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Giurisprudenza

La disciplina delle società di comodo legittima l’accertamento se il contribuente non prova le avverse condizioni di mercato

17 Giugno 2020

Alessandro Nota

Cassazione Civile, Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31626 ― Pres. Sorrentino, Rel. Cataldi

Di cosa si parla in questo articolo

È legittimo l’accertamento basato sulla sola applicazione del meccanismo presuntivo di determinazione di reddito di cui all’art. 30 della Legge n. 724 del 1994, recante la disciplina delle Società di comodo.

Secondo, infatti, l’orientamento costante della Corte di Cassazione (Cass. 21358/2015 e Cass. 13699/2016), i parametri di reddittività individuati dalla citata disposizione, nel correlare i valori di alcuni beni patrimoniali a determinati livelli minimi di ricavi, risultano sufficientemente precisi e conformi al principio di proporzionalità (in tal senso è richiamata, nella pronuncia, la causa C-524/05 della Corte di Giustizia UE), e tali da essere autosufficienti ai fini dell’accertamento del maggior imponibile, escludendosi qualsiasi forma di discrezionalità deduttiva.

In caso di mancato superamento del cd. test di operatività, costituente presunzione legale relativa, il contribuente può comunque ottenere la disapplicazione della norma antielusiva in esame, provando la sussistenza di straordinarie ed avverse condizioni di mercato, che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi di cui al comma 4 della menzionata disposizione.

Sono questi alcuni dei principi espressi dall’ordinanza in oggetto, emessa a seguito dell’impugnazione della sentenza del competente giudice di appello riguardante un avviso di accertamento, rilevante ai fini IRES ed IRAP, notificato ad una società di gestione alberghiera, che non aveva raggiunto i ricavi parametrici calcolati secondo il citato articolo 30, l. 724/1994.

Il contribuente aveva, invero, presentato preventivamente all’Agenzia delle Entrate istanza di disapplicazione (ratione temporis prevista) della disciplina antielusiva, riscontrandone il rigetto, per non aver adeguatamente provato le situazioni oggettive di carattere straordinario determinanti il mancato raggiungimento dei ricavi minimi; ma aveva comunque deciso di non adeguarsi al parere dell’Amministrazione.

La società, impugnato il provvedimento impositivo, risultava soccombente in entrambi i gradi di merito, e si risolveva di adire la Corte di Legittimità.

Nel respingere il ricorso presentato, la Corte di Cassazione ha, altresì, chiarito che la causa di esclusione della presunzione di non operatività per le società che risultano essere congrue e coerenti ai fini degli studi di settore (ex art. 30, comma 1, n. 6-sexies della Legge n. 724 del 1994), costituisce norma sostanziale. In conformità ad un orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 17/07/2018, n. 18912), la menzionata causa di esclusione non ha, pertanto, efficacia retroattiva.

La clausola di esclusione in esame ― introdotta dall’art. 1, comma 128, lett. c), della legge 24 dicembre 2006, n. 244 ― ha infatti effetto dal 1° gennaio 2008. La stessa, non avendo natura processuale, è applicabile solamente ai periodi d’imposta a partire dal 2008. Con riferimento ai periodi d’imposta antecedenti, invece, i contribuenti che risultano essere congrui e coerenti ai fini degli studi di settore dovranno ugualmente provare la sussistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento del reddito minimo, determinato ai sensi dell’art. 30, comma 3, della Legge n. 724 del 1994.

 

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