La conferma di Ignazio Visco nella carica di Governatore della Banca d’Italia ha finalmente posto fine ad una vicenda che ha inferto un vulnus all’autonomia della nostra banca centrale. Essa esprime, infatti, una rinnovata fiducia del Governo e del Capo dello Stato nei confronti del vertice di tale istituzione, recando al contempo un input chiarificatore alla problematica concernente la questione della responsabilità, per omessa vigilanza, del Governatore della Banca d’Italia; problematica la cui soluzione è stata ricercata in modalità coerenti con le indicazioni della vigente legislazione speciale (ci si riferisce alla legge n. 262 del 2005), superando quindi le perplessità al riguardo sollevate dalla stampa specializzata e dal dibattito politico.
Sul punto ritengo che debbano essere fatte, comunque, alcune precisazioni. Il malessere che, da alcuni anni, affligge il sistema bancario italiano ha cause antiche. Esso risale, infatti, alle difficoltà legate alla transizione (avvenuta negli ultimi decenni) da un sistema di ‘mercato controllato’ ad un ‘sistema concorrenziale’ e, dunque, al passaggio dalla cd. vigilanza strutturale ad altra forma di supervisione, incentrata sul controllo del rischio (e, dunque, finalizzata ad assicurare la stabilità) cui unanimemente è stata attribuita la qualifica di ‘prudenziale’. Si è determinata una mutazione genetica delle banche nella quale queste ultime hanno visto una progressiva riduzione dei propri profitti a fronte di un’accentuazione degli oneri (di tipo patrimoniale o di altro genere) imposti soprattutto dalla nuova regolazione europea.
Le autorità di vigilanza – non potendo più applicare gli interventi di moral suasion e di bail-out sperimentati con successo in passato per salvaguardare i risparmiatori, i livelli occupazionali e l’avviamento delle banche dissestate – si sono trovate nella stringente condizione di dover assumere decisioni in grado di riequilibrare prontamente le situazioni di tensione nel sistema. A ciò deve aggiungersi la crisi identitaria che ha colpito dette autorità a causa della traslazione della gran parte dei loro poteri di intervento ad organismi europei. Tale situazione si è risolta effettivamente in un ridimensionamento della capacità di controllo sugli appartenenti al settore, ma di certo questo non è imputabile alla mancata volontà delle autorità nazionali di svolgere correttamente le loro funzioni istituzionali.
Significativa, al riguardo, deve ritenersi la decisione del Tribunale dell’Unione Europea del 16 maggio 2017 (causa T-122/15) con cui si sono riconosciuti ampi (rectius: crescenti) poteri alla BCE nei confronti di tutti i soggetti appartenenti al sistema finanziario e, dunque, anche delle banche non significative. In tale contesto, è evidente come imporre una accelerazione del processo dimissionario del Governatore della Banca d’Italia (mediante il ricorso ad una mozione parlamentare) significa infliggere una ferita all’autonomia ed indipendenza di detta istituzione, con ovvie inevitabili ripercussioni sulla credibilità del ‘sistema Italia’ all’interno dell’Unione Europea.
Ed ancora. Qualora si fosse dato spazio alla tesi che proponeva una nuova modifica delle modalità di nomina del Governatore della Banca d’Italia – demandandolo, come è stato suggerito da taluni politici, al Parlamento – si sarebbe determinata, sul piano delle concretezze, una trasformazione del vertice della Banca d’Italia da «organo tecnico» ad «organo politico»; evenienza dalle inevitabili conseguenze negative per quanto concerne la natura delle valutazioni che giustificano l’assunzione di provvedimenti in materia di politica creditizia.
In tale scenario, ancora più negativa appare la soluzione da taluni rappresentata di far ricorso alla Magistratura, auspicando un intervento chiarificatore di quest’ultima; ciò in quanto – com’è ovvio – la attivazione di un intervento siffatto potrebbe aversi solo ipotizzando un qualche reato o, comunque, carenze nell’azione di vigilanza (da parte del Governatore in carica) sanzionabili a livello penale. Diversamente, si sarebbe in presenza di una ingiustificata supplenza del Giudice che verrebbe chiamato a svolgere una funzione diversa da quella istituzionalmente sua propria.
E’ evidente, pertanto, come la vicenda, definita dai mass media “Viscoexit”, segni un arretramento della politica, le cui finalità dovrebbero compendiarsi nella ricerca della formula ottimale per l’esercizio del potere; ricerca che deve essere correlata alla dialettica pluralistica su cui si fonda la convivenza democratica. Per converso, gli eventi dei giorni scorsi ci danno la visione di una politica che tende vieppiù a scadere nelle logiche tipiche dei movimenti populisti; da qui l’assunzione di posizioni mirate a conquistare l’empatia (… ed i voti) di un elettorato che – mosso dall’indignazione – può essere facilmente catturato da argomenti che appaiono in linea con le aspettative di cambiamento (rectius: di rottamazione) cui il populismo è orientato.