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Attualità

La consultazione MEF sull’accesso ai fondi riservati: un possibile volano ai nuovi PIR ‘alternativi’

19 Giugno 2020

Filippo Berneri, Mariagrazia De Luca e Paolo Roberto Amendola, Annunziata & Conso

Di cosa si parla in questo articolo
MEF

Introduzione

In data 5 giugno 2020 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha avviato una pubblica consultazione che si propone di effettuare un intervento di revisione delle soglie di ingresso nei c.d. FIA riservati, per consentire l’accesso a queste forme di investimento alternativo ad una platea di clientela retail più ampia (trattasi, come evidente, di una clientela diversa dai clienti professionali ‘di diritto’ o ‘su richiesta’), con patrimoni di medie/grandi dimensioni, disponibile ad investire nel medio/lungo periodo in asset illiquidi e in società non quotate, allo scopo di diversificare il proprio portafoglio finanziario, conseguire un rendimento apprezzabile, finanziare le imprese italiane e con esse la ripresa economica del Paese[1]. La citata consultazione si chiuderà in data 3 luglio 2020, data entro la quale dovranno pertanto pervenire eventuali commenti e/o i contributi dei soggetti interessati.

1. Il contenuto della consultazione

La proposta di modifica riguarda l’art. 14 del D.M. 30/2015, recante il Regolamento attuativo dell’art. 39 del d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 (“TUF”), concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (“OICR”) italiani. Il menzionato art. 14 si riferisce ai c.d. FIA riservati e, nella sua versione attualmente in vigore, definisce come destinatarie dell’offerta le seguenti categorie di investitori: (i) investitori professionali; (ii) investitori non professionali che investono, direttamente o tramite la gestione di portafogli, un importo complessivo, non frazionabile, non inferiore ad euro 500.000; e (iii) componenti del Consiglio di Amministrazione e dipendenti del gestore, a prescindere dall’importo investito.

La prospettata revisione oggetto della consultazione riguarda una riformulazione del citato art. 14, prevedendo la possibilità di partecipare ai c.d. FIA riservati anche per altre categorie di soggetti. Alle menzionate categorie degli investitori non professionali che effettuino un investimento minimo iniziale non inferiore ad euro 500.000, nonché a quella dei componenti del Consiglio di Amministrazione e dei dipendenti del gestore, ai quali non si applica alcuna soglia di ingresso, si andrebbero ad aggiungere i seguenti soggetti: (i) investitori non professionali con investimento minimo iniziale non inferiore ad euro 100.000 (non frazionabile), purché (a) tale importo iniziale non superi, al momento della sottoscrizione o dell’acquisto, un limite di concentrazione pari al 10% del portafoglio finanziario dell’investitore[2], e (b) l’investimento sia effettuato nell’ambito della prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti; nonché (ii) soggetti abilitati che sottoscrivono ovvero acquistano quote o azioni del FIA per un importo iniziale non inferiore ad euro 100.000 nell’ambito della prestazione del servizio di gestione di portafoglio, per conto di investitori non professionali.

Tale possibile estensione, da tempo auspicata dal mercato finanziario – anche al fine di allineare le soglie di investimento relative ai c.d. “investitori qualificati” a quelle previste nella maggior parte degli altri paesi europei (a titolo esemplificativo, Lussemburgo, Irlanda e Malta) – dovrebbe quindi consentire ad una platea più ampia di soggetti di poter accedere ad una gamma di prodotti da sempre contraddistinti da una maggior sofisticazione e che, nel tempo, hanno riscontrato un sempre crescente interesse, principalmente in termini di raccolta, e ciò alla luce della maggiore flessibilità ad essi concessa nel “veicolare” gli investimenti nella c.d. economia reale, certamente bisognosa, mai come oggi, di nuovi capitali. Tale ultima esigenza è stata peraltro evidenziata anche nell’ambito dell’Incontro annuale con il mercato finanziario tenutosi a Roma in data 16 giugno 2020, nel corso del quale è stata in particolare sottolineata l’assoluta necessità di introdurre norme che forniscano incentivi all’afflusso dell’ingente risparmio italiano verso le PMI[3].

In tale contesto, inoltre, risulta pienamente condivisibile la scelta ipotizzata nella versione dell’art. 14 del D.M. proposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di accompagnare la sottoscrizione di tali prodotti – che comunque presentano profili di rischio potenzialmente più accentuati – alla contemporanea “ricezione” di servizi di investimento (quale la consulenza o la gestione di portafogli) contraddistinti da una elevata attenzione alla tutela della clientela e da rigorose regole di adeguatezza. Coerentemente con tale impostazione, la proposta di modifica del Ministero dell’Economia e delle Finanze precisa che i fondi riservati potranno altresì essere sottoscritti nell’ambito del servizio di gestione di portafogli, anche ove il cliente titolare del portafoglio gestito sia un cliente non professionale, ciò a condizione che l’importo iniziale dell’investimento nel fondo riservato sia di almeno euro 100.000. Si tratta di una precisazione che, laddove confermata nella versione definitiva del decreto, dimostra la correttezza dell’approccio del c.d. look-through, in base al quale, ai fini dell’ammissibilità dei prodotti di tale tipologia, assume rilevanza non tanto la qualifica del gestore patrimoniale, quanto quella del cliente gestito suo mandante.

Tale condivisibile impostazione necessiterebbe comunque, a parere di scrive, di un maggiore allineamento con quanto previsto dalla Consob nell’ambito della comunicazione n. 0097996 del 22 dicembre 2014, relativa ai c.d. prodotti complessi. In tale comunicazione, infatti, viene precisato che le cautele ivi richiamate nell’ambito dell’attività di distribuzione di prodotti complessi alla clientela retail – tra cui rientrano anche i c.d. FIA riservati – non si applicherebbero nel caso di investimenti effettuati tramite il servizio di gestione di portafogli[4].

2. Il legame con i PIR ‘alternativi’ previsti dal c.d. Decreto Rilancio

Nel frattempo, in data 19 maggio 2020, è entrato in vigore il D.L. n. 34, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” – il c.d. Decreto Rilancio -, provvedimento conclusivo, oltreché principale, del percorso di ripresa (non solo economica) azionato dal governo a seguito dell’emergenza sanitaria da COVID-19. Tale decreto, orbene, ha inciso, inter alia, sul regime dei PIR, i piani di risparmio a lungo termine, prevedendo una nuova categoria di PIR c.d. ‘alternativi’, i quali si affiancano ai PIR tradizionali, così come da ultimo modificati (c.d. “PIR 2.0”, evoluzione dei PIR tradizionali a seguito delle nuove regole di investimento proposte nell’ambito delle misure attuative delle norme contenute nella l. 30 dicembre 2018, n. 145, la Legge di Bilancio 2019).

Prima delle novità introdotte dal Decreto Rilancio, quindi, il regime agevolativo dei PIR riguardava le persone fisiche che non possedevano, nello stesso momento, più di un piano di risparmio, della tipologia PIR 2.0. Già nei primi mesi del 2020, tuttavia, nel corso della fase più acuta dell’emergenza sanitaria da COVID-19, era emersa l’esigenza di affiancare ai PIR tradizionali un prodotto alternativo e complementare, volto a favorire la crescita delle PMI radicate nel territorio, sia attraverso l’investimento in strumenti finanziari non quotati, sia tramite la concessione di prestiti e l’acquisizione di crediti[5]. Favorire la trasmissione del risparmio nell’economia reale, in particolare, è ormai da tempo la missione del risparmio gestito, settore strategico per l’economia del paese, oltreché strumento di potenziamento del motore economico nazionale. In tale contesto, quindi, nonostante l’evidente successo dei PIR tradizionali, soprattutto nell’ambito dei portafogli liquidi, tipicamente appannaggio della clientela retail – ove si è raggiunto l’obiettivo di contenimento del rischio insito negli investimenti in PMI quotate e di taratura del rischio stesso ad un livello adeguato alle esigenze dei risparmiatori persone fisiche -, è risultato comunque necessario il compimento di un ulteriore passo in avanti. In particolare, è emersa l’esigenza di creare portafogli maggiormente vincolati ai segmenti di mercato meno liquidi, ma proprio per questo ancora più vicini alle imprese di minori dimensioni. Pur potendo comunque investire in asset illiquidi, infatti, i PIR tradizionali non risultavano essere del tutto adatti a tale scopo, ciò, da un lato, a causa del vincolo di investimento di euro 30.000 all’anno e, dall’altro, a causa del limite di concentrazione al 10%, entrambe limitazioni necessarie per costruire portafogli pienamente liquidi.

Tutte queste istanze di maggiore adattabilità dei PIR a segmenti di mercato meno liquidi hanno condotto alla creazione del c.d. PIR ‘alternativi’, disciplinati dall’art. 136 del Decreto Rilancio. Ai sensi di tale disposizione, infatti, per i PIR che, per almeno i due terzi dell’anno solare di durata del piano, investano almeno il 70% del valore complessivo, direttamente o indirettamente, in strumenti finanziari, anche nonnegoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 73 del d.p.r. n. 917 del 22 dicembre 1986 (“TUIR”) o in Stati UE o SEE con stabile organizzazione in Italia, diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati, in prestiti erogati alle predette imprese, nonché in crediti delle medesime imprese, il vincolo di concentrazione previsto dall’art. 1 co. 103 della l. 232/2016 è elevato dal 10% al 20%[6].

L’art. 136 del Decreto Rilancio, inoltre, ha previsto, quale nuova misura agevolativa, che i sottoscrittori persone fisiche possono, attraverso la sottoscrizione dei PIR ‘alternativi’, destinare somme o valori per un importo non superiore ad euro 150.000 annui (rispetto al limite di euro 30.000 annui previsti per i PIR tradizionali) e a complessivi euro 1,5 milioni (rispetto al limite complessivo di euro 150.000 previsto per i PIR tradizionali). Gli investimenti qualificati di tale nuova tipologia di PIR ‘alternativi’ possono essere effettuati, oltre che tramite OICR aperti e contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, anche tramite FIA, tra i quali, a mero titolo esemplificativo, la Relazione Illustrativa al Decreto Rilancio richiama: ELTIF, fondi di private equity, fondi di private debt e fondi di credito.

In proposito, bisogna nuovamente evidenziare che, in assenza della citata riduzione dell’investimento minimo proposta nella versione dell’art. 14 del D.M. 30/2015 in consultazione – e, ovviamente, in assenza della sua approvazione definitiva -, i fondi riservati restano e continuerebbero a restare esclusi dal catalogo OICR attraverso i quali è possibile effettuare gli investimenti in questi nuovi PIR ‘alternativi’.

Si tratta, quindi, di una nuova tipologia di PIR che si affianca a quella ordinaria, superando il precedente limite di unicità del PIR: secondo quanto chiarito dalla Relazione Illustrativa al D.L. 34/2020, infatti, l’unicità del PIR deve essere intesa nel senso che ciascun contribuente può costituire un PIR tradizionale ed un PIR ‘alternativo’, ciò a dimostrazione della complementarietà dei due strumenti di investimento.

3. Il regime fiscale dei PIR ‘alternativi’

Il regime fiscale dei PIR ‘alternativi’ rispecchia, con l’unico limite dell’ammontare dell’investimento annuo e complessivo[7], quello dei PIR tradizionali, superando di fatto il limite alla detenzione, al di fuori dell’attività d’impresa, da parte delle persone fisiche residenti in Italia di un solo PIR. I benefici fiscali derivanti dall’investimento in PIR consistono nel fatto che i redditi finanziari rinvenienti dall’investimento (siano essi redditi di capitale o diversi) non scontano alcuna tassazione e che, in caso di trasferimento a causa di morte del PIR, gli strumenti finanziari che compongono il piano sono esclusi dall’imposta sulle successioni. Resta fermo che, per godere delle agevolazioni fiscali descritte, è necessario che il PIR sia detenuto per almeno 5 anni tramite l’apertura di un rapporto di custodia o amministrazione o di gestione di portafogli o altro stabile rapporto con esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime del risparmio amministrato (art. 6 del d.lgs. 461/97) o di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione attraverso: (i) intermediari abilitati o imprese di assicurazione residenti; ovvero (ii) non residenti operanti nel territorio dello Stato tramite stabile organizzazione o in regime di libera prestazione di servizi con nomina di un rappresentante fiscale in Italia scelto tra i predetti soggetti. Va precisato, peraltro, che il conferimento di valori nel PIR si considera cessione a titolo oneroso e l’intermediario applica l’imposta sostitutiva ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 461/97.

Al fine di individuare l’holding period, infine, occorre fare riferimento alla data puntuale di acquisto (o sottoscrizione) dello strumento finanziario oggetto di investimento e quella di cessione o rimborso. In particolare, l’acquisto degli strumenti si considera effettuato nel momento in cui le relative somme sono effettivamente versate. In caso di cessione degli strumenti finanziari oggetto di investimento prima dei cinque anni, i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo minimo di investimento del piano sono soggetti a imposizione secondo le regole ordinarie, unitamente agli interessi, senza applicazione di sanzioni.

4. Conclusione

Alla luce di tutto quanto sopra, pare possibile ritenere che le proposte di modifica delle soglie di ingresso ai c.d. FIA riservati ben si coordinano con la nuova disciplina dei PIR ‘alternativi’ introdotta dal c.d. Decreto Rilancio, consentendo di estendere la gamma degli OICR considerati ammissibili al fine di beneficiare delle agevolazioni fiscali di questi nuovi PIR.

Tali strumenti, a loro volta, rivolgendosi ad una clientela maggiormente patrimonializzata e riferendosi ad investimenti illiquidi, in quanto tali caratterizzati da lunghi tempi di investimento e da alti livelli di rischio, traggono notevoli benefici dai relativi incentivi fiscali, mostrandosi senz’altro idonei ad incoraggiare l’afflusso di risorse da parte di una tipologia di clientela che può sopportare una soglia di investibilità molto più elevata in strumenti rischiosi e complessi, nonché una maggiore capacità di detenzione dei titoli nel lungo e lunghissimo termine.

 


[1] Il Documento di consultazione è disponibile al seguente link: http://www.dt.mef.gov.it/
modules/documenti_it/regolamentazione_bancaria_finanziaria/consultazioni_pubbliche/Proposta_MEF_su_FIA_riservati_04_06.pdf.

[2] Ai sensi dell’art. 2-bis del riformando art. 14 del D.M. 30/2015, così come formulato nel Documento di consultazione, “Per portafoglio finanziario deve intendersi il valore complessivo del portafoglio relativo a strumenti finanziari, inclusi i depositi bancari, e prodotti di investimento assicurativi, disponibile presso il medesimo intermediario o gestore”.

[3] La trascrizione dei contenuti dell’Incontro annuale con il mercato finanziario è disponibile al seguente link: http://www.consob.it/documents/46180/46181/dsc2020.pdf/20ceafb6-ddb1-45f0-9063-6a9c605a590b.

[4] In particolare, la nota 12 della citata comunicazione precisa che “[…] per le finalità proprie di questa Comunicazione, si ritiene opportuno chiarire che i servizi di gestione (individuale o collettiva) mitigano la necessità di comprensione da parte del cliente di tutte le caratteristiche dei singoli prodotti inseriti nei portafogli gestiti (sul punto cfr. anche gli “Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della direttiva MiFID” dell’ESMA, punto n. 35 lett. b)). In tali casi, le scelte di investimento sono effettuate, per conto del cliente, da un intermediario dotato di competenze specifiche e chiamato ad assicurare una compiuta valutazione nel continuo, nell’interesse del cliente medesimo, della conformità degli investimenti al “mandato” ricevuto. Peraltro, nell’ambito delle gestioni individuali, i clienti potranno essere opportunamente informati, secondo le modalità ritenute più efficienti, dell’eventuale investimento in titoli della specie”.

[5] Si vedano in proposito, le considerazioni di Assogestioni riportate nell’articolo disponibile al seguente link: https://www.focusrisparmio.com/news/assogestioni-proposta-pir-alternativi-tutto-quello-sapere-galli-rimettiamo-paese-binario-crescita-pmi-economia-reale-fondi-investimenti-illiquidi.

[6] Inoltre, viene stabilito che i vincoli di investimento previsti per l’applicazione del regime fiscale agevolato: (i) devono essere raggiunti entro la data specificata nel regolamento o nei documenti costitutivi dell’OICR; (ii) cessano di essere applicati quando l’organismo di investimento inizia a vendere le attività, in modo da rimborsare le quote o le azioni degli investitori; (iii) sono temporaneamente sospesi quando l’organismo di investimento raccoglie capitale aggiuntivo o riduce il suo capitale esistente, purché tale sospensione non sia superiore a 12 mesi.

[7] Come anticipato, l’art. 136 del Decreto Rilancio, ha previsto, per quanto riguarda i PIR ‘alternativi’, che i sottoscrittori persone fisiche possono destinare somme o valori per un importo non superiore ad euro 150.000 annui (rispetto al limite di euro 30.000 annui previsti per i PIR tradizionali) e a complessivi euro 1,5 milioni (rispetto al limite complessivo di euro 150.000 previsto per i PIR tradizionali).

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