La dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta la perdita della capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore; a questa regola, enunciata dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43, fanno eccezione soltanto l'ipotesi in cui il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali e quella in cui, pur trattandosi di rapporti patrimoniali, l'amministrazione fallimentare sia rimasta inerte, manifestando indifferenza nei confronti del giudizio (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 14/5/2012, n. 7448; Cass.14/10/1998, n.10146).
Ai fini del riconoscimento di tale legittimazione, avente carattere straordinario o suppletivo, non è tuttavia sufficiente che la curatela si sia astenuta da iniziative processuali, quali la proposizione della domanda o l’impugnazione di sentenze che abbiano determinato la soccombenza del fallito, occorrendo invece che essa si sia totalmente disinteressata della vicenda processuale, rimettendone esplicitamente o implicitamente la gestione al fallito, con la conseguenza che la legittimazione di quest'ultimo dev'essere esclusa ove l'inerzia degli organi fallimentari costituisca invece il risultato di una valutazione negativa in ordine alla convenienza della controversia (cfr. Cass. 22/7/2005, n.15369; Cass. 20/3/2012, n. 4448; Cass. 25/10/2015 n.24159, Cass.6/7/2016 n. 13814).
Da ultimo va rimarcato che, come pure affermato da questa Corte, l'esigenza di evitare che le determinazioni personali del fallito si sovrappongano alle deliberazioni di competenza dell'amministrazione fallimentare è destinata a ripercuotersi anche sul regime processuale del difetto di legittimazione, il quale è rilevabile anche d'ufficio in presenza della predetta valutazione, mentre ordinariamente può essere eccepito soltanto dal curatore, configurandosi come una limitazione della capacità che, in quanto prevista a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo (cfr. Cass., Sez. Un., 24/12/2009, n. 27346; Cass., 9/3/2011 n. 5571).
Nel caso di specie, il legale rappresentante della società fallita aveva proposto ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Corte distrettuale in materia di diritto del lavoro, che aveva visto soccombere la società medesima, contravvenendo ad una comunicazione della curatela fallimentare di segno contrario. Quest’ultima, quindi, aveva manifestato per iscritto la propria valutazione negativa circa la convenienza dell’impugnazione, non serbando un comportamento neutrale, inerte, né tanto meno definibile in termini di mera indifferenza.