La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 22 febbraio 2024 resa nella causa C‑661/22 (Pres. Regan, Rel. Csehi), si è pronunciata sul confine tra emissione di moneta elettronica e servizi di pagamento, in specifico riferimento a fondi resi disponibili su un conto di pagamento, trattenuti dall’istituto in assenza di alcun trasferimento degli stessi al beneficiario del pagamento medesimo.
Più nel dettaglio, ha quindi precisato che “l’attività di un istituto di pagamento consistente nell’accettare fondi da parte di un utente di un servizio di pagamento, senza che tali fondi siano immediatamente combinati con un ordine di pagamento, di modo che essi restano disponibili su un conto di pagamento, ai sensi dell’articolo 4, punto 12, della direttiva 2015/2366 (la c.d. ‘Payment Services Directive II’), amministrato da tale istituto, costituisce un servizio di pagamento fornito da detto istituto di pagamento, ai sensi dell’articolo 4, punto 3, della direttiva 2015/2366, e non un’operazione di emissione di moneta elettronica, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2009/110 (la c.d. ‘E-Money Directive’)”.
I giudici comunitari si sono così pronunciati su un rinvio pregiudiziale promosso dalla Corte amministrativa suprema di Lituania, chiamata a risolvere una controversia sorta tra un istituto di pagamento, e la Banca di Lituania, Autorità preposta alla vigilanza del settore.
L’Autorità aveva revocato all’istituto l’autorizzazione a prestare servizi di pagamento contestandogli di aver trattenuto i fondi dei clienti per un periodo di tempo superiore rispetto a quello necessario per l’esecuzione delle operazioni di pagamento.
Secondo l’interpretazione fornita dalla Banca di Lituania, disattesa dalla Corte di Giustizia, il fatto di accreditare sui conti i fondi ricevuti dai clienti, come pagamenti in entrata, in assenza di uno specifico scopo di pagamento e di conservarli per diversi giorni o mesi, senza effettuare alcun trasferimento dei fondi verso i conti dei destinatari di tali pagamenti, avrebbe costituito di fatto un’emissione di moneta elettronica, attività all’esercizio della quale l’istituto di pagamento, nel caso specifico, non era autorizzata.