(Tribunale di Brescia, 27 gennaio 2015, ordinanza)
“[…] Con provvedimento emesso in data 3 dicembre 2014, oggetto di reclamo, il G.D. di questo Tribunale ha ordinato all’istituto di credito oggi ricorrente la restituzione di alcune azioni, già di proprietà di [Fallimento Alfa] S.r.l., detenute dall’odierna reclamante a titolo di pegno. Il G.D., nell’accogliere il ricorso, ha ritenuto la sussistenza del fumus boni iurissulla base delle seguenti argomentazioni: l’ammissione del credito vantato dall’odierna reclamante al passivo fallimentare senza privilegio, l’impossibilità, per il creditore pignoratizio, exart. 53 l. fall., di realizzare il proprio credito in assenza di ammissione al passivo fallimentare in via privilegiata.
Avverso tale provvedimento ha proposto reclamo l’istituto di credito odierno ricorrente allegando, nella sostanza, l’errata interpretazione e applicazione dell’art. 4, D. L.vo 170/2004 alla luce della prevalente normativa comunitaria, l’insussistenza della verosimiglianza in merito alla sussistenza del fumus boni iuris, l’omessa motivazione in merito al periculum in mora. […]
Quanto alle ulteriori azioni si osserva quanto segue: l’articolo 4 del D. L.vo 21 maggio 2004 n. 170, di attuazione della direttiva comunitaria 2002/47, prevede che “al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha la facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto: a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita…”. Secondo l’interpretazione offerta dal fallimento resistente tale norma non sarebbe in contrasto con la disciplina generale dell’art. 53 della legge fallimentare che prevede in ogni caso che la facoltà di vendita diretta delle attività finanziarie oggetto di pegno sia preceduta dall’ammissione al passivo fallimentare con privilegio del credito garantito.
Tale interpretazione, pur possibile in forza del mero dato letterale della norma, pare in contrasto con quanto previsto dal legislatore comunitario nell’ambito della direttiva 2002/47.
L’articolo 4 comma 4 lettera b) della direttiva in esame prevede espressamente che le modalità di realizzo della garanzia finanziaria non possano prescrivere l’obbligo “che le condizioni di realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona”. Dal momento che il termine “condizioni di realizzo” pare riferirsi ai presupposti per la realizzazione della garanzia può fondatamente dubitarsi della correttezza dell’interpretazione della norma come proposta dal fallimento odierno resistente parendo che la norma voglia escludere il controllo preventivo del Tribunale nella realizzazione della garanzia.
A sostegno di tale conclusione vi è anche il punto 17) dei considerando della direttiva che prevede la possibilità per gli Stati membri di conservare o introdurre un controllo, ma parrebbe solo a posteriori.
Né il disposto dell’art. 9 comma 2 lett. d) della direttiva, che demanda alla legislazione del paese in cui è situato il conto di pertinenza, le “modalità con le quali la garanzia … deve essere realizzata” può portare a diversa conclusione, considerando che le modalità di realizzo attendono alle modalità della vendita e non già ai presupposti della stessa.
Alla luce di tali considerazioni può ritenersi che sia estremamente dubbia la sussistenza del fumus boni iurisdel provvedimento ex art. 700 c.p.c. richiesto dalla parte oggi resistente con riguardo alle azioni [Beta S.p.A.] parendo che il creditore pignoratizio, salvo l’eventuale controllo a posteriori, possa procedere alla realizzazione della garanzia anche in assenza della previa ammissione al passivo fallimentare del proprio credito in via privilegiata. […]”
Una pronuncia di merito conferma la tesi della libera realizzabilità della garanzia finanziaria ex D. Lgs. 170/2004 in costanza di fallimento
Da pochi giorni è stata resa disponibile[1] una prima pronuncia in materia di escussione di garanzia finanziaria di cui al D. Lgs. 170/2004 in costanza di fallimento. Pur trattandosi di una pronuncia di merito, la decisione è di estremo interesse per tutti gli operatori del settore finanziario, non solo perché non si registrano specifici precedenti in materia, ma anche per le conclusioni addivenute e per il percorso argomentativo sviluppato. In particolare, sembra finalmente essere riconosciuto al creditore, garantito da pegno su conto titoli, il diritto di escutere la garanzia in costanza di fallimento del datore anche in assenza di preventiva insinuazione del credito privilegiato al passivo della procedura.
I contratti di garanzia finanziaria sono stati introdotti formalmente nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 170/2004, come modificato dal D. Lgs. n. 48 del 2011, in attuazione della Direttiva comunitaria 47/2002 (poi modificata dalla Direttiva n. 44/2009). La direttiva, pur nata dalla specifica esigenza di regolare le prestazioni di garanzia compiute nell’ambito dei rapporti bilaterali tipici di un certo settore dei mercati finanziari non regolamentati, ossia quello delle operazioni su strumenti finanziari derivati concluse tra due determinati investitori professionali e regolate da un accordo quadro bilaterale stipulato tra i medesimi soggetti, ha finito per estendere il proprio ambito di applicazione all’intera area dei contratti di garanzia su attività finanziarie[2].
Per espressa disposizione del decreto, dunque, per garanzie finanziarie si debbono intendere le garanzie – anche di tipo pignoratizio – avente ad oggetto contante, strumenti finanziari o crediti costituita a fronte di obbligazioni finanziarie assunte da persone soggettivamente “qualificate” (cfr. art. 1, primo comma, lett. d) del D.Lgs. 170/2004). Pertanto, come un’attenta dottrina ha avuto modo di commentare fin dalla sua emanazione, nell’ambito di applicazione del decreto in esame rientrano, una volta verificato il requisito soggettivo, un altissimo numero di schemi contrattuali molto diversi fra di loro purché accomunati dalla causa di “garanzia”, e purché abbiano ad oggetto strumenti finanziari[3].
In particolare, in questa sede rileva l’art. 4 del D. Lgs. 170/2004, che costituisce specifica attuazione della direttiva laddove, come si legge nel diciassettesimo considerando, prevede l’istituzione di “procedure di esecuzione rapide e non formalistiche per salvaguardare la stabilità finanziaria e limitare gli effetti del contagio in caso di inadempimento di una delle parti del contratto di garanzia finanziaria”. La norma in esame, infatti, prevede che, al verificarsi dell’evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore garantito da pegno di strumenti finanziari ha la facoltà, “anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione [incluso il fallimento], di procedere, osservando le formalità previste nel contratto: a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita; b) all’appropriazione dell’attività finanziaria oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione; o c) all’utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita”. Il creditore garantito ha, quale unico onere, quello di informare immediatamente e per iscritto il datore di garanzia (ovvero gli organi della procedura) in merito alle modalità di escussione adottate – nel rispetto delle previsioni contrattuali – ed all’importo ricavato, ferma la contestuale restituzione dell’eccedenza (art. 4, secondo comma, D. Lgs. 170/2004).
È di tutta evidenza la straordinaria portata di questa norma, la cui introduzione pare avere minato le fondamenta di consolidati principi del nostro ordinamento in materia di escussione di pegno, fra tutti, il divieto del patto commissorio. Tuttavia, i maggiori stravolgimenti introdotti dal D. Lgs. 170/2004 forse si manifestano nell’ambito delle procedure concorsuali, ove le novità del decreto si concretizzano nella liberalizzazione delle modalità di escussione delle garanzie finanziarie, e il superamento delle rigidità dei formalismi concorsuali pare porsi in netto contrasto con i tradizionali pilastri del nostro sistema fallimentare[4].
Le norme generali di diritto fallimentare, infatti, incarnano uno spirito nettamente diverso da quanto previsto dall’art. 4 del D. Lgs. 170/2004, e mirano complessivamente alla tutela del principio di cui all’art. 2740 del codice civile, che assicura la uguale partecipazione dei creditori al patrimonio del debitore, nel rispetto delle legittime cause di prelazione, attraverso il c.d. ‘concorso formale’. In particolare, l’art. 51 della legge fallimentare è volto a cristallizzare le attività patrimoniali del fallito, sancendo, dal giorno della dichiarazione del fallimento, l’impossibilità per i creditori di promuovere azioni esecutive, o di proseguirle, sui beni compresi nel fallimento. Tale divieto è stato recentemente allargato anche alle azioni cautelari, di cui, in ogni caso, la giurisprudenza aveva sempre ritenuto l’improponibilità in ragione del rapporto di strumentalità e di finalizzazione indispensabile che l’azione cautelare ha nei confronti dell’azione esecutiva[5]. È corollario del principio del c.d. ‘concorso formale’ anche il successivo art. 52 della legge fallimentare, che stabilisce che ogni credito, a prescindere dal rango prelatizio, debba essere accertato secondo le norme sull’ammissione al passivo. Infine, rileva in questa sede anche l’art. 53 della legge fallimentare, che stabilisce, per un verso, che i crediti garantiti da pegno possono essere realizzati anche durante il fallimento e, per altro verso, che tale facoltà sia condizionata alla preventiva ammissione del relativo credito al passivo fallimentare con prelazione; il creditore potrà dunque procedere alla vendita ma solo se autorizzato dal giudice delegato che, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, ne fissa le modalità a norma dell’art. 107 della legge fallimentare.
In dottrina, fin dall’emanazione del D. Lgs. 170/2004, si è aperto un acceso dibattito tra chi sosteneva la natura derogatoria delle norme di nuova introduzione rispetto alla legge fallimentare e chi, invece, affermava la prevalenza delle regole concorsuali.
Dottrina e giurisprudenza hanno avuto modo di imbattersi in tematiche analoghe in materia di escussione di ipoteca fondiaria e di pegno irregolare, in costanza di fallimento del datore di garanzia.
In materia di credito fondiario, infatti, l’art. 41 del D. Lgs. 385/1993, come successivamente modificato (Testo Unico delle leggi in materia Bancaria e creditizia), dispone una esplicita deroga all’art. 51 della legge fallimentare, prevedendo, inter alia, che “l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha la facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento” (cfr. art. 41, secondo comma, D. Lgs. 385/1993).
Si è discusso a lungo se la norma richiamata operasse anche in deroga al disposto degli artt. 52 e 53 della legge fallimentare[6]. Le modifiche alla legge fallimentare, introdotte con il D. Lgs. 169/2007, hanno portato chiarezza sul punto. Il nuovo terzo comma dell’art. 52 della legge fallimentare sancisce, infatti, che le regole generali in materia di accertamento del passivo si applicano anche a “crediti esentati dal divieto di cui all’art. 51” della legge fallimentare. Sulla scorta di tali modifiche, il privilegio degli istituti di credito fondiario è stato definito come processuale, e non sostanziale[7]: esso non intacca in alcun modo il principio della par condicio né leregole del concorso, con la conseguenza che il creditore deve insinuarsi al passivo del fallimento allo scopo di conseguire, se il credito risulta ammesso ed utilmente collocabile, il risultato dell’esecuzione privilegiata, restituendo alla massa fallimentare l’eventuale eccedenza per la quale non fosse stato ammesso o risultasse incapiente[8].
In materia di pegno irregolare, invece, ci si chiedeva se tale fattispecie fosse compresa o meno entro l’ambito di applicazione degli artt. 52 e 53 della legge fallimentare, e, dunque, se vi fosse la necessità che il creditore pignoratizio proponesse domanda di ammissione al passivo fallimentare. Le Sezioni Unite[9] hanno optato per la soluzione negativa, valorizzando due ordini di considerazioni: in primo luogo, infatti, nell’ambito del pegno irregolare si assiste al trasferimento dei titoli dati in pegno; in secondo luogo poiché lo scopo del pegno irregolare è proprio quello di evitare al creditore l’onere della procedura esecutiva e, quindi, anche del concorso formale[10]. Sotto il profilo strettamente processuale, pertanto, il creditore assistito da un pegno irregolare non deve, e non può, insinuarsi al passivo per carenza di interesse[11].
Sulla scorta di tali percorsi argomentativi, sviluppati in materie analoghe, la dottrina si è divisa, sino ad oggi, tra chi sostiene l’applicabilità degli artt. 52 e 53 della legge fallimentare anche alle garanzie finanziarie di tipo pignoratizio, e chi, al contrario, argomenta la specialità dell’art. 4 del D.Lgs. 170/2004 rispetto alla citata norma fallimentare.
In particolare, vi era chi affermava che il principio del concorso formale, sottostante agli artt. 52 e 53 della legge fallimentare avrebbe efficacia prevalente sulle norme in materia di garanzia finanziaria. Dunque, secondo tale opinione, il titolare di pegno qualificabile come garanzia finanziaria, dato da soggetto fallito, dovrebbe ottenere – nonostante il tenore letterale del D.Lgs. 170/2004 – l’ammissione al passivo del fallimento in via privilegiata, e, solo in un secondo momento, procedere all’escussione[12]. Ove tale orientamento fosse stato confermato, gli effetti che ne deriverebbero sarebbero estremamente negativi per i creditori garantiti, che dovrebbero sottostare alle lunghe tempistiche legate all’approvazione dello stato passivo del fallimento – come per altro accade in materia di ipoteca a garanzia di credito fondiario.
La decisione in commento sembra gettare qualche luce sul dibattito sopra enucleato.
Nel caso deciso dai giudici bresciani, un istituto di credito proponeva reclamo avverso un provvedimento d’urgenza emesso dal giudice delegato di un fallimento, il quale aveva ordinato la restituzione di un pacchetto azionario di proprietà della società fallita e oggetto di pegno ai sensi del D. Lgs. 170/2004 a garanzia di un credito vantato verso la medesima fallita da parte dell’istituto di credito. Dall’ordinanza si evince che il credito garantito era stato ammesso al passivo fallimentare solo in via chirografaria e non in via privilegiata, pur non essendone palesate le ragioni. In ogni caso, il fallimento invocava l’impossibilità per il creditore garantito di escutere il pegno in mancanza di ammissione con rango privilegiato del credito, aderendo in tal modo all’orientamento favorevole all’inderogabilità della normativa fallimentare.
Il Tribunale di Brescia, tuttavia, ha respinto la tesi della procedura e ha accolto il reclamo della banca.
Il perno del ragionamento di tale decisione ruota nella necessità di dirimere il contrasto tra le norme sopra evidenziate alla luce di taluni principi di derivazione comunitaria espressi nella direttiva di cui, come già ricordato, il D.Lgs. 170/2004 è piena attuazione[13].
Come si legge nel diciassettesimo considerando, infatti, la direttiva si propone di conciliare gli obiettivi di garantire celerità nella riscossione della garanzia “con la protezione del datore di garanzia e dei terzi”, fissando i limiti e le modalità con cui Stati membri possono conservare o introdurre nella loro legislazione nazionale norme di controllo in relazione alla realizzazione o valutazione della garanzia finanziaria e al calcolo delle obbligazioni finanziarie assistite. Tale conciliazione si concretizza nel divieto per gli Stati membri, espresso all’art. 4, comma 4, lettera b), della direttiva, di prescrivere l’obbligo “a) che l’intenzione a procedere al realizzo sia stata preliminarmente comunicata; b) che le condizioni del realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona; c) che il realizzo avvenga per asta pubblica o in altra forma prescritta; o d) che un determinato periodo supplementare sia trascorso”. Il quinto comma del medesimo articolo, peraltro, prescrive che “gli Stati membri garantiscano che un contratto di garanzia finanziaria abbia effetto conformemente ai termini in esso previsti nonostante l’avvio o il proseguimento di una procedura di liquidazione o di provvedimenti di risanamento”.
Piuttosto, il medesimo diciassettesimo considerando della direttiva pare stabilire che gli Stati membri possano introdurre un controllo a posteriori sulle modalità di realizzo, atteso che le modalità di realizzo riguardano le modalità di vendita del bene oggetto di pegno e non i presupposti della stessa[14]. Sulla base di tali indicazioni, il legislatore nostrano ha previsto, all’art. 8 del D. Lgs. 170/2004 che, “le condizioni di realizzo delle attività finanziarie e i criteri di valutazione delle stesse e delle obbligazioni finanziarie garantite [debbano] essere ragionevoli sotto il profilo commerciale”. Le possibili conseguenze della violazione della ragionevolezza commerciale, pertanto, si risolveranno nella rideterminazione delle reciproche posizioni dei contraenti, e nell’obbligo del creditore pignoratizio di risarcire il maggiore danno eventualmente cagionato alla controparte. Ciò implica che, anche nel contesto di una procedura concorsuale, la realizzazione del pegno a norma dell’art.4 del D. Lgs. 170/2004 non sono né invalidi né inopponibili, fermo restando che il creditore potrà essere obbligato a restituire le somme dovute a seguito della rideterminazione della sua posizione e a risarcire il fallito nei limiti del maggior danno eventualmente cagionato[15].
Sulla base di tali presupposti, il Tribunale di Brescia è giunto a ritenere che il creditore pignoratizio, salvo l’eventuale controllo a posteriori, possa procedere alla realizzazione della garanzia anche in assenza della previa ammissione al passivo fallimentare del proprio credito in via privilegiata.
La conclusione cui è giunta tale giurisprudenza di merito, per un verso, conferma quanto deciso da un’altra giurisprudenza di merito, che si era pronunciata – senza particolari argomentazioni – in tema di realizzo di garanzia finanziaria in costanza di concordato preventivo[16]; per altro verso, non si discosta molto da quanto pacificamente affermato, e sopra richiamato, in materia di pegno irregolare.
Sarà interessante vedere se a tale vicenda faranno seguito altri gradi di giudizio, o se saranno pubblicate in futuro altre decisioni (auspicabilmente anche di Cassazione) che confermino o, al contrario, ribaltino, la posizione adottata dalla corte bresciana. Ad ogni modo, la decisione in esame costituisce un tassello importante, nella speranza di sgomberare in futuro il campo dai dubbi sollevati dall’accennata dottrina e di fornire maggior comfort al creditore bancario.
[1] Il testo integrale dell’ordinanza del Tribunale di Brescia è reperibile su “ilcaso.it”.
[2] Cfr. T. Di Marcello, Escussione del pegno di strumenti finanziari e fallimento, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2011, p. 528 ss.
[3] Cfr. P. Carrière, La nuova normativa sui contratti di garanzia finanziaria. Analisi critica, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2005, p. 184 ss., nota 3.
[4] Cfr. P. Carrière, cit, p. 184 ss.
[5] Cfr. N. Dal Cero, Gli effetti del fallimento,in P. Pajardi, Codice del Fallimento, a cura di M. Bocchiola e A. Paluchowski, 2013, sub art. 51, p. 611 ss.
[6] La Corte di Cassazione, ancor prima della riforma della legge fallimentare di cui successivamente nel testo, aveva stabilito la natura inderogabile dell’art. 52, secondo comma, l. fall. e pertanto, fermo quanto disposto dalle richiamate disposizioni del Testo Unico Bancario sul rapporto fra azione esecutiva in materia di garanzia fondiaria e procedure concorsuali, ha avuto modo di statuire che l’istituto di credito è, in ogni caso, soggetto all’onere di far verificare il proprio credito in sede fallimentare e all’obbligo di restituire le somme dovute ai creditori di grado poziore conseguite nell’ambito della procedura individuale (cfr. Cass. 1 dicembre 1994, n. 10256, in Fall., 1995, p. 732). In un secondo momento, la Suprema Corte ha sposato il differente orientamento secondo cui non era più necessario che, per partecipare alla distribuzione del ricavato, l’istituto creditore si fosse previamente insinuato al passivo fallimentare, e ciò in quanto, proseguendo l’esecuzione individuale anche dopo la vendita dell’immobile pignorato, sarebbe onere del curatore dimostrare che i crediti insinuati prevalgono – in tutto o in parte – in ragione del loro grado di prelazione, su quello dell’istituto mutuante (così Cass. 19 febbraio 1999, n. 1395, in Fall. 2000, p. 80; Cass. 9 ottobre 1998, n. 19917, in Fall. 1999, p. 1072; Cass. 15 luglio 1994, n. 5806, in Fall., 1994, p. 1161).
[7] Cfr. Cass. 4 settembre 2009, n. 19217, in Fall., 2011, p. 1264 ss. e in Dir. Fall., 2010, II, p. 286, con nota di Penta, I rapporti tra esecuzione concorsuale e esecuzione individuale. Il credito fondiario, in Dir. Fall., 2010, II, p. 286 ss.
[8] Così Cass. 15 gennaio 1998, n. 314, in Fall., 1998, p. 812; Cass. 28 maggio 2008, n. 13996, in Fall., 2008, p. 1270.
[9] Cfr. Cass. SS.UU. 14 maggio 2001, n. 202, in Fall., 2001, p. 1239.
[10] Cfr. N. Dal Cero, cit., sub art. 53, p. 650. Per le differenze fra pegno regolare e pegno irregolare, ex multis, cfr. App. Torino 26 gennaio 2011, Fall., 2011, p. 579 ss. con nota di G. Tarzia, Individuazione della natura del pegno, indicazione del credito garantito, e modalità di realizzo del pegno regolare nel fallimento, ib., p. 582 ss.
[11] Per una soluzione contraria a quella individuata nel testo, si veda, inter alia, T. Milano, 16 ottobre 1981, in Fall., 1982, II, p. 1212, che adduce il richiamo letterale dell’art. 53 della legge fallimentare al pegno, senza distinzioni fra pegno regolare e pegno irregolare.
[12] A questa conclusione giungono infatti S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova 2009, p. 135 ss.; Guizzi, in AA.VV., Diritto fallimentare [Manuale Breve], Milano, 2008, p. 288 ss.; e Sandulli, La crisi d’impresa. Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 2009, p. 90, pur senza fare riferimento esplicitamente ad un principio di ordine pubblico.
[13] Peraltro, hanno aderito all’orientamento sposato dal Tribunale di Brescia, ben prima della pubblicazione dell’ordinanza in esame, inter alia, F. Lamanna, sub art. 53, in Il nuovo diritto fallimentare, I, p. 781, nota 5; Agnese, i contratti di garanzia finanziaria nel diritto civile, Torino, 2009, p. 257 ss.; N. Dal Cero, cit., sub art. 53, p. 652; Pasquali, in Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, p. 267 ss.; Murino, L’autotutela nell’escussione della garanzia finanziaria pignoratizia, Milano, 2010, p. 54 ss.; T. Di Marcello, Escussione del pegno di strumenti finanziari e fallimento, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 2011, p. 528 ss.
[14] Cfr. Tribunale di Brescia, cit.
[15] Cfr. T. Di Marcello, cit., p. 532.
[16] Tribunale di Ravenna, 25 ottobre 2010, in IlCaso.it.