La composizione negoziata della crisi di impresa sta iniziando a prendere piede nel settore delle ristrutturazioni del debito. Il presente contributo fornisce alcune riflessioni sulla sua applicazione pratica.
È probabilmente la star del momento nel settore della crisi di impresa e della ristrutturazione del debito. Tutti ne parlano, molti ne criticano la struttura e l’applicazione, altri ne esaltano le caratteristiche e la flessibilità.
La composizione negoziata della crisi sta sicuramente prendendo piede, lo confermano i dati forniti dall’Osservatorio di Unioncamere[1], che certificano un costante aumento del suo utilizzo. E lo confermano le pronunce dei Tribunali, ai quali sempre più spesso viene chiesto di esprimersi sulla richiesta di misure protettive[2].
È in ogni caso evidente che si è ancora in una fase di assestamento, ove la composizione negoziata sta iniziando a essere efficacemente usata per (provare a) risolvere le situazioni di crisi, sebbene non abbia ancora assunto una forma definitiva, né delimitato chiaramente il proprio ambito di intervento. Se, infatti, lo scopo del legislatore era quello di fare emergere anticipatamente la crisi, con l’obiettivo di risolvere stragiudizialmente le situazioni di temporanea difficoltà dovute a uno squilibrio patrimoniale o economico finanziario, è chiaro che – stando alle sempre più numerose pronunce da parte dei Tribunali – spesso e volentieri l’imprenditore in crisi (o già insolvente) si trova a dover chiedere l’intervento giurisdizionale in merito alle misure protettive. E tutto questo porta a un aumento, anziché a una diminuzione, della partecipazione dei Tribunali nelle situazioni di crisi: l’obiettivo di limitare il coinvolgimento dell’Autorità Giudiziaria nelle operazioni di ristrutturazione dei debiti non si può quindi ritenere raggiunto.
Peraltro, al Giudice viene chiesto di pronunciarsi in situazioni preliminari, dove le informazioni che vengono fornite e che sono quindi a sua disposizione sono limitate, soprattutto considerando che le trattative della composizione negoziata sono totalmente stragiudiziali. Spesso e volentieri, quindi il Giudice ha pochi elementi per poter valutare quanto gli viene richiesto, con la conseguenza che la prassi documenta la nomina frequente di ausiliari, oltreché un intensificarsi di situazioni conflittuali, con opposizioni da parte dei creditori e una elevata attività giudiziaria.
Tutto questo porta a un evidente allungamento dei tempi, fattore sempre critico nelle situazioni di crisi. Se, quindi, la composizione negoziata è stata pensata dal legislatore come un percorso riservato e stragiudiziale per agevolare il risanamento delle imprese che hanno le potenzialità per restare sul mercato anche a fronte di una situazione di squilibrio patrimoniale o economico – finanziario, oggi sta prendendo la forma di qualcosa di diverso, e il più delle volte rappresenta un mero “trampolino di lancio” per accedere agli strumenti per la soluzione della crisi previsti dal nuovo codice.
È evidente che questa flessibilità della composizione negoziata la sta rendendo accessibile anche in situazioni diverse da quelle originariamente previste, fornendole anche potenzialità probabilmente inimmaginabili in precedenza. Basti solo pensare che può essere propedeutica alla sottoscrizione di accordi di ristrutturazione dei debiti a efficacia estesa con percentuale ridotta (secondo il combinato disposto degli artt. 23, co. 2, e 61 del codice della crisi) o ancora un temporaneo ponte protettivo mentre vengono condotte trattative parallele con il fisco, attualmente escluse dalla composizione negoziata. Queste potenzialità sono sicuramente utili per il debitore, ma allo stesso tempo creano incertezze nel percorso di ristrutturazione e un allungamento dei tempi, soprattutto ove la composizione negoziata della crisi è usata solo come “una prima tappa” propedeutica all’accesso a uno strumento per la regolazione della crisi di impresa. Le evidenti potenzialità della composizione negoziata hanno quindi portato, quantomeno nelle composizioni negoziate seguite da chi scrive, un allungamento dei tempi e un inasprimento dei conflitti tra le parti, questi ultimi non sempre usuali nell’ambito di soluzioni stragiudiziali (che quindi richiedono la negoziazione tra le parti e il consenso dei vari attori per giungere a una definizione condivisa), rispetto chiaramente a una procedura concorsuale.
Secondo alcuni, tuttavia, questa flessibilità nei contenuti rende la composizione negoziata un mezzo dirompente per la soluzione della crisi: l’eccellente definizione di “percorso tipico dal contenuto atipico”[3] probabilmente sintetizza in modo estremamente efficace questa capacità della composizione negoziata di adattarsi a varie situazioni e di poter essere utilizzata in fattispecie differenti con gli esiti più svariati, anche (e forse soprattutto) per le ristrutturazioni di importanti dimensioni.
Infatti, se il legislatore ha delineato in modo chiaro e dettagliato tutti i vari passaggi formali della composizione negoziata – soprattutto se confrontati con l’attenzione limitata che in passato è stata dedicata a strumenti giuridici molto utilizzati nella prassi (si pensi, per tutti, al piano attestato di risanamento e alle poche righe dedicate dal legislatore per disciplinare tale istituto nel vecchio art. 67, co. 3, lett. d), della legge fallimentare) – allo stesso modo le conclusioni a cui possono giungere le trattative sono le più disparate.
Del resto, il percorso formale tipizzato dal legislatore può portare a soluzioni differenti, che possono anche andare oltre quelle di cui all’art. 23 del codice della crisi, visto che è possibile una combinazione dei vari strumenti per la soluzione della crisi in fasi successive. Nella prassi, infatti, si vedono sempre più spesso composizioni negoziate che vengono attivate con l’immediata disclosure che la composizione negoziata giungerà a una conclusione differente da quella di cui al comma 1 dell’art. 23 del codice della crisi; molte volte nella prassi, infatti, il debitore mette immediatamente in chiaro a tutte le parti coinvolte che le trattative sfoceranno in un accordo di ristrutturazione a efficacia estesa, oppure in un piano attestato di risanamento o in altri strumenti giuridici. Capita sempre di più, quindi, che il debitore manifesti immediatamente la volontà di chiudere le trattative con modalità differenti da un accordo propriamente definito nell’ambito della composizione negoziata, dandone fin dall’inizio una chiara indicazione[4]. Al contrario, quantomeno nelle composizioni negoziate seguite da chi scrive, la “minaccia” del concordato semplificato pare al momento meno decisiva rispetto a quanto in precedenza temuto dai commentatori: il debitore che accede alla composizione negoziata solo con l’obiettivo di arrivare a un concordato senza voto non ha solitamente vita facile, anche grazie alla prevenzione degli abusi da parte dei Tribunali.
Tale flessibilità, tuttavia, a giudizio di chi scrive può avere dei risvolti negativi. È evidente che le frecce all’arco del debitore in crisi sono molte; allo stesso tempo, alla fantasia giuridica del debitore i creditori possono rispondere poco. Questa carenza di “strumenti difensivi” da parte dei creditori, in un percorso che come detto è di tipo negoziale, porta a situazioni di conflitto – anche emotivo – soprattutto con i creditori di natura finanziaria. Vi è quindi un incremento di opposizioni da parte dei creditori finanziari alle richieste di conferma delle misure protettive, soprattutto considerando che vi è una grossa distonia fra le tutele per il debitore previste dal codice della crisi, incentrato nella ristrutturazione delle imprese con l’obiettivo della continuità aziendale, rispetto a quanto richiesto ai creditori finanziari dalla normativa di vigilanza prudenziale. E non è sicuramente sufficiente l’appiglio per i creditori finanziari fornito dal legislatore con l’art. 16, co. 5, del codice della crisi[5], spesso usato dalle banche come un’ancora di salvataggio in una normativa troppo sbilanciata in favore del debitore.
Allo stesso tempo è probabilmente eccessivo il costante coinvolgimento dell’Autorità Giudiziaria: trattandosi di un percorso stragiudiziale è alquanto strano un intervento così frequente del Giudice. Secondo chi scrive è forse questa la maggiore criticità della composizione negoziata. Se, infatti, l’obiettivo della composizione negoziata era quello di consentire l’emersione anticipata della crisi finalizzata a soluzioni sempre più stragiudiziali, l’eccessiva richiesta ai Tribunali di confermare le misure protettive rende il Giudice una parte importante del percorso di risanamento.
Peraltro, il più delle volte al Giudice non sono forniti tutti gli elementi necessari per potersi pronunciare, con la conseguenza che non è infrequente vedere più udienze in Tribunale aventi a oggetto le misure protettive, con un evidente allungamento dei tempi e un inasprimento degli animi in un percorso che, come detto più volte, è negoziale e non certo concorsuale.
In proposito, si può rilevare l’uso massiccio da parte dei Giudici, nelle proprie pronunce, del termine “embrionale” per riferirsi al progetto di piano di risanamento, che deve essere depositato dal debitore in Tribunale – unitamente a un piano finanziario per i successivi sei mesi e a un prospetto delle iniziative che intende adottare – nell’ambito delle richieste relative alle misure protettive[6]. A volte questo termine è stato usato dal Giudice per bocciare la richiesta di conferma di misure protettive, mentre in altri casi è stato utilizzato, ferma la conferma delle misure protettive, proprio per giustificare la presentazione di un progetto di piano ancora sommario e quindi con le relative criticità.
Tutto ciò porta a molta confusione, con una evidente incertezza sull’esito del giudizio, che è sicuramente superiore rispetto a quella che si aveva nel caso del concordato in bianco oppure si ha oggi nel procedimento unitario per l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi.
Le criticità di cui sopra sono ancora più evidenti nel caso di eventuali richieste del debitore di autorizzarlo a contrarre nuova finanza prededucibile: anche in tal caso il Giudice valuta la fondatezza dell’istanza ex art. 22 del codice della crisi soffermandosi sull’avanzamento o meno delle trattative[7].
Per concludere, la composizione negoziata ha sicuramente una serie di elementi che la portano ad essere un’“arma utile” per la soluzione della crisi; allo stesso tempo, la libertà nel poter scegliere i contenuti di tale percorso la rendono a volte rischiosa, sia per i creditori – che sono totalmente in balìa della “fantasia giuridica” del debitore – sia per lo stesso debitore, che a seconda dei Tribunali ai quali deve chiedere la conferma delle misure protettive o l’autorizzazione a contrarre nuova finanza non saprà mai fino all’ultimo quale possa essere il giudizio del Giudice rispetto alla propria impostazione e se quindi la stessa sia o meno corretta.
È sicuramente ancora presto per dare giudizi definitivi in relazione alla composizione negoziata, sia in un senso sia in un altro. È altrettanto evidente che ha ancora delle potenzialità inesplorate, che la renderanno un percorso perfetto o imperfetto a seconda delle situazioni che si verificheranno nella prassi e, soprattutto, a seconda della diffusione che ne daranno gli operatori del settore, auspicabilmente con finalità virtuose e non distorsive.
[1] Nella Terza edizione dell’Osservatorio semestrale di Unioncamere del 15 maggio 2023 viene riferito di 767 domande formalmente presentate. Oggi sono state superate le 830 istanze e si può ipotizzare che a breve venga oltrepassata la fatidica soglia delle 1000 richieste, considerato l’incremento costante negli ultimi mesi.
[2] Come sostenuto dalla dottrina, è in realtà improprio parlare di “richiesta” di misure protettive: l’imprenditore, infatti, dichiara unilateralmente di volersi avvalere delle misure e successivamente chiede la loro conferma al Tribunale competente. Si veda in proposito DONNICI, Uno sguardo d’insieme sulle misure protettive, cautelari e premiali previste dal decreto-legge 118/2021, ilfallimentarista.it, 11 novembre 2021.
[3] Questa affascinante locuzione, che descrive in modo efficace le potenzialità della composizione negoziata, è stata qui ripresa dall’intervento dell’avv. CARLO ALBERTO GIOVANARDI durante il pomeriggio di studio organizzato dalla S.I.S.CO – Società Italiana di Studi Concorsuali, Guida operativa alla scelta tra i nuovi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, 5 luglio 2023.
[4] Si veda, inter alia, Tribunale Bologna, 9 gennaio 2023, in Diritto della Crisi. Con tale pronuncia il Giudice, nell’autorizzare il debitore a contrarre finanziamenti prededucibili, indica quella che è l’anticipazione fornita in atti dal debitore di voler definire le trattative con un accordo di ristrutturazione da sottoporre a omologazione del medesimo Tribunale.
[5] Tale norma prevede che la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale.
[6] Inter alia, Tribunale Ravenna, 17 marzo 2023, in Diritto della Crisi; Tribunale Salerno, 13 febbraio 2023, in Diritto della Crisi; Tribunale Avellino, 16 maggio 2022, in Diritto della Crisi.
[7] Si veda Tribunale Bologna, 9 gennaio 2021, in Diritto della Crisi; in tal caso il Giudice ha autorizzato l’erogazione della nuova finanza prededucibile richiesta dal debitore, ricordando che l’istanza era stata in precedenza rigettata poiché “decisiva ai fini della valutazione della fondatezza dell’istanza ex art. 22 CCII è l’analisi dello stato delle trattative, in quanto proprio la considerazione che quest’ultime risultassero ancora a livello embrionale al momento della precedente istanza ne aveva motivato il rigetto”. Anche qui ritorna il riferimento al termine “embrionale”, in tal caso in relazione alle trattative.