Sommario: Premessa; 1. Percorso e quadro di riferimento dell’iniziativa normativa in esame; 2. I tratti salienti della Direttiva finalizzata alla creazione di un “mercato secondario” unico e armonizzato dei NPL e delle “attività di gestione” prestate in relazione ad essi; 3. Il quadro legislativo e regolamentare vigente in ambito domestico e il prevedibile impatto che potrà avere la Direttiva su di esso; 4. Riconsiderazione critica di alcune opzioni di fondo della Direttiva, in vista del recepimento nell’ordinamento domestico.
Premessa
Nella presente nota riprendiamo, aggiornandole alle numerose e rilevanti modifiche intervenute, alcune prime osservazioni che avevamo avanzato con riguardo alla “proposta di direttiva relativa ai gestori di crediti, agli acquirenti di crediti e al recupero delle garanzie reali”, COM (2018)0135[1]. Ad esito di un lungo e articolato percorso legislativo – che ha visto solo nel giugno 2021 l’accordo tra il Parlamento e il Consiglio UE – il Parlamento Europeo in data 19 ottobre scorso ha approvato in prima lettura la proposta modificata di direttiva “relativa ai gestori di crediti, agli acquirenti di crediti [e non più anche al recupero delle garanzie reali] e che modifica le direttive 2008/48/CE 3 2014/17/UE”[2] (la “Direttiva”); in data 9 novembre scorso è poi intervenuta l’approvazione del testo da parte del Consiglio UE (con minime modifiche), spianando la strada alla pubblicazione in GUUE attesa per fine di quest’anno o inizi del 2022, cui seguirà a distanza di venti giorni l’entrata in vigore. Dalla non semplice ricostruzione del quadro disciplinare che emerge dalla versione della Direttiva approvata dal Parlamento Europeo, si cercherà di proporre una prima valutazione di quello che pare l’impatto che verrà determinarsi sul mercato finanziario italiano, incidendo sul vigente articolato sistema di riserve di attività, con l’effetto: (i) da un lato, di sottoporre ad un regime autorizzativo e di vigilanza e di regolamentare con una apposita disciplina comportamentale tutte le “attività di gestione” di NPL, sin qui sostanzialmente liberamente esercitabili nel nostro ordinamento, (anche se ciò, inspiegabilmente, non pare valere nel caso in cui quelle medesime “attività di gestione” siano svolte “in proprio” da chi sia al contempo “acquirente” di quei crediti!) e; (ii) dall’altro lato, di liberalizzare sostanzialmente il mercato secondario – l’“acquisto” – di NPL (sin qui irregimentato nei vincoli posti dalla riserva allo svolgimento di attività finanziaria), aprendolo ad investitori, “acquirenti”, (anche e forse soprattutto stranieri) oggi ingolositi dalle enormi e non ancora sfruttate “vene aurifere” che essi intravvedono luccicare nei bilanci delle banche italiane. Liberalizzazione ma al contempo ri-articolazione di soggetti e di riserve di attività di cui gli operatori dovranno tener sin d’ora conto nella definizione dei loro assetti organizzativi e nel loro posizionamento strategico sul mercato domestico dei NPL. Essendosi prescelto lo strumento normativo della direttiva, il quadro normativo di ciascuno Stato Membro dovrà dunque essere opportunamente adeguato attraverso una serie di misure di recepimento che, nel testo della Direttiva, dovranno essere adottate entro 24 mesi dalla sua entrata in vigore (v. art.32 della Direttiva).
La Direttiva mantiene l’impostazione di fondo – peraltro sviluppata in epoca pre-pandemica[3] – di considerare i NPL come un problema soprattutto per le banche (occorre “ripulire” – questo il mantra – i bilanci delle banche dalla presenza dei crediti deteriorati che determina evidenti effetti negativi sull’economicità della gestione e sull’offerta di credito al sistema), pur nella consapevolezza che essi rappresentino oggi una “ghiotta” opportunità per gli “investitori” o, utilizzando la locuzione della Direttiva, gli “acquirenti” (i crediti deteriorati da “smaltire” rappresentano oggi un asset da comprare, spesso a prezzi di stralcio, e dal quale poter poi estrarre un norme valore latente; da questo punto di vista l’assimilazione anche linguistica col fenomeno dello “smaltimento” dei rifiuti – vero “oro” per chi li sappia trattare – è certamente paradigmatica e suggestiva). In realtà, come diremo, il fenomeno presenta profili assai più articolati e delicati – dovendo richiedere un più attento approccio c.d. debtor level – richiedendo a regolatori e policy-makers di mediare tra queste esigenze, facendosi carico di tutelare – anche con interventi “di sistema” – beni primari collettivi, quali la stabilità del sistema bancario ma anche la tenuta del tessuto imprenditoriale dei debitori, evitando che opacità del mercato, asimmetrie informative e fenomeni di free-riding determinino destabilizzanti condotte opportunistiche o, addirittura, predatorie, nonché occulte traslazioni di ricchezza tra debitori e creditori, tra risparmiatori inconsapevoli, equity-holders delle banche e lungimiranti investitori, il tutto con ricadute (dirette e indirette) in campo sociale che non possono essere ignorate.
A tal riguardo, in conclusione al presente articolo – nel paragrafo 4 – rinnoveremo allora alcune osservazioni critiche di natura più “politica” su alcune discutibili scelte di fondo adottate nella Direttiva che – se non opportunamente riconsiderate nell’ambito del percorso legislativo che dovrà compiersi per recepirla a livello nazionale, nei limiti di manovra consentiti dallo strumento legislativo prescelto – potrebbero aver ripercussioni rilevanti sul sistema imprenditoriale italiano. Ove si arrivasse, infatti, ad una brusca, improvvisa e indiscriminata apertura del mercato di quella particolare categoria che chiameremo “UTP Ristrutturabili” (vedi paragrafo 4 ii.) a “investitori”, spesso stranieri, che potranno quindi liberamente acquistarli (e gestirli in proprio) al di fuori di alcuna riserva, regime autorizzativo e disciplina comportamentale, si determinerebbe assai prevedibilmente un altrettanto improvviso e brusco cambio di paradigma nella relazione banca -“impresa in crisi”, in assenza di un ponderato e maturato ri-orientamento culturale di quello.
1. Percorso e quadro di riferimento dell’iniziativa normativa in esame
A ottobre 2017 la Commissione[4] aveva proposto di integrare il processo di completamento dell’Unione Bancaria con misure di riduzione dei crediti deteriorati mediante la condivisione e, parallelamente, la riduzione del rischio, trovando il favorevole riscontro del Parlamento europeo e del Consiglio. Nella citata comunicazione e nella prima relazione sui progressi compiuti del 18 gennaio 2018, la Commissione si era impegnata a dare attuazione concreta agli elementi del Piano d’Azione[5] di sua competenza.
La Commissione ha dunque varato nella primavera 2018 un pacchetto normativo assai articolato proponendosi l’ambizioso obiettivo di affrontare il nodo dei NPL[6] in ambito europeo dando seguito, come detto, al Piano d’Azione del Consiglio concordato dai ministri europei delle finanze a luglio 2017, finalizzato a gestire l’ingente stock di crediti deteriorati e a prevenire un ulteriore aumento di posizioni deteriorate nel futuro. Nell’ambito della medesima iniziativa, la Commissione presentò inoltre la seconda relazione sui progressi compiuti nella riduzione dei crediti deteriorati in Europa[7]. In data 16 dicembre 2020 è poi seguito l’elaborazione della “NPL Strategy” tenendo altresì conto della crisi pandemica nel frattempo intervenuta.
Già l’originaria, articolata e ambiziosa iniziativa normativa si inseriva nel percorso verso una piena Unione dei mercati dei capitali (CMU) e una realizzata Unione Bancaria, entrambi da ritenersi passaggi centrali nella direzione di un rafforzamento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa; essa affrontava quattro, complementari, snodi centrali della tematica dei NPL che delineano una articolata strategia di intervento ad ampio raggio:
- il profilo prudenziale, attraverso un intervento normativo finalizzato a rafforzare le politiche di accantonamento dei fondi a copertura dei rischi associati ai prestiti futuri che dovessero deteriorarsi in NPL, con l’obiettivo di evitare un ulteriore accumulo di NPL nei bilanci bancari; l’obiettivo veniva perseguito attraverso un Regolamento modificativo del Regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR)[8] che introduce livelli comuni di copertura minima per i prestiti di nuova erogazione che dovessero passare a “crediti deteriorati”; in caso di mancato rispetto dei livelli minimi di provision, verrebbero operate deduzioni ai fondi propri della banca;
- si auspicava la creazione di un efficiente e trasparente mercato secondario unico e armonizzato dei NPL di natura e/o origine bancaria, attraverso un intervento normativo e regolamentare individuato in una direttiva ad hoc; quella oggetto, appunto, del presente commento. Complementare a questo obiettivo risultava quello di sviluppare un mercato dei connessi servizi di gestione/recupero dei medesimi NPL da parte di c.d. “gestori di crediti” da sottoporre ad un regime comune e armonizzato di procedure autorizzative e di vigilanza, oltreché di regole di comportamento. Regime che avrebbe poi dovuto conferire un “passaporto europeo” per operare in tutta la UE; viceversa, i soggetti di paesi terzi che acquistino crediti, avrebbero dovuto essere tenuti ad avvalersi di rappresentanti stabiliti nella UE. Venivano poi auspicati obblighi di comunicazione alle autorità di vigilanza di tutte le operazioni aventi ad oggetto il trasferimento di NPL di natura bancaria con l’obiettivo di monitorare costantemente e in tempo reale il mercato.
- Nell’ambito della Proposta iniziale si perseguiva altresì l’obiettivo di rendere più incisivi i meccanismi di recupero dei crediti deteriorati, attraverso un intervento normativo che andasse ad integrare la Proposta di Direttiva su insolvenza e ristrutturazione delle imprese, presentata nel novembre 2016; l’obiettivo era quello di agevolare percorsi di esecuzione stragiudiziale accelerata dei crediti assistiti da garanzie reali – limitatamente ai prestiti erogati a imprese e con esclusione del credito ai consumatori – prevedendo che banca e debitore possano concordare in anticipo meccanismi accelerati di recupero dei beni costituiti in garanzia; tale disciplina risulta oggi espunta dal testo della Direttiva in commento.
- Infine, si intendeva predisporre un quadro di riferimento, non vincolante, per gli Stati Membri che, ripercorrendo iniziative già sperimentate nel corso dell’ultimo decennio in varie parti del mondo, intendano far ricorso a c.d. “badbank” nazionali, e cioè asset management companies (AMCs) dedicate alla gestione di attivi nel rispetto delle norme UE vigenti nel settore bancario e in materia di aiuti di Stato. Con la NPL Strategy si è introdotto il tema di una bad bank europea.
2. I tratti salienti della Direttiva finalizzata alla creazione di un “mercato secondario” unico e armonizzato dei NPL e delle “attività di gestione” prestate in relazione ad essi
2.1 ricostruzione delle opzioni sottostanti all’iniziativa legislativa
La Direttiva muove dalla considerazione che un elemento centrale per la soluzione del problema dei NPL, considerato tuttora centrale per la stabilità e razionalizzazione del sistema bancario europeo e per la piena realizzazione di una Unione Bancaria, sia la creazione di efficienti e trasparenti mercati secondari. A tal fine viene ritenuta centrale: (i) la rimozione dei vincoli che si frappongono, a livello di singoli Stati Membri, al trasferimento di NPL dalle banche ad altri soggetti; (ii) la semplificazione e armonizzazione dei requisiti di accesso (in regime di autorizzazione) e di operatività per i soggetti (“gestori di crediti”) che prestano connesse attività di riscossione/rinegoziazione/gestione-reclami/informazione in relazione a crediti (“attività di gestione dei crediti”).
Le barriere di accesso al mercato dei NPL da parte di investitori non bancari, vengono ritenute la causa della scarsità di domanda e la debolezza di concorrenza che oggi il mercato evidenzia, esprimendo quel rilevante gap nei prezzi di domanda e di offerta che disincentiva le banche dal procedere allo “smaltimento” dello stock accumulato; questo ritenendosi l’obiettivo primario che la normativa dovrebbe incentivare e agevolare (presupposto su cui potrebbero anche avanzarsi dubbi, come vedremo oltre al par. 4.). Un fattore che viene ritenuto ulteriormente scoraggiante per l’accesso di nuovi investitori al mercato europeo dei NPL viene poi individuato nell’assenza di un mercato sviluppato di “gestori di crediti”. L’apertura, anche a investitori terzi, di un mercato europeo dei NPL e delle attività di gestione dei crediti – allargando i confini dei singoli mercati nazionali, altrimenti asfittici e frammentati, eliminando o armonizzando vincoli e barriere legali e regolamentari – viene ritenuto un obiettivo prioritario per dare efficienza e trasparenza ad esso, per consentire il raggiungimento di economie di scala, incentivare la competizione, aumentare i volumi di transazioni in NPL, incrementarne i prezzi bid e ridurre il gap bid-ask, abbattere i costi delle attività di gestione dei crediti.
La Commissione, nell’approcciare la tematica in esame, considerò inizialmente più opzioni di intervento, valutando attentamente per ciascuna di esse impatti quantitativi e conseguenze sul mercato; di tutto ciò può aversi approfondita conoscenza con la lettura del ponderoso e pregevole, per profondità e ricchezza analitica[9], documento elaborato a supporto della iniziativa normativa : il Commission Staff Working Document – Impact Assessment[10], in particolare, la Part1/2 (di cui è disponibile anche una versione sintetica, l’Executive Summary[11]). Come può ben leggersi in tali documenti, una possibilità di intervento avrebbe potuto esser quella di prevedere un set di principi comuni non vincolanti volti solo ad intaccare le più significative barriere di ingresso oggi vigenti; tale strada pur riducendo le vigenti restrizioni al trasferimento di NPL e alla connessa prestazione delle “attività di gestione dei crediti” non avrebbe però consentito di sviluppare un mercato unico. Una strada alternativa era quella -poi perseguita – di una direttiva che prevedesse un sistema di passaportazione, pur mantenendo in capo agli Stati Membri specifiche discipline nazionali. Più radicale sarebbe infine stata la scelta di operare attraverso un Regolamento, adottando un “single rule book” che prevedesse al contempo un regime di passaportazione ma anche di disciplina uniforme di ingresso al mercato e di comportamento su di esso, sia con riferimento agli investitori interessati ad acquisire NPL dalle banche, sia ai services providers interessati a prestare “attività di gestione” in relazione ad essi. Questa soluzione avrebbe certamente facilitato la creazione di un mercato unico, pur potendo mostrare rigidità di adeguamento ai sistemi normativi vigenti nei singoli Stati Membri e potendo altresì ingenerare effetti contrari in quei mercati in cui, già oggi, l’accesso risulta più agevole.
La scelta adottata nel 2018 è dunque risultata esser quella intermedia di prevedere un quadro vincolante di armonizzazione (c.d. “common standards”), sia delle regole di accesso che delle norme di comportamento. Si è dunque fatto ricorso allo strumento della direttiva – ai sensi e per gli effetti degli artt. 53 e 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione – che lascia quindi agli Stati Membri un margine di discrezione nel valutare le misure di recepimento che meglio possano conciliarsi con il loro vigente quadro normativo, attesa la molteplicità di ricadute e interconnessioni che tale operazione di recepimento presenta rispetto alla normativa anche di natura civile, commerciale e fallimentare, oltre a quella più strettamente regolamentare.
La Direttiva in esame tiene conto e si concilia con l’art. 169 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e con tutta l’ulteriore normativa finalizzata alla protezione dei consumatori nell’ambito dei servizi finanziari. Vengono dunque coordinati e modificati (v. il Titolo VI) i diritti e le tutele previste dalla Direttiva in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali[12] e dalla Direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori[13].
Occorre infine segnalare come la Direttiva ometta consapevolmente e volutamente di disciplinare i delicati profili civilistici e internazional-privatistici (vedi Considerando (19) della Direttiva) relativi a legge applicabile e competenza giurisdizionale.
2.2. La (non immediata e pacifica) ricostruzione dell’oggetto e dell’ambito di applicazione della Direttiva
Il Titolo I definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione della Direttiva, chiarendo innanzitutto come essa si applichi, agli “acquirenti” e ai “gestori” di NPL[14] ( rectius, di “diritti del creditore derivanti da un contratto di credito deteriorato”- tale essendo la circonlocuzione adottata in tutto il testo per riferirsi a “crediti”- o di un “contratto di credito deteriorato stesso”) di origine e/o di natura bancaria, in cui cioè: (i) il creditore originario – avendo riguardo al momento della sua “concessione” (“emissione”) – sia una banca (rectius, un “Ente Creditizio” come definito nel Regolamento (EU) n. 575/2013), e che; (ii) tale “contratto di credito” sia da ritenersi “deteriorato” (classificato dunque come tale conformemente all’art. 47 bis del Regolamento UE n.575/2013), prescindendosi invece dalla qualità e dallo status del debitore (pur incidendo ciò su alcuni profili di disciplina, come vedremo). Può dunque subito osservarsi come per effetto del recepimento della Direttiva verrebbe a crearsi un “doppio regime” in relazione alla disciplina dell’acquisto e delle attività di gestione che abbiano ad oggetto “crediti”, posto che, per ogni altro credito, di natura diversa da quella “deteriorata” e/o di origine diversa da quella bancaria, permarrebbe vigente l’attuale e diverso sistema di riserve ei di regole disciplinari[15].
Ciò detto, occorre però soffermarsi a ricostruire più dettagliatamente l’ambito oggettivo e quello soggettivo che è emerso – alquanto modificato, e in maniera tutt’altro che lineare – dal testo finale della Direttiva approvato dal Parlamento Europeo.
2.2.1 Sotto un profilo oggettivo, nel testo della Direttiva che qui commentiamo pare superata la rilevante (e assai problematica) aporia su cui ci eravamo criticamente soffermati nel primo commento della Proposta del 2018, laddove balzava subito all’occhio di qualunque giurista nostrano, così come a quello di qualunque operatore del mercato domestico delle cartolarizzazioni o delle altre operazioni con sottostante “crediti”, la rilevante problematica interpretativa che una lettura rispettosa del testo della Direttiva, avrebbe aperto nel nostro contesto, atteso che l’ambito di applicazione era colà delimitato ai soli “contratti di credito”. Ben nota, irriducibile e densa di implicazioni pratiche e di disciplina è nella nostra tradizione civilistica la distinzione tra “credito” e “contratto (di credito)”[16]; ed è dato di esperienza comune come tutta la disciplina e l’operatività sia oggi incentrata, nel suo momento circolatorio, sul “credito” e non tanto sul “contratto (di credito)”; si pensi solo alla disciplina nostrana della cartolarizzazione, a quelle particolari tipologie di FIA che sono i Fondi di credito o i Fondi di Ristrutturazione[17] o all’istituto del factoring , così come a tutta la connessa operatività e ai relativi modelli negoziali e di analisi legale (due diligence, legal opinions etc.) ormai impostisi nella prassi. Il cambio di prospettiva – o una supposta intercambiabilità tra “credito” e “contratto (di credito)” – sarebbe risultata davvero problematica e si sarebbe portata appresso tematiche giuridiche di difficilissima soluzione; a meno di voler accedere alla inverosimile conclusione che (almeno nel nostro contesto) la Direttiva fosse volutamente destinata ad una ben misera applicazione, atteso che, come detto, la stragrande maggioranza delle operazioni aventi ad oggetto NPL si qualificano come operazioni che hanno ad oggetto “crediti” e non certo “contratti di credito”! Ciò detto, non mancano tuttora difetti di coordinamento, risultando passaggi dell’articolato che ancora si limitano ad enunciare i soli “contratti” e non anche i “crediti” (v. ad es. al Considerando (11)); e peraltro la stessa centrale definizione utilizzata dalla Direttiva risulta esser quella di “contratto di credito deteriorato (sic!)” e non di “credito deteriorato”, richiamandosi a tal fine (impropriamente?), nella definizione di cui all’art. 3,13), l’art. 47 bis del Regolamento (UE) n. 575/2013.
2.2.2 Sotto un profilo soggettivo, all’interprete è richiesta, sin dall’inizio, una non facile opera di ricostruzione dell’articolata architettura di definizioni e concetti che emerge dal testo in maniera tutt’altro che immediata. Cercando di sintetizzare e semplificare, possono individuarsi tre principali attori:
- Il “gestore di crediti”. La persona giuridica che, in maniera imprenditoriale, “gestisce” i crediti/contratti deteriorati per conto di un “acquirente di crediti”, svolgendo almeno una delle “attività di gestione dei crediti” (riscossione/recupero; rinegoziazione; gestione reclami; informativa ai debitori).
- L’ “acquirente di crediti”. La persona fisica o giuridica – che non sia Ente Creditizio, che acquista crediti/contratti deteriorati, nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale.
- Il “fornitore di servizi di gestione dei crediti”. Un “terzo” di cui si avvale il gestore “per lo svolgimento di una delle attività di gestione”.
2.2.2.1 Ciò detto, occorre allora soffermarsi innanzitutto sulla distinzione tra “gestore” e “fornitore di servizi”, atteso che solo per il primo è previsto un regime di riserva, una procedura autorizzativa e una apposita disciplina comportamentale, il secondo essendo sostanzialmente sottratto (perlomeno in via diretta) a tutto ciò, essendo il gestore suo ”mandante” a doversi far carico del rispetto, da parte del primo, di tutte le obbligazioni comportamentali previste dalla Direttiva (il regime di vigilanza è invece ovviamente esteso anche ai “fornitori” ex art.21). A tal fine si osservi che, da un lato, in base all’art. 12,1., b), risulta espressamente vietata l’“esternalizzazione” di tutte le attività di gestione contemporaneamente; dall’altro lato che, affinché si possa parlare di “gestore” è sufficiente lo svolgimento di “almeno una” delle attività di gestione…e che, al contempo un “gestore” potrà avvalersi di un “fornitore” per lo svolgimento di una delle attività di gestione”. Non pare dunque poter essere, di per sé, il tipo di attività svolta a consentire di distinguere tra “gestore” e “fornitore”, delimitando a tal fine l’ambito della riserva e della disciplina applicabile; l’elemento capace di distinguere tra le due figure appare piuttosto individuabile in un dato di tipo formale, relativo al rapporto negoziale sottostante. Si avrà dunque un “gestore”, con tutto ciò che ne consegue, ove le “attività di gestione crediti” risultino svolte per conto di un “acquirente”, sulla base di un apposito “contratto di gestione del credito” (fattispecie questa che, come vedremo oltre, viene qui tipizzata sotto un profilo formale e sostanziale); ove invece quelle medesime attività siano svolte da un qualunque “terzo” sulla base di un “contratto di esternalizzazione” (anch’esso tipizzato nei contenuti in base all’art. 12.1,a)) che intervenga con un “gestore” (soggetto questo, appunto, necessariamente autorizzato e vigilato), quel terzo sarà (solo) un “fornitore di servizi”, applicandosi poi tra “gestore” e “fornitore” l’apposita disciplina di esternalizzazione.
2.2.2.2 Non scontata risulta altresì la ricostruzione dei confini concettuali e disciplinari – solo a prima vista evidenti – tra “gestore” e “acquirente”; e la cosa assume un rilievo centrale ove si consideri che solo per il primo è previsto un regime di riserva/autorizzazione/vigilanza/disciplina, escluso invece per il secondo, il quale si muove in un contesto libero, essendo sottoposto ad un ben più blanda disciplina comportamentale. Deve osservarsi come quest’ultima petizione di principio affermata sin dal Considerando (40) e poi nell’art. 17.2, risulti in parte ridimensionata nei fatti, ove si consideri l’ipotesi – espressamente prevista in più parti nella Direttiva – che l’acquirente stesso decida di gestire direttamente e in autonomia i suoi crediti (v. i Considerando (32) e (46), nonché gli artt. 11 e 18). Viene a tal riguardo chiarito nella Direttiva che tale opzione di “gestione diretta” non sarà sempre possibile; e infatti, un “acquirente” sarà comunque tenuto – per lo svolgimento di attività di gestione dei crediti acquistati – a nominare un “gestore” (ovvero, a seconda dei casi, alternativamente, un Ente Creditizio o altro intermediario vigilato), laddove il debitore sia un “consumatore”, o anche (ma ciò solo se l’acquirente sia soggetto extra-Ue) altra “persona fisica, lavoratore indipendente, microimpresa, piccola impresa e PMI” (v. art. 17); ciò detto, smentendo il tenore apparentemente vincolante di tale imposizione di delega – alquanto ambiguamente però – nel Considerando (44) si affermi poi che, solo nel caso in cui l’acquirente “è tenuto”, nei casi appena citati, a tale nomina ma “sceglie di gestire ed eseguire lui stesso” (sic?) i suoi crediti, esso venga allora “considerato un gestore di crediti e, conseguentemente, dovrebbe essere autorizzato a norma della presente direttiva”.
Alla luce di quanto sopra, pare dunque di doversi ritenere che, in tutti gli altri casi, invece, lo svolgimento di “attività di gestione” di NPL in proprio, da parte di un “acquirente”, non renderà quest’ultimo di per sé (anche) un “gestore” (?). Una tale soluzione ermeneutica pare inevitabile ad esito della complessiva ricostruzione ermeneutica sopra illustrata e ciò, peraltro, si evince anche dalla definizione stessa di “gestore di crediti”, dove è esclusivamente contemplata la sola ipotesi della gestione “conto terzi” e non anche di quella “in proprio”[18].
Fuori, dunque, dall’ipotesi in cui l’acquirente non si attenga dal citato obbligo di delegare ad altri la gestione dei NPL acquistati, (nelle specifiche e limitate ipotesi in un tale obbligo risulti applicabile), pare allora confermata l’impostazione in base alla quale un “acquirente” possa ben decidere di gestire in autonomia i propri crediti, senza per ciò divenire un “gestore” e, quindi, al di fuori di qualsiasi disciplina autorizzativa, di vigilanza e comportamentale, quale invece risulterà applicabile a qualunque “attività di gestione dei crediti” ove svolta conto terzi (?); a tal riguardo il Considerando (46) si limita infatti ad affermare laconicamente che “gli acquirenti di crediti che eseguono direttamente il contratto di credito acquistato dovrebbero farlo nel rispetto della legge applicabile al contratto di credito, comprese le norme in materia di protezione dei consumatori applicabili al debitore. Le norme nazionali, in particolare per quanto riguarda l’esecuzione dei contratti, la protezione dei consumatori e il diritto penale continuano ad applicarsi e le autorità competenti dovrebbero garantire che tali acquirenti di crediti le rispettino nel territorio degli Stati membri”.
Non può sin d’ora non osservarsi come una tale scelta appaia quanto meno discutibile – perlomeno ove si consideri il caso di quella particolare tipologia di NPL, gli UTP Ristrutturabili che richiederebbero (come argomenteremo oltre più diffusamente al par. 4) una particolare competenza, esperienza e “sensibilità”. Come detto, nel quadro normativo che verrebbe a determinarsi per effetto del recepimento della Direttiva, all’”acquirente” che gestisca tali crediti in autonomia non risulterebbe applicabile nessuno di profilo di disciplina previsti dalla Direttiva per i “gestori”, neppure quelli specifici relativi a criteri di professionalità, competenza e onorabilità di esponenti aziendali e detentori di partecipazioni qualificate, a presidi organizzativi e AML/CTF, ovvero quelli di natura comportamentale posti a tutela del debitore. Sotto questo profilo la Direttiva mostra di concentrare tutte le sue attenzioni alla sola figura del “gestore”, e non anche a quella dell’”acquirente-(gestore in autonomia)”, come chiaramente emerge dalla lettura del Considerando (28) ove si osserva come “Gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché la dirigenza del gestore di crediti nel suo insieme sia in possesso dell’esperienza e delle conoscenze adeguate per condurre l’attività in modo competente e responsabile in funzione dell’attività in questione (…) Oltre a ciò, i gestori di crediti dovrebbero essere tenuti ad agire in modo corretto e tenendo in debito conto la situazione finanziaria dei debitori. E similmente nel Considerando (32) ove può leggersi come “(…) i gestori di crediti dovrebbero agire in modo corretto e con la dovuta considerazione per la situazione finanziaria dei debitori” (…). E in tal senso la Direttiva, oltre a prevedere requisiti di onorabilità e professionalità richiede che i “gestori” adottino presidi organizzativi finalizzati “a una politica adeguata a garantire il rispetto delle norme in materia di tutela e il leale e diligente trattamento dei debitori, anche tenendo conto della loro situazione finanziaria e, se del caso, della necessità di deferire tali debitori a consulenti in materia di debito o ai servizi sociali” (art. 5. 1, f)). Agli “acquirenti” (che pur fossero anche, al contempo, gestori in proprio) risultano viceversa estesi i soli doveri generali (e generici) di comportamento sanciti nell’art. 10, (e nel Considerando 20) in base al quale “gli Stati membri esigono che gli acquirenti di crediti e i gestori di crediti, nei loro rapporti con i debitori: a) agiscano in buona fede, in modo equo e professionale; b) forniscano ai debitori informazioni che non siano fuorvianti, poco chiare o false; c)rispettino e tutelino le informazioni personali e la riservatezza dei debitori; d) comunichino con i debitori in un modo che non costituisca molestia, coercizione o indebito condizionamento”.
2.2.2.3 Infine, alla luce di tutto quanto sopra ricostruito in relazione alla perimetrazione dei confini tra la figura del “gestore” e quella del “fornitore di servizi di gestione”, può osservarsi come l’”acquirente/gestore in proprio” non parrebbe facoltizzato ad avvalersi in regime di esternalizzazione di meri “fornitori”, posto che delegando negozialmente la gestione dei crediti nella sua veste di “acquirente” (per quanto anche gestore in proprio ma, come detto, non formalmente tale), ciò potrebbe allora richiedere necessariamente l’intervento di un (vero e proprio) “gestore” (che sia formalmente tale), tramite la stipulazione di un “contratto di gestione”.
2.3. Sommaria illustrazione della disciplina prevista per “gestori” e “acquirenti” di crediti
2.3.1 Il Titolo II definisce un quadro regolamentare uniforme applicabile ai “gestori di crediti”, tali dovendosi intendere, come già visto, le persone giuridiche che, nel quadro della loro attività di impresa, prestano “attività di gestione dei crediti” e cioè, in virtù della definizione di cui all’art.3 (9): recupero e riscossione; rinegoziazione; gestione dei reclami; informazione del debitore. Viene dunque previsto un regime autorizzativo che richiede, inter alia, requisiti di professionalità e onorabilità in capo ad esponenti aziendali e detentori di partecipazioni qualificate, nonché presidi organizzativi, quale, in particolare quello finalizzato all’applicazione di “una politica adeguata a garantire il rispetto delle norme in materia di tutela e il leale e diligente trattamento dei debitori, anche tenendo conto della loro situazione finanziaria e, se del caso, della necessità di deferire tali debitori a consulenti in materia di debito o ai servizi sociali” (artt. 4 e 5). Particolari requisiti e presidi organizzativi (anche AML/CTF) e comportamentali sono richiesti ove i gestori intendano detenere fondi (art. 6). E’ poi prevista l’istituzione di un elenco o registro (art. 9), prevedendosi oneri informativi (a carico anche degli “acquirenti”) nei rapporti coi debitori (art. 10). Specifiche regole sono previste in merito alla forma e al contenuto del “contratto di gestione del credito” che deve essere stipulato tra un “gestore” o un “acquirente” (laddove, come detto, quest’ultimo non decida di gestire direttamente i propri crediti; facoltà consentita solo se il debitore non sia un consumatore o – nel caso di “acquirenti” di paesi terzi – non sia un consumatore, una persona fisica, un lavoratore indipendente, una microimpresa o PMI), dandosi luogo ad una vera e propria tipizzazione di questo modello negoziale (art. 11). Similmente sono previste regole per l’esternalizzazione (ammessa solo in forma parziale) delle attività di gestione da parte di un gestore in capo ad un “fornitore di servizi di gestione di crediti” (art. 12). Il Capo II (artt. 13 e 1e) disciplina la prestazione cross-border dell’attività di gestione dei crediti, prevedendo un regime di passaportazione analogo a quello operante in ambito di servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio. Per finire, si osservi come al Considerando (23) la Direttiva affermi che “… esistono alcune professioni che svolgono attività accessorie simili alle attività di gestione dei crediti nell’ambito della loro professione, vale a dire notai, avvocati e ufficiali giudiziari che esercitano le loro attività professionali ai sensi del diritto nazionale e che attuano l’esecuzione di misure vincolanti, ragion per cui gli Stati membri dovrebbero poter esentare anche tali professioni dall’applicazione della presente direttiva.”
2.3.2 Il Titolo III si occupa invece di disciplinare l’attività degli “acquirenti di crediti”, e quindi l’attività di acquisto dei NPL, non prevedendosi qui un regime autorizzativo (che anzi pare escluso[19] possa essere adottato o mantenuto in fase di recepimento da parte dei singoli Stati Membri: v. i Considerando n. 9 e 40 e l’art. 17.2) ma essenzialmente informativo (a favore dell’acquirente e a carico degli enti creditizi, in sede pre-negoziale (artt. 15 e 16) e da parte dell’acquirente all’autorità di vigilanza, (artt.17-20), con finalità statistiche e di monitoraggio del mercato. Come visto, laddove le “attività di gestione” siano svolte direttamente dall’”acquirente” (nei casi in cui ciò risulti possibile, non risultando applicabile la prescrizione dell’art. 17 di avvalersi di un “gestore” o comunque di un ente creditizio o intermediario finanziario vigilato in virtù della natura “debole” del debitore), non parrebbe applicarsi nulla della disciplina prevista per i “gestori” nel Titolo I, ribadendosi a tal fine le perplessità già avanzate in relazione alla scelta di riservare un trattamento diverso nelle due ipotesi – esercizio diretto ovvero delegato delle “attività di gestione” – laddove la chiara opzione sottostante è stata quella di circondare la prestazioni di tali attività con tutta una serie di cautele che ne garantiscano una prestazione secondo fit and proper criteria, anche nell’interesse del debitore. Nel caso di acquisto di NPL da parte di acquirenti non stabiliti nella UE viene previsto l’obbligo di designare un rappresentante stabilito nella UE che assicuri il rispetto delle obbligazioni previste dalla direttiva in capo agli acquirenti (art. 19), disposizione che avrà evidentemente una ricaduta diretta sull’operatività e gli assetti organizzativi di investitori extra-UE che si affacciano sul mercato europeo dei NPL .
2.3.3 Nel Titolo IV viene infine disciplinato un quadro uniforme dell’attività di vigilanza che dovrà essere svolto dalle autorità competenti designate dai singoli Stati membri (artt. 20-23), a seconda dei casi, nei confronti di gestori, fornitori e acquirenti.
3. Il quadro legislativo e regolamentare vigente in ambito domestico e il prevedibile impatto che potrà avere la Direttiva su di esso.
L’attività di acquisto, gestione (individuale o collettiva), recupero, factoring e cartolarizzazione di crediti – deteriorati o meno, di natura e/o origine bancaria o meno – è oggetto nel nostro vigente Ordinamento finanziario di una fitta e intricata trama di riserve di attività e di discipline che si sono accavallate e sovrapposte disordinatamente nel corso degli ultimi decenni. Limitandoci qui al solo profilo della disciplina dell’accesso a tali attività – ed omettendo il diverso, connesso e altrettanto articolato profilo dei diversi modelli operativi oggi rintracciabili e della diversa disciplina civilistica e regolamentare ad essi applicabile[20] – può tentarsi una prima analisi degli effetti che potranno determinarsi sul/i mercato/i domestico/i su cui la Direttiva in esame verrebbe ragionevolmente ad incidere.
Occorre a tal fine partire da una mappatura dell’articolato sistema di “riserve di attività”. Per far ciò è utile adottare un approccio analitico che scomponga e consideri separatamente le singole distinte fasi dell’intervento avente ad oggetto NPL[21], secondo il modello di intervento adottato nella Direttiva: (i) l’”acquisto” di NPL e (ii) le “attività di gestione” ad essi connesse. Come detto, la Direttiva è destinata ad incidere solo sui NPL di origine bancaria e quindi è solo rispetto a questa tipologia di crediti che valuteremo qui di seguito l’impatto sul quadro normativo e regolamentare vigente; per i crediti di altra origine e/o natura esso potrebbe continuare ad applicarsi senza mutamenti, dandosi luogo ad un doppio regime (salva diversa scelta di “armonizzazione” interna che fosse adottata dal legislatore nazionale in sede di recepimento della Direttiva[22]).
I. Riserva per “acquisto di crediti (NPL) a titolo oneroso” quale attività finanziaria riservata Soggetti abilitati:
- banche; non impattate
- intermediari finanziari autorizzati ex 106 T.U.B.; non impattati; cade la riserva; liberalizzazione per acquisto (e gestione in proprio?)
- recuperatori ex 115 T.U.L.P.S. (alle condizioni di cui all’articolo 2.2 D.M. n. 53 del 2015); liberalizzazione per acquisto (e gestione in proprio?), a prescindere dalle condizioni di cui all’articolo 2.2 d.m. n. 53 del 2015
- FIA (“Fondi che investono in crediti”; “Fondi di cartolarizzazione ex n. 130 del 1999”; “Fondi di Ristrutturazione”); permane inalterata la riserva relativa all’acquisto (investimento), ove finalizzato alla gestione collettiva dei crediti
- veicoli ex n. 130 del 1999. permane inalterata la “riserva” relativa all’acquisto, ove finalizzato alla cartolarizzazione dei crediti
II. “Riserve”[23] per le “attività di gestione”[24]:
a. gestione attiva (di natura collettiva):
- Fondi di credito o di Fondi di Ristrutturazione; permane inalterata la riserva relativa alla gestione collettiva dei crediti
b. cartolarizzazione (amministrazione conservativa o dinamica ex art. 7.1.4):
- veicoli ex n. 130 del 1999; permane inalterata la “riserva” relativa alla cartolarizzazione[25] dei crediti
- fondi di cartolarizzazione ex n. 130 del 1999; permane inalterata la “riserva” relativa alla cartolarizzazione dei crediti
c. recupero e servizi connessi (incasso/riscossione…):
- recuperatori ex 115 T.U.L.P.S; assorbimento/assoggettamento alla disciplina dei “gestori di crediti” – salva la loro qualificazione come meri “fornitori di servizi di gestione dei crediti”
- intermediari finanziari autorizzati ex 106 T.U.B. (attività connessa- non riservata- v. circolare B.d’I. 288, Tit. I, Cap. 3, Sez. III); sottratti alla disciplina dei “gestori di crediti”
- servicers ex 2 comma 6 L. n. 130 del 1999 e 106 T.U.B.; sottratti alla disciplina dei “gestori di crediti”.
- banche; sottratte alla disciplina dei “gestori di crediti”
- FIA (“Fondi che investono in crediti”; “Fondi di cartolarizzazione ex n. 130 del 1999”; Fondi di Ristrutturazione). sottratti alla disciplina dei “gestori di crediti”. permane inalterata la riserva relativa alla gestione collettiva dei crediti
- FIA UE autorizzati ex art. 46-ter del TUF sottratti alla disciplina dei “gestori di crediti”. permane inalterata la riserva relativa alla gestione collettiva dei crediti
d. “consulenza e gestione dei crediti ai fini di ristrutturazione e recupero degli stessi”:
- agenti in attività finanziaria iscritti nell’elenco di cui all’articolo 128 quater comma 2 T.U.B.[26] (art. 128 quaterdecies U.B.: facoltà o riserva?) assorbimento nella disciplina dei “gestori di crediti” – salva la loro qualificazione come meri “fornitori di servizi di gestione dei crediti”
4. Riconsiderazione critica di alcune opzioni di fondo della Direttiva, in vista del recepimento nell’ordinamento domestico
La Direttiva risulta sostenuta dai medesimi condivisibili obiettivi da tempo accolti dalla Commissione e dalle istituzioni bancarie europee (in primis BCE e EBA) con riferimento alla necessità di rafforzare l’Unione Bancaria e, più in generale, l’Unione dei mercati dei capitali (CMU), affrontando di petto il nodo centrale dei NPL, coerentemente a quanto indicato nel Piano d’Azione, rispetto al quale è nel frattempo intervenuta la crisi pandemica che ha evidentemente aggravato la situazione.
E tuttavia – oltre alle considerazioni di natura più “tecnica” già sopra avanzate – possono sin da subito avanzarsi anche alcune ulteriori considerazioni critiche di natura più “politica”; considerazioni che dovrebbero o potrebbero trovare qualche risposta nell’ambito del percorso che dovrà ancora compiersi per arrivare al recepimento della Direttiva in ambito domestico:
- Un primo limite dell’approccio analitico seguito nell’impostazione di fondo della Direttiva può rilevarsi nel continuare a considerare il bene “credito “(o il “NPL”) come un bene uniforme, unidimensionale, passibile di valutazione e trattamento indifferenziato. Ed effettivamente la Direttiva non pare adottare alcun approccio diversificato, in ragione della tipologia di NPL e dei relativi “debitori”, nella valutazione dei modelli di intervento, con l’unica eccezione di quelli vantati nei confronti di “consumatori”[27], per i quali viene sostanzialmente garantito il rispetto del regime di tutela già oggi vigente in base alle normative europee e nazionali. In particolare, non risulta oggetto di specifica considerazione quella che a noi pare una peculiare tipologia di NPL meritevole di specifica attenzione, in virtù della particolare sensibilità sistemica che mostra la corrispondente posizione debitoria.
- Intendiamo qui riferirci a quei NPL – più spesso meglio qualificabili in termini di UTP (Unlikely To Pay) – vantati dal sistema bancario, tipicamente in maniera polverizzata, verso debitori di natura corporate, tipicamente piccole-medie imprese (PMI o SMEs) che hanno intrapreso o hanno prospettive di poter intraprendere percorsi virtuosi di uscita e di composizione della crisi, presentandone i presupposti, attraverso il ricorso alle molteplici procedure giudiziali o stragiudiziali approntate in questo ultimo decennio da molti legislatori europei e, tempestivamente, anche dal nostro. Potremo chiamare questa categoria di NPL come UTP Ristrutturabili[28]. Come ben noto questa categoria di NPL presenta una estrema rilevanza proprio nel caso italiano, in presenza di un sistema imprenditoriale di PMI ancora pesantemente e diffusamente impegnato in percorsi di ristrutturazione e uscita dalla crisi del decennio trascorso, ulteriormente aggravata oggi per effetto della pandemia Covid 19.
- Proprio con riferimento, allora, ai UTP Ristrutturabili, un primo limite che rimane osservabile nell’approccio analitico di fondo seguito dalla Direttiva può intravvedersi in quella che appare una vera e propria petizione di principio; quella in base alla quale – nell’ottica delle banche – la riduzione dello stock di NPL (secondo il modello c.d. portfolio reduction) sia sempre e necessariamente la strada migliore ed auspicabile, in alternativa a quella della gestione interna (secondo il modello c.d. hold/forbearance). Ed è infatti questa la valutazione che sostiene l’obiettivo dichiarato della Direttiva di creare le condizioni normative e regolamentari uniformi affinché possano svilupparsi mercati secondari, razionali, efficienti e trasparenti di NPL sui quali le banche possano “smaltire” i loro crediti deteriorati; strada oggi perlopiù ostacolata dall’ inefficienza di quei mercati. E certamente, in via di principio e con riguardo alla gran parte dei NPL bancari, questa analisi può dirsi condivisibile.
- E tuttavia, con particolare riguardo a tali UTP Ristrutturabili, le soluzioni della “cessione a terzi” o quella della “gestione interna” non paiono oggi – soprattutto in epoca post-pandemica[29] – necessariamente quelle più efficiente e conveniente per le stesse banche, potendosi ben considerare altri, più efficienti, modelli di intervento che vanno imponendosi nella prassi operativa e di cui si dovrebbe tener conto nel delineare il quadro del mercato nazionale che risulterà dal recepimento della Direttiva. Ci riferiamo ai c.d. “Fondi di Ristrutturazione”[30], fattispecie atipica di FIA che si caratterizza per una gestione attiva di quella particolare categoria di UTP Ristrutturabili che – con particolare riferimento alla sua strutturazione in forma “captive” – vengono “apportati” dalle banche a fronte di quote emesse dal Fondo stesso. Nella prospettiva del sistema bancario, gli effetti più innovativi di tale schema alternativo di gestione possono individuarsi nel mantenere al suo interno (invece di dismetterlo a valori spesso non congrui, in mancanza ad oggi di un mercato trasparente ed efficiente) il plusvalore estraibile dai processi di ristrutturazione attiva di quei crediti, spesso anche tramite la loro conversione in equity, consentendo al contempo di ottenere benefici effetti in termini (i) bilancistici di derecognition; (ii) gestionali di razionalizzazione delle risorse e abbattimento dei costi di gestione, esternalizzandola a soggetti competenti e specializzati; (iii) di governance, isolando la banca da ogni profilo relazionale/reputazionale o conflittuale nella gestione del rapporto col debitore; (iv) regolamentare, consentendo una più sana gestione della separatezza banca-industria (nell’ipotesi di conversione dei crediti in equity del debitore) e garantendo una retention strutturale che eviti i fenomeni di moral hazard impliciti nei modelli originate-to-distribute.
- Ma anche laddove fossero presenti mercati secondari di NPL, razionali, efficienti e trasparenti (questo essendo l’obiettivo primario perseguito dalla Direttiva), cionondimeno l’approccio analitico adottato nella Direttiva presenta l’ulteriore rilevante limite di non considerare le ricadute e gli impatti che si determinano su una categoria centrale di stakeholders, ampiamente sottovalutata nelle analisi sottese alla formulazione della Direttiva: quella dei debitori (con la solo eccezione qui non rilevante, come detto, dei consumatori). Ed effettivamente tutto l’impianto dell’iniziativa legislativa, le analisi di impatto approfonditamente svolta a suo supporto e le diverse opzioni di intervento considerate, muovono dalla centrale valutazione degli interessi di due categorie di stakeholders[31]: (i) gli interessi delle banche che manifestano l’esigenza primaria di “ripulire” i bilanci per migliorare o riguadagnare redditività gestionale e per riavviare una più sana e robusta funzione creditizia; (ii) gli interessi degli “investitori” interessati ad aggredire il mercato europeo – e in primis italiano- dei NPL e che beneficerebbero direttamente dell’abbattimento delle barriere e dei costi di ingresso su tale mercato oltreché della riduzione dei costi delle “attività di gestione”.
- L’interesse specifico e peculiare che i debitori rivestono, con particolare riguardo ai UTP Ristrutturabili pare, se non ignorato, assai sottovalutato nell’ambito della Direttiva. Anche da questo punto di vista, considerare il “credito” in una prospettiva unitaria, unidimensionale, senza valutare le rilevantissime e delicate conseguenze/ricadute/significati (anche culturali e financo simbolici) che il credito viene ad assumere nella prospettiva invertita del debitore, appare un limite della Direttiva. Si impone dunque di recuperare, con particolare riguardo ai UTP Ristrutturabili un debtor level approach che nella Direttiva pare essere stato ignorato[32]. Da questo punto di vista, il modello operativo della cessione a terzi ignora e sacrifica la prospettiva del sistema imprenditoriale per il quale dovrebbero essere evidenti i rischi di un radicale cambio di paradigma che intervenisse all’improvviso, in assenza di un maturato ri-orientamento culturale della relazione banca – “impresa in crisi”. I rischi sono quelli di destabilizzare l’ancora fragile ripresa in cui buona parte del sistema imprenditoriale risulterà impegnato nel percorso di uscita dalla crisi post-pandemica, per effetto di un’apertura violenta, indiscriminata e improvvisa del mercato dei crediti deteriorati a soggetti investitori sottratti a qualsiasi “riserva”, disciplina e vigilanza; spesso lontani dagli interessi sottesi a quelle posizioni creditorie e guidati da una logica eminentemente finanziaria. Una logica comprensibilmente aliena da qualsiasi prospettiva di prossimità, di compatibilità e di sussidiarietà sociale che ha invece spesso sin qui connotato nel nostro sistema – talora, certo, in virtù di un malcelato ed eccessivo favor debitoris dagli effetti distorsivi o perversi – la relazione banca – “impresa in crisi”.
- Oltre a sottostimare i rischi di un violento e improvviso cambio di paradigma nella relazione creditore-debitore, la Direttiva non tiene dunque conto di quelle che invece, nell’ottica del sistema imprenditoriale, dovrebbero essere le priorità da perseguire nel disegnare un efficiente mercato degli NPL: (i) quella di avere interlocutori “empatici”, esperti, pazienti e costruttivi[33]; (ii) quella di disporre di meccanismi e schemi operativi finalizzati ad agevolare e magari ad imporre – in presenza di una pluralità di creditori bancari esposti verso lo stesso debitore – una concentrazione delle posizioni creditorie (altrimenti polverizzate e rappresentative spesso di interessi disomogenei o talora conflittuali), in un unico interlocutore professionale del debitore. E’ questo un fattore determinante, rispetto ai modelli alternativi, per ottenere efficienti e accelerati processi di ristrutturazione/recovery, altrimenti destinati a rimanere impantanati in defatiganti, inconcludenti ed eterni “tavoli interbancari”. I benefici di tale modello di intervento per il sistema imprenditoriale, oggi endemicamente colpito dalle crisi aziendali, sono pertanto del tutto allineati con quelli delle banche, in termini di razionalizzazione, efficientamento e velocizzazione delle ristrutturazioni aziendali. E anche da questo punto di vista il modello del Fondo di Ristrutturazione risulta quello oggi preferibile e più funzionale a quegli obiettivi[34].
- Occorre peraltro segnalare come il modello del Fondo di Ristrutturazione possa essere pensato anche in una prospettiva “sistemica”, come una valida alternativa al modello delle AMCs (Asset Management Companies, oggetto del “Blueprint”[35] varato nel medesimo pacchetto normativo della Direttiva) sin qui dominante ove si siano adottate esperienze di bad banks Opportunamente incentivato e agevolato – ad esempio tramite il ricorso ad incentivi fiscali e a meccanismi di “creditor drag along” – il ricorso “sistemico” a tale schema di Fondi si pone oggi come un valido modello alternativo di organizzazione di una “bad bank” nazionale che sia focalizzata sulla ristrutturazione di UTP Ristrutturabili con logiche di private equity/turn-around.
- A livello di policy allora, in sede di recepimento domestico della Direttiva occorrerebbe dunque valutare: (i) innanzitutto di enucleare nell’ambito della categoria dei NPL, quelli che possano qualificarsi come “UTP Ristrutturabili”, in base a criteri oggettivi di facile individuazione da coordinare con la disciplina di cui alla Direttiva di Direttiva sui processi di ristrutturazione c.d. Restructuring Proposal[36]; (ii) prevedere un regime di riserva di attività, che preveda un regime autorizzativo, in relazione ai soggetti che intendano rendersi acquirenti e prestatori “in proprio” di “attività di gestione” in relazione a tale specifica tipologia dei UTP Ristrutturabili. Tale riserva di attività dovrebbe essere posta a favore di soggetti che – nel rispetto di fit and proper criteria – dispongano di adeguata competenza in materia di ristrutturazione aziendale; non sarebbe poi inopportuno pensare di dar voce e rappresentanza, nell’ambito della governance di tali soggetti – ad. es. in appositi comitati di investimento – anche alle istanze localistiche, delle parti sociali e di categoria interessate. I soggetti destinatari della riserva dovrebbero dunque essere appositi Fondi di Ristrutturazione o anche Veicoli ex l. 130/99 (ove tali operazioni aventi ad oggetto UTP Ristrutturabili si collochino nell’ambito di uno schema di “Cartolarizzazione di Ristrutturazione”, in virtù della nuova, “rivoluzionaria” opzione introdotta nel corpo della legge italiana della cartolarizzazione, con l’art. 7.1, in tempi recentissimi[37]; (iv) accompagnare tale riserva con idonei meccanismi di incentivazione fiscale e di “creditor drag along” che incentivino/obblighino le banche – ove a tale iniziativa aderisca la maggioranza del ceto bancario che partecipi a “tavoli di ristrutturazione” – ad apportare i loro UTP Ristrutturabili a quei Fondi e Veicoli specializzati, agevolando la positiva conclusione e l’efficientamento dei percorsi di ristrutturazione aziendale come conseguenza diretta di quel fondamentale e benefico effetto di “concentrazione” delle molteplici posizioni creditorie altrimenti polverizzate.
[1] Paolo Carrière, Il prevedibile impatto per il sistema finanziario e imprenditoriale italiano della proposta di direttiva sullo sviluppo dei mercati secondari di NPL. Opportunità e rischi (memori del “bail-in”), in diritto bancario.it, aprile 2018. In dottrina tra i pochi commenti sulla proposta può altresì segnalarsi Hooghiemstra, Sebastiaan Niels, EU Legislative Measures for Non-Performing Loans – Impact on Luxembourg Loan Participating Funds, 20 gennaio 2019) reperibile in SSRN: https://ssrn.com/abstract=3439998 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3439998
[2] COM(2018)0135 – C8-0115/2018 – 2018/0063A(COD). La disciplina della Direttiva risulta oggi ridimensionata solo a quella finalizzata a regolamentare i mercati secondari di NPL e delle connesse attività di gestione; risulta viceversa espunto l’altro profilo originariamente oggetto di disciplina nel Titolo V della Direttiva, relativamente alla “escussione extragiudiziale accelerata delle garanzie” (Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement” c.d. AECE).
[3] La crisi Covid 19 ha evidentemente accentuato il problema dei NPL (è sufficiente rinviare all’ultima Relazione Annuale del Governatore di Banca d’Italia) giustificando la formulazione di soluzioni nuove (quali i Fondi di Ristrutturazione di UTP, rinviando nel dettaglio a quanto diremo al par. 4; ovvero a forme aggiornate di “retratto anastasiano” consegnate anche a progetti di legge depositati recentemente in Senato: si vedano a tal riguardo le osservazioni avanzate da E. Fabbiani, Ipotesi di riforma della cessione del credito e opportunità per il Terzo Settore, in dirittobancario.it, 4 novembre, 2021. ) o emergenziali: mi sia consentito di rinviare in tal senso a P. Carrière, NPL: una emergenza nazionale. Sospendere le cartolarizzazioni?, Dirittobancario.it, aprile 2020.
[4] Comunicazione del 11 ottobre 2017, COM(2017) 592 final.
[5] Action Plan to Tackle Non-performing Loan in Europe, luglio 2017.
[6] Cosi come definiti nel Regolamento (EU)2015/227.
[7] COM(2018) 133.
[8] Regolamento (EU) n. 575/2013
[9] Deve osservarsi come, curiosamente, l’Italia risulti del tutto assente dalla interessantissima indagine comparativa – Stocktake – svolta nell’ANNEX 6 sui vigenti quadri regolamentari degli Stati Membri!
[10] Commission Staff Working Document – Impact Assessment[10], Part1/2, SWD (2018) 75 final. Il documento è stato oggetto di modifiche a fronte di una prima versione sottoposta in data 8 dicembre 2017 al Regulatory Scrutiny Board (“RSB”) che lo ha approvato nella sua versione finale in data 13 febbraio 2018 Ares(2018)827204, 13/02/2018.
[11] SWD(2018) 76 final.
[12] Direttiva 2014/17/EU recepita nel nostro ordinamento con il D. Lgs. n. 72 del 2016.
[13] Direttiva 2008/48/EC recepita nel nostro ordinamento con D. Lgs. 141 del 2010.
[14] E’ invece esclusa l’applicazione della Direttiva: alla “gestione “di NPL svolta da Enti Creditizi, Gefia, intermediari finanziari vigilati, cosi come all’”acquisto” di NPL da parte di Enti creditizi (v. art. 2.5). Si osservi poi che la Direttiva lascia impregiudicate le prescrizioni delle legislazioni nazionali degli Stati membri in materia di gestione dei diritti del creditore in forza di un contratto di credito o del contratto di credito stesso quando l’acquirente di crediti è una società veicolo per la cartolarizzazione quale definita all’articolo 2, punto 2, del regolamento (UE) 2017/2402 del Parlamento europeo e del Consiglio nella misura in cui tali legislazioni nazionali: a)non influiscono sul livello di tutela garantita ai consumatori dalla presente direttiva; b)assicurano che le autorità competenti ricevano le informazioni necessarie dai gestori di crediti (art. 2.4).
[15] Ove a livello domestico non si ritenga di adottare un regime armonizzato per tutte le tipologie di crediti; si noti che al Considerando (17) la Direttiva afferma come “gli Stati membri sono liberi di disciplinare le attività di gestione dei crediti che non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quali i servizi offerti per i contratti di credito emessi da enti non creditizi o le attività di gestione dei crediti effettuate da persone fisiche, anche mediante l’imposizione di requisiti equivalenti a quelli stabiliti dalla presente direttiva. Tuttavia, tali enti e persone fisiche non beneficerebbero della possibilità di utilizzare il passaporto per prestare tali servizi in altri Stati membri”;
[16] Per tutti, sia sufficiente rinviare in dottrina a F. Galgano, Il contratto, 2011, p. 254 e ss.; l’affermazione è stata poi ben sancita anche dalla Consulta con l’Ordinanza n. 95 del 10 marzo 2006. Infine può segnalarsi come anche nel diritto internazional- privatistico la distinzione emerga ben chiara: sia nelle Convenzioni di diritto uniforme (v. Convenzione Unidroit di Ottawa sul factoring e la Convenzione Uncitral sulla cessione dei crediti nel commercio internazionale) che in quelle sulla legge applicabile ( v. Convenzione di Roma, art. 12). La distinzione tra “cessione di credito” (assignement of debt”) e “cessione di contratto” (assignement of contract) appare inoltre ben presente anche nella Common Law inglese, anche se la distinzione può effettivamente apparire meno netta, dissolvendosi le differenze nell’ambito della categoria più ampia delle choses in action. In particolare, la disciplina contrattuale è articolate su due azioni: l’action of debt e l’action of covenant. Può poi osservarsi come, ad es., l’ambito di applicazione del Consumer Credit Act, sia individuato in “qualsiasi contratto che comporti un credito”. E tuttavia, per un espresso e consapevole riferimento all’utilizzo di termini “tecnico legali” distinti quali “credit” e “credit agreement” si veda il Considerando (8) della stessa Direttiva, laddove oggi si è chiarito come “la presente direttiva si applica sia ai diritti del creditore derivanti da un contratto di credito deteriorato, sia al contratto di credito deteriorato stesso”.
[17] Su cui rinvio a P. Carrière, I “fondi comuni di ristrutturazione” tra investimento, finanziamento e cartolarizzazione, Rivista delle Società n. 4/2016; Id., ‘Restructuring Funds’; an Alternative Tool for a Systemic Approach to Active Management of Unlikely to Pay (UTP) (February 1, 2020). BAFFI CAREFIN Centre Research Paper No. 2020-132, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3541626 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3541626.
[18] Non pare rilevante l’omissione tout court dell’originario art. 18 espressamente dedicato a questa ipotesi, risultando ciò solo dovuto all’accorpamento della disciplina che ivi era prevista nell’art. 18 attuale, “a contrario”.
[19] E ciò anche nel caso in cui l’”acquirente” si ponga – risultando ciò chiaramente ammesso dalla Direttiva – quale “gestore in proprio”? Come già detto nel testo questa pare la conclusione (per quanto discutibile o incomprensibile) che pare di doversi trarre in base alla chiara lettura – a contrario – del Considerando (44).
[20] Il bene “credito” può oggi essere infatti oggetto di cartolarizzazione, gestione attiva, mero recupero, ristrutturazione etc. Ciascun modello di intervento presenta poi, nel suo ambito, profili di disciplina particolari e specifici sia con riguardo, ad es. ai profili civilistici di suo trasferimento, di suo incasso, di attivazione delle connesse garanzie etc. sia con riguardo alle regole di condotta applicabili.
[21] Non rilevando qui l’attività di “factoring” ex l.52/91.
[22] Come già segnalato, al Considerando (17) la Direttiva afferma come “gli Stati membri sono liberi di disciplinare le attività di gestione dei crediti che non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quali i servizi offerti per i contratti di credito emessi da enti non creditizi o le attività di gestione dei crediti effettuate da persone fisiche, anche mediante l’imposizione di requisiti equivalenti a quelli stabiliti dalla presente direttiva. Tuttavia, tali enti e persone fisiche non beneficerebbero della possibilità di utilizzare il passaporto per prestare tali servizi in altri Stati membri”.
[23] Nel nostro ordinamento finanziario non pare oggi ricostruibile una vera e propria “riserva” in relazione allo svolgimento dell’ “attività di “gestione” di crediti, se non per quella che abbia luogo nell’ambito di una “gestione collettiva del risparmio”; in relazione ai veicoli di cartolarizzazione, ovvero ai soggetti ex 115 t.u.l.p.s, non si tratta di una vera e propria “riserva di attività”, ma dell’accesso regolato ma “volontario” ad una disciplina di favore (nel primo caso), ovvero della mera imposizione ad adempimenti di natura amministrativa.
[24] Si notino i due Considerando qui riportati: “(24) Per consentire agli acquirenti di crediti e ai gestori di crediti esistenti di adeguarsi ai requisiti delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva e, in particolare, per consentire l’autorizzazione dei gestori di crediti, la presente direttiva permette ai soggetti che svolgono attualmente attività di gestione dei crediti a norma del diritto nazionale di continuare a svolgere tali attività nel loro Stato membro di origine per un periodo di sei mesi successivi al termine per il recepimento della presente direttiva. Giunto a scadenza il termine di sei mesi, dovrebbero essere autorizzati a operare sul mercato soltanto i gestori di crediti autorizzati a norma della legislazione nazionale che recepisce la presente direttiva; (25)È opportuno che gli Stati membri in cui sono già in vigore norme equivalenti o più rigorose rispetto a quelle stabilite dalla presente direttiva in relazione alle attività di gestione dei crediti possano contemplare, nella legislazione nazionale che recepisce la presente direttiva, la possibilità per i soggetti esistenti che svolgono attività di gestione dei crediti di essere automaticamente riconosciuti quali gestori di crediti autorizzati.” Circostanza quest’ultima che potrebbe facilmente risultare applicabile agli intermediari ex 106 TUB (che però sono esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva); non così può dirsi per i soggetti ex 115 T.U.L.P.S., mentre andrebbe condotta una più attenta disamina di equivalenza di disciplina in relazione agli Agenti ex 128 quaterdecies.
[25] Come già segnalato, la Direttiva “lascia impregiudicate le prescrizioni delle legislazioni nazionali degli Stati membri in materia di gestione dei diritti del creditore in forza di un contratto di credito o del contratto di credito stesso quando l’acquirente di crediti è una società veicolo per la cartolarizzazione quale definita all’articolo 2, punto 2, del regolamento (UE) 2017/2402 del Parlamento europeo e del Consiglio nella misura in cui tali legislazioni nazionali: a)non influiscono sul livello di tutela garantita ai consumatori dalla presente direttiva; b)assicurano che le autorità competenti ricevano le informazioni necessarie dai gestori di crediti” (art. 2.4).
[26] In relazione ai relativi ambiti di applicazione la situazione pare esclusivamente configurabile nel caso in cui un “acquirente” – intermediario 106 TUB, intenda avvalersi di un “agente” per la consulenza e gestione dei NPL a fini di ristrutturazione e recupero degli stessi.
[27] E – per solo limitatamente all’imposizione di obblighi di delega in capo ad acquirenti di paesi terzi – lavoratori indipendenti, microimprese o PMI.
[28] Deve osservarsi come la categoria dei NPL nei confronti di SMEs, pur non essendo del tutto estranea all’analisi sottostante alla Direttiva, è destinataria di una attenzione del tutto secondaria e indiretta. Essa infatti si limita ad analizzare i benefici indiretti che deriverebbero alle SMEs dallo sviluppo dei mercati finanziari efficienti di NPL, considerata come una condizione affinché le banche possano riacquistare una più sana e robusta funzione creditizia a favore del sistema imprenditoriale (v. p. 77 del Commission Staff Working Document – Impact Assessment). Vengono viceversa del tutto ignorate le dirette ricadute negative che, per effetto della diffusione di modelli improntati ad una logica “originate and distribute” dei NPL, si determinerebbero in capo ai debitori e, quindi, in capo al sistema imprenditoriale ancora pesantemente e diffusamente impegnato in percorsi di ristrutturazione e uscita dalla endemica crisi di questo decennio.
[29] Rimando a P. Carrière, NPL: una emergenza nazionale. Sospendere le cartolarizzazioni? , Dirittobancario, aprile 2020.
[30] Cfr. P. Carrière, I “fondi comuni di ristrutturazione” tra investimento, finanziamento e cartolarizzazione, op. cit; Id. ‘Restructuring Funds’; an Alternative Tool for a Systemic Approach to Active Management of Unlikely to Pay (UTP) (February 1, 2020), op.cit.
[31] Salva la specifica e attenta considerazione dedicata dalla Direttiva ai “consumatori”.
[32] L’apparato analitico che sostiene la Direttiva da atto di non ignorare il problema (v. paragrafi 3.2, 3.3 e 4 del Commission Staff Working Document – Impact Assessment, ove si analizza il cosiddetto “stigma effect”) ma tale consapevolezza appare puramente “formalistica” e non si traduce in indicazioni di policy come avrebbe richiesto e meritato.
[33] Valori che pur la Direttiva richiama in relazione però, come visto, ai soli “gestori” e non agli “acquirenti” che pur fossero gestori “in proprio”.
[34] A tal fine può segnalarsi il rapporto tecnico elaborato da un gruppo di lavoro del “Centro di ricerca interuniversitario sull’economia pubblica” coordinato da A. Bonissoni e L. Greco, Ricapitalizzare e ristrutturare le PMI italiane dopo il COVID-19: il disegno di un intervento di sistema, luglio 2021, descritto anche in Perché e come ricapitalizzare le PMI italiane dopo il COVID-19, in corso di pubblicazione su “Il Risparmio”.
[35] COM(2018) 133 final.
[36] COM/2016/0723 final, del 22 novembre 2016.
[37] Richiamandosi qui le rilevanti perplessità d’ordine sistematico evidenziate in P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Riv. Dir. Bancario, 11/2017, richiamandosi qui le perplessità d’ordine sistematico ivi evidenziate.