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Giurisprudenza

La “contabilità parallela” legittima l’accertamento analitico-induttivo

20 Dicembre 2016

Federico Pachioli, Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti

Cassazione Civile, Sez. VI, 30 agosto 2016, n. 17420

Con la sentenza in rassegna i giudici di Piazza Cavour tornano a pronunciarsi sul tema della valenza probatoria dei dati extra-contabili rinvenuti presso un soggetto terzo rispetto al contribuente.

Nella specie, l’Amministrazione finanziaria, rinvenendo presso un fornitore alcuni files informatici contenenti dati relativi ad operazioni commerciali che non hanno trovato riscontro nella contabilità aziendale del contribuente, provvede a rettificare il reddito imponibile dello stesso ai sensi e per gli effetti dell’art. 39, co. 1, lett. d), D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.

La Suprema Corte cassa la sentenza del giudice di seconde cure, il quale ha ritenuto non gravi né precise e concordanti le presunzioni poste a base dell’atto impositivo e concernenti la ricostruzione induttiva del reddito d’impresa per il tramite della documentazione informatica in parola.

Gli Ermellini ribaltano la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, di riforma rispetto a quella di primo grado, consolidando di fatto alcuni suoi precedenti[1].

La Corte afferma in primis che “[…] le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza ai fini della formazione del proprio convincimento […]”, quindi, ribadisce come “[…] la “la contabilità in nero”, costituita da documenti informatici (files), costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, legittimamente valutabile in relazione all’esistenza delle operazioni non contabilizzate […]”.

Per di più, è interessante notare come la Suprema Corte abbia asserito che la “contabilità in nero”, testimoniata dal rinvenimento di documenti, brogliacci, block notes e per l’appunto files informatici, possa essere di per sé sufficiente a legittimare il riscorso da parte dell’Ufficio all’accertamento induttivo-extracontabile di cui all’art. 39, co. 2, D.pr. n. 600/.

In altre parole, il riscontro di una “contabilità parallela”, attraverso l’accesso presso i locali dell’impresa piuttosto che quelli dei propri clienti e/o fornitori, può sancire l’inattendibilità della contabilità aziendale del contribuente; presupposto, quest’ultimo, esiziale perché l’Amministrazione finanziaria possa di (ri)determinare il reddito d’impresa prescindendo “in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili”.

A conclusione delle motivazioni della Sentenza de qua, i Giudici sembrano però introdurre un elemento garantista rispetto a quanto già statuito. Questi ultimi, difatti, riconoscono alle presunzioni semplici, rappresentate dai dati e documenti che integrano la cosiddetta “contabilità parallela”, una valenza probatoria piena nella circostanza che venga assicurato l’indispensabile raffronto degli stessi dati e notizie raccolti in sede istruttoria con le risultanze delle scritture contabili del contribuente.

 


[1] Ex multis Cass. sez. V, sent. nn. 25610/2006, 19598/2006, 3303/2009, 24051/2011, 8289/2013 e 20902/2014.


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