al fallimento, da un lato, e credito non scaduto ceduto al terzo debitore del fallimento in data successiva al fallimento, dall’altro lato), posto che, in entrambi i casi, la coesistenza e la reciprocità si verifica solo successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Infatti, nell’ipotesi di acquisto del credito (scaduto o non) nei confronti del fallito in data successiva al fallimento, la coesistenza e la reciprocità dei crediti non sussistono se non dal momento in cui la cessione è notificata al fallimento, con la conseguenza che, in tal caso, la vicenda estintiva del credito non può essere eccepita in pregiudizio del ceto creditorio.

In ragione di siffatte argomentazioni, la Corte di Cassazione ha quindi affermato il seguente principio di diritto: “Il terzo in bonis non può eccepire, ex art. 56 comma 2, l. fall., la compensazione tra un proprio debito verso il fallito con un credito, scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, di cui però, il primo sia divenuto titolare, per atto di cessione tra vivi, dopo l’apertura del concorso”.

 


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