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Attualità

La confisca europea: un efficace strumento contro la criminalità economica

10 Marzo 2021

Carlo Tremolada e Giacomo Dell’Orto, Studio legale Arata e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il 19 dicembre 2020 è entrato in vigore su tutto il territorio dell’Unione Europea il Regolamento (UE) 2018/1805 avente ad oggetto il reciproco riconoscimento tra gli Stati membri dei provvedimenti di sequestro e di confisca dei beni frutto di attività illecita emessi dalle rispettive Autorità giudiziarie. Al varo del Regolamento ha fatto seguito in ambito nazionale la circolare del Ministero della Giustizia del 18 febbraio 2021 recante le indicazioni operative necessarie a dare concreta applicazione in Italia al provvedimento europeo. Un provvedimento, quello della confisca europea, destinato a rappresentare un efficace strumento volto – scrive la Commissione europea – a “congelare i beni derivanti da attività criminose ed in tal modo a prevenire e combattere la criminalità, fornire fondi aggiuntivi da investire in attività di contrasto o in altre iniziative di prevenzione e a risarcire le vittime”.

Ci si muove ovviamente nel quadro di un articolato normativo ancora inesplorato quanto al suo concreto funzionamento ed alle sue reali implicazioni nel contrasto verso l’accumulazione di patrimoni illeciti nel territorio dell’Unione europea, ma già un primo e veloce approccio al Regolamento (UE) 2018/1805 consente di apprezzarne la novità almeno sotto due profili: 1) in primo luogo esso è immediatamente applicabile a tutti gli Stati membri senza che vi sia la necessità che ciascuno di essi provveda alla ratifica del Regolamento; ciò significa che, anche in assenza di una legge nazionale che ne recepisca i principi ed armonizzi le proprie regole processuali in materia penale con quelle degli altri Stati dell’Unione, ciascun Paese sarà tenuto a riconoscere e ad eseguire il provvedimento ablatorio (il sequestro o la confisca dei beni che rappresentano il profitto di un reato) emesso dallo Stato richiedente; 2) il novero dei reati che legittimano il ricorso da parte dell’autorità giudiziaria dei singoli Paesi dell’Unione ai meccanismi del Regolamento è assai ampio ed abbraccia buona parte delle fattispecie caratterizzanti la c.d. “criminalità economica”. Sul piano operativo dunque il Regolamento introduce un efficace e veloce strumento di ablazione a livello internazionale non più solo dei patrimoni collegati alla criminalità organizzata, ma anche dei profitti derivanti dall’attività delittuosa di singoli o di gruppi nei più svariati settori dell’economia.

Non è difficile intuire come la scelta di politica criminale che sta a monte del Regolamento europeo sia quella di superare le incongruenze e gli intoppi nella concreta attuazione dei precedenti tentativi di cooperazione giudiziaria transnazionale derivanti dal frequente disallineamento tra le normative ed i modelli processuali vigenti nei diversi Stati dell’Unione, dando così piena attuazione all’art. 82, par. 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea è fondata sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e decisioni giudiziarie”).

Venendo al merito della novella normativa, va detto che il legislatore comunitario individua con grande chiarezza oggetto ed ambito di applicazione del Regolamento (UE) 2018/1805, anche in considerazione dell’elevata pervasività degli strumenti cautelari qui in esame nella sfera dei diritti dei singoli cittadini e delle imprese. Oggetto di reciproco riconoscimento da parte degli Stati dell’Unione alla stregua del Regolamento sono i provvedimenti di congelamento (la definizione che l’art. 2 offre di tale misura cautelare reale parrebbe assimilarla alla figura del nostro “sequestro preventivo finalizzato alla confisca” di cui all’art. 321, co. II c.p.p.) ed i provvedimenti di confisca (come nell’Ordinamento nostrano anche per il Regolamento la confisca si identifica con la misura ablatoria definitiva ed assume carattere marcatamente sanzionatorio) emessi dall’Autorità giudiziaria di uno dei Paesi membri nell’ambito di un procedimento in materia penale a carico di persone fisiche e/o persone giuridiche avente ad oggetto uno o più dei reati previsti nell’ampio catalogo descritto all’art. 3 del Regolamento. Nel lungo elenco delle fattispecie delittuose che legittimano il ricorso alla procedura del Regolamento per l’esecuzione della misura ablatoria in uno Stato estero, spiccano le figure di reato tipiche della c.d. “criminalità economica”: corruzione, frode e altri reati che ledano gli interessi finanziari dell’Unione, riciclaggio, criminalità ambientale, traffico illecito di beni culturali e truffa. Ove il provvedimento di sequestro o di confisca emesso dall’Autorità giudiziaria di uno Stato membro riguardi il profitto derivante da uno o più di tali reati, esso potrà essere eseguito in qualunque altro Stato dell’Unione, anche se i fatti che stanno alla base del procedimento promosso dallo Stato richiedente non sono preveduti come reato dall’Ordinamento dello Stato che deve dare esecuzione alla misura ablatoria. Di più: in forza dell’art. 23 del Regolamento gli Stati membri sono chiamati ad eseguire provvedimenti di sequestro o di confisca sui beni delle società che abbiano beneficiato dei proventi di uno dei reati indicati, anche se “lo Stato di esecuzione non riconosce il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche” (vale a dire: non disponga di una legislazione interna analoga e/o assimilabile al decreto legislativo n. 231/2001).

Sotto il profilo squisitamente procedurale il Regolamento dispone che l’Autorità di emissione (ossia il Pubblico Ministero o il Giudice che dispongono il sequestro o la confisca) deve trasmettere il proprio provvedimento all’autorità di esecuzione (ossia l’Autorità Giudiziaria competente ad assolvere gli obblighi di cooperazione) presso lo Stato ove si trova il bene oggetto del provvedimento; tale operazione viene svolta con la compilazione e la traduzione di un certificato; a seguito della trasmissione del certificato l’autorità di esecuzione dispone di un termine di 45 giorni (che può però essere drasticamente ridotto a 48 ore nei casi di maggiore urgenza) per l’esecuzione degli ordini di congelamento, esecuzione che avverrà secondo le regole vigenti un’autorità dello Stato di esecuzione. Il carattere obbligatorio della procedura di riconoscimento dei provvedimenti di sequestro o di confisca tra gli Stati membri dell’Unione può subire due importanti eccezioni: laddove l’esecuzione della misura cautelare richiesta da uno Stato membro possa pregiudicare un’indagine penale in corso nello Stato di esecuzione, questo può disporre per il tempo ritenuto necessario il rinvio dell’apprensione del bene oggetto della richiesta a lui rivolta. L’esecuzione del sequestro o della confisca può – in ipotesi tassativamente previste dal legislatore europeo – addirittura essere rifiutata da parte dello Stato di esecuzione, come – a titolo esemplificativo – nel caso in cui il destinatario del provvedimento sia già stato giudicato per i fatti che stanno alla base della richiesta di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento stesso. In tal caso infatti la richiesta dello Stato emittente violerebbe il principio del ne bis in idem, ampiamente riconosciuto anche a livello europeo.

Alcune considerazioni conclusive meritano di essere svolte dopo avere sommariamente tratteggiato gli snodi essenziali della nuova disciplina europea nella lotta contro l’accumulazione dei patrimoni illeciti. La confisca europea documenta – invero – come il legislatore comunitario abbia finalmente preso consapevolezza di un dato oramai evidente: la criminalità del profitto tende ad assumere caratteri marcatamente transnazionali, alterando le regole dell’intero mercato comunitario, e non è più relegabile ad un fenomeno proprio di quei Paesi in cui si ritiene che la cultura della legalità abbia meno presa sul tessuto sociale. La pervasività transnazionale della criminalità d’impresa richiede risposte altrettanto vaste, rapide e – soprattutto – condivise tra gli Stati di un’Unione Europea che – a dispetto delle apparenze – paiono talvolta riscoprire il valore e l’efficacia di un cammino comune. Il Regolamento (UE) 2018/1805 rappresenta certamente una tappa importante verso questa prospettiva ideale.

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