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La fiscalità nelle metriche ESG: rischi, opportunità e prospettive

6 Settembre 2022

Marco Lio, Tax Partner, PwC TLS

Di cosa si parla in questo articolo
ESG

L’evoluzione del quadro regolatorio europeo richiede agli operatori dei mercati finanziari di introdurre, tanto nei prodotti, quanto nei processi di investimento e di credito, la misurazione dei rischi ESG. In questo contesto, anche la gestione della fiscalità entra tra i fattori di sostenibilità di controparte, che dovranno essere apprezzati e valutati: la presenza di un Tax Control Framework e una compiuta rappresentazione del proprio approccio alla fiscalità sono, al tempo stesso, la cartina tornasole che le banche potranno utilizzare per i propri riscontri ed il migliore biglietto da visita di un’impresa per accreditarsi presso gli intermediari finanziari.

The evolution of the European regulatory framework requires financial market operators to introduce ESG risk measurement both in products and in investment and credit processes. In this context, tax risk management is also one of the sustainability factors of the counterpart, which must be appreciated and evaluated: the Tax Control Framework and a complete representation of the approach to tax are, at the same time, evidence for banks of the tax sustainability of their counterparties and the best way for a company to be credited with financial intermediaries.


1. La corrente della sostenibilità attraversa il mondo della finanza

Un fiume in piena ben rappresenta il rapido e continuo fluire di temi e argomenti che ruotano intorno alla sostenibilità ed agli impegni assunti nell’Agenda 2030, condivisa nel 2015 in seno alle Nazioni Unite, con 17 obiettivi per garantire al mondo uno sviluppo sostenibile (SDGs)[1].

Seguendo la corrente, l’Unione europea ha ritenuto prioritario lavorare ad una strategia che assicuri il contributo della finanza alla crescita sostenibile. La declaratoria di principio, che si ritrova nei documenti unionali, afferma che per promuovere gli SDGs, occorra mettere a disposizione degli investitori finali prodotti finanziari le cui attività economiche sottostanti perseguano la crescita sostenibile, nel rispetto delle esigenze ambientali, sociali e di governance, riassunte nel trinomio ESG.

Con questo intento, nella comunicazione dell’8 marzo 2018, la Commissione europea ha adottato un Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, articolato in 10 linee d’azione per orientare i flussi dei capitali verso investimenti sostenibili[2]. Nel declinare la strategia unionale per il supporto agli SDGs, l’Unione europea ha tenuto conto di due fattori critici di successo:

  1. seguendo l’immagine del fiume, dopo le rapide, c’è la cascata: occorre quindi includere i fattori di sostenibilità nelle analisi di rischio degli operatori del settore finanziario;
  2. lungo il corso del fiume, serve un argine per contenere il fiume in piena: una trasparente rappresentazione dei fattori ESG da parte degli operatori del mercato, perché gli investitori possano tenerne conto nelle proprie scelte.

Dalla prima linea strategica – integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi – è seguito un preciso mandato alle istituzioni comunitarie di elaborare regole e meccanismi, a valere per investitori istituzionali e asset manager da un lato, per banche e assicurazioni dall’altro, tutti chiamati a misurare i fattori ESG e a renderne conto a beneficio degli investitori finali. La produzione regolamentare che ne è nata ha già condotto e ancora spingerà la corrente ESG a penetrare tanto nei processi decisionali di investimento[3], quanto nella vigilanza prudenziale europea per le banche e le imprese di assicurazione[4].

L’altra linea strategica del Piano d’azione mira a promuovere la trasparenza: proseguendo nella metafora, si tratta di rafforzare gli argini del fiume, che la Commissione europea ha inteso mettere in sicurezza, nel passaggio della corrente ESG. Se il procelloso fiume della sostenibilità finisse per esondare, verrebbero messi a repentaglio gli obiettivi di promuovere investimenti davvero sostenibili: l’esondazione lascerebbe dietro di sé una fanghiglia sporca – il greenwashing – che comprometterebbe la limpidezza delle acque ESG, per cui l’investitore sarebbe indotto a leggere come sostenibile un prodotto finanziario e un’attività economica sottostante che in realtà tali non sono[5]. Gli argini sono rappresentati dagli obblighi di trasparenza a riguardo della sostenibilità, estesi e rafforzati, con l’ambizione di definirne metriche e modelli di valutazione quanto più oggettivi e armonizzati[6]: ne sortiscono, tra l’altro, le iniziative unionali sulla reportistica non finanziaria[7] e sulla Tassonomia europea di sostenibilità[8].

Se dunque l’Europa, pur tra i marosi delle crisi sanitaria prima e bellica ora, sta affrontando le sfide di un mondo sostenibile puntando sulla finanza per indirizzare i flussi di investimento verso attività economicamente sostenibili, ne è derivata e ancora ci attende la fioritura di normative, nel mondo iper-regolato degli intermediari finanziari, volte a introdurre le metriche ESG nei processi di creazione di prodotti finanziari, di investimento e di credito e nelle comunicazioni al mercato.

La gestione del rischio fiscale e la contribuzione delle imprese ai bisogni delle collettività, tramite le imposte, sono dimensioni della sostenibilità delle imprese che giocano il proprio ruolo nel contesto dei fattori governance e social delle istanze ESG. Nel seguito di questo contributo, avremo modo di apprezzare come lo sforzo regolamentare dell’Unione europea debba portare con sé l’analisi degli aspetti fiscali di controparte, tanto nella valutazione dei prodotti finanziari di investimento che si presentino al mercato come green (par. 2), quanto nei processi di erogazione del credito e di investimento (par. 3).

Il mercato finanziario va verso l’introduzione di metriche di sostenibilità che valutano anche la gestione della fiscalità di controparte: proveremo a condividere quali percorsi, strumenti e metodi possano essere adottati dalle imprese, per assicurare agli operatori finanziari di essere in controllo dei rischi fiscali. Si dovrà necessariamente trattare di un paradigma solido e condiviso tra imprese e operatori del mercato finanziario, che possa rappresentare un termine di paragone idoneo a escludere fenomeni di tax-washing (par. 4).

2. I prodotti di investimento: la dimensione fiscale tra le garanzie minime di salvaguardia della sostenibilità

Con l’adozione del regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sustainable Finance Disclosure Regulation – SFDR o Regolamento Disclosure), il legislatore unionale ha integrato i rischi ESG nel set di informazioni destinato ai sottoscrittori di prodotti finanziari di investimento, quali i fondi comuni di investimento, i portafogli gestiti, i prodotti vita di investimento assicurativo e i prodotti pensionistici (nel seguito, semplicemente “prodotti finanziari” o “prodotti di investimento”)[9].

Entrata in vigore il 10 marzo 2021, il Regolamento Disclosure ha inteso armonizzare e rafforzare la trasparenza degli operatori dei mercati finanziari[10] e dei consulenti finanziari[11], a riguardo della valutazione dei fattori di sostenibilità nei prodotti di investimento[12]: specifici obblighi di comunicazione sono stati inseriti sia nella documentazione precontrattuale, sia nelle relazioni periodiche su queste tipologie di prodotti finanziari, sia infine nei siti istituzionali degli operatori del relativo mercato. In particolare, il legislatore unionale identifica un set di informazioni che devono accompagnare i prodotti finanziari che perseguono obiettivi di investimento sostenibile (prodotti c.d. dark green) e quelli che promuovono caratteristiche ambientali e sociali, senza necessariamente effettuare investimenti sostenibili (prodotti c.d. light green)[13].

Nel declinare i nuovi obblighi, il Regolamento Disclosure ha introdotto nell’ordinamento unionale, per la prima volta e nella logica di lavorare per rafforzare gli argini di cui si è detto, una espressa definizione di investimento sostenibile articolata su due componenti che l’impresa sottostante i prodotti finanziari che si qualifichino come green deve rispettare: l’attività economica che questa impresa conduce deve contribuire a un obiettivo ambientale o sociale – senza arrecare un danno significativo a nessuno di tali obiettivi – e l’impresa stessa deve operare in conformità alle prassi di buona governance[14].

Ecco che tutti e tre i petali del trifoglio ESG entrano congiuntamente nell’impianto definitorio unionale di investimento sostenibile: “E” ed “S”, come obiettivi cui l’impresa contribuisce (e non arreca danno), “G” come garanzia di fondo che ciò avvenga davvero. La fiscalità è uno degli elementi che attestano una buona governance dell’impresa: secondo il legislatore unionale, per essere considerate un investimento sostenibile, le imprese che ne beneficiano devono garantire il rispetto degli obblighi fiscali[15].

Questa articolazione della nozione di investimento sostenibile è ripresa e precisata dal Regolamento Tassonomia adottato dall’Unione europea nel 2020[16]: si tratta dell’iniziativa normativa alimentata dalla chiara visione, espressa nel Piano d’azione, che lo spostamento dei flussi di capitali verso attività sostenibili debba fondarsi su una comprensione condivisa e armonizzata della nozione stessa di sostenibilità[17].

I primi passi di questo percorso sono stati mossi, con il Regolamento Tassonomia, verso l’obiettivo di fare chiarezza su ciò che possa considerarsi ecosostenibile. Nello stabilire il grado di ecosostenibilità di un investimento, il legislatore europeo ricorre nuovamente ai due elementi di valutazione che abbiamo già riscontrato nel Regolamento Disclosure: deve essere verificato se l’attività economica sottostante contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno degli obiettivi ambientali – senza arrecare un danno significativo a nessuno degli altri – e se l’impresa opera nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia, ovvero secondo regole e processi di governance ispirati ai migliori standard internazionali[18].

La Piattaforma sulla finanza sostenibile, istituita dal Regolamento Tassonomia, sta lavorando, come partner tecnico della Commissione, per l’ulteriore declinazione operativa dell’impianto definitorio europeo sulla sostenibilità[19]: nello sviluppare la tassonomia sociale, i lavori in corso stanno portando a mettere in diretta correlazione gli aspetti di governance con le garanzie minime di salvaguardia quale requisito fondamentale per qualificare un’impresa come investimento sostenibile.

In questo contesto, la fiscalità è a pieno titolo compresa tra i fattori di buona governance che devono essere valutati come standard minimi perché un’impresa possa essere qualificata come sostenibile: secondo le indicazioni della Tassonomia europea, per la patente di sostenibilità, occorre dunque garantire una gestione della fiscalità che escluda approcci di tax planning aggressivo e comunicare in modo trasparente il contributo dato ai Paesi dove l’impresa opera attraverso le imposte[20].

3. I processi di investimento e di credito delle banche: il ruolo della fiscalità nelle metriche ESG

Il framework europeo della vigilanza prudenziale, recependo le indicazioni del Comitato di Basilea, è articolato su tre pilastri[21]. I requisiti patrimoniali minimi, prescritti dal Primo Pilastro, sono arricchiti dal processo di controllo prudenziale introdotto dal Secondo Pilastro – distinto nel self assessment della banca e nella revisione e valutazione dell’autorità competente – e sono completati da specifici obblighi di trasparenza informativa, che costituiscono la disciplina di mercato del Terzo Pilastro.

La normativa unionale in materia è stata emendata nel 2019 a seguito del Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, da cui le analisi di questo contributo hanno preso avvio, con l’attribuzione di un mandato specifico, all’Autorità Bancaria Europea (EBA, nell’acronimo della denominazione in lingua inglese)[22], di valutare se e come i fattori ESG e i connessi rischi di sostenibilità debbano essere misurati e valutati, nel contesto di ciascuno dei tre pilastri della vigilanza bancaria.

In dettaglio, con le modifiche normative adottate nel maggio 2019, l’EBA è chiamata a:

  1. verificare se sia giustificato un trattamento prudenziale dedicato delle esposizioni relative ad attivi o ad attività sostanzialmente associati a obiettivi ambientali e/o sociali, cui collegare opportuni criteri di valutazione dei relativi rischi (Primo Pilastro)[23];
  2. esaminare la potenziale inclusione nella revisione e nella valutazione effettuate dalle autorità competenti dei rischi ambientali, sociali e di governance, definendo conseguentemente i processi, i meccanismi e le strategie che le banche devono mettere in atto, per identificare, valutare e gestire i rischi ambientali, sociali e di governance nei propri processi di credito e di investimento (Secondo Pilastro)[24];
  3. elaborare gli standard tecnici per la pubblicazione delle informazioni relative ai rischi ambientali, sociali e di governance, al cui obbligo saranno assoggettati i grandi enti, a decorrere dall’esercizio chiuso al 31 dicembre 2022 (Terzo Pilastro)[25].

Ne è derivato un Action Plan elaborato dall’EBA su ciascuna delle direttrici di analisi previste dal quadro normativo di vigilanza così novellato[26], cui hanno fatto seguito la pubblicazione di discussion paper per raccogliere spunti e contributi dagli stakeholder e, per alcune tematiche, la progressiva adozione dei conseguenti documenti forgiati in esito al processo di consultazione pubblica.

Sul Primo Pilastro, l’analisi contenuta nel discussion paper, pubblicato dall’EBA il 2 maggio 2022, si è per ora focalizzata su asset e attività associate con obiettivi e impatti ambientali – la “E” del trifoglio ESG – laddove gli aspetti legati al fattore social ed a quello governance saranno esaminati nei prossimi sviluppi del lavoro dell’EBA[27]. In attesa dei prossimi passi, trascureremo il Primo Pilastro, per le finalità che qui sono di interesse, concentrandoci su quanto sta emergendo dai lavori relativi agli altri due Pilastri della vigilanza prudenziale bancaria.

Quanto al Secondo Pilastro, nel report pubblicato a giugno 2021, l’EBA ha proposto le regole per includere la valutazione dei rischi di sostenibilità di controparte, nei processi di investimento e di credito delle banche[28].

L’EBA osserva che i rischi ESG, per gli intermediari finanziari, originano dagli impatti economico finanziari dei fattori ESG e dei correlati rischi di sostenibilità che gravano sulle controparti delle banche e sugli asset oggetto di investimento, traducendosi nei tradizionali rischi prudenziali di credito, di mercato, operativi, di liquidità e reputazionali[29].

Le linee guida rilasciate dall’EBA, rimesse all’adozione modellata da parte di ciascuna banca e delle competenti autorità in logica di vigilanza, tracciano le modalità di valutazione dei fattori e rischi ESG di controparte e degli investimenti, che potranno essere precipitate tanto nelle metriche di giudizio adottate dalle banche nei processi interni di risk management, quanto nei meccanismi di supervisione delle banche stesse a cura delle autorità competenti[30].

In dettaglio, per quanto qui interessa, le linee guida dell’EBA identificano tra i fattori di sostenibilità rilevanti gli aspetti legati alla buona governance dell’impresa controparte, in quanto possono incidere sulla corretta compliance alle diverse normative applicabili ad un’attività economica: le tematiche afferenti la gestione dell’impresa possono così determinare un impatto positivo o negativo sulla performance finanziaria dell’entità e sulla sua solvibilità[31]. Ebbene, tra i driver di governance, anche la gestione del rischio fiscale trova il suo riconoscimento: in particolare, la banca dovrebbe includere, nell’analisi di rischio di controparte e degli investimenti, anche una valutazione che conduca ad escludere rischi di tax avoidance da parte del soggetto cui eroga credito o in cui investe, in quanto da questi rischi potrebbero derivare incidenze anche significative sulla sostenibilità dell’attività economica sottostante[32]. Ne segue che, in termini di sistemi di controllo interno, con riguardo a tutti i fattori di rischio ESG incluso quello della fiscalità di controparte, occorre che le istituzioni finanziarie attivino le necessarie attività di assessment nei processi di investimento e di credito[33].

Venendo al Terzo Pilastro di vigilanza, il quadro regolatorio europeo, come aggiornato nel corso del 2019, ha previsto che, a decorrere dal 28 giugno 2022 (con prima disclosure nel 2023 sui dati al 31 dicembre 2022), i grandi enti emittenti titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di qualsiasi Stato membro pubblichino informazioni relative ai rischi ambientali, sociali e di governance[34].

In attuazione del correlato mandato conferito in sede di novella del framework normativo sulla vigilanza bancaria, l’EBA ha pubblicato, nel gennaio 2022, l’Implementing Techinical Standard (ITS) relativo alla disclosure di Terzo Pilastro sui rischi ESG, la cui adozione, in forma di regolamento unionale, è ora sottoposta alla Commissione europea[35].

Il documento contiene gli standard tecnici per la disclosure prudenziale sui rischi ESG, nel contesto dell’informativa del Terzo Pilastro delle banche. Oltre a informazioni quantitative a riguardo dei rischi ambientali di controparte e degli investimenti, in connessione diretta con il cambiamento climatico[36], l’ITS definisce un’informativa qualitativa sui rischi ambientali, sociali e di governance. A riguardo delle informazioni qualitative sui rischi di governance legati all’ESG, trova posto anche la dimensione della fiscalità, espressamente citata nel contesto dell’analisi della transparency di controparte a riguardo della gestione delle imposte: le banche dovranno quindi dare conto, nell’informativa di Terzo Pilastro, dell’integrazione nei processi di risk management dell’analisi dei rischi presenti nel proprio portafoglio di investimenti, anche con riguardo a tax commitments and payments delle proprie controparti[37].

4. Quali percorsi per attestare il controllo del rischio fiscale

Quanto prima gli intermediari finanziari avranno integrato opportunamente i fattori di sostenibilità nei processi interni di valutazione di rischio e di conseguente disclosure, tanto più competitivi saranno sul mercato degli investimenti e dei finanziamenti[38]. Altrettanto evidente è l’interesse delle imprese ad avere un quadro ben delineato dei fattori ESG che saranno valutati dalle banche e di come sarà condotta l’analisi sui connessi rischi, per essere messe in condizione di passare a pieni voti questo esame.

In altre parole: occorrono dei paradigmi condivisi nella misurazione dei fattori e dei rischi di sostenibilità, che mettano al riparo dal greenwashing e che diano oggettività e ragionevole certezza alle valutazioni ESG.

Abbiamo visto come anche la fiscalità entrerà a far parte dei rischi di sostenibilità che le banche andranno a misurare sulle controparti, tanto a riguardo di prodotti finanziari che si vogliano fregiare del riferimento alla sostenibilità, quanto più in generale nei processi di credito e investimento. La fonte informativa, per le analisi di rischio ESG richieste alle banche, sarà assicurata dall’ampliamento normativo del perimetro del reporting non finanziario, previsto all’interno dei lavori in corso avviati con il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile[39].

Esiste allora un paradigma di riferimento, da utilizzare come misura, per definire oggi in modo puntuale come un’impresa possa soddisfare le aspettative degli intermediari finanziari (e del regolatore) in termini di good tax governance e di reporting della fiscalità?

Il paradigma per la gestione del rischio fiscale esiste ed è stato sviluppato nel contesto dei lavori internazionali dell’OCSE[40] e adottato dall’Autorità fiscale italiana, a riguardo del regime di adempimento collaborativo, inserito nel nostro ordinamento sull’esperienza di analoghi meccanismi di relazione rafforzata con le Amministrazioni finanziarie (co-operative compliance)[41]. Il paradigma è dato dal Tax Control Framework (TCF): il sistema di controllo interno dedicato specificamente alla rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale.

Non è lo scopo di questo contributo entrare nei dettagli dello strumento[42]. È opportuno e sufficiente richiamarne l’articolazione, secondo le linee guida condivise a livello internazionale e domestico, in tre requisiti:

  1. la definizione di un ambiente di controllo, con l’adozione della Strategia fiscale con cui i vertici aziendali si assumono la responsabilità della gestione delle imposte e definiscono il tax approach e il tax risk appetite dell’impresa[43];
  2. la mappatura puntuale e granulare dei rischi fiscali – nelle tre categorie: di adempimento, interpretativi, di frode – e dei controlli in essere a mitigazione degli stessi rischi[44];
  3. la previsione di una governance che attribuisca ruoli e responsabilità, nonché conseguenti flussi informativi, relativamente all’assunzione del rischio fiscale ed alla valutazione nel continuo del sistema di controllo, e che assicuri il monitoraggio delle evoluzioni del sistema normativo di riferimento, al fine di intercettare le modifiche – anche prospettiche – che hanno impatto e rilevanza per l’impresa[45].

Ebbene, l’adozione di un Tax Control Framework, disegnato in linea con queste previsioni, consente di dare all’impresa l’effettivo controllo sul rischio fiscale, garantendo la conformità alle pertinenti prescrizioni normative. Ma vi è di più: il TCF va oltre il mero presidio di conformità, laddove, nella declinazione della tax governance che è propria di questo strumento, mette in condizione l’impresa di intercettare gli impatti delle norme che sopraggiungono – e di quelle che sopraggiungeranno, orientando l’analisi in logica di catturare i policy changes – così da assicurare la sostenibilità del business. Si pensi, restando nell’ambito ESG, all’introduzione di una normativa che disincentiva comportamenti in contrasto con gli obiettivi ambientali (quale ad esempio la plastic tax): una sana e prudente gestione del rischio fiscale, regolata attraverso il TCF, deve rilevare e misurare ex ante questi impatti, anche significativi, sulla sostenibilità economica del modello di business.

Il TCF può quindi validamente essere assunto a paradigma con cui misurare l’approccio a tutto tondo sostenibile alla gestione delle imposte: dalla conformità, alla capacità predittiva di misurare gli effetti delle regole fiscali sui risultati attesi.

La presenza del TCF può essere opportunamente riflessa nelle rappresentazioni cui l’impresa è chiamata a dar conto nella propria comunicazione di sostenibilità: oggi sotto le regole della normativa europea sul non financial reporting, integrata dai principi internazionali più accreditati a riguardo, ed a breve nel nuovo quadro che, sempre in dipendenza del Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, doterà l’ambito unionale di uno standard europeo di reporting che valorizzerà le informazioni fiscali[46]. La reportistica di sostenibilità è la vetrina in cui le imprese possono far mostra del proprio modello di gestione del rischio fiscale, ispirato alle meccaniche del TCF, e delle imposte con cui responsabilmente contribuiscono ai bisogni delle collettività in cui operano[47].

Nel rispondere alle sfide che nascono dall’inserimento dei parametri fiscali tra le metriche ESG che saranno utilizzate dagli operatori finanziari nella valutazione delle proprie controparti, si potrà fare affidamento sui modelli evoluti di gestione del rischio fiscale e di rappresentazione della fiscalità che si sono affermati, sia a livello internazionale, sia in Italia, come le best practices di mercato: l’adozione di un Tax Control Framework per il controllo del rischio fiscale e la reportistica di sostenibilità che opportunamente includa informazioni puntuali sulla gestione del rischio fiscale e sulla contribuzione dell’impresa tramite le imposte.

Questi sono i paradigmi di cui imprese e banche necessitano per navigare la corrente ESG. TCF e reporting fiscale di sostenibilità sono il miglior biglietto da visita con cui un’impresa si potrà presentare al mercato finanziario, per affermare la propria sostenibilità; gli stessi elementi paradigmatici potranno essere utilizzati dagli intermediari finanziari, nei processi di credito e di investimento, come la cartina tornasole con cui riscontrare l’effettiva propensione alla sostenibilità delle proprie controparti, mettendosi al riparo da rischi di tax-washing.

 

[1] L’Assemblea Generale dell’ONU, con la risoluzione adottata il 25 settembre 2015, ha definito la 2030 Agenda for Sustainable Development Goals, incentrata su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). Il documento è reperibile sul sito: https://sdgs.un.org/2030agenda [accesso 18.6.22].

[2] Comunicazione COM(2018)97 final, del 8 marzo 2018.

[3] Si veda il Piano d’azione di cui alla COM(2018)97 cit., all’Azione 7: chiarire gli obblighi degli investitori istituzionali e dei gestori di attività.

[4] Cfr. COM(2018)97 cit., Azione 8: integrare la sostenibilità nei requisiti prudenziali.

[5] La pratica del greenwashing consiste, figurativamente, nel dare una mano di verde a ciò che verde non è: consente peraltro di ottenere un vantaggio sulla concorrenza, in modo sleale, commercializzando un prodotto finanziario come ecocompatibile quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti (considerando 11 del Regolamento 2020/852 del 18 giugno 2020 – c.d. Regolamento Tassonomia).

[6] In questa direzione, l’Azione 9 si propone di rafforzare la comunicazione in materia di sostenibilità e la regolamentazione contabile, opportunamente supportata dal framework che intende disegnare l’Azione 1, nell’istituire un sistema unificato a livello dell’UE di classificazione delle attività sostenibili.

[7] Il riferimento è la proposta del 21 aprile 2021 di direttiva sulla comunicazione societaria sulla Sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) – Comunicazione COM(2021)189 final.

[8] Si veda il Regolamento Tassonomia e i successivi regolamenti attuativi. Sul Regolamento Tassonomia: Assonime, Circolare 1/2022, Il Regolamento europeo sulla tassonomia delle attività ecosostenibili: gli obblighi pubblicitari per le società; CNDCEC, Finanza sostenibile e fattori “ESG”: stato dell’arte, sviluppi futuri e opportunità, 3 febbraio 2022.

[9] Regolamento 2019/2088 del 27 novembre 2019. I lavori preparatori sono contenuti nella proposta del 24 maggio 2018 (COM(2018) 354 final) accompagnata dallo staff working document (SWD(2018) 264 final).

Sul tema, si veda M. Driessen, Sustainable Finance: An Overview of ESG in the Financial Markets, in AA.VV., Sustainable Finance in Europe, Springer International Publishing, 2021, pag. 342 e segg.; D. Busch, Sustainability Disclosure in the EU Financial Sector, ibidem, pag. 404; A. Van Caenegem – T. van de Werve, Regulating Sustainability Communications in the Financial Services Sector: The Sustainable Finance Disclosure Regulation, 2021, in https://ssrn.com/abstract=4064053 [accesso 18.6.22].

[10] Per tali, si intendono, inter alia: imprese di assicurazione per i prodotti di investimento assicurativo, enti creditizi e imprese di investimento che forniscono servizi di gestione di portafoglio, enti pensionistici, asset manager (sia di fondi che si qualificano come UCITS, sia gestori di fondi alternativi). La definizione di “partecipante ai mercati finanziari” è contenuta nell’art. 2, n. 1), della SFDR.

[11] Il riferimento, ex art. 2, n. 11), della SFDR è agli intermediari assicurativi, creditizie ed alle imprese di investimento che forniscono consulenza in materia di investimenti.

[12] La definizione di prodotto finanziario, ai fini che ci riguardano, è contenuta nell’art. 2, n. 12), della SFDR.

[13] Gli obblighi informativi sono previsti dall’art. 9 della SFDR, per i prodotti finanziari dark green, e dall’art. 8 per quelli light green. I lavori per definire la normativa in dettaglio sono ancora in corso: il 6 aprile 2022, la Commissione, supportata dalle Autorità europee di vigilanza sui mercati finanziari (riunite nel Comitato congiunto dell’European Stability Authorities – ESA), ha pubblicato una bozza di regolamento delegato, che contiene le norme tecniche di regolamentazione che stabiliscono le informazioni che, dal 1° gennaio 2023, dovranno essere allegate alla documentazione precontrattuale e periodica di prodotto (C(2022) 1931 final – c.d. Regulatory Technical Standards o RTS). I lavori del Comitato congiunto dell’ESA, in cui siedono le tre Autorità di vigilanza del settore bancario (EBA), assicurativo e pensionistico (EIOPA) e degli strumenti e mercati finanziari (ESMA), sono contenuti nel documento Final Report on draft Regulatory Technical Standards, del 22 ottobre 2021 (JC 2021 50), reperibile sul sito istituzionale: https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/jc_2021_50_-_final_report_on_taxonomy-related_product_disclosure_rts.pdf [accesso 18.6.22].

[14] La nozione di investimento sostenibile è contenuta nell’art. 2, n. 17), della SFDR.

[15] Si veda ancora l’art. 2, n. 17, della SFDR. Nello staff working document che accompagna la proposta della SFDR, si ritrova sotto il cappello dei fattori ESG e in particolare quale governance factor la tax strategy.

[16] Regolamento 2020/852 del 18 giugno 2020.

[17] In questo senso si esprime il considerando 6 del Regolamento Tassonomia. Si tenga conto che il Regolamento Disclosure di cui si è detto sopra è integrato dal framework definitorio del Regolamento Tassonomia che peraltro ha apportato modifiche ed integrazioni al Regolamento Disclosure stesso.

[18] La nozione di ecosostenibilità degli investimenti è contenuta nell’art. 3 del Regolamento Tassonomia.

Gli obiettivi ambientali su cui fa perno l’ecosostenibilità, definiti dall’art. 9 del medesimo Regolamento Tassonomia, sono: mitigazione dei cambiamenti climatici; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e riduzione dell’inquinamento; protezione e ripristino di biodiversità ed ecosistemi.

La Commissione si è impegnata nell’individuare i criteri di vaglio tecnico che consentono di determinare se un’attività economica contribuisca in modo sostanziale al raggiungimento di uno degli obiettivi ambientali: ad oggi, con il Regolamento 2021/2139 del 4 giugno 2021 (Atto Clima), è stata declinata la metrica (criteri di vaglio tecnico) per valutare la contribuzione delle attività economiche ai primi due obiettivi ambientali identificati dal Regolamento Tassonomia (cambiamenti climatici, sotto le specie di mitigazione e adattamento).

Le garanzie minime di salvaguardia sono modellate, nell’art. 18 del Regolamento Tassonomia, avendo a termine di paragone standard internazionali di governance, quali le linee guida OCSE per le imprese multinazionali e i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

[19] La Piattaforma sulla finanza sostenibile, istituita dall’art. 20 del Regolamento Tassonomia, ha l’incarico di assistere, da un punto di vista tecnico, la Commissione europea sulla tassonomia e vede rappresentati i diversi interessi rilevanti. Tra l’altro, la Piattaforma ha in carico la consulenza alla Commissione sulla realizzazione di altri obiettivi legati alla sostenibilità, compresi gli obiettivi sociali (art. 20, par. 2, lett. j).

[20] Si veda il documento pubblicato dalla Piattaforma sulla finanza sostenibile: Final Report by Subgroup 4: Social Taxonomy, del 28 febbraio 2022 (par. 6.3 e 6.4).

[21] I principi di Basilea sono stati refusi nel diritto europeo dalla Direttiva n. 2013/36/UE del 26 giugno 2013 e successive modificazioni (Capital Requirements Directive – CRD) e dal Regolamento 2013/575 del 26 giugno 2013 e successive modificazioni (Capital Requirements Regulation – CRR).

[22] L’EBA è l’Autorità di vigilanza europea del settore bancario, che opera per assicurare un livello di regolamentazione e di vigilanza prudenziale efficace e uniforme. Istituita dal Regolamento 2010/1093, modificato dal Regolamento 2019/2175, l’EBA è operativa dal 1° gennaio 2011 ed ha sostituito il CEBS (Committee of European Banking Supervisors). Gli obiettivi generali dell’Autorità sono assicurare la stabilità finanziaria nell’UE e garantire l’integrità, l’efficienza e il regolare funzionamento del settore bancario. Come riportato sopra a riguardo dei lavori sulla SFDR, nel contesto del Comitato congiunto dell’European Supervisory Authorities (ESA), l’EBA si coordina con le Autorità europee di vigilanza degli altri settori del mercato finanziario: strumenti e mercati finanziari (European Securities and Markets Authority – ESMA) ed assicurazioni e pensioni aziendali e professionali (European Insurance and Occupational Pensions Authority – EIOPA).

[23] Art. 501-quater del CRR, inserito dal Regolamento 2019/876 del 20 maggio 2019 (CRR 2) e ulteriormente modificato dal Regolamento 2021/558 del 31 marzo 2021.

[24] Art. 98, par. 8, della CRD, inserito dalla Direttiva 2019/878 del 20 maggio 2019 (CRD 5).

[25] Art. 449-bis, in combinato disposto con l’art. 434-bis, del CRR, novellata sul punto dal CRR 2.

[26] EBA, Action Plan on sustainable finance, 6 dicembre 2019, pubblicamente disponibile sul sito istituzionale dell’Autorità:

https://www.eba.europa.eu/sites/default/documents/files/document_library/EBA%20Action%20plan%20on%20sustainable%20finance.pdf [accesso 18.6.22].

[27] EBA, The role of environmental risks in the prudential framework – Discussion paper, 2 maggio 2022 (EBA/DP/2022/02), pubblicato sul sito dell’EBA nella pagina aperta per la consultazione pubblica: https://www.eba.europa.eu/calendar/discussion-paper-role-environmental-risk-prudential-framework [accesso 18.6.22].

Il termine entro il quale l’EBA deve consegnare la sua relazione sul trattamento prudenziale dell’esposizione ai rischi ambientali, sociali e di governance è fissato al 28 giugno 2025 (art. 501-quater, par. 2, del CRR), pertanto si tratta dell’ultimo tassello che sarà predisposto, in ordine di tempo, nel puzzle dell’integrazione dei fattori ESG nella vigilanza prudenziale delle banche. Si annota che il termine sarà anticipato al 2023, in base alle disposizioni contenute nel pacchetto di modifica della vigilanza prudenziale proposto dalla Commissione europea il 27 ottobre 2021 e di cui si dirà anche infra (COM/2021/664 final – c.d. CRR 3).

[28] EBA, Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, 06-2021 (EBA/REP/2021/18), pubblicato sul sito dell’EBA:

https://www.eba.europa.eu/sites/default/documents/files/document_library/Publications/Reports/2021/1015656/EBA%20Report%20on%20ESG%20risks%20management%20and%20supervision.pdf [accesso 18.6.22].

[29] Si veda il par. 42 del Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, cit., ove si chiarisce che “ESG risks are the risks of any negative financial impact on the institution stemming from the current or prospective impacts of ESG factors on its counterparties or invested assets”. La correlazione tra i rischi ESG di controparte e i rischi finanziari per le banche è ben illustrata al par. 46 del medesimo Report.

[30] In merito alla supervisione delle banche, è opportuno segnalare la pubblicazione, del novembre 2020, da parte della Banca Centrale Europea, di una specifica guida sui rischi climatici e ambientali, in cui sono definite le aspettative relative alla modalità di integrazione del rischio climatico e ambientale nella strategia e nel modello di business, nei processi di governance e nel processo di risk management framework delle banche significative, unitamente alla tipologia di informazioni da riportare nella disclosure al pubblico. Il documento, intitolato Guide on climate-related and environmental risks: Supervisory expectations relating to risk management and disclosure, è pubblicato sul sito della BCE: https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/ssm.202011finalguideonclimate-relatedandenvironmentalrisks~58213f6564.en.pdf [accesso 18.6.22].

La tematica è stata recentemente ripresa dalla Banca d’Italia, nel documento Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali, pubblicato l’8 aprile 2022 sul sito istituzionale: https://www.bancaditalia.it/media/notizia/aspettative-di-vigilanza-sui-rischi-climatici-e-ambientali/ [accesso 18.6.22].

[31] Cfr. par. 84 del Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, cit.: “governance factors can be defined as governance matters that may have a positive or negative impact on the financial performance or solvency of an entity, sovereign or individual”.

[32] Il Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, cit., al par. 84 prevede che “Governance factors cover governance practices, including executive leadership, executive pay, audits, internal controls, tax avoidance, board independence, shareholder rights, corruption and bribery, and also the way in which companies or entities include environmental and social factors in their policies and procedures”.

[33] Cfr. par. 219 del Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, cit.: “(omissis) enhance due diligence in relation to ESG considerations as part of the credit or investment decision-making process”.

[34] Come detto, la novella in commento è contenuta nel CRR 2, che ha integrato l’art. 449-bis del CRR, in combinato disposto con l’art. 434-bis. La proposta del 27 ottobre 2021 della Commissione europea, nel pacchetto CRD 6 (COM/2021/663 final) e CRR 3 (COM/2021/664 final) di ulteriore revisione del quadro regolatorio estenderà il perimetro della disclosure ESG a tutte le banche, indipendentemente dalle loro dimensioni, secondo un approccio di proporzionalità, che tenga conto della complessità operativa, dimensionale e organizzativa del singolo intermediario, unitamente alla natura dell’attività svolta. Sul tema, si veda P. Angelini, La recente proposta della Commissione europea di modifica delle regole prudenziali per le banche: un quadro d’insieme e una prima valutazione, pubblicato sul sito della Banca d’Italia: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-direttorio/int-dir-2022/Angelini_ABI_19_gennaio_2022.pdf [accesso 18.6.22].

[35] EBA, Final Report: Final draft implementing technical standards on prudential disclosures on ESG risks in accordance with Article 449a CRR, 24 gennaio 2022 (EBA/ITS/2022/01), pubblicato sul sito dell’EBA:

https://www.eba.europa.eu/sites/default/documents/files/document_library/Publications/Draft%20Technical%20Standards/2022/1026171/EBA%20draft%20ITS%20on%20Pillar%203%20disclosures%20on%20ESG%20risks.pdf [accesso 18.6.22].

Il Final Report contiene, alle pagine 31 e seguenti, la bozza di regolamento – la cui adozione è rimessa alla Commissione europea – che, intervenendo a modificare il CRR, inserisce i fattori di rischio ESG nella disclosure del Terzo Pilastro.

[36] I rischi ambientali di controparte e degli investimenti sono ripartiti nelle due macro aree già definite dall’EBA nel Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, cit.: rischi di transizione – ovvero relativi all’impatto economico derivante dall’adozione di normative volte a ridurre il cambiamento climatico (es. decarbonizzazione delle fonti energetiche, sviluppo di energie rinnovabili) – e rischi fisici – ovvero relativi all’impatto economico di eventi naturali avversi, connessi al cambiamento climatico.

[37] Si veda il par. 2.3.2 del Final Report del gennaio 2022 ed in particolare gli Annex II e III, nei quali sono fornite le specifiche tecniche per la disclosure in commento. In dettaglio, la Tabella 3 introdotta nell’Annex XXXIX della disclosure prudenziale del Terzo Pilastro contiene la rappresentazione qualitativa delle informazioni sui rischi di governance: le banche devono descrivere “the integration of governance risks in their governance and risk management” e, a tal riguardo, “the considerations related to the governance performance of the institution’s counterparties shall cover all of the following (omissis): d) transparency: e.g. disclosures on (omissis) tax commitments and payments”.

[38] Si veda sul punto G. Siani, I fattori ESG nel sistema finanziario: il ruolo della vigilanza, 11 marzo 2022, pubblicato sul sito istituzionale di Banca d’Italia: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2022/SIANI_11_marzo_2022.pdf [accesso 18.6.22].

[39] La proposta del 21 aprile 2021 di direttiva CSRD, citata sopra, ha la duplice finalità di ampliare la platea delle imprese obbligate alla comunicazione di sostenibilità e di creare un framework di principi per la relativa rappresentazione: la gestione della fiscalità e la contribuzione dell’impresa tramite le imposte ai bisogni delle collettività in cui opera, rientreranno negli standard europei di rendicontazione di sostenibilità.

[40] I lavori OCSE hanno lasciato le proprie tracce in particolare nei seguenti documenti: Study into the roles of tax intermediaries (2008), Co-operative compliance: a framework. From enhanced relationship to co-operative compliance (2013) e Co-operative Tax Compliance: building better Tax Control Frameworks (2016). Quest’ultimo documento, in particolare, delinea i sei building blocks su cui deve essere costruito un Tax Control Framework: Tax Strategy Established, Applied Comprehensively, Responsibility Assigned, Governance Documented, Testing Performed, Assurance Provided.

[41] Il Titolo III (art. 3-7) del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, in attuazione dell’art. 6 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, ha introdotto in Italia l’adempimento collaborativo, quale forma di comunicazione e cooperazione rafforzata tra i contribuenti e l’Amministrazione finanziaria, secondo l’esperienza maturata in seno OCSE.

[42] Per i quali, sia consentito rinviare a M. Lio, ESG e fiscalità: il fattore di sostenibilità della governance, letto attraverso il Tax Control Framework, in Diritto Bancario, 2021:

https://www.dirittobancario.it/art/esg-e-fiscalita-il-fattore-di-sostenibilita-della-governance-letto-attraverso-il-tax-control-framework/ [accesso 18.6.22]; M. Lio, Il ravvedimento operoso delle violazioni penalmente rilevanti: il dilemma tra la non punibilità penale della persona fisica e la persistente responsabilità dell’ente, in Riv. Dir. Trib., n. 6 del 2021, pag. 195 e segg.

[43] Par. 3.3.a) del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, 14 aprile 2016, n. 54237, che disciplina i requisiti di ammissione all’adempimento collaborativo. Questo requisito risponde alla necessità di garantire il tone at the top a riguardo della gestione del rischio fiscale, prescritto dai documenti OCSE sopra citati. Come si è visto, l’approccio alla fiscalità e la strategia fiscale sono tra gli elementi di governance che saranno misurati nel processo di accreditamento presso il mercato finanziario, in termini di sostenibilità, per le imprese.

[44] Il TCF assicura un controllo efficace ed effettivo del rischio fiscale proprio grazie ad una mappatura granulare dei rischi stessi, associandoli ai processi aziendali ed identificando i presidi a relativa mitigazione, volti a prevenire il verificarsi degli eventi. Si veda il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, n. 54237 del 2016, par. 3.3.c).

[45] È chiave nel TCF la regolamentazione della governance e l’adozione di uno strutturato processo di monitoraggio: l’impresa che ha adottato il Tax Control Framework deve assicurare “efficaci procedure per rimediare ad eventuali carenze riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive” (art. 4, comma 1, lett. c), del decreto legislativo n. 128 del 2015). In dettaglio, secondo il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, n. 54237 del 2016, cit., par. 3.3.d): “Il sistema deve prevedere efficaci procedure di monitoraggio che, attraverso un ciclo di autoapprendimento, consentano l’individuazione di eventuali carenze o errori nel funzionamento dello stesso e la conseguente attivazione delle necessarie azioni correttive”.

[46] Il riferimento è ai lavori in corso per l’adozione della CSRD di cui si è detto sopra. L’attuale quadro normativo europeo è dato dalla Direttiva n. 2014/95/UE, del 22 ottobre 2014 (Non Financial Reporting Directive – NFRD), recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254 ed integrata dai principi internazionali elaborati dal GRI Global Reporting Initiative (GRI) che, con il GRI 207, con lo standard GRI 207, dalle comunicazioni per l’esercizio 2020, hanno introdotto per le imprese la pubblicazione di informazioni sulla fiscalità.

[47] Questi aspetti sono approfonditi, per chi abbia interesse, in M. Lio, La fiscalità nella reportistica di sostenibilità, in corso di pubblicazione.

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