Intervenendo sulla disciplina dei piani individuali di risparmio a lungo termine (“PIR”)[1], la Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (c.d. Legge di Bilancio 2019), mira a rafforzare la canalizzazione dei risparmi verso l’economia reale attraverso, tra l’altro, l’introduzione di specifici vincoli di investimento nelle PMI.
Come noto, i PIR sono forme d’investimento finanziario caratterizzate da rilevanti incentivi fiscali – esenzione dalle imposte dirette sui redditi di capitale e diversi di natura finanziaria derivanti dagli strumenti finanziari e dalla liquidità che concorrono a formare il piano e dall’imposta di successione in caso di trasferimenti mortis causa degli stessi – al ricorrere, di specifiche condizioni[2], tra queste si ricordano:
- destinazione al piano di somme o valori non eccedenti i 30.000 euro all’anno con un tetto massimo complessivamente pari a 150.000 euro;
- detenzione degli investimenti per almeno 5 anni;
- rispetto di precisi vincoli d’investimento.
A tal ultimo proposito, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 211 a 215 della Legge di Bilancio 2019, le risorse destinate ai PIR costituiti[3] a decorrere dal 1° gennaio 2019, devono essere investite:
– come in passato, per almeno il 70% e per almeno i 2/3 di ciascun anno solare in strumenti finanziari emessi da società italiane o residenti in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo (UE/ASEE) aventi stabile organizzazione in Italia; e
- almeno il 30% di tale 70% (i.e. il 21%) deve essere rappresentato da strumenti finanziari emessi da società diverse da quelle inserite nel FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati[4]; e, inoltre, innovando rispetto al passato
- almeno il 5% di tale 70% (i.e. il 3,5 %) deve essere rappresentato da strumenti finanziari emessi da PMI, come definite dalla raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE[5], ammessi alla negoziazione sui sistemi multilaterali di negoziazione;
- almeno il 5% di tale 70% (i.e. il 3,5 %) deve essere rappresentato da quote o azioni di Fondi per il Venture Capital residenti in Italia, in Stati membri dell’Unione europea o in Stati UE/ASEE;
– per il restante 30% da qualsiasi altro strumento finanziario, ivi compresi depositi e conti correnti.
Il successivo comma 213 definisce quali Fondi per il Venture Capital, gli O.I.C.R. che destinano almeno il 70 per cento dei capitali raccolti in investimenti in favore di PMI non quotate, come definite dalla raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE, residenti in Italia o in Stati UE/ASEE con stabili organizzazioni nel territorio medesimo, in possesso di almeno una delle seguenti condizioni:
- non hanno operato in alcun mercato;
- operano in un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale;
- necessitano di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 per cento del loro fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni.
Come anticipato le nuove previsioni circa la configurazione dei PIR trovano applicazione per i piani costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2019; tuttavia, ai sensi del comma 215 l’effettiva attuazione delle stesse è subordinata all’emanazione di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tutt’ora assente[6].
A sostegno della crescita delle PMI punta altresì il comma 2010 della Legge di Bilancio 2019 che, in estrema sintesi, ha:
– incrementato dal 5% al 10% la possibilità per gli enti di previdenza obbligatoria[7]e le forme di previdenza complementare[8] di destinare parte del proprio attivo patrimoniale ai c.d. “investimenti qualificati” e/o ai PIR beneficiando, al ricorrere di specifiche condizioni, di una sostanziale esenzione dalle imposte sui redditi;
– affiancato ai noti “investimenti qualificati” vale a dire:
- azioni o quote di imprese residenti in Italia, o in Stati UE/ASEE con stabile organizzazione nel territorio medesimo;
- quote o azioni di O.I.C.R. residenti nel territorio dello Stato, o in Stati UE/ASEE, che investono prevalentemente negli strumenti finanziari di cui al punto precedente;
- quote di prestiti o di fondi di credito cartolarizzati erogati o originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti non professionali (c.d. peer to peer lending), gestite da intermediari
- finanziari, da istituti di pagamento ovvero da soggetti vigilati operanti sul territorio italiano in quanto autorizzati in altri Stati dell’UE;
anche una nuova tipologia d’investimento qualificato ovverosia:
- gli investimenti in quote o azioni di Fondi per il Venture Capital residenti in Italia o in Stati UE/ASEE. A tali fini, si segnala che rileva la medesima definizione di Fondi per il Venture Capital illustrata in precedenza.
[1] Introdotti in Italia con l’art. 1, commi da 100 a 114, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di Bilancio 2017).
[2] Per una disamina di tutti i requisiti previsti ex Lege per la fruizione degli incentivi fiscali in parola si rimanda ai chiarimenti forniti con la Circolare dell’Agenzia delle entrate del 26 febbraio 2018, n. 3/E.
[3] In proposito, vale la pena rammentare che i PIR possono costituirsi mediante il conferimento di somme e valori in un rapporto di custodia o amministrazione o di gestione di portafogli o altro stabile rapporto con esercizio dell’opzione per il risparmio amministrato ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. 21 novembre 1997, n. 461 (coinvolgendo, quindi, intermediari professionali residenti tra cui, ad esempio, Banche, SIM, SGR e società fiduciarie), tramite un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, avvalendosi di imprese di assicurazione residenti, ovvero non residenti (c.d. PIR assicurativo) e, infine, attraverso la sottoscrizione di quote o azioni di O.I.C.R. PIR compliant.
[4] Sul punto la citata Circolare n. 3/E/2018 ha precisato che “Trattasi, ad esempio, di strumenti di società non quotate o di società quotate in Borsa italiana ma NON FTSE MIB o di società quotate in mercati regolamentati, quali l’AIM Italia (…) o nel segmento STAR del MTA (…).Per quanto concerne i mercati esteri, possono essere considerati “equivalenti” al FTSE MIB (…) A mero titolo esemplificativo (…) il FTSE 100, per il mercato inglese, il DAX, per il mercato tedesco, il CAC 40 per il mercato francese, l’AEX per il mercato olandese, l’IBEX, per il mercato spagnolo e il PSI 20, per il mercato portoghese”.
[5] Ovverosia imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
[6] La cui pubblicazione parrebbe tuttavia imminente, come sottolineato nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-01212 del 31 gennaio 2019.
[7] Di cui al D.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e al D.lgs. 10 febbraio 1996, n. 103.
[8] Di cui al D.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.