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La deflazione: uno spettro che aleggia sull’economia italiana?

14 Aprile 2014

Dott. Ivan Fogliata

Un vecchio adagio degli imprenditori degli anni del boom economico, degli anni della crescita vertiginosa del debito pubblico1, degli anni della svalutazione della lira che esportava le inefficienze dell’Italia all’estero indebolendo la valuta domestica così recitava: l’inflazione paga i debiti.

Effettivamente un’inflazione importante svaluta la moneta e con essa il potere d’acquisto dei salari. Dall’altro lato però, se ci pensiamo, i debiti contratti dalle imprese restano espressi al loro valore nominale ed in un contesto inflattivo diviene più semplice rimborsare il capitale.

Si immagini un’impresa in un contesto di inflazione al 10%2 che sia in grado di traslare perfettamente l’aumento dei prezzi alla produzione sui propri prezzi finali. Alla fine quindi anche il profitto netto o meglio il cash flow disponibile per l’impresa ne risulterebbe insufflato di un 10% meramente a causa inflazione. L’impresa non ha per nulla aumentato i propri profitti in termini reali (quindi non è divenuta né più produttiva né più redditizia rispetto al passato) ma in termini nominali3 sì. Il servizio del debito, che per sua natura rimane espresso in termini nominali4, diviene più leggero per l’impresa che può contare su un 10% in più di cash flow “regalato” dall’inflazione.

La successiva entrata dall’Italia nell’euro ha portato tassi di inflazione molto più contenuti e con essi tassi di interesse più contenuti assistiti da maggiore stabilità economica. Dappertutto? Tranne nel settore immobiliare, esprimere prezzi al metro quadro in euro, il credito a tassi molto contenuti, la disponibilità di capitali a caccia di rendimento ha dato il via ad un lungo periodo di speculazioni del settore real estate italiano. E’ stato come aprire il recinto e lasciare uscire i buoi, una volta scappati è rimasto solo il disastro che hanno lasciato alle spalle.

La crisi che purtroppo stiamo ancora vivendo ci sta rendendo familiari termini che prima erano relegati agli addetti ai lavori quali: stagflazione, disinflazione e la deflazione. L’ordine non è casuale; si tratta dell’ordine cronologico col quale li abbiamo affrontati nel recente passato.

La stagflazione, ovvero il pericoloso ed atipico mix fra stagnazione ed inflazione5, che abbiamo vissuto in particolare nel biennio 2008-2009, ci ha fatto assistere ad incrementi di prezzi, in particolare sulle materie prime mentre l’economia pericolosamente ritracciava. La stagflazione è possibile in mercati “vischiosi” dove le regole del mercato funzionano per alcuni ma non per tutti. La crisi fa spostare gli investimenti su beni rifugio; gli speculatori soffiano sul fuoco delle materie prime e dei metalli preziosi rendendo le attese di rialzo dei prezzi una sorta di profezia autoverificantesi che alimenta la richiesta di beni rifugio. Nell’economia reale paradossalmente si vengono a riflettere prezzi in aumento nonostante la stagnazione dell’economia che prosegue a ritracciare. In questo caso non esiste “cura monetaria”, la Banca Centrale poco può fare in un contesto in cui pochi si arricchiscono su molti. Come l’evidentemente inascoltato Milton Friedman spiegava, la stagflazione è possibile se gli investitori finanziari non trovano freni legislativi o meglio fiscali all’attività di speculazione. Ergo la “cura” è solo legislativa; nel breve periodo se gli speculatori non trovano freni l’arma fiscale deve intervenire prontamente a tassare la rendita finanziaria per redistribuire la ricchezza. Nel lungo periodo devono essere rimosse le vischiosità che tutelano i mercati finanziari a scapito del mercato dell’economia reale.

Un timido tentativo di agire in tal senso è rappresentato dalla TobinTax6 la cui applicazione a macchia di leopardo da parte degli Stati non risolve il problema. Le transazioni tenderanno a spostarsi su piazze finanziarie più “compiacenti”. L’economia reale viene affamata mentre gli speculatori artatamente creano penuria di materia prima tramite la leva del prezzo. Si pensi al paradosso cui abbiamo assistito di un autotrasportatore che doveva rifornirsi di carburante a prezzi crescenti mentre la richiesta dei suoi servizi era in calo.

La disinflazione è il fenomeno per il quale il tasso di inflazione tende a calare sebbene rimanga col segno positivo. I prezzi quindi crescono ma a ritmo più lento di prima7. Quando il fenomeno prosegue e si assiste alla pericolosa inversione di segno, ovvero i prezzi cominciano a calare, si assiste al fenomeno della deflazione.

La deflazione sembra quindi un fenomeno positivo. In prima battuta viene da chiedersi: cosa c’è di male se i prezzi cominciano a calare? Ben venga; così può finalmente tornare ad aumentare il potere di acquisto dei salari! Il problema che sta allarmando politici e banche centrali, sembra davvero assurdo, è invece proprio questo.

Proviamo ad andare oltre la mera apparenza. Se i prezzi cominciassero a calare la tentazione sarebbe quella di tesaurizzare il proprio salario ed attendere il prossimo calo dei prezzi. Diventeremmo avvezzi a frasi del tipo: “l’anno prossimo le case costeranno meno di oggi, quindi aspetterò ad acquistare la mia prima casa”.

La spirale diverrebbe un pericolosissimo circolo vizioso, anche le imprese attenderebbero ad avviare nuovi investimenti in attesa di prezzi più bassi.

Ma soprattutto, cosa accadrebbe al debito contratto dalle imprese? Se l’inflazione come sopra abbiamo spiegato paga i debiti vuol dire che la deflazione esattamente al contrario andrebbe a comprimere nominalmente i flussi di cassa disponibili rendendo il servizio del debito molto più pesante.

La deflazione, è effettivamente vero, è quindi un fenomeno da evitare. L’unico modo per pagare i debiti in caso di deflazione prevedrebbe che le banche comincino ad applicare tassi negativi per ridurre il peso del debito. E’ ovviamente uno scenario impossibile; impossibile per tutte tranne per una banca sola: la BCE.

Mario Draghi ha già dichiarato che in caso di dinamiche deflattive la BCE andrebbe ad applicare tassi negativi sui depositi delle banche europee costringendole virtualmente a prestare denaro a tassi prossimi allo zero. Fattispecie che in Giappone, patria dell’annoso problema della deflazione, è tutt’altro che rara. Altre armi sono nelle faretra della BCE. Notizie recentissime comunicano una prima apertura della Banca Centrale a quantitative easings. La BCE in questo scenario procederebbe a stampare moneta immettendola nel sistema nella speranza di ottenere gli effetti registrati negli Stati Uniti a seguito degli allentamenti monetari della FED; crescita di spese, investimenti e consumi e la ripresa del tasso di inflazione.

Ulteriormente, ai fini di affrontare la deflazione, i paesi “tesaurizzatori” europei verrebbero chiamati ad avviare spesa pubblica per agevolare la ripresa del sistema. Se ci pensiamo è proprio il caso della Germania con il suo “eccesso” di export rispetto all’import. Cosa c’è di male se un Paese ha una bilancia commerciale positiva? Effettivamente nessuna. Il problema è che la Germania è fanalino di coda in Europa per gli investimenti8. L’accusa, che arriva soprattutto dagli Stati Uniti, è quella che la Germania stia tesaurizzando denari in attesa di prezzi più bassi per importare e realizzare investimenti. Una decisa ripresa degli investimenti tedeschi sarebbe d’aiuto a tutta l’eurozona per uscire dalla spirale deflazionistica. Gli stati periferici, fra cui l’Italia; infatti, soffrirebbero tremendamente di una spirale deflattiva.

Alziamo ulteriormente il tiro. Cosa succederebbe al “mostro” del debito pubblico italiano in caso di deflazione9? Le entrate fiscali risentirebbero di un tremendo calo sia reale che nominale delle stesse. Reale perché l’economia tenderebbe a restringersi e nominale in quanto la deflazione “sgonfierebbe” il palloncino della moneta. I BTP trentennali, emessi nella speranza di dinamiche inflattive, diverrebbero al contrario debiti quasi irredimibili. Ecco il triste paradosso degli eccessi della politica italiana passata; anche per lo Stato Italiano l’inflazione paga o meglio pagava i debiti.

 

1

Dal 1977 al 1994; in Italia in soli 17 anni il debito pubblico italiano a salito dal 56,5% del Governo Andreotti al 121,5% del Governo Ciampi. Un salto netto del 65%. Fonte: Lettera Ambrosetti Club.

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2

Fra il 1973 ed il 1984 l’inflazione non è mai scesa sotto il 10% raggiungendo il picco del 21,2% nel 1980. Fonte: Banca d’Italia.

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3

La differenza fra un valore espresso in termini nominali o reali consiste proprio nel mero differenziale generato dall’inflazione. Il prezzo di un bene di 100 euro diviene di 110 euro in un contesto inflattivo al 10% ma in termini reali il bene conserva sempre un valore di 100 euro. Ergo il suo prezzo non è aumentato in termini reali ma solo nominali.

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4

Al netto di un aggiustamento del tasso se espresso quale tasso variabile indicizzato.

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5

L’inflazione normalmente accompagna economie in crescita non in stagnazione.

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6

La TobinTax è un’imposta ad aliquota molto contenuta, lo 0,10% per il 2014, che colpisce le transazioni finanziarie. L’imposta si applica si applica ai trasferimenti di proprietà di azioni e strumenti partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato. L’imposta quindi penalizza i grandi trader, anche quelli che realizzano attività speculativa, realizzando il duplice obiettivo di disincentivazione al trading ad alta frequenza e di redistribuzione della ricchezza.

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7

Si osserva disinflazione se il tasso di inflazione dell’anno t+1 è ad es. all’1% quanto l’anno prima (anno t) era pari ad es. al 2,5%.

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8

Fonte Eurostat.

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9

Il debito pubblico italiano supera il 130% del PIL. Il 5,3% delle entrate fiscali coprono i soli interessi sul debito. Fonte: OCSE.

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