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La fase patologica dei contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, trasferimento dell’immobile ed esdebitazione. Note a margine del D.lgs. 72/2016 di attuazione della Direttiva 17/2014/EU.

13 Giugno 2016

Andrea Bulgarelli

Di cosa si parla in questo articolo

Il Governo italiano il 20 aprile 2016 ha approvato il decreto legislativo n. 72 recante “Attuazione della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali nonché modifiche e integrazioni del titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141” poi pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, serie generale, del 20 maggio 2016 (cfr. contenuti correlati).

Tale decreto va a modificare il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) introducendovi una disciplina consumeristica (art. 3 direttiva 17/2014/EU) applicabile nel caso in cui il consumatore sia inadempiente ad un “contratto di credito” con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria, quando il credito è garantito da un’ipoteca sul diritto di proprietà o su altro diritto reale avente a oggetto beni immobili residenziali o è finalizzato all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato[1].

Di particolare interesse è l’art. 120 quinquiesdecies introdotto dal decreto legislativo attuativo dell’art. 28 della direttiva che, in deroga al divieto previsto dall’art. 2744 c.c., ammette un’autotutela esecutiva-negoziale in favore del finanziatore professionale, con una portata estremamente ampia, per il caso in cui il consumatore incorra in un “inadempimento qualificato” caratterizzato dal mancato versamento di diciotto rate mensili.

Ulteriore condizione di ammissibilità della nuova forma di tutela è che le parti del contratto di credito l’abbiano convenuta, espressamente, al momento della sua conclusione.

Una tale clausola espressa (da cui si desume una, implicita, clausola risolutiva espressa dello stesso contratto) non può quindi essere pattuita né in un momento successivo alla conclusione di quest’ultimo[2] e neppure in caso di surrogazionenel contratto di credito ai sensi dell’articolo 120 quater, essendosi evidentemente voluto evitare che essa possa costituire una condizione per consentirla da parte del nuovo finanziatore.

Il decreto sembra precisare che non è considerato sufficiente, per l’applicazione di quanto previsto dall’art. 120 quinquiesdecies, il ritardato pagamento (effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata) verificatosi per almeno sette volte, anche non consecutive, già previsto dall’art. 40, comma 2, del T.U.B.

Par di capire che, se in un credito fondiario il mutuatario ritardi per sette volte anche non consecutive il pagamento, effettuandolo tra il trentesimo e il centottantesimo giorno, il finanziatore potrà solo risolvere il contratto per inadempimento senza avvalersi della nuova forma di tutela, per avvalersi della quale avrà invece bisogno di un inadempimento protratto per almeno diciotto mesi, anche senza che sia preceduto da altri inadempimenti.

In pratica, l’operatività della neo-introdotta possibilità di tutela negoziale del finanziatore è subordinata ad un inadempimento più che qualificato e quindi da un’indulgenza legislativamente prefigurata e collocata ben oltre il ragionevole grado di tolleranza fissato dal ricordato art. 40, comma 2, del T.U.B.[3]

Pare tuttavia di poter desumere che, nonostante il neo-introdotto capo I bis del titolo VI del T.U.B. contenga una disciplina di formale tutela del consumatore per le operazioni di credito immobiliare, ove esse rientrino nel contratto di mutuo fondiario, al finanziatore sia tutt’ora rimessa la discrezionalità se avvalersi:

  1. della clausola risolutiva espressa ex lege già prevista dal precedente art. 40, comma 2, per il caso di pagamento avvenuto tra i trenta e i cento ottanta giorni dalla scadenza della rata, che lo facoltizza a chiedere la risoluzione del contratto per “ritardato pagamento”, qualora esso si sia verificato per sette volte, anche se non consecutive;
  2. della possibilità di richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento in seguito al mancato pagamento, o al pagamento avvenuto oltre i cento ottanta giorni dalla scadenza anche di una sola rata;
  3. della nuova, implicita, clausola risolutiva espressa, questa volta negoziale (arg. ex art. 120 quinquiesdecies, comma 3), per il caso di un inadempimento (straordinario) protratto per diciotto mensilità,

il che non so quanto possa “favorire”, realmente, il consumatore, parendo piuttosto solo consentire al finanziatore professionale ogni più opportuna valutazione di convenienza dipendente ad es. dalle caratteristiche e dallo stato del bene ipotecato, dalla situazione contingente del mercato immobiliare, dall’efficienza del tribunale competente ai fini della concreta esecuzione immobiliare, ecc…

In cosa consiste tale accennata nuova forma di tutela negoziale del finanziatore?

Nella possibilità d’ottenere, per il caso d’inadempimento del consumatore, il trasferimento del bene dato a garanzia, o l’incasso dei proventi della sua vendita, a fronte dell’estinzione dell’intera sua obbligazione anche se il valore del bene immobile (o i proventi della sua alienazione) sia inferiore al debito residuo. Qualora il valore dell’immobile o i proventi dalla vendita dovessero invece essere superiori al debito residuo, il consumatore avrebbe diritto all’eccedenza.

A fronte dell’inadempimento qualificato previsto dal terzo comma lett. c) dell’art. 120 quinquiesdecies, in presenza della pattuizione espressa di cui al terzo comma, le possibilità concesse al debitore per limitare alla “perdita” dell’immobile la sua responsabilità patrimoniale conseguente all’inadempimento e consentirgli un c.d. fresh start sono pertanto due:

  • il finanziatore professionale potrà procedere alla vendita del bene in sede negoziale e quindi al di fuori di un’esecuzione immobiliare ex art. 555 e ss. c.p.c.,
  • il finanziatore professionale potrà optare per il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale in suo favore.

La norma pare istituzionalizzare,per la particolare categoria di contratti di credito in questione, dei quali sia parte un consumatore, il meccanismo tipico del c.d. patto marciano, noto alla dottrina e alla giurisprudenza, ma ignorato dalla legge positiva almeno sino al D.L. 59/2016 (successivo al D. lgs. in esame come adozione, ma antecedente come pubblicazione in G.U., poiché avvenuta il 3 maggio 2016).

Il testo italiano della direttiva non prevede espressamente in favore di chi possa essere eseguito il trasferimento del bene, considerandolo probabilmente implicito, ma lasciando così teoricamente aperta la possibilità che il trasferimento sia disposto a favore di un terzo[4].

Il considerando n. 27 della direttiva in lingua italiana si limita infatti a prevedere che “Gli Stati membri non dovrebbero impedire alle parti di un contratto di credito di convenire espressamente che il trasferimento della garanzia reale è sufficiente a rimborsare il credito” mentre nella versione inglese è ben precisato che il trasferimento dell’immobile debba essere effettuato in favore del creditore[5].

Analoga divergenza su chi possa essere il destinatario del trasferimento la si riscontra nelle diverse versioni linguistiche dell’art. 28 della direttiva.

Quelle inglese e spagnola nuovamente precisano che il trasferimento possa avvenire solo in favore del creditore[6].

Quelle francese e italiana invece lasciano lo stesso sopra segnalato margine di dubbio[7].

Solo l’allegato II parte B n. 13 (prospetto informativo europeo standardizzato – P.I.E.S.) della versione italiana della direttiva 2014/17/EU può forse contribuire a fugare ogni dubbio in ordine al fatto che il trasferimento dell’immobile debba avvenire (solo) a favore del creditore[8].

Se così è, risulta però esclusa la possibilità per il finanziatore di concludere un trasferimento con lo schema del contratto per sé o persona da nominare (art. 1401 e ss. c.c.), anche se oltre il limite temporale di tre giorni previsto dalla normativa tributaria, dato che altrimenti i suoi effetti finirebbero per prodursi in capo a un terzo.

Nell’interesse del debitore, al fine evidente di verificare la sussistenza di un’eventuale eccedenza, è previsto che il valore del bene immobile oggetto della garanzia debba essere, in ogni caso, stimato successivamente all’inadempimento da un perito nominato di comune accordo tra le parti o in difetto del suo raggiungimento dal Presidente del Tribunale territorialmente competente con le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 696 del codice di procedura civile[9].

Si tratta all’evidenza di una disciplina più garantista rispetto a quella dettata per il prestito vitalizio ipotecario (P.I.V.) che si limita invece a stabilire che il suo valore di mercato sia determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore[10].

In ordine al menzionato, eventuale, procedimento giudiziario volto alla determinazione del valore del bene in un momento successivo al verificatosi inadempimento viene da chiedersi se anche altri creditori possano parteciparvi.

Un interesse di essi a che tale valutazione si svolga nel loro contraddittorio mi sembra innegabile considerato il loro ipotetico diritto a soddisfarsi sull’eventuale eccedenza.

Nel caso in cui vi sia disaccordo sui valori indicati dal perito nominato dal presidente del tribunale e il creditore intenda procedere alla vendita a terzi del bene, o, in difetto ad acquistarlo al debitore non rimarrà probabilmente altra strada che quella preliminare di impugnare in via giudiziaria ai sensi dell’art. 1349, comma 1, c.c. la determinazione iniqua o erronea del perito arbitratore.

Analogamente a quanto ora previsto, per i finanziamenti alle imprese, dal neo introdotto art. 48 bis, comma 7, T.U.B. qualora il debitore contesti la stima, si deve infatti ritenere che il creditore abbia comunque diritto di avvalersi di quanto pattuito e l’eventuale fondatezza della contestazione potrà solo incidere sull’eventuale differenza da versare al titolare del diritto reale immobiliare.

Le modalità del nuovo meccanismo espropriativo non sono chiare.

Al di là di una loro mera generica descrizione, come già accaduto per il prestito vitalizio ipotecario[11],non viene dettata alcuna disciplina delle concrete procedure esecutive con le quali attuare la pattuizione prevista dal terzo comma.

Il successivo quinto comma si limita a demandare al Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, sentita la Banca d’Italia (in una norma a tutela del consumatore…), l’adozione delle disposizioni di attuazione dei commi tre e quattro.

Non a caso, l’art. 3, comma 4, delle disposizioni transitorie prevede che i commi tre e quattro dell’articolo 120-quinquiesdecies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si applichino decorsi 60 giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione previste dal quinto comma del medesimo articolo, da adottarsi entro centoottanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo in esame.

Il che implica che la nuova forma di tutela esecutiva per il finanziatore non sia dunque applicabile per i contratti conclusi dall’ 1 luglio 2016, data di entrata in vigore della restante parte della novella, in virtù di quanto dettato dal precedente primo comma.

Il previsto decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia dovrebbe stabilire anche le modalità della vendita dell’immobile a terzi il cui ricavato dovrà essere trasferito al finanziatore a saldo del suo credito.

Con lo stesso provvedimento sarebbe opportuno che si stabilisse se e a quali ribassi procedersi nel corso dei tentativi di vendita, magari sulla falsariga di quanto previsto per il P.I.V. dal predetto comma 12 quater[12] e se, come, e quando il finanziatore potrà invece procedere ad acquisire l’immobile in suo favore.

Ritengo infatti che l’ordine con le quali sono state previste le due possibilità non sia indicativo.

Direi quindi che, così come accade per l’espropriazione giudiziaria immobiliare l’assegnazione (i.e. il trasferimento del bene), anche nell’interesse del debitore, non sia possibile se non quando non abbia luogo la vendita[13] il che si verifica, nel caso di specie, quando al prezzo di stima l’immobile non riesca a essere venduto.

Lo schema giuridico dell’apposito patto, contestuale al contratto di finanziamento, in forza del quale possa giungersi, in caso d’inadempimento, all’estinzione dell’intero debito del consumatore, vuoi mediante l’acquisizione dell’immobile oggetto di garanzia reale, vuoi con l’incasso dei proventi della sua vendita, pare poter essere quello di un patto di futura dazione in pagamento costituente una mera variante della figura tipica prevista dall’art. 1197 c.c.

In tale schema rientrerebbe la figura tipica della cessione dei beni ai creditori[14] che verrebbe realizzata in concreto tramite un mandato gratuito al finanziatore ad alienare l’immobile del debitore[15] in rem propriam (art. 1723, comma 2, c.c.) in suo nome e per suo conto onde ricavarne una somma da destinare all’estinzione del finanziamento, così come già analogamente configurabile per il prestito vitalizio ipotecario.

Vi rientrerebbe, altresì, la fattispecie tipica del patto commissorio sotto forma di trasferimento in favore del finanziatore dell’immobile, a suo tempo concesso in garanzia, sottoposto alla condizione sospensiva del mancato rimborso del prestito e dalla mancata vendita al prezzo di stima fissato dal perito[16].

La norma di recepimento presenta altre lacune lasciando all’interprete numerosi dubbi anche in ambito processuale.

Nulla prevede in particolare in ordine alla liberazione materiale dell’immobile ipotecato per il caso di suo mancato spontaneo rilascio, il che pare rendere necessario per il finanziatore procurarsi un titolo esecutivo giudiziale,non potendosi contare in questa particolare nuova forma di esecuzione di un ordine del giudice dell’esecuzione quale quello previsto dall’art. 560 c.p.c.

Si è altresì tralasciato di regolamentare la liberazione “giuridica” del bene dalle trascrizioni pregiudizievoli.

Anche la vendita “esecutiva-extragiudiziale” dell’immobile effettuata dal creditore dovrebbe avere un effetto purgativo e comportare quindi la cancellazione dei gravami pregiudizievoli iscritti o trascritti nei registri immobiliari.

Nessun problema pare sussistere, in merito, per quanto concerne la cancellazione dell’ipoteca del finanziatore (alla quale egli certamente si presterà trattandosi d’ipoteca volontaria), ma lo stesso non può dirsi con riguardo a eventuali ipoteche successive iscritte da altri creditori.

In presenza di altre ipoteche oltre a quella del creditore deve quindi ritenersi, di fatto, impercorribile, se non con un accordo raggiunto con questi ultimi, il ricorso alla vendita in danno del debitore?

Sempre in tema di pluralità di creditori, il legislatore ha poi omesso completamente di disciplinare il concorso tra gli stessi (anche se chirografari) nulla dicendo in ordine al loro diritto sull’eventuale eccedenza e senza prevedere il meccanismo di risoluzione degli eventuali conflitti sulla sua distribuzione, come invece fa l’art. 512 c.p.c. per le esecuzioni giudiziali[17].

Lo stesso legislatore nazionale non si è nemmeno curato degli effetti provocati da un’eventuale trascrizione di un pignoramento di un creditore concorrente.

In virtù di quanto previsto dall’art. 2913 c.c., infatti, non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento[18].

Dovrà ritenersi che la vendita a terzi o la «cessione» in favore del finanziatore professionale non possa avere effetto, rendendo così inoperativa la norma ed impedendo quindi anche l’esdebitazione del debitore?

Il legislatore non si è infatti curato di inserire, mutatis mutandis, una norma sulla falsariga di quella pure recentemente introdotta nel T.U.B. (art. 48 bis, comma 4, secondo periodo) che prevede, per i soli contratti di finanziamento alle imprese, che “Qualora il finanziamento sia già garantito da ipoteca, il trasferimento sospensivamente condizionato all’inadempimento, una volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all’iscrizione ipotecaria.”.

Il problema va forse, in realtà, individuato a monte.

Il legislatore non ha infatti previsto alcuna forma speciale pubblicitaria per i contratti di credito previsti dalla direttiva comunitaria in esame e per la garanzia che li assiste.

I terzi non sono quindi posti nella condizione di prendere esatta contezza della ricomprensione del contratto di credito tra quelli previsti dalla direttiva comunitaria con le tutele esecutive che li assistono, oppure tra quelli “ordinari” che in caso di inadempimento consentono il mero ricorso alle note forme codicistiche d’esecuzione.

Ciò a meno d’ipotizzare una sopravvalutazione, in termini di natura ed effetti della pubblicità, delle indicazioni che potrebbero all’uopo essere inserite nel quadro D della nota d’iscrizione ipotecaria.

Salvo ritenere che la novella dovuta al recepimento della direttiva 17/2014/EU sia applicabile solo ove non sussistano altri creditori oltre il finanziatore del consumatore garantito dalla sua ipoteca, il busillis può forse esser risolto ritenendo che tale garanzia reale finisca di fatto per rendere astrattamente inefficace (se il finanziatore professionale così vorrà, ricorrendo alla prevista, nuova, esecuzione negoziale) un successivo pignoramento ad opera di altri creditori posto che lo stesso finirebbe altrimenti per rendere inapplicabile la speciale disciplina esecutiva appena introdotta.

Così pure, le eventuali ipoteche iscritte successivamente a quella “speciale” del finanziatore del consumatore dovrebbero essere ritenute in qualche modo condizionate e limitate (per gli effetti sui quali si dirà a breve) al mancato esperimento della nuova forma di esecuzione consentita al finanziatore contro il consumatore.

Nel caso in cui, invece, il finanziatore si avvalesse della nuova esecuzione negoziale esse dovrebbero essere ritenute definitivamente prive di alcuna efficacia e il loro titolare obbligato a cancellarle.

Dovrebbe, tuttavia, anche in tali ipotesi, essere fatta in ogni caso salva la possibilità per tali creditori ipotecari di vedersi riconosciuto il privilegio ipotecario sull’eventuale eccedenza risultante dalla sottrazione dal valore dell’immobile del debito del consumatore.

Da ultimo, a differenza di quanto stabilito per il prestito vitalizio ipotecario, nel quale pure è previsto un trasferimento (benchè solo in favore di terzi), nella legge di recepimento non v’è alcuna deroga al disposto dell’art. 2652, comma 1, nn. 7 e 8 e ciò nonostante l’evidente interesse del finanziatore professionale ad evitare, una volta ottenuto o venduto l’immobile, giudizi radicati o dall’erede vero o dal legittimario leso o pretermesso che possano compromettere l’esito della complessa fattispecie negoziale avente ad oggetto l’immobile a suo tempo concesso in garanzia.

Ma ciò è forse dovuto ai limiti imposti dal recepimento della direttiva che non avrebbero potuto giustificare ulteriori sacrifici imposti ad altre categorie di creditori del consumatore.


[1] Art. 120 quinquies lett. c. del T.U.B. che recepisce in qualche modo gli artt. 3 e 4 della direttiva.

Ne rimangono esclusi ex art. 120 sexies T.U.B. i:

a) contratti di credito in cui il finanziatore:

1) concede una tantum o periodicamente una somma di denaro o eroga credito sotto altre forme in cambio di una somma derivante dalla vendita futura di un bene immobile residenziale o di un diritto reale su un bene immobile residenziale; e;

2) non chiede il rimborso del credito fino al verificarsi di uno o più eventi specifici afferenti la vita del consumatore, salvo in caso di violazione, da parte del consumatore, dei propri obblighi contrattuali che consenta al finanziatore di domandare la risoluzione del contratto di credito.

b) contratti di credito mediante i quali un datore di lavoro, al di fuori della sua attività principale, concede ai dipendenti crediti senza interessi o a un TAEG inferiore a quello prevalente sul mercato e non offerti al pubblico in genere;

c) contratti di credito, individuati dalla legge, relativi a prestiti concessi a un pubblico ristretto, con finalità di interesse generale, che non prevedono il pagamento di interessi o prevedono tassi inferiori a quelli prevalenti sul mercato oppure ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quelle prevalenti sul mercato e a tassi debitori non superiori a quelli prevalenti sul mercato;

d) contratti di credito in cui il credito è concesso senza interessi o ulteriori oneri, a esclusione di quelli per il recupero dei costi direttamente connessi all’ipoteca;

e) contratti di credito nella forma dell’apertura di credito, qualora il credito sia da rimborsare entro un mese;

t) contratti di credito risultanti da un accordo raggiunto davanti a un giudice o altra autorità prevista dalla legge;

g) contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debito esistente, se non comportano l’iscrizione di un’ipoteca;

h) contratti di credito non garantiti finalizzati alla ristrutturazione di un bene immobile residenziale;

i) contratti di credito in cui la durata non è determinata o in cui il credito deve essere rimborsato entro dodici mesi ed è destinato ad essere utilizzato come finanziamento temporaneo in vista di altre soluzioni per finanziare l’acquisto della proprietà di un bene immobile.

[2] A differenza di quanto ora previsto dall’art. 48 bis, comma 4, T.U.B. introdotto dal D.L. 59/2016 che ne prevede l’ammissibilità, per i finanziamenti alle imprese, anche in sede di successiva modificazione delle condizioni contrattuali.

[3] Ne risulta confermato l’aforisma di Auguste RODIN: “la pazienza è anche una forma di azione”.

[4] Magari indicato dal finanziatore, così come ora ammesso dall’art. 48 bis T.U.B. introdotto dal D.L. 59/2016 solo relativamente ai finanziamenti concessi alle imprese.

[5] Member States should not prevent the parties to a credit agreement from expressly agreeing that the transfer of the security to the creditor is sufficient to repay the credit.

[6] Member States shall not prevent the parties to a credit agreement from expressly agreeing that return or transfer to the creditor of the security or proceeds from the sale of the security is sufficient to repay the credit.

Los Estados miembros no impedirán que las partes en un contrato de crédito puedan acordar expresamente que la transferencia de la garantía o ingresos derivados de la venta de la garantía al prestamista basten para reembolsar el crédito.

[7] Les États membres n’empêchent pas les parties à un contrat de crédit de convenir expressément que la restitution ou le transfert de la garantie ou du produit de la vente de cette garantie est suffisante pour rembourser le crédit.

Gli Stati membri non impediscono alle parti di un con tratto di credito di convenire espressamente che la restituzione o il trasferimento della garanzia reale o dei proventi della vendita della garanzia reale è sufficiente a rimborsare il credito.

[8] Qualora il bene immobile a garanzia del credito possa essere restituito o trasferito al creditore, se il consumatore non rispetta gli obblighi, questa sezione contempla un’avvertenza in tal senso che utilizza la formulazione di cui alla parte A.

[9] Per i finanziamenti alle imprese V. le diverse modalità introdotte dall’art. 48 bis, comma 6, T.U.B. per la nomina del perito che dovrà stimare l’immobile successivamente all’inadempimento.

[10] Art. 11 quaterdecies, comma 12 quater d.l. 30 settembre 2005, n. 203 convertito nella l. 2 dicembre 2005, n. 248.

[11] Art. 11 quaterdecies comma 12 quater d.l. 30 settembre 2005, n. 203 convertito l. 2 dicembre 2005, n. 248.

[12] Decurtazione del 15 per cento decorsi ogni dodici mesi dal mancato perfezionamento della vendita.

[13] Art. 588, comma 1, c.p.c.

[14] Art. 1977 c.c. Si veda anche quanto previsto dal secondo periodo dell’art. 1982 c.c. che, nella fattispecie in esame, suona conferma della ricorrenza del meccanismo del patto marciano.

[15] Eventualmente anche post mortem.

[16] Ciò che è pure, analogamente, ora già previsto, dall’art. 48 bis del T.U.B. per i finanziamenti conclusi tra un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico, così come introdotto il 3 maggio 2016 dal D.L. 59/2016.

[17] Come invece pare aver fatto per i finanziamenti alle imprese col neo introdotto 48 bis, comma 10, T.U.B.

[18] Salvi gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri; fattispecie che non ricorre nel caso di specie.

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