Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alle ipotesi in cui il fallimento può essere dichiarato su istanza del Pubblico Ministero (PM), affrontando la questione se la legittimazione di quest’ultimo presupponga necessariamente la pendenza di un procedimento penale a carico dell’imprenditore.
Anzitutto la Corte ha richiamato la ratio dell’art. 7 l.fall., che è nel senso di «estendere la legittimazione del Pubblico Ministero alla presentazione della richiesta [di fallimento] in tutti i casi in cui l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decotionis».
La Cassazione ha poi valorizzato la disposizione di cui all’art. 7, n. 1, l.fall., che pone l’iniziativa della richiesta di fallimento a carico del Pubblico Ministero allorquando l’insolvenza risulti, alternativamente, dalle notizie acquisite nel corso di un procedimento penale ovvero da altre condotte (i.e. fuga o irreperibilità o latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali dell’imprenditore, trafugamento o sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo), le quali «non sono necessariamente esemplificative né di fatti costituenti reato, né della presenza di un procedimento penale».
Per l’iniziativa del Pubblico Ministero, pertanto, non è necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo o di terzi, essendo sufficiente che il magistrato inquirente abbia appreso la notitia decotionis nell’ambito dello svolgimento dei suoi compiti istituzionali.
In tale ambito rientra anche l’esame degli atti a lui trasmessi, a seguito dell’iscrizione di notizie non costituenti reato nel relativo registro (cd. modello 45), che «può quindi costituire una fonte di informazione utile a legittimare l’iniziativa [del PM] volta alla dichiarazione di insolvenza».