Il presente contributo analizza le novità della proposta di direttiva c.d. IRRD (Insurance Recovery and Resolution Directive) in approvazione a livello europeo che trasla sul settore assicurativo l’esperienza maturata in ambito di risoluzioni bancarie con l’applicazione della Direttiva 2014/59/UE c.d. BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive).
Le crisi bancarie, di cui l’ordinamento italiano ha memoria perennemente fresca, che hanno portato alla crisi finanziaria globale e poi ad un contagio a livello di debito pubblico dei singoli Stati Membri dello Spazio Economico Europeo, hanno ingenerato la consapevolezza che una riforma dei sistemi di vigilanza e risoluzione dell’insolvenza fosse necessaria. Questa forse solo rinnovata consapevolezza, sospinta altresì dall’inesistenza di procedure di insolvenza specifiche per istituti bancari, anche in paesi leader nel settore finanziario come il Regno Unito, portò alla travagliata approvazione, con decisivo apporto di quest’ultimo, della Direttiva 2014/59/UE, nota ai più come BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive). Questa introdusse quattro strumenti di risoluzione, tra i quali il vituperato bail-in[1]. Il Regolamento (UE) N. 806/2014 (cd. SRMR), d’altro canto, istituì un meccanismo di risoluzione e vigilanza che avrebbe dovuto chiudere il cerchio e portare al varo dell’Unione Bancaria[2].
Il milieu ha a lungo dibattuto circa la bontà delle soluzioni normative adottate. In particolare, sebbene la risoluzione di Banco Popular in Spagna e la sua successiva acquisizione da parte di Banco Santander fosse sembrato il miglior battesimo per la BRRD, soprattutto in un paese sprovvisto di specifica legislazione[3], casi nostrani, tra i quali spiccano la risoluzione delle cd. Banche Venete e la gestione del caso MPS, ingenerarono molteplici perplessità sulla coerenza del framework con il paesaggio finanziario italiano[4]. Le contrastanti declinazioni del concetto di pubblico interesse, elemento giuridico chiave, la cui sussistenza, ex art. 31 co.1 lett. c) della BRRD, apre le porte delle procedure di risoluzione, non hanno fatto che fomentare i dubbi[5].
Oggi, la sempre maggiore integrazione tra istituti di credito e compagnie assicurative, sia essa attraverso la detenzione di porzioni significative di capitale in un’assicurazione od attraverso l’instaurazione di accordi di distribuzione tra questa e la banca stessa, fenomeno noto sotto il nome di bancassurance, porta in superfice nuove tematiche e nuovi interrogativi. A fortiori, a seguito delle note vicende che, complice il rialzo dei tassi di interesse, stanno ingenerando, in Italia e non, più di qualche preoccupazione su tematiche che pertengono tipicamente al sistema assicurativo.
Un recente occasional paper di Banca d’Italia ha cominciato, per primo, a sollevare alcune questioni attinenti ai riflessi legali e di solvibilità che questo “matrimonio”, particolarmente affiatato in Francia Italia, Spagna e Portogallo, può comportare[6].
Le questioni diventano ancor più pressanti ora che il legislatore europeo si appresta a traslare l’esperienza maturata in ambito di risoluzioni bancarie verso il perimetro assicurativo attraverso l’adozione di una direttiva denominata IRRD (Insurance Recovery and Resolution Directive).
La proposta della Commissione di armonizzare seppur a livello minimo l’ambito, originariamente parte del pacchetto di revisione di Solvency II, risale al Settembre 2021, ha superato il vaglio dei parlamenti nazionali per poi ricevere, nel Luglio 2023, luce verde da parte dell’ECON[7]. Il processo che porta all’approvazione ha di recente subito accelerazioni in virtù degli scossoni che il mercato sta subendo dopo crisi assicurative quali quella di Eurovita[8]. Infatti, in aggiunta alle turbolenze di mercato ed al preoccupante trend di “mass lapse” che sta vedendo molti consumatori richiedere il riscatto di polizze assicurative, il Fondo Monetario Internazionale ha anche reso noti possibili rischi di contagio per il sistema finanziario complessivo dovuti all’alta percentuale di asset illiquidi, o difficilmente liquidabili a pronti, generalmente detenuta da compagnie di assicurazione vita[9].
La IRRD propone, nel suo attuale assetto, numerose sovrapposizioni giuridico-filosofiche con la BRRD, ma anche alcune importanti differenze. Si impone, dunque, una valutazione d’insieme che tenga conto di alcune delle tecnicalità già rodate nelle precedenti crisi bancarie.
A livello di vigilanza, in campo assicurativo, il testo della proposta apre le porte ad un allargamento delle competenze di EIOPA, rimanendo tuttavia poco chiaro se l’assetto ricalcherà quello già sperimentato con l’interazione tra BCE ed autorità nazionali. Il dubbio pare particolarmente rilevante per i grandi gruppi assicurativi operanti cross-border. L’ambito, in effetti, non ricade nel perimetro della nuova direttiva, la quale si limita ad imporre la redazione di piani preventivi di risanamento. Il paesaggio potrebbe essere ulteriormente complicato dall’eventualità che alcune passività vengano contestate in uno degli Stati Membri, proprio durante una procedura di risoluzione coordinata tra più paesi.
A livello di secondo pilastro, il panorama assicurativo già pone distanze dall’Unione Bancaria ove le risoluzioni sono il walzer coordinato di BCE, Banca d’Italia e SRB, sistema oggetto di ‘profezia Didonica’ da parte del governatore Visco nel suo discorso di fine mandato poiché motivo di distanza dal sistema statunitense[10]. Un sistema capace di concentrare, a vantaggio della speditezza del processo, molte delle funzioni in capo ad una sola Autorità, i.e., la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC).
La IRRD richiederebbe, dunque, ex art. 3, che l’Italia si equipaggi di “una o, in via eccezionale, più autorità di risoluzione”. Potrebbe allora non essere peregrino immaginare, specie nel bancassurance, l’istituzione di competenze parallele tra IVASS e Banca d’Italia. Il Regno Unito, e.g., attualmente il quarto più grande mercato assicurativo, mosso da medesime esigenze, ha recentemente proposto che il ruolo venga svolto dalla Bank of England, mettendo in risalto che tali funzioni dovranno essere tenute distinte da quelle più squisitamente di supervisione.[11] Simile è l’approccio della proposta di IRRD, la quale, nella relazione introduttiva, ammonisce circa la necessità che vengano messe in atto “disposizioni strutturali adeguate per evitare conflitti di interesse tra le funzioni di vigilanza e di risoluzione”.
Sempre a livello di supervisione, sforzi sembrano essere stati fatti in tema di proporzionalità. In tal senso, la IRRD attenuerebbe gli obblighi di pianificazione preventiva del risanamento strutturando previsioni simil-programmatiche che, lungi dall’imporre universalmente dei Recovery Plans, o cd. living wills, le indirizzerebbe ad almeno il 60% del mercato unico e ad almeno il 40% delle imprese per ciascuno Stato Membro, escludendo espressamente quelle a basso rischio[12].
La disciplina prevederebbe, in prima battuta, un obbligo in capo alle autorità di risoluzione, previa consultazione dell’autorità di vigilanza, di predisposizione, su base almeno annuale, di un piano di risoluzione per ciascuna impresa di assicurazione o di riassicurazione. Le imprese interessate da quest’obbligo saranno individuate, stando alla formulazione dell’art. 9 della Proposta di Direttiva, tenendo “conto in particolare dell’attività transfrontaliera dell’impresa di assicurazione o di riassicurazione e dell’esistenza di funzioni essenziali”. È Interessante notare come il testo della Proposta specifichi che “(i) piani di risoluzione non presuppongono alcun sostegno finanziario pubblico straordinario oltre al ricorso, ove possibile, a sistemi di garanzia delle assicurazioni o a meccanismi di finanziamento”.
Per quanto attiene alle soglie percentuali, la BRRD, d’altro canto, pur assicurando una forma di proporzionalità, si asteneva dal fissare cifre assolute. È facile ritenere che la scelta sia tesa a garantire un livello minimo di certezza macroprudenziale, nonché frutto di timori legislativi legati ad una realtà fattuale dalla quale, come indirettamente emerso durante un’interrogazione al Parlamento Europeo, veniva in rilievo un patologico ritardo sul tema[13].
Potrebbe, piuttosto, essere opportuno, come già avviene nell’ordinamento statunitense, rendere i piani di fruizione pubblica, affidandosi così alla moral suasion in luogo di una imposizione sulla base di una granitica pre-categorizzazione, coperta poi dal segreto motivato da ragioni di tutela della stabilità del mercato[14].
Il passaggio regolatorio potrebbe, altresì, risultare eccessivamente oneroso, avendo, sino ad ora, Solvency II richiesto che questi piani vengano sviluppati meramente a seguito di un mancato rispetto dei requisiti di capitale[15]. Tra i principali stakeholder, la federazione di categoria Insurance Europe ha, in effetti, posto in risalto la problematica, sottolineando, inter alia, come l’attuale formulazione non si basi su un vero approccio di rischio e possa comportare, malgrado le lodevoli intenzioni, un rigido coinvolgimento di molte piccole imprese assicurative[16]. I rilievi non paiono ingenerosi e sono sicuramente meritevoli di un approfondimento.
Per quanto, invece, concerne la valutazione della sussistenza di un pubblico interesse, senza voler qui ripercorrere la ricca dottrina in tema di risoluzioni bancarie, vale la pena sottolineare come, nonostante i continui sforzi dell’SRB nello specificare il concetto, il Regolatore europeo abbia deciso di non adottare presunzioni quantitative iuris tantum simili a quelle dettate dal supervisore britannico in ambito bancario ed invece poggiare la valutazione, ex art. 19 co.1 lett. c) IRRD, sulla strumentalità della risoluzione al raggiungimento degli obiettivi della risoluzione stessa[17]. Questi sono, ex art. 18 co.2 IRRD, quattro: la protezione dei consumatori, della stabilità finanziaria, del contribuente e la continuazione delle funzioni critiche dell’impresa.
La direttiva, si diceva, si astiene dal proporre una definizione di pubblico interesse ed anche recenti interventi di membri dell’SRB sembrano collegare il concetto alla tutela rispetto al rischio di contagio da banca verso assicurazione[18]. L’opposto non pare, tuttavia, contemplato. Ciò nonostante la sempre più densa integrazione tra le due. A ben vedere, ritenere i rischi di contagio presenti in senso solo univoco sarebbe una soluzione che potrebbe peccare di miopia. La costante crescita delle attività detenute da soggetti operanti nel settore assicurativo rappresenta ormai un’evoluzione storica se non addirittura ineluttabile vista l’evoluzione demografica, le diffuse politiche monetarie e le tendenze mirate ad alleggerire le leve finanziarie utilizzate prima della crisi del 2008.
Come si diceva, anche il Regno Unito, a ben vedere, segue, con i dovuti distinguo, la strada di un pubblico interesse che coincida con l’effettiva insostituibilità dei prodotti assicurativi offerti, quand’anche in una piccola ma concentrata porzione di mercato[19].
Il criterio risulta comunque vago, sia nel continente che oltremanica, nonché tipico delle scelte legislative di ambiguità costruttiva. Senza voler qui sondare le celate motivazioni di politica legislativa, non è difficile ipotizzare che l’interpretazione porterà ad un restringimento del perimetro che definisce il concetto di stabilità finanziaria, con possibile allargamento del margine di operatività degli strumenti deputati a proteggerlo[20].
Per quanto attiene all’operatività degli strumenti specifici, si osserva una generale sovrapposizione degli strumenti con la BRRD. Vero elemento di novità, almeno per il settore squisitamente assicurativo, è il solvent run-off, attraverso il quale l’autorità di risoluzione cristallizzerebbe lo status quo dell’impresa revocando la licenza ed amministrandone cautamente la fuoriuscita dal mercato. In questo caso, almeno in Italia, troverebbe applicazione la legge sull’amministrazione straordinaria.
Il bail-in, tuttavia, usato nel panorama bancario secondo il teorema della “open bank” [21] per consentire una ristrutturazione aziendale successiva al ‘depennamento’ degli azionisti od alla conversione dei debitori subordinati, pur menzionato, non viene egualmente replicato nella IRRD, la quale nulla prevede in tema se non un c.d. “strumento della svalutazione o conversione”. Il motivo di tale soluzione non pare del tutto chiaro, soprattutto se si considera che, anche in ambito assicurativo, azionisti, obbligazionisti e detentori di polizze potrebbero coincidere. Sul punto, si imporranno certamente i dovuti coordinamenti con le risoluzioni dei gruppi e con Solvency II.
Alla luce di ciò ed in virtù delle esperienze sino ad ora registrate, le quali hanno dimostrato come, in carenza di strumenti assoggettabili a bail-in, il ricorso a forme di contribuzione esterne sia inevitabile, soprattutto nel nostro Paese ove la diffidenza nei confronti dello strumento è ben nota, si pone la quaestio dei sistemi di finanziamento alternativi.
Se, ad esempio, la BRRD prevedeva sotto mentite spoglie, ex art. 32 co.4 lett. d), che i governi potessero intervenire ex ante con forme di assistenza finanziaria, la IRRD non opera la medesima promessa. Almeno non esplicitamente. Il considerando n. 31 ne fa, infatti, aleggiare comunque sullo sfondo la possibilità. In aggiunta a ciò, l’art. 34 co.6 lett. c) disporrebbe il potere in capo all’autorità di risoluzione di escludere dalla svalutazione o dalla conversione talune passività se, tra le altre cose, utile a “evitare di provocare un ampio contagio” ed “un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro o dell’Unione”[22].
Non pare fuorviante porre in risalto come la scelta del verbo “evitare” nella Proposta di Direttiva, presente anche in altre versioni linguistiche[23], induca ad ipotizzare la legittimazione di un atteggiamento maggiormente interventista rispetto ai proclami. Si ricordi, infatti, che l’art. 107 co.3 lett. b) del TFUE in tema di aiuti di Stato, ipotizza la compatibilità di questi ultimi con il mercato interno qualora essi siano destinati a “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”[24], e dunque limitandosi ad una situazione posteriore al verificarsi dell’evento negativo.
Quali che siano le considerazioni sulla possibile presenza di un cavallo di Troia nella ‘no bailout rule’, anche nel contesto dei sistemi di garanzia e dei meccanismi di finanziamento, la IRRD pare tacere e nulla prevedere.
Si tratta, a dire il vero, di un punto nodale, vista anche l’assenza di meccanismi che, come parzialmente fa il Deposit Guarantee Scheme (DGS) in ambito bancario, assicurino protezione o compensazione degli investitori retail in caso di crisi della compagnia di assicurazione[25]. Sul punto, anche EIOPA, non senza ragione, si è espressa in senso fortemente critico[26].
La retroattività delle disposizioni in tema di conversione o svalutazione, così come paventata dai considerando n. 46 e 48 e dall’art. 34 co.6 della IRRD, rischierebbe, infine, di far percorrere alla Proposta di Direttiva la medesima strada della BRRD. Una strada errata, come allora segnalato in particolare da CONSOB. Il tutto porterebbe ed esporre il ‘consumatore’ di servizi finanziari ed assicurativi a conseguenze di cui non poteva illo tempore essere a conoscenza[27].
In particolare, occorre evidenziare come la Commissione UE abbia, in maniera controversa, ritenuto di sostenere che lo strumento del bail-in ‘assicurativo’, ossia lo strumento della svalutazione o conversione dia ad azionisti, creditori e titolari di polizze incentivi a monitorare lo stato di salute della compagnia i cui prodotti sono stati sottoscritti[28].
Sebbene questo possa essere vero per i primi e, pur con qualche forzatura della classica corporate theory, per i secondi, tra i quali vi sono anche i detentori di debito subordinato, non sembra tuttavia del tutto meritevole riversare sull’investitore retail, soprattutto ex post, compiti per i quali non sarà ragionevolmente provvisto di alcun valido strumento giuridico[29].
È pur vero che la Proposta inserisce in tema il principio del no creditor worse off, salvaguardia che, mutuata dall’art. 34 co.1 lett. g) BRRD, garantirebbe ai creditori colpiti dal provvedimento, tra i quali vi sono, come detto, gli assicurati stessi, di non ricevere un trattamento quantitativamente inferiore rispetto a quello cui sarebbero stati assoggettati in caso di procedure di insolvenza domestiche, che, in effetti, rimangono l’opzione base[30]. Cionondimeno, l’acclarata difficoltà nell’operare a priori detto calcolo, unita alla frammentazione dell’operatività dei DGS, alla mancata armonizzazione delle leggi d’insolvenza stesse ed al mero compito di coordinamento imposto all’Autorità UE in ambito di gruppi assicurativi e riassicurativi, rischia di minare all’origine le buone intenzioni.
Considerato quanto sopra, non resta, dunque, che attendere che la Proposta di Direttiva affronti i prossimi passaggi nelle negoziazioni tra Consiglio, Parlamento e Commissione per tracciare l’eventuale evoluzione dei punti critici cui si è fatto riferimento nel presente contributo. Per il momento sembra potersi dire ormai accantonato, almeno per fatti concludenti, il vecchio dogma, anche se non soprattutto accademico, secondo il quale le compagnie assicurative, non essendo coinvolte nel medesimo business creditizio di trasformazione della liquidità, possano porre pericoli sistemici solo nel caso di investimenti sproporzionatamente improvvidi.
Nelle more dei successivi passaggi istituzionali che porteranno al varo della nuova direttiva e del pacchetto di revisione di Solvency II, non sarebbe probabilmente inopportuno cominciare ad ipotizzare la strutturazione di un meccanismo giuridico autonomo che faccia da trait d’union tra bail-in ‘assicurativo’ e bail-in bancario. Uno strumento che possa assicurare tutela all’investitore così come al fruitore dei servizi assicurativi più classici senza pregiudicare la stabilità dell’impresa coinvolta.
Infine, forse il tempo è giunto per un più nutrito e maturo dibattito sulle connessioni banca-assicurazione che non si limiti a considerare i già acclarati rischi di contagio che portano dalla prima alla seconda, ma che prenda in considerazione anche i rischi inversi. Quella da assicurazione a banca.
Del resto, le voci che paventano questa possibilità si vanno facendo sempre più istituzionali ed autorevoli[31].
Negli Stati Uniti la tematica tocca storicamente il tema degli asset detenuti da banche e istituzioni non bancarie, le c.d. Non-Bank Financial Institutions o NBFIs, tra le quali figurano le compagnie assicurative. Nell’Unione Europea, invece, il problema si starebbe insinuando, per così dire, nello stato patrimoniale passivo del bilancio delle istituzioni di credito. I.e., ove una grande fetta delle compagnie di assicurazione, complice la richiesta ai grandi gruppi bancari successiva alla crisi finanziaria globale di fare affidamento sui funding di lungo orizzonte temporale, ha ormai deciso di indirizzare i propri investimenti.
[1] Non è un segreto che le autorità italiane, CONSOB tra tutte, nutrissero più di qualche perplessità sul funzionamento dello strumento. Le perplessità avevano carattere culturale, oltre che costituzionale in Italia e Portogallo, per possibili frizioni, rispettivamente, con l’art. 47 della Costituzione italiana e l’art. 101 di quella lusitana. Un diffuso malessere potrebbe anche trasparire dal fatto che ben undici Stati Membri non avessero rispettato il termine ultimo per l’adozione di atti di recepimento e determinato, di fatto, uno slittamento di un anno. Periodo del quale l’Italia si è, in effetti, giovata nel caso Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, CariChieti e Cassa di Risparmio di Ferrara.
[2] L’Unione non può ancora dirsi raggiunta, vista la mancata armonizzazione dei sistemi di garanzia dei depositanti. Tema che, come noto, ha sollecitato, nell’ultimo decennio, alcune storiche sensibilità della Commissione Europea in tema di aiuti di Stato portando all’escalation in Corte di Giustizia del caso Tercas (C-425/19).
[3] L’ordinamento spagnolo tutt’oggi non dispone di una procedura di insolvenza alternativa per gli istituti di credito, ma si poggia sulla legge concorsuale n. 22/2003 del 9 Luglio.
[4] La BRRD mira ad evitare corse agli sportelli proteggendo da conversioni o svalutazioni i depositanti assicurati, limitandosi a colpire i detentori di strumenti di debito. Nel caso del Bel Paese, tuttavia, i due soggetti, sia ciò per mis-selling o meno, spesso coincidono. È facile immaginare una simile situazione in ambito assicurativo.
Si veda, in tema, il cd. country report No. 16/222 del Fondo Monetario Internazionale consultabile a https://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2016/cr16222.pdf. L’Organizzazione ha rilevato una situazione nella quale un terzo dei bond del paese sono detenuti da investitori retail.
[5] Il riferimento è alle non sempre giustificabili decisioni prese dall’SRB e dalla Commissione nel corso delle risoluzioni del 2017 che misero in luce la colorazione politica del concetto di pubblico interesse, portarono ad una annosa causa di investitori contro l’autorità stessa per valutazioni errate e spinsero il direttore dell’ABE Enria a polemizzare circa l’instaurazione di due nozioni di pubblico interesse nel mercato unico.
[6] Cfr. Banca D’Italia, ‘Scenes from a marriage: bancassurance and litigation with clients in the Italian market’ Questioni di Economia e Finanza No. 798, Ottobre 2023, p. 8, consultabile a https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2023-0798/QEF_798_23.pdf?language_id=1. Ivi viene segnalato che, in Italia, sono proprio gli istituti bancari a detenere più del 50% delle quote di mercato per la distribuzione di prodotti assicurativi.
[7] Questi sono solo gli sviluppi più recenti. Per ironia della sorte, le prime voci istituzionali a richiamare l’attenzione sulla necessità di un’armonizzazione a livello assicurativo risalgono ad una opinione di EIOPA, datata Luglio 2017, coeva, pertanto ai primi casi di applicazione della BRRD in Spagna ed in Italia.
[8] Quest’ultimo caso potrebbe aver acceso i riflettori sull’operatività di alcuni hedge fund e private equity fund in ambito assicurativo. Una tematica pericolosamente prossima a quella dello shadow banking e shadow insurance system. Si veda, in tema, L. Noonan & K. Martin, ‘Regulators turn up heat on shadow banks after markets blow-ups’ Financial Times (29 Settembre 2023). Si segnala, ad ogni modo, anche per rendere giustizia all’operato del regolatore assicurativo, che la crisi è stata gestita con successo attraverso un accordo tra cinque compagnie di assicurazione e venticinque banche distributrici ed il trasferimento in capo ad una nuova società compartecipata dalle prime delle polizze assicurative precedentemente detenute da Eurovita. Sul punto si rinvia al comunicato di IVASS ‘Raggiunta un’intesa su Eurovita’, consultabile a https://www.ivass.it/media/avviso/eurovita-30-06/.
[9] Cfr. International Monetary Fund (IMF), ‘Global Financial Stability Report’ (Ottobre 2023), p. 37, consultabile a https://www.imf.org/en/Publications/GFSR/Issues/2023/10/10/global-financial-stability-report-october-2023.
Si veda anche I. Smith, ‘Generali executive warns on private equity funds in insurance’ Financial Times (19 Novembre 2023). Ivi si segnala come il fenomeno risulti intenso in Italia e Francia ove l’outflow netto è stato, nei primi nove mesi del 2023, di € 8.7 miliardi.
Per quanto attiene alla situazione di solvibilità bancaria attuale si rimanda a recenti considerazioni in K. Martin ‘The lessons from Europe’s banking drama’ Financial Times (22 Marzo 2024) e O. Walker, ‘Global banking regulator sounds out investors on sustainability of AT1s’ Financial Times (22 Aprile 2024).
[10] Banca D’Italia, ‘Considerazioni finali del Governatore’ Relazione annuale (Roma, 31 Maggio 2023), p. 18, consultabile a https://www.bancaditalia.it/media/notizia/relazione-annuale-sul-2022-considerazioni-finali-del-governatore/.
[11] HM Treasury, ‘Introducing an Insurer Resolution Regime: Government Response to Consultation’ (Agosto 2023), p. 21, consultabile a https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/1175491/Government_s_response_to_the_consultation_on_introducing_an_Insurer_Resolution_Regime.pdf.
Pare il caso di rammentare come, a livello di vigilanza, le autorità bancarie abbiano tradizionalmente mostrato il fianco in termini di competenze assicurative. Si vedano, in questo senso, le considerazioni di M. Goldby & A. Keller, ‘Oversight of systemically relevant insurance practices within the EU: the role of macro-prudential supervision’ in A. Georgosouli & M. Goldby (eds), Systemic Risk and the Future of Insurance Regulation (Informa Law from Routledge 2015) pp. 65-81.
La separazione tra le funzioni potrebbe quindi essere un buon inizio nel porre rimedio alla problematica.
[12] Le percentuali sopra riportate sono frutto di una recente modifica operata da parte del Consiglio dell’UE e del Parlamento UE sull’originario testo proposto dalla Commissione. Le percentuali precedenti prevedevano, agli articoli 5-16, Titolo II, della proposta di Direttiva, l’80% in luogo del 60% ed il 70% in luogo del 40%.
[13] Single Resolution Board (SRB), ‘Reply to written question Z-038/2019 by MEP Sven Giegold’ (20 Agosto 2019), p.3, consultabile a www.srb.europa.eu.
[14] Parte importante della dottrina esclude che una maggiore trasparenza possa avere effetti deleteri sul mercato. Si veda, in tal senso, C. A. Russo, ‘Resolution plans and resolution strategies: do they make G-SIBs resolvable and avoid ring fence?’, (2019) European Business Organization Law Review.
[15] Si vedano gli articoli 77/b, 138, 146 e 308e della Direttiva 2009/138/CE (Solvency II).
[16] Insurance Europe, ‘Views on EC proposals on establishment of an Insurance Recovery and Resolution Directive’ (Gennaio 2022), p. 3, consultabile a https://www.insuranceeurope.eu/publications/2515/views-on-ec-proposals-on-establishment-of-an-insurance-recovery-and-resolution-directive/.
[17] Cfr. Bank of England, ‘The Bank of England’s approach to setting a minimum requirement for own funds and eligible liabilities’, consultabile a https://www.bankofengland.co.uk/paper/2021/the-boes-approach-to-setting-mrel-sop.
[18] Cfr. SRB, ‘The public interest assessment and bank-insurance contagion’ (Gennaio 2022), consultabile a https://www.srb.europa.eu/en/content/public-interest-assessment-and-bank-insurance-contagion.
[19] Si veda la nota 11, p. 24.
Il concetto di insostituibilità non è nuovo in ambito di regolamentazione finanziaria. Nel contesto delle risoluzioni bancarie, già l’art. 6 del Regolamento Delegato (UE) 2016/778 menzionava, ai commi 3 e 4, quattro tipi di spie che indicherebbero l’esistenza di una funzione insostituibile e, di conseguenza, essenziale. Tra queste vi sarebbero “3. a) la struttura del mercato relativo a tale funzione e la disponibilità di fornitori alternativi, b) la situazione di altri fornitori in termini di capacità, i requisiti per eseguire la funzione e le potenziali barriere all’ingresso o all’espansione; c) l’incentivo per altri fornitori ad eseguire tali attività; d) il tempo richiesto per il passaggio degli utenti al nuovo fornitore di servizi e i costi di tale passaggio, il tempo necessario affinché altri concorrenti si facciano carico di tali funzioni e se detto periodo sia sufficiente a prevenire gravi interruzioni, a seconda del tipo di servizio. 4. Un servizio è considerato essenziale qualora la sua interruzione possa costituire un grave ostacolo a una o più delle funzioni essenziali, o impedirne l’esecuzione. Un servizio non è considerato essenziale qualora possa essere fornito da un altro fornitore entro un lasso di tempo ragionevole e in misura comparabile in termini di oggetto, qualità e costi del servizio stesso”.
Non pare inopportuno osservare come, tipicamente, costo, qualità e prezzo sono caratteristiche la cui incidenza varia a seconda del soggetto coinvolto. Il nodo consistente nella valutazione di cosa costituisca pubblico interesse non sembra, pertanto, risolto.
[20] Non pare inutile ricordare, altresì, che fu proprio l’Esecutivo italiano, nel contesto della crisi delle Banche Venete, affette, tra le altre cose, da un’alta percentuale di crediti deteriorati, i c.d. NPL, a delineare l’esistenza di una stabilità finanziaria ‘regionale’, concetto prima contestato dall’SRB, poi avallato dalla Commissione UE. Discenderebbe logicamente da tale definizione un concetto di stabilità finanziaria ove, a prescindere dall’ampiezza della problematica, è la concentrazione di una problematica a determinare il epistemologicamente rischio di instabilità finanziaria e non già la sua diffusa presenza su un ampio territorio.
[21] Il termine “open bank bail-in” viene adoperato in contrapposizione al “closed bank bail-in” dal Financial Stability Board, ‘Principles on Bail-in Execution’ (21 Giugno 2018), p. 5, consultabile a https://www.fsb.org/wp-content/uploads/P210618-1.pdf. Con la prima locuzione si fa riferimento ad un particolare approccio di risoluzione che non poggi, e.g., sul trasferimento ad una terza entità di passività della banca in fallimento, ma che, al contrario, persegua un’ottica di maggiore rapidità ed autonomia.
[22] In merito all’importanza sistemica del settore assicurativo per la stabilità finanziaria si segnala C. Kaserer & C. Klein, ‘Systemic Risk in Financial Markets: How Systemically Important Are Insurers?’ The Journal of Risk and Insurance (2019) Vol. 86, No. 3, pp. 729-759.
Sul punto, non pare inutile marcare una certa differenza di concetto tra quanto statuito dall’art. 28 Solvency II in tema di protezione della stabilità finanziaria intesa in senso olistico e quanto, talvolta, suggerito da altra dottrina, che propone una lettura più stringente. Cfr. L. Selleri, ‘L’impatto di Solvency II sull’organizzazione dell’impresa di assicurazione: verso l’organizzazione per processi?’ Diritto e Fiscalità dell’assicurazione (3) (2010), p. 605.
[23] La versione inglese reca la dicitura “avoid giving rise to widespread contagion, in a manner that could cause a serious disturbance to the economy”. Quella francese recita, altresì, “éviter de provoquer une vaste contagion, d’une manière susceptible de causer une perturbation grave de l’économie”. Le versioni tedesca e spagnola seguono, anch’esse, la medesima epistemologia.
[24] La differenza, o, se si ritiene, la contrapposizione era già venuta in risalto, tra versione inglese e versione italiana, francese e spagnola della BRRD. Si veda sul tema M. Bodellini, ‘Greek and Italian lessons on bank restructuring: is precautionary recapitalization the way forward?’ (2017) (19) Cambridge Yearbook of European Legal Studies.
[25] Si veda la critica avanzata dall’associazione dei consumatori Finance Watch, ‘Grounded in paradox: EU Commission proposals for insurance sector prudential rules review’ (22 Settembre 2021), consultabile a https://www.finance-watch.org/press-release/european-commission-recognises-need-to-address-too-big-to-fail-in-the-insurance-sector-but-fails-to-tackle-the-major-threat-to-financial-stability-posed-by-climate-change/. Pare il caso di segnalare come il report sottolinei che la IRRD, nella sua attuale formulazione, non sarebbe coerente con Solvency II neanche in tema di rischi ambientali.
Nell’interesse di una maggiore completezza, si segnala, comunque, che il disegno di legge finanziaria presentato dall’Esecutivo italiano in Senato il 30 Ottobre 2023 si propone, all’art. 25, di istituire un Fondo di garanzia assicurativa per i rami vita. Analogamente all’esperienza bancaria, il Fondo avrebbe un livello-obiettivo da raggiungere entro 10 anni. Giova menzionare come, con decisione del 24 Gennaio 2024, la Corte di Giustizia dell’UE si sia espressa sui metodi di calcolo, non sempre trasparenti, in tema di contributi al Fondo di Risoluzione Unico in materia bancaria. Si vedano i casi T-347/21, T-348/21 e T-405/21. Le considerazioni del Giudice Europeo torneranno certamente utili in materia assicurativa.
[26] EIOPA, ‘EIOPA’s comment on Solvency II proposals from the European Commission’ (1 Ottobre 2021), consultabile a https://www.eiopa.europa.eu/eiopas-comment-solvency-ii-proposals-european-commission-2021-10-01_en.
[27] Cfr. CONSOB, ‘Audizione del presidente della CONSOB Giuseppe Vegas’ (19 Gennaio 2017), consultabile a https://www.camera.it/temiap/2017/01/20/OCD177-2649.pdf.
[28] Cfr. Parlamento Europeo, ‘REPORT on the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council establishing a framework for the recovery and resolution of insurance and reinsurance undertakings and amending Directives 2002/47/EC, 2004/25/EC, 2009/138/EC, (EU) 2017/1132 and Regulations (EU) No 1094/2010 and (EU) No 648/2012’, p. 17, consultabile a https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2023-0251_EN.html.
Sulla conversione si segnalano, altresì, i rilievi di Better Finance, consultabili a https://betterfinance.eu/.
[29] Con il termine corporate theory si intende far riferimento ai tipici principi di diritto commerciale e societario.
Nella fattispecie, è noto come il controllo ed il potere giuridico di indirizzo sulle scelte delle società, almeno nei sistemi giuridici di ispirazione liberale, non possa che essere esercitato da coloro che detengano una partecipazione nel capitale delle stesse od una forma di controllo contrattuale, a prescindere dalla specifica struttura dello strumento giuridico che consente detto esercizio. Come intuibile, l’investitore al dettaglio, che potrebbe essere anche colui che abbia parallelamente sottoscritto delle polizze, è tipicamente sprovvisto di strumenti giuridici o contrattuali che gli consentano una qualsivoglia forma di indirizzo delle scelte societarie.
[30] Si vedano i considerando n. 8, 48, nonché l’art. 22 co.1 lett. g) e, in tema di salvaguardia per coloro che abbiano, in effetti, subito perdite maggiori, l’art. 55 della Proposta di IRRD. In tal ultimo caso, il giudizio ultimo dipenderà dalla concreta operatività dei meccanismi di finanziamento alternativi.
[31] Cfr. B. Pianese, ‘Regulators are struggling to assess shadow bank contagion risk’ The Banker (27 Marzo 2024), consultabile a https://www.thebanker.com/Regulators-are-struggling-to-assess-shadow-bank-contagion-risk-1711530239.