Con sentenza del 13 luglio 2023, causa C‑106/22, la Corte di giustizia dell’UE si sofferma sulla possibilità per uno stato membro di istituire un meccanismo di controllo degli investimenti esteri in società residenti considerate come “strategiche”.
Di seguito il principio di diritto sancito dalla Corte UE.
Le disposizioni del Trattato FUE in materia di libertà di stabilimento devono essere interpretate nel senso che ostano a un meccanismo di controllo degli investimenti esteri previsto dalla normativa di uno Stato membro che consente di vietare l’acquisizione della proprietà di una società residente, considerata come strategica, da parte di un’altra società residente facente parte di un gruppo di società stabilite in più Stati membri, nella quale una società di un paese terzo dispone di un’influenza determinante, con la motivazione che tale acquisizione pregiudica o rischia di pregiudicare l’interesse nazionale consistente nel garantire la sicurezza dell’approvvigionamento a favore del settore edile, in particolare a livello locale, per quanto riguarda materie prime di base, quali la ghiaia, la sabbia e l’argilla.
Nella sentenza, la Corte svolge diverse considerazioni sul tema della nozione di «investimento diretto estero» e su quali siano le libertà fondamentali garantite contro misure di restrizione.
Nozione di investimento diretto estero
Per quanto riguarda il primo punto, la Corte ricorda, sulla base del diritto europeo, la nozione di «investimento diretto estero» prevista dal Regolamento 2019/452 sul controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione include determinati investimenti concernenti partecipazioni durevoli e dirette di un «investitore estero».
Tale nozione comprende quella di «impresa di un paese terzo», da intendersi come «un’impresa costituita o comunque organizzata conformemente alla legislazione di un paese terzo».
Ne consegue, secondo la Corte UE, che nel caso di investimenti effettuati da società, l’ambito di applicazione del suddetto Regolamento 2019/452 sul controllo degli investimenti esteri diretti è limitato agli investimenti nell’Unione effettuati da imprese costituite o comunque organizzate conformemente alla legislazione di un paese terzo.
Esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento
In secondo luogo, la Corte di giustizia UE, ripercorrendo i propri orientamenti sulla restrizione alla libertà di stabilimento, ricorda come una restrizione ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato FUE può essere ammessa unicamente a condizione che la misura nazionale di cui trattasi sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, sia idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo da essa perseguito e non vada al di là di quanto necessario per ottenerlo.
Tuttavia, motivi di natura puramente economica, connessi alla promozione dell’economia nazionale o al buon funzionamento di quest’ultima, non possono servire come giustificazione di un ostacolo a una delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.
Diverso il caso in cui rilevino motivi di ordine economico che perseguano un obiettivo di interesse generale o la garanzia di un servizio di interesse generale, questi sì idonei a giustificare una limitazione a una libertà fondamentale garantita dai Trattati.
Tuttavia, se è pur vero che gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare, conformemente alle loro necessità nazionali, le esigenze dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, resta il fatto che tali motivi, nel contesto dell’Unione, e in particolare in quanto autorizzano una deroga a una libertà fondamentale garantita dal Trattato FUE, devono essere intesi in senso restrittivo, di modo che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione.
Tali motivi non possono essere inoltre distolti dalla loro propria funzione per essere utilizzati, in realtà, a fini puramente economici.