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La comunicazione d’impresa sulla sostenibilità e il diritto della concorrenza

12 Giugno 2024

Anna Genovese, Professore Ordinario di Diritto Commerciale, Università di Verona

Di cosa si parla in questo articolo

[*] SOMMARIO: Lo scritto tratta del rilievo delle politiche UE di Green Deal per la comunicazione d’impresa sulla sostenibilità e dei contenuti della Direttiva (UE) 2024/825 in materia di asserzioni ambientali e contrasto del greenwashing. L’autore svolge altresì alcune considerazioni sistematiche sui rapporti fra le misure per la transizione verde del mercato interno e il diritto della concorrenza.

ABSTRACT: The paper discusses the relevance of EU Green Deal policies for corporate communication on sustainability and the contents of the Directive (EU) 2024/825 on environmental claims and combating greenwashing. The Author also makes some systematic considerations of the relationship between measures for the green transition of the internal market and competition law.


1. Introduzione

Il disegno UE per il Green Deal e lo sviluppo economico sostenibile [1] non ha portato solo a misure di finanza sostenibile e a normative rilevanti per le attività e per le imprese finanziarie in senso lato [2]. Le politiche e i mutamenti normativi hanno riguardato in modo più complessivo e generalizzato le imprese e anche la concorrenza.

La transizione ecologica di una economia di mercato, del resto, non può che essere il risultato di investimenti in coerenti impieghi e iniziative economiche [3]. In un contesto di mercato che premia le innovazioni di sostenibilità (di prodotto e di processo) autentiche, vantaggiose ed efficienti. Per cui, per la transizione ecologica del mercato interno, la concorrenza e le informazioni di mercato sulle caratteristiche di sostenibilità degli investimenti, degli impieghi e delle offerte commerciali sono cruciali e sono  oggetto di apposita regolazione.

In generale, l’informazione sulla sostenibilità occupa un posto importante nella regolazione UE riferita al Green Deal. Questa regolazione include svariati presidi di obbligatoria trasparenza sui fattori ESG (Environment, Social, Governance) di alcuni prodotti, servizi e attività[4]. Include altresì previsioni sulla correttezza concorrenziale dell’eventuale comunicazione volontaria e promozionale riferita ad offerte commerciali di beni e servizi sostenibili o green.

L’elaborazione di tali previsioni è cominciata con il Circular Economy Action Plan della Commissione europea del 11 marzo 2020 COM (2020) 98 final e, dopo la Comunicazione Quadro del 30 marzo 2022, ha portato alla Direttiva (UE) 2024/825 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2024 (in GUUE del 6 marzo 2024), che modifica le Direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE, per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione.

In questo scritto tratterò brevemente dei contenuti di questa direttiva, del contesto in cui è maturata e dei rapporti tra transizione verde del mercato interno, comunicazione d’impresa sulla sostenibilità e diritto della concorrenza.

2. La Direttiva (UE) 2024/825

La direttiva (UE) 2024/825 prevede l’integrazione della disciplina europea sulle pratiche commerciali scorrette. Introduce nella Direttiva 2005/29/CE del Parlamento e del Consiglio dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, recepita in Italia con i decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2007, alcuni obblighi e alcuni divieti.

L’intervento rende più omogenea e anche più pronta l’individuazione delle pratiche commerciali integranti le forme più gravi e più diffuse di greenwashing consumeristico (cfr. il Considerando n. 1). Il preambolo della direttiva reca una dichiarazione programmatica sulla convergenza fra gli obiettivi europei del Green Deal e quelli della neutralità climatica delle produzioni e quelli del diritto europeo della concorrenza e dei consumatori. La direttiva intende associare un elevato livello di protezione dei consumatori, con un elevato livello di protezione dell’ambiente e della concorrenza ed entrambi con l’attuazione della transizione verde a cui si riferisce il Green Deal (cfr. i Considerando n. 1 e 13).

Gli interventi sulla direttiva 2005/29/CE sono molti. La nuova direttiva emenda sia le previsioni che definiscono la portata ingannevole delle pratiche commerciali (art. 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE) sia la lista nera di pratiche considerate in tutti i casi ingannevoli (Allegato I della direttiva 2005/29/CE). Viene così introdotto il generale divieto di fare uso, nella comunicazione commerciale, di asserzioni ambientali generiche e non supportate da prove, quali “rispettoso dell’ambiente” o “naturale” o, ancora, “rispettoso degli animali”. Viene stabilito altresì un divieto tassativo di dichiarazioni che implicano la produzione di un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente, per il tramite della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni di carbonio. Si stabilisce il divieto di utilizzare marchi di sostenibilità che non siano basati su sistemi di certificazione approvati o creati dalle autorità pubbliche. Si prevedono obblighi di trasparenza delle offerte riguardanti la “durabilità” dei prodotti, con emendamenti alla Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori.

La nuova direttiva fornisce anche indicazioni per la conformità della comunicazione commerciale inerente alla sostenibilità, con esempi di comunicazione corretta.

Nel complesso, l’intervento delinea un quadro di previsioni che, regolando la comunicazione commerciale sulla sostenibilità, la valorizza come fattore di mercato utile a fare incontrare e a stimolare la domanda e l’offerta di beni e servizi aventi prestazioni di sostenibilità.

La direttiva (UE) 2024/825 dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 27 marzo 2026 ed applicata entro il successivo 27 settembre.

3. La Direttiva (UE) 2024/825 e le misure per il Green Deal

Il contesto di politiche UE in cui matura la direttiva (UE) 2024/825 è quello definito dalla Comunicazione della Commissione del 11 dicembre 2019 sul Green Deal che è anche più volte citata nella direttiva. Il contesto normativo è quello delle misure per la finanza sostenibile. Tali misure, infatti, hanno riguardo agli impieghi sostenibili degli investimenti e hanno dirette e indirette ripercussioni sulla filiera delle imprese finanziarie e industriali più grandi e strutturate e sulla concorrenza nei mercati di sbocco di beni e servizi [5].

La direttiva (UE) 2024/825 si rapporta con queste politiche e con questa regolazione doppiamente. Sia perché fa parte degli interventi necessari per presidiare l’efficacia di tali politiche e di tale regolazione (cfr. il Considerando n. 13); sia perché le politiche per il Green Deal e la regolazione sulla finanza per lo sviluppo sostenibile sono il fattore di discontinuità che la rendono necessaria e proporzionata. Gli obiettivi della direttiva, infatti, sono migliorare la qualità e la coerenza dell’applicazione del quadro giuridico dell’Unione in materia di tutela del consumatore, per consentire ai consumatori di prendere decisioni di natura commerciale più consapevoli della sostenibilità e di contrastare le pratiche che danneggiano l’economia sostenibile (cfr. il Considerando n. 40). Vi è infatti una correlazione non voluta e non positiva per il buon funzionamento del mercato fra misure di finanza sostenibile e greenwashing.

4. Green Deal UE e greenwashing

Le regole del Green Deal facilitano l’accesso delle imprese a risorse di c.d. finanza verde e istituiscono così un nesso fra sostenibilità e competitività. Queste regole spingono le imprese a fare e anche a comunicare al mercato impieghi finanziari e offerte commerciali sostenibili. Ciò sia in ragione della trasparenza dovuta, sia, al di là di questa, per attrarre le controparti che hanno vincoli o preferenze di sostenibilità. Per ciò stesso, perciò, queste regole possono incentivare condotte che ne pregiudicano l’efficacia. Del resto, una policy imperniata sul mercato è esposta ai fallimenti del mercato. Deve fare i conti sia con i rischi di risposte di mercato insoddisfacenti (quantitativamente o qualitativamente subottimali) sia con i rischi di risposte di mercato distorte. La regolazione per la transizione verde del mercato interno, in questo senso, deve fare i conti con i rischi di greenwashing che contribuisce ad alimentare.

Per questa ragione, nelle misure per lo sviluppo sostenibile del mercato interno, sono sempre presi in considerazione i rischi di greenwashing. Rischi che nuocciono all’efficacia complessiva del disegno sia per i danni che possono procurare all’integrità del mercato dei capitali e alla finanza sostenibile; sia per i danni che, sviando risorse destinate alla transizione verde, possono causare ai concorrenti e ai consumatori nei mercati di sbocco.

Peraltro, il greenwashing è dannoso sia quando è la conseguenza di obblighi di trasparenza ESG – societaria o finanziaria – disattesi [6]; sia quando è frutto di comunicazioni commerciali volontarie (marketing), opportunistiche e decettive. Tuttavia, le due fenomenologie, nell’economia di questo contributo, possono essere tenute separate. Le ipotesi di greenwashing intercettate dalla nuova direttiva riguardano la comunicazione d’impresa sulla sostenibilità volontaria e promozionale riferita a beni e servizi.

5. La regolazione sull’impresa sostenibile e l’esperienza dell’impresa responsabile: le analogie

In relazione ai rischi di greenwashing, i rapporti fra la regolazione UE riferita alla finanza per lo sviluppo sostenibile e i rischi di greenwashing sono simili a quelli che intercorrono fra la responsabilità sociale d’impresa e i rischi di greenwashing.

Le misure UE relative alla finanza per lo sviluppo sostenibile rafforzano l’inquadramento dei modelli di business che praticano la Corporate Social Responsibility (CSR), che curano l’immagine e la reputazione ambientale e sociale delle imprese, quali modelli che fanno acquisire all’impresa intangibles e vantaggi competitivi. Non è una novità il fatto che negli ambiti ambientale e sociale, per l’imprenditore, può essere necessario/conveniente impegnarsi per conseguire un vantaggio competitivo e/o per evitare rischi e danni reputazionali.

È corretto, perciò, accostare il portato di tale regolazione a quello di pregresse esperienze di responsabilità sociale d’impresa. Sia perché la responsabilità sociale, al pari dell’orientamento sostenibile dell’attività d’impresa, può produrre benefici reputazionali e concorrenziali per l’impresa e rischi di greenwashing per il mercato. Sia perché, su un piano di cornice teorica di riferimento, la CSR e la regolazione per lo sviluppo sostenibile seguono logiche di conformazione dell’attività d’impresa differenti da quelle di matrice neoliberale [7].

E in effetti la dottrina più attenta già si era interrogata sui disallineamenti fra la CSR praticata e quella comunicata e aveva proposto di distinguere, ai fini del contrasto del greenwashing, la pubblicità ecologica generica da quella informativa [8]. Con l’effetto di vietare la pubblicità ecologica generica sempre, in quanto ingannevole e dannosa per il buon funzionamento del mercato; e di vietare la pubblicità ecologica informativa solo se mendace o inverificabile.

Sicché, già nel quadro della CSR, le pubblicità ecologiche generiche – vietate ora dalla nuova direttiva – si potevano ritenere vietate dal diritto della concorrenza alla stregua di una “moneta cattiva” che, se non contrastata, avrebbero scacciato dal mercato la “moneta buona” e le pratiche concorrenziali virtuose. Con l’effetto di peggiorare il benessere generale, sia dal punto di vista delle informazioni disponibili per i consumatori, sia dal punto di vista degli incentivi di mercato alla pratica di autentica CSR ambientale.

6. Segue. Le differenze

Vi sono quindi aspetti di continuità fra la regolazione in materia di finanza sostenibile, la direttiva (UE) 2024/825, e le esperienze riferite alla CSR e alla sua comunicazione al mercato. Ciò nonostante, le differenze sono molteplici e rilevano come i fattori di discontinuità da cui origina la direttiva (UE) 2024/825.

In un contesto di accresciuta considerazione (normativa ed economica) dei profili ESG dell’iniziativa economica, ciò che qualche anno addietro poteva avere, come CSR volontaria, un rilievo concorrenziale marginale ed eventuale, assume ora un rilievo centrale e necessario. Nella attuale fase di climate change acclarato, di crescente attenzione dei regolatori e dell’opinione pubblica per i temi ESG, poche imprese si possono permettere di non avere una strategia di mercato per tali ambiti. Poche imprese possono prescindere da una strategia sui rischi e le opportunità ambientali rilevanti per la tassonomia e per l’accesso a finanziamenti – bancari e di mercato – dedicati alla transizione verde. E poche imprese si possono permettere di non intraprendere iniziative di innovazione in campo ambientale senza temerne i contraccolpi di mercato. Ciò vale non solo per le grandi società azionarie ma per tutte le imprese.

Parimenti cambiano, nel contesto attuale, i rischi commerciali di una gestione responsabile solo “di facciata”. I rischi sono oggi maggiori di quelli (pure non bassi) associati, in passato, alle pratiche di CSR non autentiche. Qualora l’asserito impegno ambientale dovesse rivelarsi insincero, infatti, il pregiudizio presumibilmente non si limiterebbe agli effetti che compromettono intangibles di immagine e di reputazione. Con tutta probabilità, l’ecologismo di facciata determinerebbe anche un immediato e significativo effetto sui conti economici, dovuto al deflusso di fornitori e clienti.

L’ecologismo di facciata quindi, oggi, è più rischioso che in passato. Non solo perché è più facilmente riscontrabile a partire da una tassonomia europea dei requisiti degli investimenti e delle produzioni ecosostenibili operata dal Regolamento (UE) 2020/852; anche perché è esposto alle reazioni di exit e/o di voice di un maggiore numero di soggetti, con più preferenze o vincoli di sostenibilità ambientale.

Anche dal punto di vista dell’interesse generale, l’ecologismo di facciata è più dannoso che in passato. Il rilievo della correttezza della comunicazione d’impresa sulla sostenibilità per il buon funzionamento del mercato, infatti, è stato accresciuto dalle regole sulla finanza sostenibile e dal contesto complessivo di politiche in cui si collocano.

7. Impresa sostenibile e diritto della concorrenza

La finanza sostenibile, dunque, porta all’attenzione del regolatore, dell’interprete e del consulente d’impresa anche questioni di diritto della concorrenza che interessano la generalità delle imprese.

Alcune di tali questioni sono nuove, come quelle riguardanti, nel diritto antitrust, i rapporti fra tutela della concorrenza, fattori ESG e benessere del consumatore. Ne sono un esempio le Linee direttrici della Commissione del 2023 sull’applicazione dell’art. 101 del TFUE in materia di intese agli accordi ambientali di cooperazione fra imprese [9]. Altre sono note e però assumono nuova rilevanza. Tali questioni riguardano, da una parte, la costruzione e la protezione della reputazione ambientale e sociale dell’imprenditore, in relazione al modello di business e agli specifici intangibles che la alimentano [10]; e, dall’altra parte, la lealtà e la correttezza della concorrenza sui fattori ESG. Ivi inclusa la lealtà e la correttezza della comunicazione commerciale di sostenibilità, vale a dire la correttezza delle asserzioni ambientali e della pubblicità ecologica.

In generale, in base al diritto della concorrenza, occorre appurare in quali casi la concorrenza (per esempio, l’imitazione o la pubblicità) riferita alle prestazioni di sostenibilità dei prodotti e dei servizi si debba considerare, leale o scorretta, lecita o illecita. E in quali casi la comunicazione commerciale sulla sostenibilità integra greenwashing e condotta di mercato illecita.

La direttiva fornisce alcune risposte a questo interrogativo. Non si tratta peraltro di risposte avulse dalle esperienze nazionali in materia.

8. L’assetto normativo precedente la Direttiva (UE) 2024/825

La pubblicità ecologica ha sperimentato, nell’esperienza giuridica italiana, vari ambiti di emersione come fattispecie di concorrenza. L’emersione coinvolge sia l’autodisciplina pubblicitaria sia l’ambito del contrasto di pubblicità ecologiche ingannevoli quali illeciti consumeristici e/o concorrenziali.

Nel 2014, per prevenire la deriva inflazionistica dei claim ecologici, l’art. 12 del Codice è stato riscritto con la specificazione dei limiti di praticabilità della pubblicità ecologica. La previsione stabilisce che «La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili».

L’autodisciplina, quindi, ha precorso alcuni sviluppi del diritto europeo. Ha previsto per la pubblicità ecologica due limitazioni. Il divieto di pubblicità ecologiche vaghe e generiche. E il divieto di pubblicità ecologiche contenenti informazioni non pertinenti (ovvero non rilevanti), non veritiere e non scientificamente verificabili.

L’autodisciplina, peraltro, pur introducendo un limite all’iniziativa economica non risulta eccentrica o incompatibile con le regole statuali sulla (libera e corretta) concorrenza.

Il divieto riferito a claim ambientali generici, infatti, ben può essere considerato coerente specificazione del canone statuale della correttezza professionale della comunicazione di responsabilità sociale (cfr. l’art. 2598, n. 3, c.c.). Tenuto conto, da una parte, del criterio normativo che deve presiedere alla concretizzazione della clausola generale della correttezza professionale e, dall’altro, della protezione accordata dall’ordinamento all’ambiente, anche in termini di autoresponsabilità per i contenuti della comunicazione rivolta al mercato. Per altro verso, l’obbligo di pertinenza, verità e verificabilità delle asserzioni ambientali risulta perfettamente in linea con i precetti della disciplina che vieta le pratiche commerciali ingannevoli e sanziona la comunicazione pubblicitaria mendace (cfr. il d.lgs. n. 145 del 2005).

La casistica di pubblicità ecologiche vietate dall’autodisciplina peraltro non è limitata a quelle pubblicità in contrasto con l’art. 12 del Codice. Alcune pubblicità ecologiche sono state vietate in base agli artt. 2 e 46 del Codice, rispettivamente in materia di unicità del pregio vantato dall’inserzionista e di portata dell’impegno ambientale assunto[11].

L’emersione della pubblicità ecologica come specifica fattispecie concorrenziale si deve anche agli interventi dell’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato e alla giurisprudenza formatasi sui ricorsi avverso provvedimenti dell’Autorità.

Gli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si sono basati sulle previsioni del Codice del consumo che vietano le pratiche commerciali ingannevoli e sulla disciplina della pubblicità riferita alle pratiche business to business o B2B (d. lgs. n. 145 del 2005).

I casi più noti sono due: uno ha coinvolto nel 2016 la società automobilistica titolare del marchio Wolkswagen; l’altro ha coinvolto, nel 2019, l’ENI S.p.A. Si è tratta peraltro di vicende molto diverse fra loro.

Nel caso Wolkswagen, l’AGCM è intervenuta per contestare come illecito consumeristico le pubblicità ecologiche di alcuni modelli di automobile coinvolti nel “dieselgate” del produttore. Sicché, con il provvedimento PS 10211 del 4 agosto 2016, è stata sanzionata una società che, pur respingendo l’accusa di illecito consumeristico, aveva pubblicamente ammesso il sabotaggio dei sistemi di rilevazione delle emissioni inquinanti dei propri autoveicoli. In questo caso il claim ecologico delle vetture è stato considerato ingannevole perché falso nei contenuti [12].

Il caso ENI SpA invece ha riguardato la pubblicità delle caratteristiche ecologiche di un carburante prodotto dalla società. In tale caso l’impresa rivendicava la correttezza della propria comunicazione ecologica essendo vere, verificabili, e verificate nel corso del procedimento, le affermazioni contenute nel claim di supporto associato al claim ecologico generico. L’ingannevolezza della comunicazione è stata ravvisata nell’utilizzazione di un generico claim ambientale per prodotti e attività intrinsecamente inquinanti. Il provvedimento, tuttavia, inizialmente confermato dal giudice amministrativo (sentenza del Tar Lazio n. 2231 del 2019) è stato cassato dal Consiglio di Stato con sentenza del 3701 del 2024. La decisione del Consiglio di Stato è nel senso che i) anche le imprese attive nei settori più inquinanti possono contribuire alla transizione ecologica e ii) se queste imprese possono migliorare l’impatto ambientale della loro attività e fare investimenti sostenibili, possono anche pubblicizzare queste iniziative come ecologiche.

Altri provvedimenti AGCM hanno riguardato operatori economici minori, ossia PMI, e asserzioni ambientali non sufficientemente precise e circostanziate [13].

Il vaglio sulla correttezza della pubblicità ecologica è stato operato anche dall’autorità giudiziaria ordinaria. Il 25 novembre 2021 il Tribunale di Gorizia ha accolto il ricorso d’urgenza presentato da Alcantara S.p.A. nei confronti del competitor Miko S.r.l. (due competitors del settore dei tessuti che vantano un elevato livello di sostenibilità attraverso la pubblicazione di vari “green claim” sui propri siti internet e su altri mezzi di comunicazione, online e offline) per asserito  greenwashing. Si tratta della prima pronuncia della magistratura ordinaria italiana su una fattispecie di pubblicità ecologica. A fronte della richiesta di inibitoria dell’attività pubblicitaria del concorrente per contrasto con l’art. 2598 n.3 c.c., il Tribunale ha ritenuto configurata la fattispecie di greenwashing e ha inibito la pubblicità [14]. L’ordinanza cautelare risulta essere stata, in sede di reclamo, riformata (ordinanza del 12 marzo 2022) mentre, nel merito, la causa non risulta decisa.

L’ordinanza cautelare del Tribunale di Gorizia adotta una definizione di greenwashing pubblicitario che si caratterizza per la particolare ampiezza delle coordinate normative cui fa riferimento. Nella decisione del Tribunale vengono richiamati l’art. 2598, n. 3, c.c., le norme europee a tutela del consumatore, quali l’art. 169 TFUE, l’art. 12 TFUE, l’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché il d.lgs. n. 145/2007 (con particolare riferimento all’art. 2, lett. a) sulla pubblicità ingannevole) ed il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.

Anche in ambito UE, peraltro, l’iter che porta alla direttiva (UE) 2024/825 era stato preceduto da alcuni interventi. Sin dal 2016, il documento dei servizi della Commissione “Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali”, intitolato “Un approccio globale per stimale il commercio elettronico transfrontaliero per i cittadini e le imprese in Europa” (COM (2016)320 final) contiene una sezione dedicata al trattamento delle asserzioni ambientali. La Comunicazione del 2016 è stata confermata e aggiornata nel 2021.

Questi interventi della Commissione mettono a fuoco le questioni più rilevanti e più critiche della comunicazione commerciale sulla sostenibilità in chiave di CSR. Riguardano le asserzioni pubblicitarie ambientali in quanto contenuti più diffusi e capaci di influenzare il pubblico. La centralità della comunicazione riferita alle questioni ambientali, tuttavia, con il varo delle politiche per il Green Deal (vedi supra), aumenta. Con il Green Deal si rende necessaria e possibile anche la distinzione fra i contenuti di comunicazione riferiti ad aspetti di sostenibilità regolati, come ad esempio quello ambientale, e quelli riferiti ad aspetti di sostenibilità meno o affatto regolati; e la distinzione fra contenuti di comunicazione riferiti alla sostenibilità della catena del valore e quelli riferiti ad ulteriori ambiti di attività e di possibile CSR (la beneficienza, ad esempio).

Su queste esperienze e basi si appoggia la direttiva (UE) 2024/825.

9. I principi ispiratori della Direttiva (UE) 2024/825

La direttiva (UE) 2024/825 innova il quadro normativo su tre versanti che fissano alcuni principi di riferimento. La direttiva associa la tutela dei consumatori, la tutela della concorrenza e la transizione verde del mercato interno; detta un canone di correttezza concorrenziale che è generale e rileva in modo residuale per la comunicazione che esula dalla trasparenza ESG obbligatoria e regolata; distingue la comunicazione che si riferisce alla sostenibilità della catena del valore dalla comunicazione che si riferisce alla responsabilità sociale in genere.

Nel senso da ultimo indicato, a mio parere, ciò che afferma il Considerando n. 12 della direttiva (UE) 2024/825 a proposito di iniziative e progetti di sostenibilità ambientale a cui l’impresa contribuisce, ha una portata ampia. Vale per ogni comunicazione riguardante la responsabilità sociale che si situa fuori della catena del valore e del ciclo di vita del prodotto. Tale comunicazione (ad esempio su iniziative di beneficienza) dovrà essere ordinariamente non ingannevole. Sarà giudicata caso per caso, per l’idoneità a influenzare, correttamente o impropriamente, il consumatore medio in ragione della riconoscibilità, chiarezza e veridicità.

Il quadro normativo, peraltro, anche dopo la direttiva (UE) 2024/825, non è assestato. La direttiva, infatti, conferisce alla Commissione poteri delegati con riguardo ai presidi per assicurare trasparenza e affidabilità all’etichettatura dei prodotti che vantano caratteristiche di sostenibilità (cfr. l’art. 2).

Peraltro, va considerato che, fra le condizioni abilitanti la transizione ecologica, ci sono la domanda di prodotti e servizi con buone prestazioni ambientali e la disponibilità di informazioni salienti e veritiere al riguardo. Il diritto UE, pertanto, mentre contrasta la pubblicità ecologica mendace si predispone a dare alle imprese un quadro giuridico che incentivi la comunicazione corretta su tali prestazioni.

La transizione, infatti, sarebbe ostacolata, oltre che dalle comunicazioni decettive, dalle pubblicità ecologiche generiche come anche da overload di informazioni sulla sostenibilità. Ma sarebbe ostacolata anche da una reticente comunicazione sulle prestazioni ambientali dei prodotti e dei servizi. Per queste ultime condotte è stato coniato il termine greenhushing che si riferisce alla scelta delle imprese impegnate nella sostenibilità di non comunicare i propri investimenti per evitare accuse di greenwashing. Ciò anche perché il confine fra la condotta di responsabilità ambientale comunicata al mercato e il greenwashing, in una fase di transizione quale è quella in corso, può essere davvero sottile [15].

10. Le questioni ricostruttive aperte

Non si può prevedere se la nuova Direttiva riuscirà appieno nell’intento di instradare nella giusta direzione la comunicazione commerciale sulla sostenibilità. La Direttiva (UE) 2024/825 peraltro dovrà essere recepita dagli Stati Membri nel prossimo biennio.

In attesa, perciò, occorrerà attingere alle clausole generali delle discipline vigenti per tracciare una linea di confine fra la comunicazione d’impresa sulla sostenibilità lecita e corretta e quella illecita e scorretta. Ai fini di  tale distinzione, fermo il divieto dei contenuti specifici e mendaci o non verificabili, vi sono altri contenuti difficili da giudicare in concreto. Si pensi a una comunicazione articolata su un claim ambientale principale e generico e uno di supporto specifico, veritiero ma meno evidente; alla pubblicità ecologica di prestazioni ambientali migliorative, riferite a prodotti o servizi comunque inquinanti; alla pubblicità ecologica contenente asserzioni ambientali irrilevanti o inconsistenti rispetto alla sostenibilità ambientale normata.

Queste ipotesi di pubblicità ecologica, dopo il recepimento della Direttiva (UE) 2024/825, saranno da valutare alla luce dei divieti espliciti in essa contenuti e della lista nera di pratiche vietate per sé. Prima del recepimento della Direttiva, saranno da valutare in concreto e in base alle clausole generali che vietano la concorrenza sleale e la pubblicità ingannevole.

Credo peraltro che la concretizzazione di queste clausole generali debba già ora essere orientata dai principi euro-unitari in materia di sviluppo sostenibile e dai recenti emendamenti costituzionali in materia di iniziativa economica e ambiente [16]. Sulla scorta di tali principi, la concretizzazione dovrebbe di volta in volta favorire la comunicazione commerciale che è attendibile e che stimola la domanda e le offerte coerenti con il Green Deal; e contrastare invece la comunicazione commerciale che è inattendibile e che deprime tale domanda e tali offerte.

 

[*] Il testo riproduce, con l’aggiunta di alcune note, la Relazione svolta nel Convegno “L’impatto della sostenibilità sulle PMI (non quotate)”, Viterbo, Università degli Studi della Tuscia, 30 maggio 2024.

[1] L’endiadi fa riferimento alla Comunicazione della Commissione COM (2019) def. dell’11 dicembre 2019, che definisce obiettivi e strumenti del Green Deal europeo in linea con gli impegni assunti dall’Unione europea e dagli Stati Membri con l’Accordo di Parigi sul clima del 2015 e la c.d. Agenda ONU per il 2030 sullo sviluppo sostenibile (la Risoluzione n. 70/1 dell’ONU del 25 settembre 2015).

[2] Per uno sguardo di insieme cfr. N. Linciano, E. Cafiero, A. Ciavarella., G. Di Stefano, E. Levantini, G. Mollo, S. Nocella, R. Santamaria, M. Taverna, La finanza per lo sviluppo sostenibile. Tendenze, questioni in corso e prospettive future alla luce dell’evoluzione del quadro regolamentare nell’area euro, Roma, Quaderno Consob, 2021, passim, e, fra gli altri studi, A. Brozzetti, La transizione verde europea e lo sviluppo sostenibile: rinnovate coordinate di fondo per sistema finanziario e imprese, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2022, 411 ss., e P. Coppotelli, La strategia europea sullo sviluppo sostenibile. In particolare, la finanza sostenibile e le modifiche al quadro regolamentare europeo, in AGE, 2022, 293 ss. Per la ricognizione più aggiornata sul quadro normativo si rinvia al link “Normativa” della sezione “Finanza sostenibile” del sito istituzionale www.consob.it.

[3] Sulle interazioni fra finanza ed economia sostenibile cfr. M. Cossu, Sostenibilità e mercati: la sostenibilità ambientale dell’impresa dai mercati reali ai mercati finanziari, in Banca, borsa e tit. cred., 2023, 4, 558 ss.

[4] La trasparenza si riferisce alle informazioni necessarie per la riconoscibilità, la comparabilità e il monitoraggio dei rischi e delle performance finanziarie ed extra-finanziarie degli investimenti verdi e tradizionale. A tale fine, ha un ruolo fondamentale il regolamento sulla trasparenza dei servizi finanziari ovvero il Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, PE/87/2019/REV/1, in GUUE L 317 del 9 dicembre 2019.

[5] M. Cossu, (nt.3), 558 ss., e anche A. Genovese, La gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria. Fra regole e contesto, Bologna, 2023, 77 ss.

[6] Sul fenomeno del greenwashing finanziario cfr., da ultimo, il Final Reports on Greenwashing in the financial sector predisposto dalle ESAs (ESMA, EBA, EIOPA) e pubblicato sul sito dell’ESMA il 4 giugno 2024.

[7] Cfr. F. Bertelli, Le dichiarazioni di sostenibilità nella fornitura di beni di consumo, Torino, 2022, 3 ss.

[8] Cfr. M. Libertini, La comunicazione pubblicitaria e l’azione delle imprese per il miglioramento ambientale, in Giur. comm. 2012, 3, 331 ss.

[9] Cfr. A. Zanardo, Il «consumer welfare approach» nei recenti documenti della Commissione europea in materia di antitrust, in ODC, 2023, 3, 739 ss. e 749, con riguardo alle Linee direttrici sull’applicabilità dell’art. 101 del TFUE agli accordi di cooperazione orizzontale del 2023. In tema di trattamento antitrust degli “accordi ambientali”, cfr. anche V. Amendola, P. Cassinis, Sostenibilità, concorrenza, scelte dei consumatori e Greenwashing: il ruolo dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, in XV Conferenza. Antitrust fra diritto nazionale e diritto dell’Unione europea, a cura di E. Raffaelli, Bruylant, 2023, 148 ss.; G. Catalano, Le nuove sfide dell’antitrust tra compliance e sostenibilità e il ruolo del giurista d’impresa, ivi, 89 ss.; M. Snoep, Climate change requires a fresh look on what is fair and efficient in competition law” ivi, 127 ss., I. Lianos, Reconstructing Article 101 TFUE. Integration Sustainability Concerns in Competition Law, ivi, 131 ss.

[10] Cfr. F. Iraldo, M. Melis, Green Marketing: come evitare il greenwashing comunicando al mercato il valore della sostenibilità, Milano, 2012, 13 ss. e Zhi Yang e Altri, Greenwashing Behaviours: Causes, Taxonomy and Consequences Based on a Systematic Literature Review, in Journal of Business Economics and Management, 2020, 21, 1486 ss.

[11] Cfr. GIURÌ DELL’AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA, pronunce n. 19 bis del 21 aprile 2020, e n. 22 del 25 maggio 2020, Rivista di diritto industriale, 2021, p. 219 ss., con commento di Ch. Pappalardo, “Sottolineare il carattere ecologico di un prodotto nell’attuale momento storico, nel quale il valore ecologico riscuote la generalità dei consenti” – Trent’anni di Green Claim nella giurisprudenza del Giurì e dell’AGCM”, ivi anche una ampia rassegna di precedenti.

[12] Il ricorso avverso il provvedimento AGCM è stato respinto dal Tar Lazio con una sentenza n. 6920 del 3 aprile 2019 appellata innanzi al Consiglio di Stato che ha sollevato innanzi alla Corte di Giustizia europea una questione pregiudiziale che attiene alla portata del bis in idem in ragione dei plurimi provvedimenti sanzionatori a cui risulta sottoposta la società in Italia e in Germania). Il 30 marzo 2023 risultano depositate le conclusioni dell’Avvocato Generale in merito alla causa. Il contenzioso civile derivato dal Dieselgate invece, è stato, dopo i primi due gradi di giudizio, definito in via transattiva fra l’impresa e i consumatori: cfr. il comunicato stampa del 15 maggio 2024 dell’associazione Altroconsumo. In merito si veda anche F. Bertelli, Profili civilistici del «dieselgate». Questioni risolte e tensioni irrisolte tra mercato e sostenibilità, Napoli, 2021, passim.

[13] Cfr. la casistica in V. Amendola, P. Cassinis, (nt. 9), 180 ss. nonché in Ch. Pappalardo,  ( nt. 11), 219 ss.

[14] Nello specifico, con ricorso ex artt. 669 bis e 700 c.p.c. depositato in data 15 luglio 2021 avanti il Tribunale di Gorizia, Alcantara ha infatti chiesto al Giudice di «disporre a carico di Miko […] l’inibitoria con effetto immediato dalla diffusione in via diretta o indiretta dei messaggi pubblicitari ingannevoli […] sia nella versione in italiano che in inglese, e veicolati su ogni canale di comunicazione, online e offline, in quanto integranti ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.» (cfr. Trib. Gorizia, 26 novembre 2021, ordinanza per provvedimento cautelare iscritto al r.g. 712/2021, in De Jure). I messaggi pubblicitari che l’attrice definisce ingannevoli sono proprio quelle affermazioni a fini commerciali di carattere green e ambientalistico che la convenuta attribuisce, falsamente, al proprio prodotto, al suo impiego e al suo metodo di produzione. Tali asserzioni riguardano, secondo quanto sostenuto da parte attrice e riportato dal Giudice nell’ordinanza, la composizione e la derivazione del tessuto commercializzato da Miko, l’utilizzo di coloranti naturali, la riciclabilità e l’asserita riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80%.

[15] Cfr. D. Guarneri, Pratiche commerciali sleali e dichiarazioni ambientali: la sottile linea verde tra pratiche ecologiche virtuose e greenwashing, in XV Conferenza. Antitrust fra diritto nazionale e diritto dell’Unione europea, a cura di E. Raffaelli, Bruylant, 2023, 401 ss.

[16] Sulla riforma degli artt. 9 e 41 Cost. cfr., fra gli altri, G. Marcatajo, La riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione e la valorizzazione dell’ambiente, in Riv. giur. Ambientediritto.it, 2022, 2, 5 ss. e F. Cortese, Sulla riforma degli artt. 9 e 41 Cost.: alcune osservazioni, ivi, 4, 1 ss.

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