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Approfondimenti

La gestione dei fondi pensione italiani da parte di banche extracomunitarie

26 Luglio 2013

Avv. Giovanni Stefanin e Avv. Mario Gustato, Studio PwC Tax & Legal Services – TLS Associazione Professionale di Avvocati e Commercialisti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

I Fondi pensione rappresentano indiscutibilmente l’esempio di previdenza complementare maggiormente significativo nel panorama normativo italiano.

La genesi di tali “prodotti” trova la sua ragione giustificativa nella consapevolezza, maturata dal Legislatore nell’ultimo trentennio, dell’incapacità del sistema previdenziale pubblico di farsi “autonomamente” carico del trattamento pensionistico e previdenziale dei lavoratori.

Una prima “embrionale” – e poco riuscita – regolamentazione strutturale è stata introdotta con il D.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (il “Decreto 124”) che, a causa di numerose carenze, non è riuscito nell’arduo fine di incentivare la diffusione di tali forme di previdenza integrativa ma che, in compenso, ha avuto il merito di fissare taluni tasselli ripresi nella successiva fase normativa.

I principi ispiratori del Decreto 124 sono stati, infatti, riproposti nel D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 (il “Decreto 252”)1, testo innovativo che – ri-disciplinando organicamente il formante della previdenza complementare – ha provato ad eliminare le anomalie ed i freni presenti nel Decreto 124 ed in taluni successivi provvedimenti che hanno apportato modifiche non sostanziali alle sue previsioni.

Il Decreto 252 contempla, nell’alveo delle forme pensionistiche complementari, inter alia, i fondi pensione cd. “negoziali” (o chiusi) e i fondi pensione cd. “aperti”.

I primi, ai sensi dell’art. 3, possono nascere dall’iniziativa delle parti sociali mediante contratti e accordi collettivi, anche aziendali, promossi dai lavoratori o dalle associazioni di categoria, accordi tra lavoratori autonomi e liberi professionisti, regolamenti di enti o aziende, determinazioni regionali.

In base all’art. 4, tali fondi sono costituiti come soggetti giuridici di natura associativa2, distinti dai soggetti promotori dell'iniziativa, ovvero come soggetti dotati di personalità giuridica (il cui riconoscimento consegue al provvedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività adottato dalla Covip).

Ai fondi chiusi possono aderire esclusivamente i lavoratori appartenenti ad aziende, enti, settori o categorie per le quali detti accordi trovano applicazione.

I fondi pensione “aperti”, sostanzialmente assimilabili ai più noti fondi comuni di investimento, sono invece forme pensionistiche complementari a cui possono, in linea di principio, aderire liberamente, su base individuale o collettiva, tutti i lavoratori.

Tali fondi possono essere costituiti (e gestiti), previa autorizzazione della Covip, da taluni soggetti autorizzati alla prestazione di attività finanziarie e assicurative.

2. La gestione dei fondi pensione

A quali soggetti il Decreto 252 riconosce la facoltà di gestire fondi pensione?

La risposta al quesito può risultare apparentemente semplice e priva di insidie ma, invero, ad avviso di chi scrive, sottende una zona grigia che ha generato l’interesse di taluni importanti players internazionali.

L’analisi comparata del testo dell’art. 6 (“Regime delle prestazioni e modelli gestionali”) e dell’art. 12 (“Fondi pensione aperti”) del Decreto 252 può essere d’ausilio per meglio comprendere quanto appena affermato.

Ai sensi dell’art. 6 del Decreto 252, i fondi pensione gestiscono le proprie risorse, inter alia, mediante convenzioni con soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di cui all'articolo 1, comma 5, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 583, ovvero con soggetti che svolgono la medesima attività, con sede statutaria in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento […]” e mediante convenzioni con società di gestione del risparmio, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58 e successive modificazioni, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all’Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento […] (sottolineato aggiunto).

L’art. 6 si riferisce indistintamente sia ai fondi “chiusi” che a quelli “aperti”, contemplando una serie di soggetti a cui è consentito, mediante apposite convenzioni, gestire le risorse degli stessi.

La norma, a bene vedere, si riferisce genericamente – oltre che alle SGR – ai soggetti autorizzati alla prestazione del servizio di gestione di portafogli. Possono, quindi, gestire tali fondi, sulla base di apposite convenzioni, a) i soggetti autorizzati (in Italia) alla prestazione del servizio di gestione di portafogli e b) i soggetti comunitari, che svolgono la medesima attività (nel proprio stato d’origine) e che siano ammessi al mutuo riconoscimento in Italia.

Tale previsione, come detto, deve essere letta in combinato disposto con l’art. 12 che – con esclusivo riferimento ai fondi “aperti” – prevede che gli stessi possono essere istituiti e gestiti direttamente, inter alia, dai “soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, lettere e) e o), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 584, all’articolo 1, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 3855 […]”.

Per i fondi pensione aperti, quindi, il Decreto 252 elenca espressamente (identificando, sembrerebbe, un “numero chiuso”) i soggetti a cui è riconosciuta la facoltà di istituire e gestire direttamente tali strumenti, ossia le SIM, le SGR, le banche italiane e le succursali italiane di banche extracomunitarie6.

2.1 La gestione dei fondi pensione da parte di banche extracomunitarie

Una prima riflessione è d’obbligo. Dal tenore letterale dell’art. 6 del Decreto 252, sembra ricavarsi pacificamente che una banca extracomunitaria, autorizzata alla prestazione del servizio di gestione di portafogli in Italia, in libera prestazione di servizi o mediante succursale, possa legittimamente gestire, mediante apposita convenzione, le risorse di un fondo pensione.

La prima parte dell’art. 6, comma 1, lett. a), riferendosi ai “soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività […]”, richiama infatti “tutti” i soggetti autorizzati allo svolgimento del servizio di gestione di portafogli in Italia, ossia quelli italiani e quelli extracomunitari che hanno superato con successo la procedura di autorizzazione prevista dal TUB e dal TUF.

L’antitesi dell’art. 6 del Decreto 252 fra imprese autorizzate in Italia ed imprese con sede in uno stato comunitario discende, ad avviso degli autori, dalla mera circostanza che solo ai secondi è applicabile il regime del mutuo riconoscimento (il cd. “passaporto”), che rende non necessaria l'autorizzazione dello stato membro ospitante e che legittima la contrapposizione fra soggetti autorizzati in Italia (italiani ed extracomunitari) e soggetti comunitari operanti in regime di passaporto.

Rientrano, ad esempio, in tale ambito le banche comunitarie che – sulla base dell’autorizzazione ricevuta nello stato membro d’origine – abbiano effettuato con successo la procedura cd “di notifica” presso la Home Country Authority al fine di prestare in Italia, fra gli altri, il servizio di gestione di portafogli, mediante stabilimento di una succursale o in libera prestazione di servizi.

D’altronde, tale interpretazione è stata, anche se solo “indirettamente”, avallata dalla Covip in occasione di una formale interpretazione resa – in riscontro ad un quesito sottoposto da una banca extracomunitaria che intendeva “avviare l’attività per la gestione delle risorse dei fondi pensione” – nel novembre del 2008. In tale occasione, riferendosi ad una ipotesi di “delega” da un gestore principale ad un “sub gestore”, la Covip ha infatti precisato che “[…] non risulta, al momento, ammissibile la possibilità prospettata da codesta Banca di affidare deleghe gestionali a soggetti non aventi sede in Paesi aderenti all’Unione Europea, che non siano stati autorizzati ai sensi all’art. 1, comma 5, lett. d) del TUF7 8.

Una interpretazione difforme, d'altronde, mal si concilierebbe con la ratio sottesa alla previsione di una necessaria procedura “autorizzativa” per gli intermediari extracomunitari che intendano operare nel mercato italiano.

L’Autorità Italiana, infatti, nell’ambito della procedura di autorizzazione, valuta l“equivalenza” della normativa del Paese di origine dell’operatore extracomunitario rispetto alla disciplina italiana, in modo da contemperare, da un lato, l’interesse dell’intermediario extracomunitario all’ingresso nel mercato finanziario italiano e, dall’altro, l’esigenza di protezione degli investitori.

L’autorizzazione si fonda quindi sull’accertamento dell’esistenza, nello stato d’origine, di requisiti normativi analoghi a quelli posti a carico degli operatori italiani9 (che, come noto, sono di stringente derivazione comunitaria)10. Una volta effettuata detta valutazione e rilasciata l’autorizzazione, l’intermediario extracomunitario viene di fatto equiparato – assumendo “medesimi obblighi e diritti” – agli altri soggetti operanti in Italia.

Quanto sopra dovrebbe trovare applicazione sia in caso di operatività posta in essere per il tramite di succursali che in caso di libera prestazione di servizi: il differente approccio operativo, infatti, una volta superato il vaglio delle Authorities italiane, non dovrebbe ledere o limitare l’operatività dell’intermediario extracomunitario rispetto ad un suo “omologo” comunitario11.

Eppure, a ben vedere, dal raffronto tra l’art. 6 – relativo alla gestione mediante convenzione – e l’art. 12 – relativo all’istituzione e gestione diretta – emerge una sfumata asimmetria: l’art. 6 si riferisce “genericamente” ai soggetti autorizzati in Italia (senza distinzione alcuna in merito al necessario stabilimento di una succursale) mentre l’art. 12 contempla nel novero dei soggetti non UE esclusivamente le succursali italiane di banche extracomunitarie escludendo, di fatto, le banche extracomunitarie che operano in libera prestazione di servizi (alle quali, pertanto, parrebbe letteralmente preclusa la facoltà di istituire e gestire direttamente fondi pensione aperti).

Tale asimmetria appare ancor più marcata ove si provi a trovare supporto nella “Relazione illustrativa” al Decreto 252 che, con riferimento al regime gestorio dei fondi aperti, recita quanto segue: “l’art. 12 disciplina l’attività dei fondi pensione aperti. I soggetti autorizzati ad istituire e gestire direttamente tali forme pensionistiche complementari sono quelli ai quali è consentita, ai sensi dell’art. 6, comma 1, la stipula delle convenzioni per la gestione delle risorse dei fondi pensione, ovverosia i soggetti di cui all’art. 1, comma 5, lett. d), del d.lgs. 58/98, le imprese assicurative e le società di gestione del risparmio […]”.

I soggetti abilitati a promuovere e gestire direttamente i fondi aperti sono, pertanto – stando al testo della Relazione illustrativa sopra citato – gli stessi soggetti a cui, ai sensi dell’art. 6, comma 1, è riconosciuta la facoltà di gestire i fondi pensione mediante convenzione.

Quindi: se gli intermediari di cui all’art. 1212 del Decreto 252 sono gli stessi a cui è consentito gestire le risorse dei fondi pensione mediante convenzione e se dal novero dei primi sono formalmente escluse le banche extracomunitarie autorizzate a prestare in Italia il servizio di gestione di portafogli in libera prestazione di servizi, ne consegue che a queste ultime risulterebbe preclusa, altresì, la facoltà di gestire fondi pensione mediante convezione.

La cennata conclusione, ad avviso degli autori, parrebbe non perfettamente in linea con le disposizioni di matrice bancaria e finanziaria che, come anticipato, riconoscono piena operatività ai soggetti extracomunitari che abbiano ottenuto l’autorizzazione a prestare servizi di investimento in Italia.

La scelta di istituire una stabile organizzazione o, piuttosto, di operare in libera prestazione di servizi attiene, infatti, al modello organizzativo adottato dall’intermediario, soggetto in ogni caso, al vaglio delle Autorità di Vigilanza italiane.

Inoltre, non si ravvisano elementi significativi che inducano a ritenere – al fine di garantire la “corretta” gestione delle risorse di un fondo pensione – necessaria la stabile organizzazione dell’intermediario nel territorio italiano.

Il Decreto 252 e i provvedimenti attuativi del MEF si limitano, infatti, a contemplare precisi limiti, criteri e modalità che il gestore deve osservare e cristallizzare nel contratto di gestione che è tenuto a sottoscrivere con il fondo pensione; non si riscontra, pertanto, alcun riferimento ad elementi o condizioni che giustifichino la necessità di una presenza locale stabile dell’intermediario.

La questione non è di poco conto. In assenza, al riguardo, di alcuna posizione formale della Covip o di altra Autorità di Vigilanza, si è creata una zona “grigia” che disincentiva l’ingresso di alcuni importanti players internazionali nel mercato della previdenza complementare, a discapito di una maggiore competitività tra i gestori e con una conseguente perdita di potenziali benefici su larga scala.

Si auspica, pertanto, un chiarimento interpretativo della Covip che confermi la tesi esposta nel presente lavoro.

 

1

Che dà applicazione ai principi di delega contenuti nella legge 23 agosto 2004, n. 243, di riforma delle pensioni.


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2

Ai sensi dell’art. 36 del Codice Civile.


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3

L’art. 1, comma 5, lett. d) del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; il “TUF”) contempla la gestione di portafogli tra i “servizi e le attività di investimento”.


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4

I soggetti di cui all’art. 1, comma 1, lettere e) e o) del TUF sono, rispettivamente, i seguenti:

– “società di intermediazione mobiliare” (SIM): l'impresa, diversa dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del T.U. bancario, autorizzata a svolgere servizi o attività di investimento, avente sede legale e direzione generale in Italia;

– “società di gestione del risparmio” (SGR): la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio.


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5

I soggetti di cui all’art. 1, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; il “TUB”) sono le “banche autorizzate in Italia”, le banche italiane e le succursali in Italia di banche extracomunitarie”.


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6

La normativa, è utile chiarirlo, trova il suo completamento nell’art. 3, comma 1, del Decreto 252 che statuisce che “le forme pensionistiche complementari possono essere istituite da: […] h) i soggetti di cui all’art. 6, comma 1, limitatamente ai fondi pensione aperti di cui all’art. 12 […]” (sottolineato e grassetto aggiunti).


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7

cfr. Novembre 2008, Riscontro al “Quesito in materia di deleghe di gestione” in http://www.covip.it/?cat=160.


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8

I principi ivi rappresentati, come chiaramente precisato dalla Covip, sono ovviamente applicabili anche alla gestione diretta (non delegata), tramite apposita convenzione, delle risorse del fondo.


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9

Trattasi della condizione di cd. “reciprocità”.


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10

Valutazione non necessaria in caso di intermediario comunitario, posto che tale soggetto avrà superato già il vaglio dell’Autorità di Vigilanza del Paese di appartenenza sulla scorta delle previsioni e dei requisiti “armonizzati” previsti in tale Paese.


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11

Salvo, come noto, l’applicazione di un differente regime di “vigilanza”.


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12

Ossia gli intermediari che possono istituire e gestire fondi aperti.


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