Con la Risposta n. 370 del 24 maggio 2021 l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in relazione ai profili fiscali concernenti la “conversione” di una società per azioni di diritto comune in una “società di investimento a capitale fisso” (“SICAF”), vale a dire l’organismo di investimento collettivo del risparmio (“OICR”), avente forma societaria, introdotto nell’ordinamento nazionale dal D.Lgs. n. 44/2014, recante il recepimento della Direttiva AIFM[1].
A tale riguardo si ricorda che, come sottolineato anche dalla società istante nella narrativa riportata nel testo della risposta, il predetto D.Lgs. n. 44/2014 – nonché la Circolare n. 21/E del 10 luglio 2014 – in relazione ai profili fiscali concernenti tale tipologia di OICR si era “limitato” a disciplinare il trattamento tributario applicabile “a regime” in capo alla SICAF – estendendo sostanzialmente a tale soggetto la disciplina tipica degli OICR di diritto italiano mobiliari ed immobiliari – ma nulla aveva previsto in relazione alle conseguenze fiscali che sarebbero derivate in capo alle società di diritto comune che avessero deciso – ovvero, in alcuni casi, dovuto – continuare a svolgere la loro attività nell’ambito della gestione collettiva del risparmio disciplinata dal TUF.
Tale vuoto normativo è stato colmato dalla Risposta n. 370/2021 che – pur non risolvendo tutte le questioni aperte concernenti tale “conversione” – ha il pregio di rendere gli operatori del settore edotti in merito alle principali conseguenze fiscali che si verificano in capo ai veicoli che perdono lo status di entità di diritto comune per acquisire quella di OICR, a prescindere da quale sia l’oggetto del loro investimento (strumenti finanziari, beni e diritti immobiliari, crediti o altri beni)[2].
Più in particolare, il caso affrontato nella Risposta n. 370/2021 riguarda una società per azioni italiana operante nel settore immobiliare che possedeva – col fine di locarli a terzi – beni immobili situati in Italia, che ha richiesto ed ottenuto dalla Banca d’Italia l’autorizzazione ad operare quale SICAF “eterogestita”, ossia designando quale gestore esterno un soggetto lussemburghese autorizzato dalle competenti autorità regolamentari italiane e del Lussemburgo e adeguando le disposizioni del proprio statuto ai requisiti civilistico-regolamentari previsti per tale tipologia di OICR.
Stante quanto sopra, considerato sia che l’acquisto dello status di SICAF da parte di un’entità societaria, successivamente alla sua costituzione, rappresenta una mera modifica statutaria, posto che quest’ultima conserva la propria forma giuridica di società per azioni – pur modificando la propria funzione da ente lucrativo-commerciale a OICR – sia che la “conversione” in SICAF non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di trasformazione disciplinate dalla Sezione I, Capo X, Titolo V, del Libro V del Codice Civile, la società istante ha sostenuto che tale “conversione” possa essere considerata ininfluente ai fini IVA – nonché soggetta ad imposizione in misura fissa per ciò che concerne le imposte di registro, ipotecaria e catastale – ma non possa essere, in ogni caso, considerata irrilevante in relazione alla fiscalità diretta. Ciò in quanto, quest’ultima comporta:
- sia la perdita della qualifica di “ente commerciale” della società che “si converte”, che diviene, invece, un soggetto riconducibile nel novero degli “enti non commerciali” di cui all’art. 73, comma 1, lett. c), del TUIR[3];
- sia l’assoggettamento di tale società ad un sostanziale regime di esenzione IRES e IRAP, in luogo del generale regime di imponibilità a cui sono ordinariamente sottoposte le società di capitali residenti in Italia di cui all’art. 73, comma 1, lett. a), del medesimo Testo Unico[4].
Il regime fiscale della “conversione” in SICAF ai fini delle imposte dirette
Tutto ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate – nel concordare sostanzialmente con la soluzione proposta dalla società istante – ha innanzitutto sostenuto che, poiché il soggetto “convertendo” e il soggetto “convertito”, pur essendo entrambi società per azioni, svolgono attività il cui regime tributario è differente, considerata l’assenza di una disciplina sia civilistico-regolamentare sia fiscale che regoli la “conversione” in esame, nel caso specifico possano trovare applicazione, in via analogica, le disposizioni in materia di trasformazione c.d. eterogenea contenute nell’art. 171, comma 1, del TUIR. Ciò in quanto, la “conversione” in SICAF determina la definitiva fuoriuscita dei beni dal regime di impresa e il loro passaggio nell’ambito di un’attività esente, vale a dire – ai fini della fiscalità diretta – la loro destinazione ad una finalità estranea all’esercizio di un’impresa commerciale[5].
Più in particolare, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che, ai fini IRES, la società che “si converte” debba determinare il reddito del periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui si producono gli effetti giuridici della conversione in SICAF in base alle risultanze di bilancio e predisporre un’apposita dichiarazione dei redditi[6] e che il reddito relativo a tale periodo debba essere determinato tenendo conto anche del realizzo a valore normale, ai sensi dell’art. 9 del TUIR, di tutti i beni che costituiscono il patrimonio di tale società al momento dell’efficacia giuridica della “conversione”.
Conseguentemente, secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate, se dal confronto tra il valore normale dei beni e il loro costo (non ammortizzato) fiscalmente riconosciuto emerge un differenziale:
- positivo, quest’ultimo rappresenta una plusvalenza tassabile e la tassazione di tale componente reddituale, a giudizio di chi scrive, dovrebbe avvenire in funzione delle caratteristiche del bene “fuoriuscito” dal regime d’impresa, trovando applicazione le disposizioni di cui all’art. 87 del TUIR per le partecipazioni in possesso dei requisiti per la c.d. participation exemption[7] e l’art. 86, comma 1, lett. c), del medesimo Testo Unico in relazione agli altri beni patrimoniali[8]; diversamente, se
- negativo, quest’ultimo rappresenta una minusvalenza indeducibile, in quanto l’art. 101 del TUIR non ammette la deducibilità delle minusvalenze realizzate sia in relazione alle partecipazioni in possesso dei requisiti per la c.d. participation exemption sia in dipendenza di eventi che determinano la fuoriuscita degli altri beni patrimoniali dal regime d’impresa[9].
Sempre in relazione alla determinazione del reddito del periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui si producono gli effetti giuridici della “conversione” in SICAF, l’Amministrazione finanziaria ha altresì precisato che, stante la definitiva transizione ad un regime fiscale di esenzione, le eventuali perdite fiscali conseguite anteriormente al perfezionamento della “conversione” in SICAF possono essere integralmente utilizzate per ridurre il reddito imponibile di tale ultimo periodo, in deroga al limite dell’80% previsto dall’art. 84, comma 1, del TUIR, analogamente a quanto previsto dall’art. 166, comma 6, del medesimo Testo Unico, in tema di c.d. exit tax. Tuttavia, eventuali perdite eccedenti tale utilizzo non potranno essere successivamente utilizzate né dalla SICAF né dai suoi soci.
Parimenti, in epoca successiva alla “conversione” in SICAF resta precluso il diritto al riporto delle eventuali eccedenze di interessi passivi di cui all’art. 96 del TUIR e di deduzioni ACE – di cui all’art. 1 del D.L. n. 201/2011 – che dovessero risultare dalla dichiarazione dell’ultimo periodo antecedente l’avvenuto ottenimento dello status di SICAF e, a giudizio di chi scrive, non utilizzate per ridurre il reddito imponibile dell’ultimo periodo.
L’applicazione in via analogica delle disposizioni contenute nell’art. 171, comma 1, del TUIR si estende, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, anche in relazione al trattamento fiscale applicabile alle riserve di utili eventualmente esistenti nel patrimonio netto della società che “si converte” nel bilancio relativo all’esercizio anteriore alla data di efficacia giuridica della “conversione”[10].
Più in particolare, gli utili in parola saranno assoggettati a tassazione in capo ai soci della SICAF secondo il regime applicabile alle distribuzioni di utili da parte di società ed enti soggetti passivi IRES proprio del soggetto percettore, ossia il loro trattamento fiscale non muta a seguito della “conversione” della società da soggetto di diritto comune ad OICR[11]. La tassazione delle riserve di utili in esame avviene:
- nel periodo d’imposta in cui sono distribuite o utilizzate per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio, se dopo la “conversione” sono iscritte nel bilancio della SICAF[12] con indicazione della loro origine[13]; ovvero
- nel periodo successivo alla “conversione”, se non iscritte in bilancio, oppure iscritte senza indicazione della loro origine.
Sempre in relazione al regime fiscale applicabile alle riserve di utili prodotti anteriormente alla “conversione” in SICAF è da rilevare che la Risposta n. 370/2021 nulla specifica in merito:
- all’eventualità e alle modalità con cui in relazione a tali riserve possa trovare applicazione la presunzione di prioritaria distribuzione degli utili prevista dall’art. 47, comma 1, del TUIR, avuto presente che una regola di analogo tenore non è più prevista in relazione alle distribuzioni di proventi da parte degli OICR[14], relativamente alle quali valgono le indicazioni provenienti dall’organismo sulla base delle previsioni regolamentari, come sostenuto anche dall’Amministrazione finanziaria in più occasioni[15]; e
- all’eventualità che, in presenza sia di riserve di utili prodotti nell’ambito dell’attività esente di gestione collettiva del risparmio sia di riserve di utili prodotti precedentemente nell’esercizio d’impresa, queste ultime debbano considerarsi prioritariamente distribuite o utilizzate (salvo diversa volontà assembleare) – analogamente a quanto previsto dall’art. 11, commi 2 e 3, del D.M. n. 174/2007[16] in relazione alla disciplina delle SIIQ di cui all’art. 1, commi 119-141-bis, della Legge n. 296/2006 – ovvero se il loro utilizzo sia del tutto libero[17].
Da ultimo, per quanto concerne l’IRAP, l’Agenzia delle Entrate si è limitata sostanzialmente a precisare che la società che si “converte” in SICAF è tenuta a determinare la propria base imponibile secondo le disposizioni applicabili in funzione dell’attività esercitata da tale società ante “conversione” (nel caso della società istante quelle di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997 relative alle c.d. industriali), non manifestando appieno la propria volontà di concordare o meno con la soluzione avanzata dalla società istante che – come è possibile leggere nella narrativa riportata nel testo della risposta – ha sostenuto il realizzo a valore normale, anche ai fini del tributo regionale, dei beni facenti parte del patrimonio della società “convertenda”, con conseguente tassazione delle plusvalenze conseguite[18].
L’orientamento assunto dall’Amministrazione finanziaria è molto probabilmente da ascrivere alla circostanza che, per effetto delle modifiche recate alla disciplina IRAP dalla Legge n. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008), è stato introdotto il “principio di derivazione diretta” della base imponibile del tributo regionale dal bilancio civilistico, sganciandola, di fatto dalle regole di determinazione delle imposte sui redditi, con conseguente irrilevanza, ai fini dell’imposta in parola, anche della regola del valore normale[19] di cui al predetto art. 9 del TUIR[20].
Il regime fiscale della “conversione” in SICAF ai fini delle imposte indirette
Per quanto concerne i profili IVA della “conversione” l’Agenzia delle Entrate muove dalla circostanza che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalla SICAF concretizzano l’esercizio di un’attività economica ai sensi dell’art. 9 della Direttiva 2006/112/CE e pertanto – come statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella Sentenza Banque Bruxelles Lambert SA del 2004, causa C-8/03, sia pur in relazione alla sola attività “mobiliare” svolta dalle SICAV lussemburghesi, e già riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria nelle precedenti Risposte n. 74 e 374 del 2020 – la SICAF, anche in virtù della sua forma giuridica di società per azioni, è pienamente ascrivibile nel novero dei soggetti passivi del tributo in esame ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972, anche nell’ipotesi in cui, come nel caso della Risposta n. 370/2021, quest’ultima sia “eterogestita”.
Conseguentemente, nonostante la “conversione” comporti un mutamento organizzativo della società che “si converte”, poiché la SICAF continuerà ad utilizzare i beni nell’esercizio di un’attività economica rilevante ai fini IVA, l’Agenzia delle Entrate ha concluso che la “conversione” sia neutrale ai fini IVA, rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 2, comma 3, lett. f), del D.P.R. n. 633/1972[21].
Da ultimo, per ciò che concerne le altre imposte indirette, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che:
- il verbale dell’assemblea straordinaria della società che “si converte”, con il quale sono apportate le modificazioni necessarie ad adeguare le disposizioni statutarie ai requisiti civilistico-regolamentari previsti per le SICAF, è soggetto all’imposta di registro in misura fissa pari a euro 200,00, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. c), della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986; e
- nel caso delle SICAF immobiliari, si rendono altresì dovute le imposte ipotecaria e catastale, nella misura fissa di euro 200,00 di cui all’art. 4 della Tariffa allegata al D.Lgs. n.347/1990 e 10 del medesimo Decreto.
[1] Più in particolare, la SICAF – che assieme al fondo comune di investimento e alla società di investimento a capitale variabile (SICAV) costituisce una delle tipologie di OICR italiani ammissibili (cfr. art. 1, comma 1, lett. l), del TUF – è definita come “l’Oicr chiuso costituito in forma di società per azioni a capitale fisso con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta di proprie azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi” (cfr.1, comma 1, lett. i-bis), del TUF).
[2] Si veda al riguardo l’art. 4 del D.M. n. 30/2015.
[3] Cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 38/E del 2013, par. 1.2.
[4] A tale riguardo, si ricorda che, nei confronti delle SICAF trovano applicazione: (i) ai fini IRES, l’art. 73, comma 5-quinquies, del TUIR (per quelle mobiliari) e l’art. 6 del D.L. n. 351/2001 (per quelle immobiliari), che prevedono un regime di sostanziale esenzione dei redditi prodotti, fatta eccezione per l’applicazione di talune forme di imposizione alla fonte applicabili, a titolo definitivo, su particolari (e marginali) tipologie di proventi (cfr. Agenzia delle Entrate, Risposta n. 235/2019), e (ii) ai fini IRAP, l’art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 446/1997 e l’art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 44/2014, in base ai quali, le SICAF (a prescindere dall’oggetto dell’investimento, come ricordato altresì dalla medesima Risposta n. 370/2021) sono soggette al tributo regionale sulla differenza tra le commissioni di sottoscrizione e le commissioni passive dovute a soggetti collocatori, al netto altresì degli eventuali ammortamenti dei beni materiali e immateriali ad uso funzionale e delle altre spese amministrative, assunti entrambi in ragione del 90% del loro ammontare. A tale riguardo, l’Agenzia delle Entrate, proprio nella Risposta in esame, ha precisato che le SICAF, oltre a dover presentare la dichiarazione IRAP, sono altresì tenute a presentare la dichiarazione IRES, nonostante siano qualificate ex lege quali entità esenti da tale tributo, in quanto comunque soggette all’obbligo delle scritture contabili ex artt. 1 e 13 del D.P.R. n. 600/1973.
[5] A tale riguardo, si ricorda che, ai sensi dell’art. 35-novies del TUF, le SICAF non possono trasformarsi in un organismo diverso da un OICR di diritto italiano.
[6] Per quanto riguarda gli obblighi relativi alla presentazione delle dichiarazioni IRES ed IRAP ed ai versamenti d’imposta connessi a tali dichiarazioni, per il periodo compreso tra la data di inizio del periodo di imposta e la data di “conversione”, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la SICAF deve:
- presentare le dichiarazioni IRES ed IRAP entro i termini previsti dall’art. 5-bis del D.P.R. n. 322/1998 (i.e. ultimo giorno del nono mese successivo a quello di efficacia giuridica della “conversione”); ed
- effettuare il versamento dell’eventuale IRES ed IRAP dovuta entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo a quello di chiusura del suddetto periodo d’imposta, ai sensi dell’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 435/2001.
[7] Non è questa la sede per analizzare le ragioni per le quali non si condivide l’orientamento assunto dall’Agenzia delle Entrate nel principio di diritto n. 10/2021, tramite il quale l’Amministrazione finanziaria ha negato l’applicabilità del regime di participation exemption alle partecipazioni costituenti uno degli elementi dell’azienda o complesso aziendale interessato da un evento fiscalmente rilevante, come la cessione a titolo oneroso del ramo, ovvero la c.d. exit tax di cui all’art. 166 del TUIR. Sul punto, ci sia consentito rinviare a L. ROSSI – R. MICHELUTTI, Stop alla Pex sul ramo ceduto, doppia imposizione da evitare, Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2021.
[8] Dovrebbe, invece, costituire un ricavo integralmente tassabile il valore normale dei beni diversi da quelli patrimoniali, ai sensi dell’art. 85, comma 3, del TUIR.
[9] A tale riguardo, va rilevato che l’orientamento assunto dall’Amministrazione finanziaria in relazione all’indeducibilità sopra descritta è in linea con il dato letterale della disposizione recata dal predetto art. 101, comma 1, del TUIR. Più in particolare, si ricorda, infatti, che la deducibilità delle minusvalenze realizzate in caso di destinazione a finalità estranee all’esercizio d’impresa, per i beni diversi da quelli indicati nell’art. 85, comma 1, del TUIR (ossia quelli che generano ricavi) e dalle partecipazioni che possiedono i requisiti per la c.d. participation exemption, è stata esclusa dall’art. 36, comma 18, del D.L. n. 223/2006, che ha eliminato, nel testo dell’art. 101, comma 1, del TUIR, il riferimento al predetto art. 86, comma 1, lett. c), del medesimo Testo Unico. Tuttavia, avuto presente che, nel caso in esame, la definitiva fuoriuscita dei beni in parola dal regime d’impresa non è frutto di scelte antieconomiche per l’impresa, effettuate a vantaggio di soggetti terzi estranei all’impresa stessa, ma è la conseguenza di una modificazione dell’operatività del soggetto che “si converte”, che, in piena ottemperanza alla legislazione vigente, sceglie di (ovvero, in talune ipotesi, deve) continuare ad operare nell’ambito dell’attività regolata di gestione collettiva del risparmio, tale soluzione conduce a conseguenze non pienamente appaganti. In proposito, rileviamo unicamente che, nell’ambito della disciplina sulla c.d. exit tax di cui all’art. 166 del TUIR, la plusvalenza realizzata dal soggetto “uscente” deve essere “unitariamente determinata”, vale a dire al netto delle minusvalenze che si potrebbero generare dalla “differenza tra il valore di mercato complessivo e il corrispondente costo fiscalmente riconosciuto delle attività e passività”. Inoltre, nell’ambito della disciplina delle SIIQ – di cui all’art. 1, commi 119-141-bis, della Legge n. 296/2006 – l’ingresso nel regime speciale comporta un’imposizione sostitutiva delle plusvalenze, al netto delle minusvalenze, che si generano per effetto del realizzo a valore normale dei beni della società immobiliare (cfr. art. 1, comma 126, della Legge n. 296/2006). In altre parole, sarebbe forse più opportuno pervenire ad un risultato interpretativo più aderente ai precedenti normativi appena rappresentati, ammettendo la deducibilità delle eventuali minusvalenze in diretta correlazione alla tassazione dele eventuali plusvalenze emergenti su tutti i beni detenuti dal soggetto che si converte in SICAF.
[10] Che, a giudizio di chi scrive, dovrebbero intendersi comprensive anche degli utili derivanti dal predetto realizzo a valore normale dei beni in occasione della loro fuoriuscita dal regime d’impresa.
[11] Trovando applicazione le disposizioni contenute negli artt. 47 e 89 del TUIR.
[12] Si veda ilTitolo IV, Capitolo V e l’Allegato IV.6.3-bis del Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio di cui al Provvedimento della Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, come da ultimo modificato dal Provvedimento della Banca d’Italia del 16 febbraio 2021.
[13] Più in particolare, si tratterà di individuare, in relazione a tali riserve, le modalità con cui preservare l’applicazione del regime degli utili da partecipazione in società ed enti soggetti all’IRES in ipotesi differenti dalla distribuzione di proventi da parte della SICAF, avuto presente che – concentrando l’attenzione unicamente sugli investitori che non detengono la partecipazione in regime di impresa – con riferimento ai redditi derivanti dalla partecipazione ad OICR, assumono rilevanza, quali redditi di capitale di cui all’art. 44, comma 1, lett. g), del TUIR,anche i proventi ricompresi nella differenza tra il valore di rimborso, di liquidazione e di cessione (unicamente nel caso degli OICR mobiliari)delle quote o azioni dei predetti organismi collettivi ed il costo medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto di tali quote o azioni. Diversamente, per gli OICR immobiliari, i proventi derivanti dalla cessione delle quote o azioni costituiscono solo redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del TUIR.
[14] Per effetto dell’abrogazione – da parte dell’art. 2, comma 79, lett. d), del D.L. n. 225/2010 – del comma 4-bis dell’art. 45 del TUIR.
[15] Si veda la Circolare n. 33/E del 2011, la Risposta n. 269/2019 e n. 197/2021. Sul punto, ci sia consentito rinviare a S. MASSAROTTO – A. PRIVITERA, FIA chiuso: rimborso parziale di quote e determinazione della base imponibile, Diritto Bancario, Marzo 2021.
[16] Più in particolare, l’art. 11, comma 2, del D.M. n. 174/2007, per quanto qui di interesse, prevede che “Salva diversa volontà assembleare, in caso di distribuzione di riserve, si considerano distribuite prioritariamente quelle formatesi anteriormente all’inizio del regime speciale …”. Inoltre, il successivo comma 3, per quanto qui di interesse, dispone che “In caso di destinazione delle riserve a copertura perdite, si considerano utilizzate prioritariamente le riserve di utili formatesi anteriormente all’inizio del regime speciale …”.
[17] Tra le questioni che la Risposta n. 370/2021 non affronta – in quanto non di interesse né per l’istante né per i suoi investitori, anche in considerazione del fatto che l’attività svolta ante “conversione” era di tipo immobiliare – è da annoverare altresì quella relativa al regime fiscale applicabile in capo ai soci in ipotesi di cessione delle azioni della SICAF in epoca successiva alla “conversione” e, in modo particolare, per i soci soggetti passivi IRES che, in assenza di “conversione”, avrebbero potuto applicare il regime della participation exemption, ricorrendo le condizioni previste dall’art. 87 del TUIR. A tale riguardo, in assenza di una specifica disposizione normativa, è da ritenere che, avuto presente che oggetto dell’alienazione sarebbero le azioni di un OICR, al risultato della cessione dovrebbe applicarsi il regime fiscale tipico dei realizzi da cessione di azioni o quote di tali organismi, vale a dire l’integrale imponibilità delle plusvalenze conseguite e l’integrale deducibilità delle minusvalenze realizzate. Inoltre, trattandosi di azioni di un OICR, in capo all’investitore soggetto passivo IRES potrebbero altresì assumere rilevanza le eventuali svalutazioni operate in bilancio, ai sensi dell’art. 94, commi 4 e 4-bis, del TUIR.
[18] Sempre nell’ipotesi in cui, a giudizio di chi scrive, queste ultime fossero rilevanti ai fini IRAP sulla base delle predette disposizioni applicabili in funzione dell’attività esercitata da tale società ante “conversione”.
[19] Tra l’altro, si ricorda che, proprio in funzione del principio sopra descritto, l’art. 1, comma 218, della Legge n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014) ha dovuto stabilire, in via normativa, che la disciplina in tema di c.d. transfer pricing trova altresì applicazione ai fini IRAP, anche a seguito del mutato assetto normativo recato dalla Legge Finanziaria 2008.
[20] Sempre in relazione alla fiscalità diretta è altresì da ritenere che la “conversione” in SICAF comporti la fuoriuscita dal regime di tassazione di gruppo di cui agli artt. 117-129 del TUIR a cui la società che “si converte” potrebbe, in linea di principio, partecipare in qualità di consolidata, ovvero l’integrale interruzione di tale tassazione di gruppo, ove la società che “si converte” rivestisse il ruolo di consolidante. A tale ultimo riguardo, stante il carattere straordinario e definitivo della “conversione”, sarebbe auspicabile che fosse concessa all’ex consolidante la possibilità di riattribuire le perdite fiscali pregresse trasferite alla fiscal unit alle società che le hanno generate, anche in assenza di una specifica scelta in tal senso in sede di opzione.
[21] E non in quello dell’art. 2, comma 2, n. 5), del medesimo Decreto, relativo, tra l’altro, alla “destinazione di beni … ad altre finalità estranee all’impresa …”, fattispecie assimilata, invece, ad una cessione di beni ai fini del tributo in parola.