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Giurisprudenza

La dichiarazione di disponibilità degli amministratori a ridursi il compenso non integra un vero e proprio obbligo giuridico ancorché risultante dal verbale assembleare

13 Luglio 2017

Gianmarco Melillo, praticante avvocato presso lo studio Gatti Pavesi Bianchi

Tribunale di Roma, 21 febbraio 2017

Di cosa si parla in questo articolo

Il testo della deliberazione assembleare in cui gli amministratori manifestano la loro disponibilità a rivedere i compensi non va interpretato come contenente un obbligo, sanzionabile, a carico degli amministratori: se tale fosse stata l’intenzione delle parti, esse avrebbero certamente indicato tanto i presupposti specifici per rendere operativo l’obbligo (entità delle perdite, entità dei costi iniziali, entità dell’impegno degli amministratoti nel periodo di riferimento) quanto, circostanza ancor più rilevante, l’entità della riduzione. In assenza di tali dati, il deliberato dell’assemblea non può essere interpretato come assunzione di un obbligo giuridico vincolante per gli amministratori.

 

Con la sentenza in rubrica (Trib. Roma 21 febbraio 2017) il Tribunale ha rigettato la domanda del socio di annullamento per conflitto di interessi e violazione dei doveri di buona fede in senso oggettivo di tre deliberazioni assembleari aventi ad oggetto l’approvazione del bilancio e l’attribuzione dei compensi dei consiglieri di amministrazione nonché gli interventi sul capitale ex art. 2482-ter. La parte attorea, nel caso di specie, ha allegato che la dichiarazione degli amministratori, risultante da verbale, di rimodulare la loro retribuzione in ragione dei risultati negativi della società integrava un impegno giuridicamente vincolante per i medesimi, di talché il bilancio dell’esercizio successivo all’assunzione dell’impegno dovesse essere ritenuto falso nella parte in cui riportava i compensi inizialmente pattuiti. La falsità dei documenti contabili avrebbe inficiato, secondo le allegazioni dell’attore, la veridicità delle perdite rilevate nel corso dell’esercizio, facendo sì che fossero necessari i conseguenti interventi di riduzione e contestuale aumento del capitale contemplati dall’art. 2482-ter c.c.

Il giudice romano, nel rigettare la domanda, ribadisce l’insussistenza di un obbligo giuridico degli amministratori, essendo l’impegno degli amministratori privo di un oggetto sufficientemente preciso. Tale obbligo non può nemmeno desumersi dai principi di correttezza e buona fede esecutiva, anche qualora il compenso sia divenuto irragionevole e sproporzionato alla luce della situazione economica e patrimoniale della società: l’assemblea, infatti, non può incidere, in epoca successiva ed in modo unilaterale, sul diritto soggettivo originariamente attribuito agli amministratori.

Il Tribunale non ritiene, infine, che la delibera di conferma dei compensi, cronologicamente successiva, sia presa in conflitto di interessi per il fatto che ciascun amministratore si sarebbe astenuto dalla votazione con riguardo alla conferma del proprio compenso, votando invece la conferma del compenso dell’altro. Tale conclusione si fonda sull’orientamento in forza del quale la decisione di confermare quanto già disposto dall’organo assembleare con una precedente delibera non ha alcun valore precettivo o innovativo nei confronti degli amministratori, dei soci e dell’organizzazione della società, dovendosi dubitare, precisa il giudice, persino della sua natura di “deliberazione”.

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