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La disciplina antiriciclaggio per i promotori. Disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela da parte dei promotori finanziari (ai sensi dell’art. 7, comma 2, D. Lgs 21/11/07, n. 231 e ss.mm.).

22 Gennaio 2014

Giuseppe G. Santorsola, Professore Ordinario di Corporate Finance e Corporate & Investment Banking Università Parthenope di Napoli

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa ed evoluzione del quadro normativo di riferimento

Nell’attesa di nuove soluzioni comunitarie di ulteriore armonizzazione, la disciplina antiriciclaggio in campo nazionale amplia il proprio perimetro di influenza coinvolgendo in modo “attivo” un numero sempre maggiore di operatori della filiera. Il provvedimento Consob del 18/12/13 conclude una procedura di consultazione riferita al segmento dei promotori finanziari in ossequio alla cogente disciplina derivante dall’applicazione della direttiva europea, determinando che i promotori finanziari assolvano gli obblighi di adeguata verifica della clientela “osservando misure, modalità e procedure interne previste dall’intermediario per il quale operano”.

La fattispecie rappresenta un momento di un percorso ormai venticinquennale che ha profondamente trasformato il modello applicativo delle politiche antiriciclaggio, iniziato con una scelta di mera acquisizione di dati da parte delle sole banche (1990), proseguito con il coinvolgimento di altri intermediari (1993) con contestuale diminuzione delle somme poste sotto osservazione, ma restando un processo affidato nelle scelte alle decisioni degli stessi intermediari privo di linee guida rigorose. E’ sufficiente al riguardo rileggere il contenuto del primo decalogo impostato dalla Banca d’Italia nel 1991, basato su valutazioni teoriche e privo di un database di accadimenti cui fare riferimento. Già la seconda versione del 2001 poté – seppur marginalmente – contare sul risultato delle prime segnalazioni.

Il momento determinante di inversione si realizzo peraltro con l’applicazione della seconda direttiva e i conseguenti provvedimenti del 2004 che determinarono la definitiva impostazione dell’UIF e soprattutto dell’AUI, con l’obbligo della verifica del titolare effettivo, la responsabilizzazione degli intermediari nelle operazioni che dovessero successivamente rivelarsi irregolari e la prima creazione di funzioni di controllo (non ancora di compliance) a carico delle organizzazioni aziendali di tutti i soggetti che avevano motivo ed occasione di ricevere o trattare contante.

Dobbiamo opportunamente distinguere due fattispecie fondamentali:

  • l’utilizzo del contante e di strumenti al portatore;
  • l’utilizzo di strumenti di pagamento bancari e finanziari in modo artato rispetto alla loro natura.

Nel primo caso è agevole rilevare la natura di divieto imposta per ammontare o per tipologia delle operazioni. Nel secondo caso invece, è indispensabile (con notevoli difficoltà operative) impostare una scelta di comportamento che, inizialmente, è stata fortemente lasciata ai soggetti responsabili nei confronti della clientela.

Proprio questi profili hanno caratterizzato l’impostazione della 3^ direttiva comunitaria e – quindi – della ulteriore revisione normativa italiana (il d.lgs 231/2007).

La disciplina relativa al contante diviene di fatto “secondaria” in quanto definita di volta in volta in volta nell’ammontare, impostata organizzativamente attraverso meccanismi informatici uniformati (la procedura Gianos) e sottratta (salvo interventi soggettivi che alterino il modello impostato) alla capacità d’azione dei singoli. La segnalazione (al MEF e non all’UIF) è automatica, non definisce un’irregolarità sottostante, ma rappresenta una fattispecie in se stessa che può essere perfettamente regolare o meno, ma viene comunque registrata risultando nel caso utile “segnale” nel caso di successive indagini. La fattispecie meriterebbe approfondimenti ulteriori, ma esce dal perimetro di queste note in quanto, fin dal 1985, ai promotori finanziari è vietata la ricezione di contanti al momento della sottoscrizione di domande di investimento o di contratti di servizi finanziari. L’unica modifica rilevante ai nostri fini è quella che impone la coerenza fra il soggetto che sottoscrive la domanda o il contratto e il soggetto che dispone il trasferimento dei fondi, connesso anche con l’identificazione dei soggetti cointestatari. Eventuali spostamenti di fondi antecedenti questa operazione sono comunque soggetti a verifica da parte di soggetti diversi da quelli che operano nel contesto della promozione, consulenza e vendita.

Proprio da questa valutazione origina la scelta della Consob di considerare applicabile ai promotori la normativa interna ed i modelli organizzativi individuati dall’intermediario gestore o amministratore che deve quindi essere diffuso su tutti i canali eventualmente utilizzati nell’azione commerciale.

Ben differente è invece il secondo aspetto legato al processo di valutazione delle anomalie che possono determinare la segnalazione all’UIF in ossequio alla versione in vigore del Decalogo della Banca d’Italia (Provvedimento del 26/8/10) che esplicitamente dispone l’applicazione della procedura anche per fattispecie diverse dalle 121 attualmente individuate formalmente nel documento.

Da un punto di vista prettamente gestionale ed organizzativo è opportuno sottolineare che l’impostazione normativa comunitaria (e quindi nazionale) è più vicina ai principi del diritto positivo di stampo anglosassone e trova difficoltà nell’applicazione in contesti di diritto codicistico (peraltro più numerosi nell’area UE).

2. Alcuni problemi applicativi legati al canale dei promotori finanziari

Il provvedimento della Consob è particolarmente importante per le banche che operano con entrambi i canali. In quello tradizionale i dipendenti dispongono di un meccanismo organizzativo adeguato, altamente informatizzato e basato su software integrati con altre procedure tipiche della banca.

Non appare possibile ipotizzare procedure diverse per i due canali sottoposti all’onere della compliance per lo stesso intermediario. Il mantenere in capo alla struttura bancaria tradizionale alcuni oneri o alcune fasi del processo di verifica potrebbe peraltro generare un allungamento dei tempi di gestione delle operazioni in capo alla rete di competenza dei promotori. Ne conseguirebbero tempi di risposta ed esecuzione più lunghi distorsivi di un corretto level playing field.

Questo aspetto potrebbe creare difficoltà laddove operino promotori non dipendenti oppure non operanti nelle strutture interconnesse nella rete aziendale (uffici del promotore). Questi ultimi – per espressa previsione normativa – costituiscono location esterne all’organizzazione bancaria la cui gestione ricade sotto la responsabilità del soggetto al quale sono intestate.

Resta ferma l’ipotesi della nozione di agente collegato (o ausiliario) disegnata per i promotori finanziari che – senza dubbio – li sottopone all’esecuzione delle regole e delle scelte organizzative implementate dalla società mandante.

Inoltre, poiché la scelta della Consob è quella di recepire la normativa in vigore per le banche, ci si deve porre il problema della applicabilità di norme predisposte per strutture societarie a persone fisiche, prive di organizzazione societaria per espresso divieto normativo consolidato.

Resta da valutare la composizione di un “pacchetto informatico ed organizzativo” costruito o acquisito dall’intermediario, utilizzabile dai promotori con facoltà di accesso e distinto dalle altre procedure riconducibili alla potestà gestionale dello stesso intermediario. Ne potrebbe derivare peraltro un costo per quest’ultimo che potrebbe rendere meno conveniente la soluzione di “reti” esterne affidate alla responsabilità di soggetti non dipendenti dalla banca e, di fatto, operanti quali liberi professionisti soggetti a regole ben differenti da quelle dei dipendenti.

Resta da approfondire il concetto di “ausiliarietà”, oltre al coordinamento con il testo del provvedimento 3.4.13 della Banca d’Italia; da un lato è certo che il promotore senza mandato non ha capacità autonoma d’agire; solo le banche (o le sim) possono conferirgli mandato e con esso il promotore si adegua alle scelte gestionali ed organizzative del mandante; quale supporto viene fornito al riguardo dalle banche e con quali problemi in termini di gestione informatica? Alcuni accessi a quest’ultimo potrebbero risultare non consentiti o comporterebbero un costo di adeguamento in contrasto con la ipotesi di fondo della direttiva MiFID di temperare oneri e costi in ragione della diversità organizzativa degli intermediari.

Altro profilo è quello della responsabilità del promotore nei confronti del procedimento di verifica del titolare effettivo; il dipendente diventa tale a seguito di fatto del combinato disposto della 231/01 e della 231/07 (predisposizione, consegna, ricezione, applicazione del modello organizzativo 231/01 e predisposizione, formazione e applicazione della normativa interna antiriciclaggio). Per il promotore, sarebbe necessario implementare tale procedura, aspetto finora poco applicato con modalità così strutturate.

Si può immaginare un peso delle responsabilità assegnate differente fra i promotori delle banche dotate di procedure antiriciclaggio più sofisticate e promotori di s.i.m. autorizzate all’offerta fuori sede e non operative su quei segmenti ove l’attenzione al rischio del riciclaggio è maggiore. Anche questo aspetto è di fatto non corretto in termini di omogeneità del contesto competitivo.

Dobbiamo considerare anche il caso, presente sul mercato, di intermediari del tutto indipendenti da banche o da relativi gruppi, i quali contrattualizzano rapporti con promotori dalle caratteristiche del tutto simili per natura del ruolo ed operatività ai promotori “bancari”. Alcuni di essi sono anche soci, amministratori o gestori delle entità di cui fanno parte.

3. Individuazione di alcune carenze normative conseguenti alla soluzione entrata in vigore

Consideriamo inoltre che:

  • sotto il profilo dell’utilizzo del contante, lo stesso è mezzo di pagamento vietato per tutti gli strumenti di investimento (finanziari dal 1985 ed assicurativi dal 2005) e, nello specifico, per l’intera attività del promotore; disponendo di mezzi di pagamento mappati, a monte del promotore, c’è sempre una fase di controllo conforme alla normativa;
  • diversa invece, e più critica, è la funzione di controllo del titolare effettivo, fermo restando il divieto di accettare strumenti di pagamento il cui titolare (non il delegato) non coincida con il nominativo che sottoscrive il contratto.

ulteriori valutazioni merita il profilo della verifica rafforzata per la quale l’intermediario adotta procedure standard al proprio interno che debbono essere imposte (anche nel loro controllo andamentale) ai promotori; le operazioni in oggetto potrebbero subire ritardi con possibili danni per il cliente in termini di execution, formazione dei prezzi e condizioni effettive di risultato in termini di redditività.

Propongo inoltre alcuni quesiti sorgenti nella situazione che si è realizzata con l’entrata in vigore della soluzione qui analizzata:

  • Tizio sottoscrive contratto e paga con assegno/bonifico su conto per il quale ha delega (non contitolarità); il pagamento è valido? Sussiste la verifica rafforzata obbligatoria (con vincolo di primo pagamento su disponibilità diretta del cliente effettivo)?
  • Tizio è PEP; il promotore è in grado di seguire tutta la procedura prevista dalla regolamentazione Banca d’Italia del 3.4.13? Tale profilo assume rilievo in conseguenza dell’allargamento della posizione PEP anche a soggetti italiani classificati come tali.
  • Tizio è contraente che non desta ipotesi di sospetto; tra gli altri sottoscrittori vi sono però situazioni a rischio (che potrebbero movimentare flussi successivamente, con riscatti, switch, spostamenti su servizi/prodotti diversi); come viene gestito il controllo in merito? Come si può legittimamente limitare l’operatività a tali soggetti? Oppure l’operazione in oggetto non può avere corso se tutti i soggetti non sono adeguatamente verificati?
  • Quale è il comportamento da tenere se uno dei soggetti titolari del contratto diviene PEP successivamente all’apertura dello stesso? La responsabilità in merito va in carico all’intermediario gestore dello strumento o del servizio di investimento? Tale approccio appare congruo se non sopravviene alcuna operazione, ma resta dubbia qualora il contratto venga integrato con nuovi acquisti/sottoscrizioni oppure vendite/riscatti.
  • Esistono approcci differenti se il contratto di servizio è del tipo raccolta/trasmissione ordini, negoziazione, oppure gestione o consulenza? Nel primo caso si propone l’obbligo del controllo andamentale di antiriciclaggio, mentre nel secondo rimane il mandato originario già oggetto di verifica in assenza di variazioni in aumento del patrimonio conferito?
  • I promotori sono soggetti anche agli obblighi formativi di cui all’art. 54 del D.Lgs 231/07? E’ obbligo finanziariamente a carico della Banca mandante anche in caso di remunerazione dei promotori legata ai risultati o a budget? E’ possibile far sostenere (anche solo parzialmente) l’onere ai promotori oppure rientra negli obblighi di legge dell’intermediario? Sono individuabili responsabilità ed oneri in materia per i manager delle reti, oppure l’onere resta completamente a carico dell’intermediario mandante?

Resta infine, l’ipotesi dell’indirizzare gli intermediari a dotarsi di un unico canale per l’offerta fuori sede in luogo del doppio profilo oggi diffuso. Si esprime in merito un parere non del tutto favorevole tenendo conto della diversa efficienza dei due attualmente in essere, della difficoltà nel ricondurre i promotori agenti all’interno di una struttura aziendale e della preferenza della clientela verso quello agenziale esterna in materia di fidelizzazione e di consolidamento storico delle masse patrimoniali gestite. Inoltre, la scelta unica sarebbe contraria alla libera scelta imprenditoriale, oltre il costringere le realtà agenziali ad una soluzione non gradita che inficerebbe il valore creato dalle aziende operanti. Valuterei anche la profonda difformità nelle scelte di ciascuna banca; talune sono dotate di reti di distribuzioni a seguito di operazioni di fusione o acquisizione, altre per scelta strategica consolidata, altre per scelta strategica recente. D’altro canto, l’offerta “fuori sede” è strategia diffusa e gestionalmente vincente, fattori da cui nasce l’esigenza contenuta nel documento in oggetto.

Sono peraltro convinto che l’applicazione della disciplina potrà suggerire le modifiche più opportune del provvedimento sulla base dei problemi organizzativi che inevitabilmente sorgeranno.

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