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Giurisprudenza

La disciplina italiana sulle verifiche fiscali viola l’art. 8 della CEDU

12 Febbraio 2025

Enrico Matano, Dottorando di Ricerca in diritto tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, sentenza 6 febbraio 2025, Italgomme Pneumatici S.r.l. e altri c. Italia

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza del 6 febbraio 2025, nel caso Italgomme Pneumatici S.r.l. e altri c. Italia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha dichiarato che la disciplina italiana in materia di verifiche fiscali viola l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale tutela il diritto al rispetto della vita privata e del domicilio

La disposizione prevede in particolare che Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. 

La Corte ha rilevato che l’ordinamento tributario italiano, pur fornendo una base legale per le attività ispettive dell’amministrazione finanziaria, non soddisfa i requisiti di qualità della legge imposti dalla CEDU

Le disposizioni censurate dalla CEDU sono, in particolare, l’art. 35 della Legge n. 4/1929, che disciplina i poteri della Guardia di Finanza, e gli artt. 51 e 52 del D.P.R. 633/1972 nonché 32 e 33 del D.P.R. 600/1973, che regolano gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali dell’Agenzia delle Entrate.

L’art. 51, c. 2, del D.P.R. 633/1972 attribuisce agli uffici finanziari il potere di accedere ai locali aziendali per acquisire documentazione e condurre accertamenti, mentre l’art. 52 consente l’accesso senza autorizzazione giudiziaria, salvo il caso di locali adibiti ad abitazione, per cui è richiesta l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Norme analoghe sono contenute negli artt. 32 e 33, c. 1, del D.P.R. 600/1973, con riferimento alle imposte sui redditi.

I ricorrenti lamentavano, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, che l’accesso ai loro locali commerciali o adibiti ad attività professionali, nonché la copia o il sequestro dei loro documenti contabili, dei libri sociali e di altri documenti fiscali e la loro consultazione, erano stati illegittimi, ai sensi di tale disposizione, e difettavano di proporzionalità. Sostenevano, in particolare, che il contesto giuridico interno non delimitava sufficientemente la portata del potere discrezionale conferito alle autorità nazionali, e che le misure censurate non erano state oggetto di un controllo preventivo di carattere giudiziario o indipendente, né alcun controllo successivo

La Corte EDU – rigettata un’obiezione di non esaurimento dei mezzi di impugnazione nazionali del Governo – ha riconosciuto che le disposizioni censurate attribuiscono all’autorità fiscale un margine di discrezionalità illimitato, sia nelle condizioni di attuazione delle misure sia nell’estensione del loro ambito applicativo.

In particolare, il sistema non prevede criteri oggettivi e verificabili per stabilire quando e come un contribuente possa essere sottoposto a verifica, né un obbligo di motivazione rigorosa che giustifichi la necessità dell’accesso.

Inoltre, secondo la Corte la normativa italiana non garantisce un sufficiente bilanciamento tra i poteri dell’amministrazione e la tutela del contribuente, poiché non impone un controllo preventivo effettivo da parte di un organo giurisdizionale.

Sebbene sia possibile impugnare gli esiti delle verifiche in sede giurisdizionale, tale tutela è insufficiente, poiché opera ex post e non è idonea a prevenire abusi.

Il risultato è che i contribuenti non dispongono del “livello minimo di protezione” richiesto dalla Convenzione, con la conseguenza che l’ingerenza in questione non può considerarsi conforme all’art. 8, paragrafo 2, CEDU.

Sul piano normativo, la CEDU richiede ora all’Italia una riforma delle norme in materia di verifiche fiscali, con l’introduzione di criteri più stringenti per l’attivazione degli accessi e di un controllo giurisdizionale effettivo sulle attività ispettive.

Di cosa si parla in questo articolo
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