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La finanza sharaitica e l’ordinamento giuridico domestico: quale lo stato d’arte attuale ?

28 Maggio 2018

Jihane Benarafa, dottoranda di ricerca in Diritto comparato, privato, processuale civile dell’impresa – Comparative, private and civil procedura law, Università degli Studi di Milano

1. Premessa

La proposta di legge avanzata il 2 maggio 2017 in Parlamento dal titolo “Disposizioni concernenti il trattamento fiscale delle operazioni di finanza islamica”rappresenta una novità legislativa di notevole importanza che offre occasione per tratteggiare, sia pure in sintesi, la tematica della finanza islamica e dei relativi prodotti e/o contratti.

L’obiettivo principale del testo in trattazione è quella di agevolare, mediante la leva fiscale, l’entrata nel mercato finanziario italiano di alcune “operazioni finanziarie Shari’ah Compliant” al fine di attrarre anche nel mercato domestico parte del giro d’affari mondiale che secondo fonti economiche ammonta a circa 2 miliardi di dollari. A riprova dell’importanza economica del fenomeno, è sufficiente leggere le recenti considerazioni del vice direttore generale di Moody’s Christian de Guzman il quale ha stimato che proprio nel 2018 l’ammontare del mercato relativo ai soli Sukuk – i bond che rappresentano uno degli strumenti più comuni della finanza islamica – sarà pari a 148 miliardi di dollari.

A fronte delle evidenti potenzialità del mercato delle operazioni Shari’ah Compliant, il mercato finanziario italiano sembra invece non ancora sufficientemente maturo dal punto di vista dell’offerta di prodotti conformi ai principi del diritto islamico ed è proprio in tale direzione che deve essere letta la proposta di legge che oggi qui si commenta.

2. La proposta di legge

Va immediatamente segnalato che la proposta di legge si riferisce a solo tre tipologie di operazioni Shari’ah compliant da inquadrare nella categoria di contratti di scambio. La prima è la Murabaha, la seconda è l’ Ijarah, ivi compresa l’Ijarah wa iqtina’, e la terza è la Istisna’a. Per quanto attiene alle operazioni sul mercato del debito, la proposta in commento si riferisce ai Sukuk, i cd. certificati islamici.

La cd. Murabaha è il finanziamento che viene accordato da un ente finanziario per l’acquisto di un bene tramite una operazione negoziale, conforme ai principi etico-religiosi islamici, che si compone di due contratti di compravendita tra loro collegati. Nel primo, un soggetto (banca) acquista un bene per conto di un altro soggetto seguendo le sue indicazioni e, tramite un secondo contratto, il medesimo soggetto rivende il bene alla stessa persona interessata ad un prezzo maggiorato. La differenza tra i due contratti rappresenta il guadagno della banca quale contropartita per l’attività di acquisto e di intermediazione compiuta dall’istituto bancario stesso. Al termine dell’operazione, il soggetto finanziato sarà tenuto – in base alle disposizioni del contratto – alla restituzione del capitale più la commissione. Il pagamento potrà essere effettuato o in un’unica soluzione oppure rateizzato.

Va da sé che la trasparenza in ogni passaggio è condizione essenziale per la validità dell’operazione. In questo senso, il prezzo iniziale di compravendita del bene, il prezzo finale di vendita del medesimo bene nonché la commissione che verrà percepita per l’attività d’intermediazione dovranno essere chiare al consumatore che si avvalga di tale strumento contrattuale.

Il contratto di Ijarah è un contratto reale che si perfeziona con la consegna del bene, oggetto della transazione. È un contratto che prevede il trasferimento del godimento di un bene da un mu’jir ad un utilizzatore, il cd. musta’jir. Il canone previsto è la ujrah che viene definito al momento della conclusione del contratto per l’intera durata del periodo di godimento. In caso d’inadempimento, il proprietario del bene può pretendere la restituzione del bene senza rinunciare a quanto pattuito nel contratto. Per garantire il principio di trasparenza e per evitare asimmetrie informative le parti devono rendere tutte le informazioni necessarie al momento della conclusione del contratto ivi compreso lo scopo e le modalità dell’utilizzo del bene concesso in godimento.

Tale operazione potrebbe essere sia bilaterale che trilaterale in tal caso si aggiunge l’intermediario finanziario che agisce per conto dell’utilizzatore. In questo ultimo caso, la banca compra il bene su indicazione dell’utilizzatore dal fornitore/venditore, diventando il vero proprietario del bene che poi lo concede in locazione a colui che ne ha commissionato la vendita.

In aggiunta a tali passaggi, la prassi negoziale aggiunge anche un ulteriore meccanismo contrattuale. Infatti, alla fine del periodo di utilizzo del bene acquistato dalla banca, nel programma contrattuale, può prevedersi una compravendita da parte dell’utilizzatore del medesimo bene attuando il meccanismo del riscatto. In questo caso, l’operazione si chiamerà Ijarah wa iqtina. Questa costruzione prevede la presenza di due negozi giuridici, da una parte il contratto di locazione Ijarah e dall’altro lato una promessa unilaterale di compravendita.

Un’ulteriore operazione oggetto della proposta in commento è l’Istisna’a:un contratto ad effetti reali differiti ove le parti contrattano la produzione o la costruzione di un bene futuro infungibile. Nell’Istisn’a il contratto produce i suoi effetti nel momento nel quale il costruttore e/o produttore si impegna e/o presta il suo consenso per la produzione o la costruzione di un bene per conto dell’acquirente futuro. In tale contratto vengono corrisposti i pagamenti periodicamente a seconda dell’avanzare dei lavori.

Sempre in ottica di trasparenza e validità del contratto, gli elementi essenziali del medesimo devono essere chiari, ovverosia si dovrà prevedere la descrizione dettagliata del bene oggetto del contratto, il prezzo d’acquisto e il tempo massimo di consegna alla scadenza del quale l’acquirente avrà il diritto-obbligo di ricevere il bene e di pagare la parte restante del prezzo.

La proposta in commento contempla, infine, i Sukuk i cd. certificati islamici, adoperati per finanziare aziende oppure raccogliere fondi per finanziare un progetto con finalità halal (termine che indica ciò che è “accettabile” e conforme ai precetti religiosi). Tali certificati sono equiparabili alle obbligazioni, ma differiscono da queste perché oltre a non contenere una componente di rischio derivante dalla solvibilità dell’emittente a prescindere dell’esito dell’attività imprenditoriale, sono altresì la manifestazione della condivisione dei profitti e delle perdite nonché la conoscenza delle scelte imprenditoriali che saranno necessariamente indirizzate a progetti Shari’ah compliant.

Nello schema della proposta di legge, oltre a fornire definizioni dettagliate degli strumenti contrattuali islamici, si è cercato di individuare gli istituti giuridici presenti nell’ordinamento italiano cui equiparare le operazioni islamiche, concentrandosi in questo esercizio più sulla sostanza che sulla forma e adottando il “no obstacles, no special favors” principio tipico del sistema delle giurisdizioni di Common Law in modo da consentire al sistema italiano di porsi in situazione di parità con altri mercati.

In riferimento ai profili fiscali, il legislatore poi offre una regolamentazione uniforme per evitare da un lato la doppia imposizione vale a dire il fenomeno per cui la tassazione si riferisce alla singola operazione e dell’altro lato per valutare le varie operazione nel loro insieme – ivi inclusa quella già colpita dall’imposta – considerando le stesse come un corpus unico, meritevole di autonoma imposizione.

Il fenomeno della doppia imposizione oggi si verifica perché il legislatore italiano non ha regolamentato le operazioni conformi alla Shari’ah. Pertanto, viene tassato il singolo passaggio ma non l’operazione nel suo insieme il che rende non competitivi tali prodotti ai prodotti finanziari convenzionali.

A tale fine, sono state proposte delle integrazioni da includere nella legislazione vigente in materia di imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 10, comma 1, numero 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Ad esempio, i cd. Sukuk vengono equiparati ai valori mobiliari ai sensi dell’art. 1, comma 1 bis, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

La proposta costituisce sicuramente una prima affermazione di favore verso le operazioni islamiche. Tuttavia, non può non osservarsi come esistano alcuni comparti non trattati dalla proposta, in particolare nessun riferimento all’assicurazione islamica cd.Takaful. Sarebbe invece auspicabile che tale comparto più di altri venisse considerato tenendo conto che per il cd. Takaful l’essenziale è l’individuazione della forma giuridica adatta ad ospitare i principi fondanti di tale strumento assicurativo. A tal proposito deve osservarsi come il sistema italiano già prevede forme di mutualità che si reggono sui principi solidaristici e ciò consentirebbe un ingresso del Takaful senza eccessiva difficoltà nel nostro ordinamento.

3. La Shari’ah

A questo punto della trattazione, giova soffermarsi su un aspetto definitorio, ovverosia cosa si suole dire quando viene nominata la finanza islamica oppure finanza Shari’ah compliant oppure finanza partecipativa.

Una definizione possibile è l’insieme dell’attività e/o operazioni di indole finanziaria che vengono svolte in ossequio a quanto prescritto nella Shari’ah, la lex divina,che viene integrata là dove emergono lacune da fonti secondarie quali la giurisprudenza islamica cd.fiqh[1] che predilige come strumenti interpretativi l’ijtihad, lo sforzo intellettuale, e il qiyas, la deduzione analogica. Ciò premesso, la finanza islamica potrebbe essere vista come un comparto del mondo finanziario che riunisce l’aspetto religioso, economico-giuridico e l’aspetto etico formando una architettura uniforme. Il valore etico emerge in particolare dalle prescrizioni etico-religiose applicabili ad alcuni aspetti della vita economica, la rilevanza attribuita al lavoro e la distribuzione delle ricchezze in ottica di solidarietà.

Proseguendo nella nostra indagine ci si deve ora soffermare sul significato di Shari’ah ovverosia la lex islamica. Essa è l’insieme delle prescrizioni contenute nel Corano (la prima fonte del diritto musulmano, composto da 6236 versetti, di cui circa 500 di matrice giuridica riconducibili al periodo di soggiorno del Profeta nella Medina e opponibile erga omnes in quanto di origine divina) e nella Sunna (la tradizione di Maometto: tutte le sue dichiarazioni, i fatti vissuti e i comportamenti approvati implicitamente o esplicitamente) sistematizzati e sviluppati dei giuristi musulmani.

Oltre alle due fonti rivelatrici come esplicato sopra esistono altre due di pari importanza. La prima è l’Ijma’a, il consenso della comunità islamica, comunità composta dai dotti, studiosi della giurisprudenza islamica. In sostanza si fa riferimento a tale fonte qualora il Corano e la Sunna non contengano utili statuizioni applicabili in un caso reale. La seconda è il Qiyas, la deduzione analogica, uno dei strumenti dell’Ijtihad (lo sforzo intellettuale compiuto dal mujtahid per individuare una regola o una norma ad un caso non disciplinato) che viene utilizzata per individuare delle similarità tra un caso risolto è un caso da risolvere. Tale fonte non è favorita da tutte le scuole giuridiche ortodosse poiché si fonda sull’intelletto umano che è naturalmente fallibile.

L’obiettivo della legge islamica è quello di impostare un corpus normativo contenente principi e divieti per limitare fenomeni di moral hazarde asimmetrie informative quando si opera nel mercato finanziario. Di conseguenza, fanno ingresso nel mondo finanziario alcuni principi di matrice etico-solidaristica come, ad esempio, il divieto del Riba, il Profit Loss Sharing (PLS), il divieto del Gharare del Maysir, l’obbligo della Zakate infine l’investimento in attività Halal. Attesa l’importanza di tali precetti nell’ambito dell’attività finanziaria Shari’ahCompliant, non ci si può quindi esimere dal fornire una breve esposizione delle caratteristiche fondamentali di ciascuno di essi.

4. I principi etico-religiosi sharaitici

4.1. La proibizione dell’interesse cd. il Riba

Letteralmente il termine Riba indica incremento, eccesso e crescita. È uno dei divieti assoluti poiché strumentale al raggiungimento di equità e giustizia, circoscrivendo ogni forma di sfruttamento o arricchimento a spesa altrui. Esso riflette uno dei cardini importanti della fede islamica e cioè la solidarietà e l’aiuto reciproco.

Si evidenzia a tale proposito che tale concetto non è estraneo alla tradizione europea. Il cattolicesimo europeo in epoca medievale aveva, infatti, una posizione molto netta nel vietare l’interesse-usura. Lo stesso principio si ritrovava anche nella cultura ebraica a riprova dell’importanza del principio nel tessuto economico social della comunità. Tuttavia, in questo ultimo caso, il divieto operava solo tra i cittadini di fede ebraica e non quando uno dei contraenti era un cittadino straniero.

Similmente quindi, la fede islamica, come le altre confessioni monoteiste, vietava e – ancor più importante – vieta ancora oggi l’incremento ingiustificato stabilito a priori senza l’assunzione di alcun rischio ravvisando in tale fenomeno la mancanza di equità e giustizia sociale. Si noti, tuttavia, che il divieto del Riba non implica l’assenza assoluta di costi per l’impiego del capitale, ma impone l’adozione di strutture contrattuali diverse da quelle conosciute nel mondo occidentale.

4.2. La partecipazione ai profitti e alle perdite, il cd. Profit Loss Sharing: figura assimilabile ad una partnership tra clienti e banca.

Nei secoli la fede islamica ha tanto incoraggiato i rapporti commerciali quanto vietato il guadagno senza l’assunzione di un rischio in quanto contrastante con uno dei pilastri della fede islamica ovverosia la giustizia socioeconomica e la equa distribuzione della ricchezza.

Difatti, un imprenditore può realizzare sia profitti sia perdite nello svolgere la sua attività. Diversamente, nella prassi operativa ed in assenza di tale apposito divieto, un operatore finanziario percepisce un interesse e/o commissione indipendentemente dell’esito dell’investimento effettuato.

Mediante tale principio/divieto, invece, chi porta il capitale non otterrà un rendimento prestabilito a priori (indipendente quindi dall’esito dell’attività economica sottostante) ma avrà un vantaggio proporzionato all’andamento positivo dell’investimento. Il portatore di capitale, il cd. Rab al mal, parteciperà agli utili e alle perdite conseguite dall’investimento. Questo approccio è foriero di importanti conseguenze. Ed infatti gli operatori del settore dovranno analizzare i livelli d’incertezza che potrebbero derivare dallo svolgimento dell’attività cercando di mutarli in percentuali di rischio gestibile.

Questa forma di condivisione del rischio produce ulteriori conseguenze. Infatti, le parti nel momento della contrattazione devono cercare di avere interessi bilanciati perseguendo una condivisione del rischio in modo equo al fine di concludere un contratto giusto, esente da un eccessivo moral hazard e dunque nel rispetto di principi di saggia e prudente gestione del rapporto contrattuale. Si noti a tal proposito che l’equilibro negoziale non è principio alieno nel nostro ordinamento. Esso è invero uno dei principi consolidati nell’ordinamento civilistico italiano ove si pensi a quei meccanismi in forza dei quali gli interessi delle parti non possono caratterizzarsi per un eccessivo squilibrio. Vieppiù, una certa misura di equilibrio nelle prestazioni contrattuali è un elemento importante nella genesi ed esistenza del rapporto contrattuale, la cui mancanza – originaria o sopravvenuta – costituisce un evento rilevante sotto il profilo civilistico.

Proseguendo nella nostra disamina, si può inoltre rilevante come la condivisione del rischio la ritroviamo anche in ambito assicurativo nel quale il contratto assicurativo conforme ai principi sharaitici trova applicazione, prevedendo una condivisione del rischio tra i partecipanti al fondo comune che viene istituito per fare fronte ai danni recati dal verificarsi di un evento futuro infausto, una mutualità in ottica di aiuto reciproco, al contrario dell’assicurazione convenzionale ove la causa fondamentale consiste nel trasferimento del rischio da un soggetto all’altro mediante il pagamento di un premio.

Alla luce di quanto sopra potremmo concludere che l’approccio della finanza islamica – ovverosia la condivisione del rischio quale meccanismo di bilanciamento negoziale – non si colloca al di fuori del mondo del diritto italiano, ma invero potrebbe forse rappresentare una chiave di lettura comune dei due sistemi se non una strada percorribile in concreto per perseguire un approccio sociale alla finanza basato su una attenta costruzione del rapporto contrattuale tra le parti coinvolte.

4.3. Il divieto dell’incertezza cd. il Gharar e della speculazione cd. Maysir

Il Gharar è un ulteriore divieto presente nella fede islamica. Tale locuzione indica incertezza e/o inganno assoluto, che tocca il rapporto contrattuale in ogni suo aspetto, dal prezzo alla qualità della merce e/o del servizio reso fino all’oggetto del rapporto.

Come noto, l’incertezza sovente si riferisce alla quantità delle informazioni che vengono condivise o sono reperibili prima di concludere un contratto. La ratio del divieto è disincentivare quanto più possibile le cd. asimmetrie informative che potrebbero portare all’annullamento del rapporto contrattuale.

Il Gharar, secondo la giurisprudenza islamica può essere tollerato oppure no, tutto dipende dalla soglia di accettabilità. Tale divieto impone la massima trasparenza del rapporto contrattuale, concetto ben noto al mondo occidentale. Si pensi ad esempio ai vizi del consenso (l’errore, la violenza e il dolo) e alla fenomenologia contrattuale che può derivare dalla presenza di tali vizi nella genesi del rapporto negoziale. Difatti, come è noto, ove sussistano certi vizi del consenso il contratto può essere annullato, poiché il consenso espresso risulta difforme da quello che sarebbe stato prestato in assenza di tali vizi. Il Gharar mira dunque ad arginare l’incidenza di tali patologie contrattuali.

Procedendo oltre, ci si deve brevemente soffermare sul Maysir, ossia il divieto della speculazione, della scommessa basata su un evento futuro e incerto. Le scuole giuridiche islamiche sono concordi nel vietarla poiché essa confligge con i principi dell’economia islamica tra cui l’equa distribuzione delle ricchezze.

4.4. La distribuzione della ricchezza cd. Zakat: è una tassa sulla ricchezza viene calcolata sulla base imponibile pari al 2.5% e destinata ad attività sociale.

La Zakat è il terzo pilastro dell’islam. Il pagamento dell’imposta coranica non è soltanto una mera elemosina o dovere morale, ma è un atto di solidarietà concreta e costante che caratterizza la compattezza della Umma al islamiya, – la comunità dei fedeli – un aspetto fortemente valorizzato dal Profeta Maometto.

Viene chiamata la decima ed è quantificabile nel 2.5% calcolabile sull’incremento della ricchezza.

Ciò che risulta particolarmente rilevante in questa sede è la proprietà purificatrice della Zakat. Attraverso il pagamento della decime, infatti, il patrimonio del donante viene purificato e la comunità viene contestualmente aiutata. Tale strumento è utilizzato da diversi paesi di fede islamica per incrementare il Welfare State con l’obiettivo di ridurre la disuguaglianza sociale.

4.5. Investire in attività lecite cd. Halal

Infine, merita un brevissimo cenno il concetto di halal che corrisponde all’insieme delle attività considerate lecite o comunque non contrastanti con i precetti religiosi. Di segno algebricamente opposto è invece l’insieme delle attività definite haram che la fede islamica vieta esplicitamente. Sono haram le attività che comportano, ad esempio, il pagamento di interessi e la speculazione e cioè elementi tipici della finanza convenzionale; la produzione e la vendita di bevande alcoliche; il tabacco e l’industria delle armi. Proseguendo il nostro percorso comparatistico, si noti che anche in questo caso la distinzione tra attività lecite ed attività illecite o comunque etiche e non etiche si rinviene anche nella finanza occidentale cosiddetta etica e/o responsabile e cioè quella parte della finanza che mira ad investire in attività benefiche e non distruttive o dannose.

5. Conclusioni

L’Italia non è la prima nazione occidentale a compiere passi d’avvicinamento al mondo della finanza islamica. Sono piuttosto i primi passi per mettersi pressoché in pari rispetto ai paesi europei che l’hanno preceduta in questo settore come il Regno Unito, la Francia, l’Irlanda e il Lussemburgo.

Oggi, in Italia i cittadini di fede islamica residenti ammontano a circa 2.500.000, una cifra pari al 4% di tutta la cittadinanza italiana. Sulla base di una indagine già compiuta nel 2015 tale presenza ammontava a circa 1,7 milioni di cittadini stranieri musulmani, e sempre secondo una analisi effettuata dal Pew Research Center di Washington, la comunità musulmana è destinata a crescere di circa il 73% entro il 2050.

A dire il vero tale dato non sarebbe sufficiente – da solo – a giustificare una regolamentazione di prodotti Shari’ah Compliant, ma ove si pensi al controvalore degli investimenti esteri ovverosia un giro d’affari di circa 2 miliardi di dollari che potrebbe invero transitare nell’orbita del mercato italiano, appare opportuno che il nostro paese si doti di strumenti efficaci per affrontare questa sfida economica e giuridica.

Dalle osservazioni svolte sino a qui si comprende come gli ostacoli all’ingresso di tali strumenti nella realtà italiana siano in primo luogo culturali e di natura giuridica.

Quanto al primo punto bisognerebbe innanzitutto abbandonare le diffidenze che potrebbero nascere dall’espressione “finanza islamica” e concentrarsi sul volume d’affare che può introdursi nella nostra realtà. Sebbene le polemiche quotidiane accostino tutto ciò che è islamico ad attività terroristiche o al fanatismo religioso, deve sottolinearsi come non solo tale accostamento sia storicamente e concettualmente scorretto (il terrorismo e il fanatismo sono infatti condannati dalla comunità islamica moderata), ma invero dannoso, ove comporti una rigida preclusione dell’ordinamento giuridico ed economico nazionale all’ingresso di tali strumenti che, come si è visto, rappresentano la chiave di accesso ad un mercato importante ed in rapida crescita.

Si deve poi aggiungere che il pregnante aspetto etico che prevede l’economia islamica è un elemento valoriale importante che peraltro è ben noto al sistema occidentale. Questo emerge chiaramente dalla coesistenza nel mondo giuridico occidentale, anche italiano, di diversi modelli giuridici con finalità di utilità pubblica e solidarietà socioeconomica, come ad esempio l’impresa sociale e la fondazione etica. Non solo, ma una ulteriore conferma dell’importanza di un comparto etico della finanza emerge chiaramente dalla tendenza verso la finanza etica-morale tipica di questi anni. Questo ad esempio si rinviene nel settore degli investimenti socialmente responsabili e nelle iniziative economiche di sviluppo sostenibile.

Un ulteriore profilo di interesse pare essere poi la convergenza di nuove tecnologie e il mondo finanziario islamico. Tra le novità che potrebbero maggiormente influenzare lo sviluppo e l’espansione dei servizi finanziari islamici nel mondo si pensi ad esempio alla diffusione di piattaforme web, alla blockchain, alle cryptocurrencies, come del resto anche al crowdfunding, reso possibile da apposite piattaforme tecnologiche.

Tali concetti sono già in trattazione nella sfera ove viene praticata la finanza islamica. Infatti, coloro che si interessano per esempio di bitcoin (e, più in generale, di criptovalute) si stanno interrogando se essi siano Shari’ah Compliant oppure no. Ovviamente, tale interesse nasce dall’esigenza di eliminare le barriere d’ingresso e fornire i servizi Shari’ah Compliant ai milioni di musulmani ovunque si trovino sfruttando la delocalizzazione e assenza di barriere geografiche tipiche delle tecnologie distribuite, tra cui ovviamente la blockchain. Invero, considerato questo ultimo trend, si può osservare come la mancanza di attenzione e studio al tema della finanza islamica non solo potrebbe tradursi in una opportunità mancata per gli operatori del settore e il mercato, ma invero potrebbe generare un vuoto normativo a fronte di un fenomeno in rapida crescita, con la conseguenza che alcune operazioni potenzialmente illecite potrebbero sfuggire alla vigilanza di settore.

In via conclusiva è da ritenere che la proposta di legge è sicuramente significativa poiché per la prima volta il fenomeno delle operazioni finanziarie islamiche viene espressamente riconosciuto dal legislatore tanto da potersi considerare come un primo step verso percorsi di comprensione e regolamentazione del mercato dei prodotti Shari’ah compliant.



[1] La scienza che studia il diritto e la giurisprudenza islamica in riferimento a due ambiti: il primo riguarda fiqh al-ibadat, lo studio concernente i cinque pilastri della fede islamica: 1- La testimonianza; 2- le cinque preghiere quotidiane (as-Salat); 3- il pagamento dell’imposta coranica (az-zakat); 4- il pellegrinaggio alla Sacra Casa cioè a La Mecca (al-Hagg); 5 – il digiuno del mese di Ramadan (as-Saumu)) per contro il secondo riguarda fiqh al-mu’amalat è lo studio delle regole circa i rapporti socio-economico.


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