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La figura dell’osservatore nel consiglio di amministrazione: qualche prima considerazione

8 Marzo 2023

Irene Pollastro, Ricercatrice di diritto commerciale, Università di Torino

Di cosa si parla in questo articolo

1. L’origine della figura dell’observer

La figura degli osservatori di nomina assembleare, ossia di soggetti che partecipano alle riunioni del consiglio di amministrazione, senza però avere diritto di voto, nasce – ed è sempre più utilizzata – nella prassi ma, nonostante la sua potenziale rilevanza, non riceve a tutt’oggi alcuna regolamentazione di legge, nemmeno a livello di soft law.

La pratica di nominare soggetti legittimati all’intervento in CdA, pur non essendo formalmente amministratori, trova comprensibilmente la sua maggior diffusione in presenza di investitori (fondi di venture capital o private equity) che, in ragione di una loro rilevante partecipazione al capitale della società,  richiedano qualche diritto in seno all’amministrazione, al posto o in aggiunta a quello di nominare un membro del consiglio stesso. La prima opzione (diritto alla nomina del solo osservatore invece di un amministratore) appare particolarmente utile nel caso di società start-up o PMI innovative che, nelle prime fasi della loro crescita, ricevono numerosi round di finanziamento: è di tutta evidenza che, in contesti simili, garantire a tutti gli investitori il diritto di nomina di un membro del CdA porterebbe a board con un numero di componenti ingiustificatamente alto (e collegati ingiustificati costi, specie a fronte di società di dimensioni ancora relativamente ridotte). Di là da questa evenienza, la nomina di un mero observer appare un’alternativa appetibile anche per l’investitore stesso che, da un lato, si esonera così dalla responsabilità che deriverebbe, invece, dalla carica amministrativa e, dall’altro, avendo verosimilmente in portafoglio diverse società con lo stesso core business, evita pure potenziali problemi di conflitti di interessi o incompatibilità, in cui potrebbe incorrere se dovesse indicare propri fiduciari per la nomina all’interno dei board di tutte le società partecipate.

Ed è proprio sul profilo della non accountability dell’osservatore nei confronti della società che emergono i principali punti di interesse attorno alla figura: si tratta, infatti, di soggetto che tendenzialmente ha diritto a ricevere tutte le informazioni che ricevono gli amministratori, partecipare alle riunioni del consiglio e perfino intervenire nella discussione, senza però avere diritto di voto nella deliberazione finale. Non concorrendo, dunque, formalmente alle decisioni, l’observer non ha alcun dovere fiduciario e, di conseguenza, non può essere responsabile nei confronti della società e dei soci: un recente precedente delle US Court of Appeals precisa che l’impossibilità di configurare detto dovere fiduciario discende logicamente non solo dalla mancanza formale del diritto di voto sulla delibera consiliare, ma anche dal fatto che l’eventuale compenso, ove dovuto, debba essergli corrisposto dall’investitore che lo ha nominato sulla base del contratto con esso stipulato e dal fatto che, parimenti, il potere di revoca spetterebbe, appunto, allo stesso soggetto cui spetta la nomina e, pertanto, non alla società[1]. Come, dunque, l’amministratore nominato, revocabile e retribuito dai soci, deve agire nel loro primario interesse, così l’osservatore nominato (revocabile, ed eventualmente retribuito) dall’investitore dovrà  rispondere nei confronti di questo solo soggetto e non della società tutta.

2. La prassi

Per quanto la mancanza del diritto di voto sulla delibera consiliare non sia circostanza di poco conto, occorre, però, considerare che la partecipazione al dibattito di questi soggetti potrebbe influenzare (e potenzialmente complicare) la discussione e la successiva decisione del CdA anche in maniera notevole, per di più introducendo argomenti mirati alla tutela di interessi (quelli, appunto dell’investitore che li nomina), che non sono per forza coincidenti con quelli della società[2].

Proprio in ragione del potenziale peso della presenza di osservatori nelle riunioni dei CdA, pare allora opportuno regolare in maniera dettagliata nello statuto o in un contratto separato (c.d. board observer agreement) i loro poteri e doveri. I punti su cui la prassi normalmente si concentra[3] sono relativi a:

  1. i soggetti che hanno diritto di nominarli, le modalità e la durata dell’incarico: in particolare, mentre alcune clausole richiedono che si detenga una determinata quota minima di capitale per poter accedere al diritto di nomina di un osservatore (circostanza perfettamente coerente con la necessità di dare rappresentanza agli interessi dei fondi con partecipazioni rilevanti), in altri casi la designazione di un dato numero di osservatori è riservata ai soci riuniti in assemblea generale, ossia – sembra – alla stessa maggioranza che nomina gli amministratori;
  2. i limiti dei loro diritti: la società potrà, in primo luogo, stabilire se abbiano diritto a partecipare a tutte le riunioni del consiglio di amministrazione o limitarne la presenza, ad esempio, in base agli argomenti all’ordine del giorno; si potrà altresì estendere la loro partecipazione anche ai meeting dei singoli comitati interni al consiglio (il che, con tutta evidenza, sarebbe particolarmente rilevante nel caso di “accesso” alle discussioni del comitato esecutivo), sino ad arrivare a designarli quali membri qualora lo statuto consenta anche a soggetti non amministratori di essere nominati in seno ai comitati[4]. Inoltre, si potrebbe prevedere una speculare regolamentazione dei poteri del board, stabilendo se e quando il Presidente o un altro membro abbia diritto di escluderli dal dibattito e, in particolare, come dovranno comportarsi in casi di conflitto di interessi e/o di discussione su decisioni che potranno avere un impatto diretto sulla posizione dell’investitore che rappresentano. Infine, una dettagliata disciplina potrebbe essere dedicata alle informazioni e documenti che gli osservatori hanno diritto di ricevere[5];
  3. gli obblighi di riservatezza gravanti sugli observer e i soggetti responsabili della loro eventuale violazione[6];
  4. eventuali obblighi di segnalazione o disclosure, specie per le società che negozino le proprie partecipazioni sul mercato, qualora gli osservatori siano effettivamente nominati: si tratta, infatti, di informazione potenzialmente rilevante per gli stakeholders e il pubblico, che potranno, così, sapere non solo chi siano i soggetti che effettivamente prendono le decisioni, ma anche quelli che potrebbero fortemente influenzarle.

3. Qualche riflessione e problema applicativo

Se la circostanza sopra descritta – in cui il diritto di nomina dell’observer è riservato ad un investitore con una partecipazione rilevante – pare sollevare meno dubbi, chiara la ratio sottesa, qualche interrogativo in più sembra sorgere qualora la nomina di uno o più osservatori sia riservata ai soci riuniti in assemblea generale, ossia alla stessa maggioranza che nomina anche gli amministratori: in questo caso, infatti, la loro presenza non sembra rispondere a quella funzione di “monitoring” o di influenza esercitati nell’interesse di un particolare investitore. Ci si deve, dunque, chiedere, se le considerazioni svolte sopra siano in toto replicabili in questa situazione.

Anzitutto, se gli osservatori sono veri e propri delegati della stessa maggioranza assembleare che nomina gli amministratori, occorre interrogarsi sulle possibili differenze tra le loro funzioni. In primo luogo, infatti, se è vero che la non spettanza di un formale diritto di voto deve tendenzialmente condurre all’esclusione della loro responsabilità in caso di danni arrecati alla società, è pur vero che tutte le altre condizioni elencate dalla decisione sopra citata[7] come motivi a sostegno dell’insussistenza di qualsivoglia dovere fiduciario  nei confronti della società stessa sono in questo caso carenti: se l’assemblea generale ha il potere di nominarli, per logica dovrebbe avere lo speculare potere di revoca, così come quello di attribuire loro, ove ritenuto opportuno, un compenso per il ruolo svolto. Alla luce di ciò, pare più difficile negare, almeno in qualche misura, una loro accountability verso la società, i cui interessi sono chiamati a rappresentare: ci si chiede, ad esempio, se sia necessario includere nella verbalizzazione la loro partecipazione e il contenuto dei loro interventi; ancora, ci si potrebbe domandare se, pur non votando, non siano tenuti a dichiarare o addirittura far annotare la propria opinione dissenziente in caso di discussione su operazioni potenzialmente pregiudizievoli, magari svolte in relazione a materie di cui sono particolarmente esperti (e per cui proprio la loro perizia sia stata ragione della nomina).

Non sfuggirà, poi, che, in casi simili, il confine con la fattispecie dell’amministratore di fatto si fa assai labile. Per ormai consolidata dottrina e giurisprudenza, infatti, si può qualificare un soggetto, pur non investito formalmente della carica di amministratore della società, quale amministratore di fatto quando si provi che esso svolga o abbia svolto, in termini non occasionali o  episodici, l’attività gestoria ingerendosi nella direzione dell’impresa, impartendo direttive agli amministratori o influenzandone le scelte: in questa evenienza, detto soggetto potrà essere considerato responsabile al pari degli amministratori formalmente nominati[8]. Dello stesso avviso, con specifico riguardo al caso di un osservatore ammesso alle riunioni del board, appare la sentenza di una corte inglese, che stabilisce che l’observer potrà essere considerato shadow director qualora si dimostri che gli amministratori formalmente nominati hanno agito seguendo una sua direttiva, anche se per altre decisioni sono stati indipendenti[9]. Si pensi, allora, a circostanze in cui gli osservatori nominati dalla maggioranza assembleare siano usati dagli amministratori per condurre l’istruttoria su determinate operazioni, che siano poi solo formalmente da loro concluse, o situazioni in cui, comunque, il parere di un observer esperto su di una particolare materia influenzi in maniera decisiva la deliberazione finale del board: è ben chiaro come, in questi esempi, la valutazione giudiziale delle circostanze concrete potrebbe (o dovrebbe?) portare a una declaratoria di responsabilità dell’osservatore in solido con gli amministratori.

Ci si chiede, infine, se, trattandosi di soggetti formalmente nominati, pur con una carica diversa da quella amministrativa, non possano comunque essere soggetti al sistema dei controlli interni (e, in primis, del collegio sindacale), in ragione della loro potenziale influenza sulle gestione.

Quel che pare probabile è che nuove e più puntuali risposte a questi interrogativi potranno giungere in futuro da dottrina e giurisprudenza e, perché no, da qualche regolatore, in ragione della crescente diffusione della prassi nel mercato societario.

 

[1] V. Third Circuit decision of the US Court of Appeals, 2019, reperibile all’indirizzo https://www.govinfo.gov/content/pkg/USCOURTS-ca3-18-01849/pdf/USCOURTS-ca3-18-01849-0.pdf

[2] Del resto, a riprova della non irrilevante influenza che può derivare anche dalla mera partecipazione al dibattito, normalmente ove è escluso il diritto di voto è escluso altresì il diritto di intervento (v. ad es. art. 2370 c.c.)

[3] Alcuni esempi di board observer agreements sono consultabili negli archivi della Security Exchange Commission statunitense agli indirizzi https://www.sec.gov/Archives/edgar/data/1619762/000161976220000018/igt-123119xexhibitx215.htm; https://www.sec.gov/Archives/edgar/data/1456016/000145601615000045/gcear-exhibit101boardobser.htm; https://www.sec.gov/Archives/edgar/data/918541/000119312521089609/d162543dex102.htm.

[4] V. ad esempio quanto previsto dal Code of Conduct for the Observer at meetings of the Board of Directors della BIS (Bank for international settlement) reperibile all’indirizzo https://www.bis.org/about/observercode.pdf.

[5] Sul tema dell’estensione del diritto a ricevere informazione e documenti v. Braga Inv. & Advisory vs. Yenni Income Opportunities Fund I, L.P., Delaware Court of Chancery, 8 giugno 2020, consultabile all’indirizzo https://www.casemine.com/judgement/us/5ee898b64653d025cfc5db02.

[6] Sul punto v. Netologic INC. vs. Goldman Sachs Grp. INC., Supreme Court of the State of New York, County of New York, 1 febbraio 2018, consultabile all’indirizzo https://www.casemine.com/judgement/us/5c02f118342cca0e508c98fd.

[7] V. supra, nt. 1.

[8] Sul tema, tra i contributi più recenti, v. F. Cuccu, L’amministratore di fatto fra sistematicità e completezza dell’esercizio di funzioni gestorie, in Giur. comm., 2022, II, 546 ss.; F. Brizzi,  Brevi appunti sulla figura dell’amministratore di fatto e sui criteri di determinazione del danno risarcibile, in Banca borsa e tit. cred., 2022, II, 349 ss.; G. Barbara, Fatti di amministrazione e amministratore di fatto: configurazione della fattispecie e disciplina applicabile tra legittimità e inadeguatezza degli assetti, in Il nuovo diritto delle società, 2022, 1345 ss.

[9] Il riferimento è a Standish & Ors v. The Royal Bank of Scotland plc & Anor, Englan and Wales High Court (Chancery division), 19 novembre 2019, reperibile all’indirizzo https://www.casemine.com/judgement/uk/5dd623be2c94e02de8458e47.

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