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Editoriali

La distribuzione di prodotti di investimento e l’emergenza sanitaria. Una proposta.

4 Maggio 2020

Filippo Annunziata

Professore di diritto dei mercati finanziari, Università Luigi Bocconi di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

L’emergenza sanitaria in corso ha un qualche impatto sulle politiche e sulle modalità di distribuzione di prodotti, strumenti finanziari, prodotti di investimento in genere? La risposta, ad avviso di chi scrive, è senz’atro positiva. Nell’ondata corale di voci che, nel pieno della crisi, si levano con riferimento a pressoché tutti gli ambiti della legislazione economica (diritto societario, fallimentare, bancario, dei contratti, diritto pubblico, privacy, diritto dell’Unione, ecc.), qualche riflessione andrebbe dedicata a siffatti profili. Il fulcro è, naturalmente, rappresentato dalle regole che, nel contesto della disciplina di recepimento della Direttiva c.d. MiFID II, si pongono a presidio della distribuzione dei prodotti finanziari, e, segnatamente, dalle disposizioni da quest’ultima introdotta in materia di product governance (di più recente conio), nonché a quelle (risalenti nel tempo, anche se via via aggiornate) che attengono al giudizio di adeguatezza e di appropriatezza. Peraltro, le regole MiFID II rappresentano, da qualche tempo, il baricentro di un sistema più ampio, che travalica la sola materia dei servizi di investimento in senso stretto, e che si estende all’intero comparto finanziario. I principi dapprima introdotti nel contesto della disciplina MiFID con riguardo all’immissione sul mercato e alla distribuzione dei prodotti hanno circolato in altri ambiti, e connotano ampie zone della disciplina assicurativa (emblematiche, a riguardo, le regole dettate dalla Direttiva sulla distribuzione assicurativa per i prodotti di investimento assicurativi), e anche il comparto bancario, nel quale ultimo si sono affacciate, seppure con tecniche normative non del tutto coincidenti con quelle degli altri settori, regole in materia di governo dei prodotti e di consulenza alla clientela.

Mentre le regole di product governance riguardano la fase di immissione dei prodotti sul mercato (e trovano applicazione, con diverse graduazioni, nei riguardi tanto dei produttori, quanto dei distributori), la disciplina in materia di adeguatezza riguarda la fase per così dire “terminale” del processo di distribuzione, ed attiene al momento specifico della scelta del prodotto da parte del cliente. E’ questa la fase nella quale il supporto consulenziale fornito dal distributore al cliente assume particolare rilievo. Sono note le ragioni che, nel tempo, hanno indotto il legislatore dell’Unione ad aggiungere, alle più risalenti regole in materia di adeguatezza (ravvisabili, nel loro nucleo centrale, già nella prima Direttiva sui servizi di investimento del 1993 e, per quanto riguarda l’Italia, nella legge sulle SIM del 1991), la più recente disciplina sul governo dei prodotti. Esse attengono all’esigenza di rafforzare i presidi a tutela degli investitori, rivelatisi deboli già prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2007-2008. La disciplina in materia di di adeguatezza – pur nella sua pervasività – non aveva, infatti, evitato casi, anche clamorosi, di misselling di prodotti, secondo quanto si legge nel documento congiunto, emanato nel 2013 dalle tre Autorità Europee e che costituisce la cornice, per così dire, dalla quale prende spunto la disciplina di product governance introdotta da MiFID II, poi estesa ad altri settori. L’applicazione congiunta dei presidi di governo del prodotto, e delle regole di adeguatezza/appropriatezza (anch’esse rafforzate dopo MiFID II) è volta a far sì che al cliente venga offerto un prodotto che è in sintonia con il suo profilo e con le sue esigenze, secondo i parametri che, a tal fine, la disciplina declina. Senza entrare nei dettagli di una materia complessa, né tantomeno delle diversità che connotano gli ambiti in cui la stessa ha vocazione ad applicarsi, è sufficiente ricordare che il rispetto delle regole product governance si estrinseca nell’identificazione del mercato di riferimento sul quale il prodotto può essere immesso: spetta dunque al produttore l’identificazione del mercato potenziale, e al distributore l’identificazione del mercato effettivo. I criteri per la relativa identificazione riguardano in sintesi, la classificazione di clienti ai quali il prodotto è indirizzato; la conoscenza e l’esperienza degli investitori; la loro situazione finanziaria, e in particolare la capacità di sopportare eventuali perdite; la tolleranza al rischio e i profili di rischio del prodotto; gli obiettivi e le esigenze della clientela a cui il prodotto è indirizzato. Il test di adeguatezza, riferito allo specifico cliente al quale viene consigliato un determinato prodotto, assume a riferimento parametri in parte simili (conoscenza, esperienza, obiettivi di investimento, capacità finanziaria del cliente, tolleranza alle perdite), mentre quello di appropriatezza si basa su parametri più limitati (conoscenza ed esperienza del cliente). In un contesto quale quello interessato dall’emergenza Covid-19, il supporto offerto tramite il servizio di consulenza alla clientela è di particolare importanza, per orientarne correttamente le scelte, da cui la centralità che assume il test di adeguatezza, correlato per l’appunto alla prestazione del supporto consulenziale. Nel tempo, i criteri da seguire per la profilatura di adeguatezza hanno conosciuto notevoli affinamenti, come mostrano, da ultimo, le Linee Guida dell’ESMA (ESMA35-43-1163 IT). Queste ultime pongono in luce l’esigenza che il giudizio di adeguatezza sia sottoposto a periodica rivalutazione, e suggeriscono che le imprese adottino procedure che incoraggino i clienti ad aggiornare le informazioni inizialmente comunicate quando intervengono cambiamenti significativi (Orientamento n. 53). ESMA raccomanda che, se l’impresa ha un rapporto continuativo con il cliente (ad esempio se presta servizi di consulenza o di servizi di gestione del portafoglio su base continuativa), per poter eseguire la valutazione dell’adeguatezza dovrebbe adottare procedure che definiscono: (a) quali informazioni sul cliente acquisite dovrebbero essere soggette ad aggiornamento e con quale frequenza; (b) le modalità dell’aggiornamento e le misure da adottare quando si ricevono informazioni aggiuntive o aggiornate o quando il cliente non fornisce le informazioni richieste.

Il quadro economico e sociale che si è determinato con il manifestarsi della crisi, tutt’ora in evoluzione, ha cambiato radicalmente lo scenario di riferimento nel quale operano produttori e distributori di prodotti finanziari in genere, comunque denominati. L’impatto della crisi è egualmente significativo sia sui consumatori-utenti persone fisiche, sia sulle imprese. In molti casi, le prospettive reddituali, e di flussi di liquidità si sono drasticamente modificate, con conseguenze agevolmente intuibili sul piano delle aspettative, della propensione al rischio, della capacità di sopportare le perdite, per qualsivoglia tipologia di operatore: privati, o imprese, di ogni dimensione. Lo scenario macro e microeconomico appare, oggi, ben diverso da quello che si presentava prima della crisi: in tutti i Paesi colpiti, l’impatto sul PIL è già stato, e continuerà ad essere considerevole, e tutt’altro che transeunte. Le conseguenze della crisi sulla capacità di produzione di reddito di famiglie e imprese sono già evidenti. Gli interventi massicci delle Banche Centrali e dei Governi in soccorso dell’economia, da un lato introducono elementi di sostegno anche strutturali sul piano macro e microeconomico, ma, dall’altro, modificano in misura significativa le condizioni e gli scenari naturali del mercato, introducendo variabili del tutto straordinarie. A fronte di impatti di tale rilievo, è altamente probabile che le valutazioni operate dall’industria nel contesto precedente allo scoppio della crisi sul fronte sia della product governance, sia del processo di adeguatezza non siano più aderenti al mutato quadro di riferimento. Per quanto attiene alla product governance le analisi e gli scenari di mercato assunti a riferimento delle politiche di governo dei prodotti andranno, in molti casi, riverificati e aggiornati. Anche se gli scenari di mercato immaginati in fase di elaborazione delle politiche di product governance contemplavano, e tenevano già conto, di appositi stress test, è agevole immaginare che nessuno abbia, a suo tempo, costruito quegli scenari immaginando il quadro che ora va manifestandosi. Quegli scenari, dunque, rischiano, in molti casi, di essere superati dalla realtà. In fase di distribuzione del prodotto, andrà anche ri-verificata l’idoneità della profilatura di adeguatezza – svolta in molti casi prima dello scoppio della crisi e non aggiornata – a riflettere la nuova situazione dei clienti, e i mutamenti nella loro situazione finanziaria, in uno con i relativi obiettivi finanziari, orizzonti temporali, e propensione al rischio. Guardando ai prodotti, le caratteristiche e i profili di rischio di quelli già immessi mercato andranno anch’essi sottoposti a verifica, alla luce delle mutate condizioni. Per quelli nuovi, andranno attentamente valutate le metriche e gli strumenti di misurazione del rischio, pensati per un contesto di mercato ben diverso da quello che oggi si presenta.

Il mantenimento acritico dello status quo espone le imprese al rischio di misselling, di contestazioni da parte dei clienti e delle Autorità, ma anche di comportamenti strumentali. Là dove il cliente intrattenga con l’intermediario rapporti di diversa natura (si pensi, tipicamente alle banche) il patrimonio informativo sulla situazione del cliente si fa più sfaccettato e più ricco, con ricadute potenzialmente ancora più evidenti sulla “tenuta” della profilatura del cliente svolta prima dello scoppio della crisi. Nella ri-valutazione del profilo del cliente, soprattutto al fine del giudizio di adeguatezza, il supporto consulenziale diventa, nuovamente, essenziale. Se è vero che gli orientamenti ESMA pongono in luce, a più riprese, l’importanza che il cliente fornisca le informazioni in modo ragionato, e scevro da rischi di autovalutazione, o da indebite influenze da parte del distributore, è altrettanto vero che, nel contesto attuale, può risultare malagevole, anche per un investitore non del tutto privo di esperienza, valutare le sue effettive esigenze. I bias comportamentali propri anche di investitori avveduti sono facilmente riscontrabili in periodi di forte incertezza del quadro di riferimento, quale è quello attuale. Pare, allora, inevitabile, e necessario, che l’intermediario guidi il cliente, con oggettività e imparzialità, nella individuazione dei suoi nuovi bisogni, della sua tolleranza al rischio, della sua capacità di sopportare perdite impreviste, ecc.: elementi, tutti, che, unitamente ad altri, concorrono alla profilatura ai fini dell’adeguatezza.

La verifica ed eventualmente la ritaratura dei processi di product governance e adeguatezza, anche per le imprese finanziarie di minori dimensioni, sono attività laboriosissime, e lunghe. Non possono svolgersi e completarsi senza robusti dati ed evidenze di mercato, e richiedono comunque la collaborazione del cliente. Sono attività che è alquanto difficile immaginare si possano svolgere normalmente nell’attuale situazione di lock-down, che renderà per lungo tempo malagevole il contatto diretto e fisico con la clientela.

L’esperienza maturata in concomitanza con le cesure normative che, in anni recenti, hanno interessato il settore – e dalle quali è emersa, a più riprese, l’esigenza di risottoporre la clientela alla profilatura – ha mostrato tutta la complessità dei relativi processi. In presenza di un numero elevato di prodotti e/o di clienti, il completamento dell’attività può richiedere tempi anche molto lunghi. Ciò, a maggior ragione, nell’attuale circostanza di limitazioni agli spostamenti delle persone e ai contatti interpersonali.

Il diritto emergenziale dell’economia che va manifestandosi nel corso della crisi pandemica è connotato da una pletora di deroghe o eccezioni alle discipline di base, di volta in volta rilevanti. Molti istituti considerati, in tempi normali, capisaldi del sistema, sono stati sospesi; molte riforme, anche recenti, declamate come toccasana per il sistema (si pensi al caso del nostro Codice della crisi d’impresa) sono state sterilizzate, e la loro applicazione rinviata. A tacer d’altro, situazioni di questo tipo hanno interessato la disciplina societaria, fallimentare, contrattuale, contabile, fiscale. Persino l’apparentemente inflessibile disciplina di vigilanza prudenziale sulle banche, di cui – per l’area Euro – è custode la Banca Centrale Europea contempla deroghe ed eccezioni, figlie della crisi pandemica, per agevolare il finanziamento del tessuto economico. Molti tabù stanno cadendo, o sono già caduti.

E’ fondamentale assicurare che, nel perdurare dell’emergenza, e anche dopo per un periodo sufficientemente lungo, la distribuzione dei prodotti finanziari possa svolgersi con regolarità, al fine di supportare le esigenze finanziarie della clientela, in un quadro normativo che tenga conto della straordinarietà della situazione, e che non può essere tout court quello immaginato, ed applicato, in un contesto ben diverso.Le scelte finanziarie operate in questa fase dagli investitori e, più in generale, dagli utenti di prodotti e servizi finanziari sono fondamentali, per evitare l’accumularsi di rischi incongrui o eccessivi, che renderebbero ancora più vischioso il ritorno del sistema alla normalità. Ciò vale sia per l’assunzione di scelte di investimento, sia per quelle di disinvestimento, sia per quelle che, invece, riguardano la riallocazione dei portafogli, anche in asset class non finanziarie. I processi distributivi dei prodotti, concepiti prima della crisi, sono inevitabilmente destinati a mostrare la loro inadeguatezza. Come sta accadendo in molti altri settori, legislatori, regolatori e Autorità di vigilanza dovrebbero fornire indicazioni sulla gestione dell’inevitabile processo di revisione di product governance e di adeguatezza/appropriatezza nella fase dell’emergenza, e anche nel periodo che seguirà alla fine dell’emergenza stessa. Andrebbero, in particolare, valutate opzioni che consentano agli operatori di gestire l’inevitabile complesso processo di revisione dei loro processi fruendo di un periodo transitorio adeguato, introducendo disposizioni dal tenore analogo agli interventi che stanno interessando altri settori del diritto dell’economia, e che portano a riconsiderare, sospendere, rinviare istituti anche ben consolidati. I criteri posti alla base dei processi di product governance e di adeguatezza andrebbero integrati per tener conto della straordinarietà della situazione, e dei nuovi elementi di valutazione che ne derivano, fruendo di un periodo adeguato di grandfathering. L’approccio alla profilatura della clientela andrebbe adattato a un contesto nel quale il cliente potrebbe non essere in grado di valutare effettivamente la propria situazione; tanto meno essere nella condizione di fornire fattivamente quella collaborazione attiva, senza la quale l’intermediario non può procedere al necessario aggiornamento della profilatura del cliente.

Un processo, quest’ultimo che, tenuto necessariamente conto del probabile numero considerevole dei clienti interessati, richiederebbe, a tacer d’altro (i.e. organizzazione, costi, etc..), tempi molto probabilmente incompatibili o addirittura impeditivi del rispetto dell’obbligo generale di ricercare il miglior interesse della clientela, cui gli intermediari sono comunque tenuti in ragione della disciplina in commento. Anche in questo ambito, in definitiva, si dovrebbe prendere atto che una disciplina scritta in contesti di mercato normali richiede giocoforza adattamenti e ribilanciamenti in condizioni straordinarie, e che la gestione della fase di crisi richiede misure straordinarie. Che sia una sfida per il sistema, e per i regolatori, è indubbio, ma ci pare un compito al quale non ci si può sottrarre.

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