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La luce (finalmente) in fondo al tunnel dell’anatocismo?

20 Settembre 2016

Paolo Carrière, CBA Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

A seguito della consultazione avviata dalla Banca d’Italia nell’agosto del 2015 e chiusasi nell’agosto del 2016, la delibera del CICR[1] interviene a completare il quadro normativo cui è oggi demandata la disciplina del fenomeno anatocistico (in ambito bancario) che da ultimo era stata modificata nella scorsa primavera[2] con l’ennesima (ma tanto attesa e auspicata) modifica dell’art. 120 T.U.B. È ormai inutile ripetere qui come quello dell’anatocismo sia stato in questi ultimi anni una campo sul quale si sono consumate demagogiche battaglie che hanno reso spesso impossibile una pacata e approfondita riflessione su un tema che presenta una dose di tecnicismo elevatissimo (civilistico, economico-finanziario e di tecnica bancaria). L’Autorità di vigilanza ha avuto più volte, nel recente passato, l’ingrato compito di dover sbrogliare la matassa, partendo da dati normativi, a cui era comunque vincolata, tutt’altro che chiari e tecnicamente sensati, dovendo talora sopperire con “interpretazioni teleologiche”[3] davvero ardite. Il quadro normativo che è uscito ora dalla consultazione, in relazione ad un testo dell’art. 120 T.U.B. che, come detto, nel corso di essa è stato riformulato in maniera assai più chiara e corretta di quanto non fosse il testo previgente, sembra apportare oggi ben maggiore certezza, parendo frutto di una ben più evidente consapevolezza tecnica del problema.

È in particolare sul punto che mi era parso quello centrale di tutta la questione[4] che dapprima il nuovo art. 120 T.U.B. e ora la delibera CICR paiono finalmente fugare l’ambiguità di fondo che emergeva invece nel previgente testo dell’art. 120 T.U.B. e, quindi, nell’originario testo di delibera CICR che era stata inizialmente sottoposta alla pubblica consultazione. E tale tema centrale si riassumeva in una domanda che rimaneva irrisolta: il fenomeno anatocistico veniva disciplinato in ambito bancario in deroga alla disciplina di diritto comune, ovvero la disciplina dell’art. 120 T.U.B., come implementata nella iniziale bozza di delibera CICR, doveva leggersi nell’alveo dei principi civilistici generali, limitandosi a definire alcuni tecnicismi legati alla non facile applicazione di quei principi generali ad alcune più articolate e complesse fattispecie contrattuali bancarie (essenzialmente le operazioni in conto corrente)? Alla luce dell’ambiguità della norma primaria, c’era infatti seriamente da domandarsi se, in ambito bancario, fosse stata introdotta una deroga generale e totale all’art. 1283 cod. civ., sancendosi dunque un divieto assoluto di anatocismo (e quindi anche di quello consentito dall’art. 1283 cod. civ.; in definitiva si sarebbe così vietato in ambito bancario anche l’anatocismo convenzionale e quello giudiziale, pur negli stretti limiti in cui è ammesso). Come noto, infatti, alcuni orientamenti giurisprudenziali[5], autorevole dottrina[6] e la stessa Banca d’Italia in sede di consultazione lasciavano propendere per una tale lettura “estrema” dell’art. 120 T.U.B. La proposta di delibera CICR che era stata posta in consultazione, in ciò in linea con la citata giurisprudenza, muoveva infatti proprio da quella impostazione con apparente convinzione, come poteva leggersi nel paragrafo «contenuto della proposta di delibera» del documento di consultazione, laddove si affermava che il Legislatore, con (il previgente) art. 120, co. 2, T.U.B., «intende vietare la produzione di interessi anatocistici, non consentendo mai la capitalizzazione di interessi nelle operazioni da esso disciplinate, diversamente da quanto stabilito nel codice civile (art. 1283)». Affermazione davvero impegnativa che veniva poi attuata nell’art. 3 del testo di delibera in consultazione, ove si sanciva dunque, a mo’ di premessa, un chiaro, generico e non qualificato divieto: gli interessi maturati non possono produrre interessi (salvo poi prevedere nell’art. 4 una disciplina delle operazioni in conto corrente che quella premessa pareva proprio smentire).

Più fondata da un punto di vista storico, sistematico e di efficienza economico-giuridica ci era invece parsa[7] una impostazione che si sforzasse di conciliare armoniosamente la disciplina dell’art. 120 T.U.B. e quella della connessa delibera CICR con i consolidati principi generali civilistici, e in primis quelli sanciti nell’art. 1283 cod. civ.[8], posto che la lettura “estrema” avrebbe dovuto presupporre una impostazione “eversiva” di quei consolidati principi civilistici, dovendosi giungere in definitiva ad affermare che una obbligazione di pagamento di interessi corrispettivi, di per sè, non può avere una scadenza di debenza!…questo ci pareva infatti essere l’unico coerente presupposto logico-giuridico per sostenere il divieto generale di anatocismo bancario: espungere l’obbligazione di pagamento di interessi corrispettivi scaduti di natura bancaria dal novero delle “obbligazioni pecuniarie”, sottraendola quindi dalla disciplina di diritto comune[9].

Fuori dalla specifica disciplina prevista per le operazioni regolate in conto corrente, da un punto di vista pratico, l’affermazione di un divieto assoluto di anatocismo in ambito bancario (anche e addirittura nei cauti limiti in cui è ammesso in ambito civilistico generale) sarebbe davvero risultato incomprensibile, nel momento in cui avrebbe precluso la possibilità delle parti di prevedere contrattualmente per qualsiasi finanziamento, a posteriori e in maniera chiara e consapevole, una modalità di calcolo e di pagamento degli interessi che – anche in operazioni di finanza strutturata concluse dalle banche con controparti professionali non consumatori e quindi non bisognosi certo di alcun need of protection[10] – vedono la modalità di capitalizzazione degli interessi come una richiesta del debitore, funzionale alle sue esigenze di pianificazione finanziaria. Tali esigenze richiedono infatti spesso la posticipazione del pagamento degli interessi maturati e scaduti che, quindi, diventano ad ogni effetto “capitale” per effetto del meccanismo di “capitalizzazione”; non si vede allora perché tali interessi “capitalizzati” non possano produrre interessi nel rispetto delle cautele, di generalizzata applicazione, già previste dal codice civile al citato art. 1283 cod. civ. ove ne venga discrezionalmente chiesta dal debitore la dilazione del pagamento. Se così fosse, infatti, ogni possibilità di articolare negozialmente meccanismi di maturazione/pagamento degli interessi con la formula bullet, pik (cioè capitalizzazione degli interessi con pagamento in un’unica soluzione alla scadenza finale), rispondendo ciò a primarie esigenze di pianificazione finanziaria del debitore – tipicamente nell’ambito di operazioni, ad esempio, di project finance, acquisition finance o venture e start-up finance, ovvero, per stare ancor più sull’attualità, nell’ambito di operazioni di ristrutturazione e di composizione della crisi d’impresa – sarebbe oggi venuta del tutto meno nel nostro sistema giuridico. Né la scelta di una legge straniera come governing law di tali profili negoziali sembrerebbe perlopiù una scelta efficacemente perseguibile. Peraltro, è assai prevedibile che il tutto si risolverebbe nella rimodulazione di equivalenti prodotti bancari che risulterebbero solo più rigidi e costosi per i clienti e meno competitivi per le banche italiane; così, ad esempio, è ben prevedibile che un finanziamento bullet, pik verrebbe riformulato senza la previsione della facoltà di capitalizzazione periodica degli interessi scaduti attribuita al debitore, ma incorporando sin dall’inizio, nell’interesse primario che quindi sarà maggiore, la circostanza che questo maturerà necessariamente per l’intera durata del finanziamento e verrà rimborsato solo alla scadenza finale assieme al capitale.

Ora, pur ben potendosi ammettere che (fatte salve le valutazioni di opportunità per gli effetti che si determinerebbero sulla concorrenzialità del sistema bancario italiano) nulla avrebbe potuto impedire al Legislatore di aderire consapevolmente ed esplicitamente alla citata radicale tesi “estrema”, introducendola nell’ordinamento, oggi tale opzione, nell’ultima riformulazione dell’art. 120 T.U.B., ci pare definitivamente tramontata; la nuova formulazione dell’art 120 T.U.B. e della conseguente delibera CICR ci pare infatti non rendere più in alcun modo plausibile quella interpretazione che, invece, nella previgente formulazione (l’art. 120, comma 2, T.U.B., come modificato dall’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147) pareva sostenibile, nel senso di una abrogazione in toto, nell’ambito bancario-finanziario, l’art. 1283 cod. civ. Interpretazione che, come detto, pur essendo in qualche modo sostenibile in base a un dato letterale della norma che nella previgente versione era assolutamente ambiguo, ci era comunque apparsa davvero molto discutibile, imprudente e overshooting, e ciò per vari motivi: di razionalità economico-giuridica; di ricostruzione della ratio della norma, di suo inquadramento storico e sistematico.

In particolare, sotto un profilo di razionalità economica della norma, si era rilevato come nell’anatocismo “convenzionale”, in virtù della convenzione posteriore, il creditore conviene con il debitore – deve presumersi perlopiù su richiesta di quest’ultimo – che al posto di invocare in giudizio il pagamento del suo credito certo, liquido ed esigibile, l’obbligazione non venga esatta ma “riscadenzata” e che, come contropartita, produca a sua volta interessi. Come si vede, viene così contemperata la legittima aspettativa del creditore a vedersi pagata una obbligazione pecuniaria “scaduta” con quella del debitore a prorogare l’esigibilità di tale obbligazione che altrimenti sarebbe chiamato ad onorare, se non spontaneamente, in giudizio. Nella norma disegnata dal Legislatore storico emerge dunque un meccanismo di composizione degli interessi in gioco frutto di saggezza ed equilibrio oggi davvero invidiabili. D’altra parte nessuno avrebbe da obiettare se, o potrebbe comunque impedire che, il debitore, impossibilitato ad onorare il suo debito per interessi, divenuto esigibile da parte della banca – al fine di evitare l’azione di recupero giudiziale da parte di quest’ultima – si rivolgesse ad altra banca per ottenere un finanziamento atto ad adempiere a quell’obbligazione pecuniaria nei confronti della prima; e su tale nuovo finanziamento (tecnicamente detto “rifinanziamento”) decorrerebbero ovviamente interessi a tassi di mercato che egli dovrebbe corrispondere alla nuova banca. Non si capisce davvero, allora, perché mai tale “rifinanziamento” dell’esposizione scaduta per interessi non possa avvenire “internamente” presso la stessa banca e alle stesse condizioni di mercato che il cliente potrebbe trovare altrove, con una imposizione che risulterebbe del tutto irrazionale e diseconomica, costringendolo incomprensibilmente a sopportare un aggravio di spese e di tempo. A meno di non voler giungere alla conclusione radicale già sopra enunciata[11] – ma, come detto, almeno coerente con quello che si postula come un divieto assoluto di anatocismo – che per una obbligazione di pagamento di interessi non sia di per sé neppure concettualmente ammissibile una autonoma “scadenza” ed esigibilità, diversa da quella dell’obbligazione di pagamento/restituzione del capitale sottostante a cui accede. Ma se si ammette (come oggi a noi pare difficile dubitare) la possibilità di prevedere, contrattualmente o legalmente, una “scadenza” e quindi l’”esigibilità” di una obbligazione pecuniaria da interessi, autonoma e diversa da quella del capitale sottostante (come pare implicito nell’attuale sistema, ad esempio nell’art. 1820 cod. civ. per la fattispecie del mutuo, paradigma di tutti i rapporti di credito), allora sancire il divieto assoluto di negoziare un riscadenzamento oneroso col creditore vuol dire comunque ridurre le possibilità di manovra del debitore, a tutto suo detrimento, mettendolo davanti all’alternativa secca “paga o vieni chiamato in giudizio”, a cui peraltro potrà, comunque, sempre sottrarsi ricorrendo, ma in maniera del tutto inefficiente, ad un “rifinanziamento” esterno della posizione debitoria.

Peraltro, una lettura “estrema” dell’art. 120 T.U.B. e della connessa delibera del CICR sarebbe risultata oltremodo contraddittoria, e anzi paradossale perché il fenomeno anatocistico sarebbe stato sostanzialmente ammesso, e avrebbe dunque continuato ad esistere, per il solo conto corrente (e annessi) – la fattispecie cioè in cui il problema è sorto e si è manifestato con particolare acutezza – mentre per gli altri rapporti creditizi sarebbe venuto meno ogni safe harbor, anche (addirittura) quello tradizionale civilistico, in un eccesso di zelo davvero incomprensibile e, come detto, irrazionale. Il riferimento è qui alla soluzione che in sede di consultazione – e quindi anche sotto il regime previgente dell’art. 120 T.U.B. e della lettura “estrema” che da parte della stessa Banca d’Italia se ne faceva – era stata proposta nell’art. 4 dalla delibera CICR, laddove veniva dedicata, specificatamente, una disciplina ad hoc per le operazioni in conto corrente (oltreché, con una certa ambiguità, al «conto di pagamento» e ai «finanziamenti a valere su carte di credito»); e ciò in virtù delle specificità tecniche che non ne consentono la pacifica riconducibilità alla disciplina codicistica generale dell’art. 1283 cod. civ.[12]. In particolare, attesa la natura continuativa del rapporto – nel corso del quale si susseguono, alternandosi, posizione creditorie e debitorie – si era dunque reso necessario fissare normativamente quali fossero le “scadenze” alle quali la composita obbligazione di pagamento degli interessi viene a cristallizzarsi e diviene “esigibile”[13]. Analizzando la soluzione che era stata proposta già nell’art. 4 dalla bozza di delibera CICR sottoposta a consultazione sotto il regime del previgente art. 120 T.U.B. (e che oggi è stata sostanzialmente confermata nella delibera CICR approvata ad agosto sotto la vigenza del nuovo riformulato art. 120 T.U.B.), avevamo rilevato come tale disciplina fosse (e sia), in senso sostanziale, intrinsecamente, “anatocistica” sebbene anch’essa risultasse (e risulti) correttamente improntata ai medesimi principi di fondo dell’ordinamento civilistico sanciti dall’art. 1283 cod. civ. che, come noi ritenevamo (e come a noi pare oggi confermato nella nuova formulazione della normativa qui oggetto di commento) devono ritenersi tuttora confermati come vigenti e applicabili a tutti i rapporti bancari-finanziari, conto corrente compreso. In particolare, anche la disciplina dell’art. 4 citato pareva (e pare) improntata al sostanziale rispetto del principio di autodeterminazione delle parti, quale frutto di una consapevole e trasparente valutazione dei reciproci interessi[14].

In conclusione, allora, dall’analisi della vigente formulazione dell’art. 120 T.U.B., come ora infine recepita e implementata dalla delibera CICR ci pare definitivamente tramontata la possibilità della lettura “estrema” che pur era stata autorevolmente propugnata (e che il previgente, confuso, testo dell’art. 120 T.U.B. poteva effettivamente consentire, al netto di tutte le altre considerazione d’ordine sistematico, storico e di razionalità economica della norma). Il principio giuridico della produzione di interessi su interessi (anatocismo) in ambito bancario-finanziario è quindi oggi affidato alla norma centrale che può leggersi nel vigente art. 120 T.U.B. e ora, sostanzialmente identica, anche nella delibera CICR, in questi termini: «gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora». Tale disposizione viene poi completata nella delibera CICR dalla disposizione di cui all’art. 3, co. 2, che statuisce come «agli interessi moratori si applicano le disposizioni del codice civile». Chiaramente il passaggio cruciale che era emerso già nel nuovo testo dell’art. 120 T.U.B. e, ora, nella delibera CICR che segue alla consultazione, è quello evidenziato («salvo quelli di mora»). Ancora una volta, occorre ammetterlo, il risultato non è un capolavoro di chiarezza, parendo permanere un margine di ambiguità. E, tuttavia, mi pare che oggi la sola plausibile lettura possa esser questa: sugli interessi meramente maturati, non possono mai applicarsi meccanismi periodici di capitalizzazione in via automatica o per effetto di convenzioni (anteriori o posteriori che siano, come pure nel passato era malcostume talora adottato da qualche banca, a danno dei clienti). A contrario, sugli interessi non solo maturati, ma che devono essere anche scaduti (per cui sia cioè passato invano il termine di pagamento senza che il debitore abbia adempiuto alla sua obbligazione pecuniaria di pagamento di quegli stessi interessi corrispettivi, altrimenti il riferimento a “interessi moratori” non sarebbe comprensibile),potranno applicarsi interessi (appunto definiti “moratori”, ma che ben potremmo chiamare “anatocistici”, posto che questi sono sempre e per loro natura “moratori”, facendo proprio seguito al mancato pagamento di interessi scaduti – a ogni effetto anch’essa una “obbligazione pecuniaria” – come ben emerge nell’art. 1283 cod. civ.), ma solo nel rispetto delle disposizioni del codice civile (e quindi, in primis dell’art. 1283 cod. civ. oltre a quelle dell’art. 1224 cod. civ.)[15]. Quindi, con riguardo ad una obbligazione pecuniaria scaduta che abbia ad oggetto interessi (corrispettivi o capitalizzati, già passati cioè in precedenza a “sorte capitale” nel rispetto delle medesime regole), potranno applicarsi interessi “moratori” solo negli stretti limiti sanciti dall’art. 1283 cod. civ.; limiti quindi valevoli solo per quella particolare obbligazione pecuniaria (che abbia cioè ad oggetto il pagamento di interessi), in ciò diversamente da quanto avviene per ogni altra obbligazione pecuniaria per cui, in caso di ritardato pagamento, quei limiti, alla possibilità di applicare “interessi moratori”, non sono previsti. Tale impostazione, come detto, presuppone l’adesione alla tesi che mi pare difficilmente controvertibile che gli interessi anatocistici siano per loro natura “moratori”, posto che come chiarisce inequivocabilmente l’art. 1283 cod. civ., la problematica del meccanismo anatocistico si pone qui, e viene disciplinata, proprio in relazione a quella obbligazione pecuniaria (che ha abbia oggetto il pagamento di interessi “scaduti”), applicandosi quindi a tal riguardo la nozione e la disciplina generale degli interessi moratori di cui agli artt. 1219 e 1224 cod. civ. Né ci pare plausibile una lettura che volesse riferire il richiamo agli “interessi di mora” (o meglio, “moratori”…nel giro di due righe la locuzione utilizzata cambia!) a solo quelli che siano dovuti per ritardo nel pagamento della obbligazione principale (relativa cioè al capitale); una tale lettura sarebbe riduttiva (limitando ingiustificatamente a quest’ultima il rango di “obbligazione pecuniaria”), superflua e inconferente (posto che il fenomeno della produzione di interessi sul capitale scaduto e non rimborsato è pacifico e del tutto estraneo al fenomeno dell’anatocismo che è l’oggetto dell’intervento normativo in questione) e, in definitiva, letteralmente insostenibile (posto che la previsione derogatoria – «salvo quelli di mora» – ora introdotta si riferisce proprio e inequivocabilmente al fatto che «gli interessi (non il capitale!) debitori maturati non possono produrre interessi».

Ci pare allora oggi riproponibile la conclusione già a suo tempo proposta: permane immutata in via generale (anche nei rapporti bancari come in ogni altro rapporto civilistico) l’intera disciplina di produzione di interessi nelle obbligazioni pecuniarie (ricostruibile dal complesso di norme riconducibili agli artt. 820, 1219,1224, 1282, 1283, 1284, 1815, 1820, 1825, 2855, 2948, n. 4, cod. civ. e nella L. n. 231/2002), quindi, anche il divieto storico e generale di produzione anatocistica di interessi (cioè interessi su interessi scaduti e non pagati di qualunque natura essi siano, corrispettivi, compensativi o moratori) al di fuori delle due situazioni disciplinate nell’art. 1283 cod. civ.: la domanda giudiziale (“anatocismo giudiziale”) o la convenzione posteriore (“anatocismo convenzionale”), in entrambi i casi per un periodo minimo semestrale di disponibilità del capitale sottostante.

Nell’ambito del rapporto di conto corrente bancario – attesa la sua particolarità tecnico-operativa che rende di difficile applicazione la disciplina anatocistica nei termini di cui all’art. 1283 cod. civ. – è giustifico un intervento normativo ad hoc che, introducendo una disciplina legale dell’esigibilità degli interessi (prevedendosi una “scadenza” annuale in linea con il principio generale rintracciabile nell’ordinamento), premessa logica e indefettibile dell’anatocismo, salvaguardi però i medesimi principi posti a fondamento dell’art. 1283 cod. civ.: trasparenza e consapevole determinazione da parte del debitore. Quel che oggi non può in alcuno modo più reiterarsi sono meccanismi, schemi negoziali, prassi o usi opachi, surrettizi e inconsapevoli. Da questo punto di vista, la disciplina oggi cristallizzata nella delibera del CICR nell’art. 4 per il conto corrente – ove venga recuperata la prospettiva generale di fondo della permanente vigenza anche in questo ambito dell’art. 1283 cod. civ. – ci pare rispettosa dei principi generali in esso sanciti: la necessità di un’”autorizzazione” consapevolmente prestata, dal debitore affinché sugli interessi “scaduti” (“esigibili”) possano prodursi interessi.

 


[1] Decreto 3 agosto 2016 del CICR – Modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria.

[2] Comma sostituito prima dall’art. 1, co. 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147 e, successivamente, così modificato dall’art. 17-bis, co. 1, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 aprile 2016, n. 49.

[3] Il riferimento è qui al Documento per la consultazione – Attuazione dell’articolo 120, comma 2, del Testo unico bancario in materia di produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria dell’agosto 2015 di Banca d’Italia reperibile all’indirizzohttps://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/consultazioni/2015/proposta-delibera-cicr/.

[4] Mi sia consentito di rinviare a P. Carrière, La fine dell’anatocismo (bancario)?, in i Contratti, 2015, 1154 ss. da cui attingerò, alcune delle considerazioni di seguito riproporrò attualizzandole, alle intervenute modifiche dell’art. 120 T.U.B. e della conseguente recente delibera CICR.

[5] Cfr. Relazione 10 febbraio 2014 della VI Sezione Civile del Tribunale di Milano, ampiamente riportata per stralci in R. Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della delibera CICR 9/2/00, in IL Caso.it, 2014, 5 e 19. V. altresì le ordinanze della giurisprudenza di merito: cfr. Tribunale di Milano con le Ordinanze 25 marzo 2015, 3 aprile 2015, 29 luglio 2015; in linea appaiono l’Ordinanza del Tribunale di Cuneo, 29 giugno 2015 e del Tribunale di Biella, 7 luglio 2015.

[6] Cfr. D. Maffeis, Il nuovo articolo 120 TUB e la proposta di delibera CICR della Banca d’Italia, in Riv. dir. banc., 2015, 1.

[7] Sia consentito rinviare ancora aP. Carrière, La fine dell’anatocismo (bancario)?, op. cit., 1154 ss. Nello stesso senso, per quanto en passant e quasi incredulo per la tesi opposta, si era espresso A. Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole “da inadempimento”), in Riv. dir. banc., 2015, 1 ss. Nel senso di una permanente validità generale, anche per i rapporti bancari, dell’art. 1283 cod. civ., cfr. anche V. Farina, L’immediata operatività del (nuovo) divieto di anatocismo, in i Contratti, 2015, 882.

[8] Come ben noto e come si evince dal testo dell’art. 1283 cod. civ., l’anatocismo consiste infatti nel fenomeno della produzione di interessi su interessi scaduti (e, ovviamente non pagati), la cui disciplina speciale deroga al principio generale sulla produzione di interessi che, come stabilito nell’art. 1282, co. 1, cod. civ., maturano di pieno diritto su tutti i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro (e tale non può non ritenersi anche un credito “scaduto” per interessi). Tale fenomeno anatocistico – in assenza di usi contrari – a partire dal codice del 1942 (ma anche prima nel Codice Napoleonico del 1804 e nel Codice Civile del 1865) è stato dunque ritenuto vietato in via generale e ammissibile solo al ricorrere di specifiche circostanze: una domanda giudiziale che richieda il pagamento degli interessi “scaduti” e quindi esigibili (“anatocismo giudiziale”) o un accordo consapevolmente voluto e stipulato tra debitore e creditore, purché solo a posteriori (“anatocismo convenzionale”) e, in entrambi i casi, in relazione a interessi dovuti per almeno sei mesi; locuzione che – aderendo ad una lettura forse prevalente ma anche se non certo univoca – andrebbe anche per noi letta non nel senso che «gli interessi debbano essere scaduti da sei mesi ma nel senso che interessi scaduti debbono rappresentare il corrispettivo del godimento di una somma di denaro per almeno sei mesi», così P. Ferro Luzzi,Una nuova fattispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”; postulati e conseguenze, in Giur. comm., 2001, I, 21; D. Sinesio, Interessi pecuniari fra autonomia e controlli, Milano, 1989, 76. Contra V. Farina, L’immediata operatività del (nuovo) divieto di anatocismo, op. cit., 883.

[9] Occorrerebbe cioè arrivare a concludere che per una obbligazione di pagamento di interessi non sia di per sé neppure concettualmente ammissibile una autonoma “scadenza” ed esigibilità, diversa da quella dell’obbligazione di pagamento/restituzione del capitale sottostante a cui accede; tesi che può già ritrovarsi in una risalente dottrina – cfr. G.C. Messa, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1911, 4; V. Vita, voce Interessi, in Nuovo Digesto it., VII, Torino, 1938, 50 – e che equivarrebbe, nella sostanza, a ritenere non più ammissibile nel nostro ordinamento bancario-finanziario qualsiasi meccanismo di capitalizzazione composta degli interessi. Questa è, dunque, l’estrema ma almeno coerente conseguenza a cui infatti si dovrebbe alternativamente arrivare e che, evidentemente, taglierebbe in radice ogni problematica di anatocismo, venendo meno il suo stesso presupposto logico: un’autonoma esigibilità (scadenza) degli interessi. Una interpretazione di tale tesi (in tal senso, D. Maffeis, Il nuovo articolo 120 TUB e la proposta di delibera CICR della Banca d’Italia, op. cit., passim) pur arrivando ad ammettere una legittima “scadenza” e quindi una autonoma “esigibilità” dell’obbligazione da interessi ne sancisce l’improduttività di ulteriori interessi, come deroga legale assoluta all’art. 1282, co. 1, cod. civ.; il creditore potrebbe dunque agire in giudizio per ottenere il pagamento non spontaneamente effettuato dal debitore della sua obbligazione scaduta, ma tale obbligazione, finché non venga azionata – e addirittura anche dopo, in deroga anche all’”anatocismo giudiziale” di cui all’art. 1283 cod. civ., prima parte – non potrà mai produrre ulteriori interessi, con l’effetto che l’interesse (moratorio) verrebbe evidentemente a perdere alcuna funzione di deterrenza rispetto al ritardato pagamento di una obbligazione pecuniaria quale riconosciuta a livello di sistema dagli artt. 1218 e 1224 cod. civ. A tale tesi – una capitalizzazione infruttifera – paiono riferirsi anche A. Quintarelli, Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione; prescrizione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell’onere probatorio e saldo zero, in IL Caso.it, 2015 e Consiglio Nazionale del Notariato, Ufficio Studi, quesito n. 80-2014/C; in senso critico, F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, inRiv. dir. banc., 2014, 8. In giurisprudenza, in particolare, cfr. l’Ordinanza del Tribunale di Biella, 7 luglio 2015.

[10] Si badi a tal riguardo che la Banca d’Italia nella Tavola di resoconto alla consultazione (reperibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/consultazioni/2015/proposta-delibera-cicr/) non ha accolto la proposta di «limitare l’applicazione del periodo di inesigibilità ai soli contratti conclusi con la clientela retail o per mezzo di moduli e formulari che non siano stati oggetti di negoziazione tra le parti»poiché «il tenore della legge non sembra consentire questa limitazione».

[11] V. sopra, nota 9.

[12] E tale scelta dovrebbe rendere ancor più evidente che, per le altre fattispecie non necessitanti questo specifico trattamento, si debba continuare a ritenere pacificamente applicabile la disciplina generale codicistica. Assisteremmo altrimenti al già stigmatizzato paradosso che per la fattispecie che più ha dato adito all’applicazione disinvolta e dubbia di meccanismi anatocistici nel passato viene oggi ridisegnata entro più corretti limiti la facoltà di applicare l’anatocismo, mentre per le fattispecie in cui questo è stato applicato in maniera lineare e sostanzialmente aderente all’art. 1283 cod. civ. vigerebbe oggi un divieto assoluto! Ovviamente la tesi, giova ribadirlo, non pare sostenibile.

[13] Da questo punto di vista l’opzione accolta nella delibera CICR di introdurre una scadenza (almeno) annuale per gli interessi appare in linea con quello che è stato ricostruito sistematicamente (in virtù del richiamo contenuto negli artt. 1284 e 2948, n. 4, cod. civ.) come una regola generale enucleabile nell’ordinamento in base alla quale – in assenza di usi o pattuizioni negoziali che quindi oggi, in questo ambito, non possono più ritenersi ammesse – si applica la scadenza legale misurata su un anno. Cfr. M. Fragali, Del Mutuo. Art. 1815, inComm. Scialoja-Branca,Bologna-Roma, 1966, 357.

[14] A fronte dell’autonoma obbligazione per interessi diventata così annualmente “esigibile” è dunque ammessa la possibilità – ove frutto di una libera determinazione del cliente che deve espressamente autorizzarla – che essa produca a sua volta ulteriori interessi se, ovviamente, non venga regolarmente pagata; ecco dunque riaffacciarsi il fenomeno anatocistico che tuttavia, nella soluzione delineata nella delibera CICR appare, come detto, rispettosa delle opzioni di fondo accolte nell’art. 1283 cod. civ. E infatti, su tale importo divenuto esigibile, non potrà più in alcun modo scattare “in automatico” – in virtù di usi, prassi o modelli negoziali stipulati (imposti) ex ante e quindi, generalmente, nell’inconsapevolezza del cliente – la produzione anatocistica di interessi; affinché tale effetto possa legittimamente prodursi viene oggi richiesta una esplicita “autorizzazione” (e qui anche in via anticipata diversamente dall’art. 1283 cod. civ. ma sempre reversibile) del cliente e quindi una sua autonoma e libera autodeterminazione, recuperandosi così l’originaria funzione che vede in tale meccanismo una possibilità offerta al debitore di fronte alla prospettiva alternativa di dover pagare o di dover subire il recupero per via giudiziaria da parte della banca del suo credito e l’applicazione di interessi di mora. Solo a fronte della citata autorizzazione, dunque, la banca potrà procedere all’”addebito in conto” che, come noto, equivale ad un atto solutorio dell’obbligazione; a questo punto l’art. 4 del testo di delibera CICR si limita a dire che in questo caso, la somma addebitata è considerata sorte capitale (sic!), con locuzione che non può che implicare che su tale importo, cosi “capitalizzato” si produrranno nuovi interessi, come peraltro ben specificato, oltre ogni dubbio, nella Relazione al testo normativo (anatocismo). In assenza di autonomo pagamento del suo debito esigibile di interessi da parte del cliente con mezzi già disponibili in conto, ovvero altre disponibilità anche appositamente canalizzate e in assenza, alternativamente, di tale “autorizzazione”, alla banca non resterà infatti che recedere dal rapporto, chiudere il conto, e azionare la propria pretesa creditoria per capitale e interessi (i quali, in tal caso non potranno produrre altri interessi). Ma non si vede come potrebbe essere altrimenti. In definitiva, il sistema delineato nell’ambito della delibera CICR pare contemperare qui con equilibrio le esigenze del creditore e del debitore, salvaguardando i principi di libera autodeterminazione del debitore sanciti nell’art. 1283 cod. civ., che, come visto, si risolve per quest’ultimo in un elemento di flessibilità consentendogli una rinegoziazione dei termini di esigibilità del suo debito in assenza del quale sarebbe esposto alla rigida alternativa di pagare spontaneamente o vedersi chiamato in giudizio.

[15] In senso conforme pare esprimersi N. Rizzo, L’anatocismo bancario nella giurisprudenza dell’ABF e nella proposta di delibera CICR, in i Contratti, 2016, 578 e V. Farina, La (ennesima) resurrezione dell’anatocismo bancario, in i contratti, 2016, 705, per il quale peraltro la “salvezza” dell’art. 1283 cod. civ. anche in ambito bancario sarebbe sempre stata pacifica; l’utilità della nuova norma sarebbe allora quella di renderlo applicabile anche ai casi “dubbi” di scindibilità delle rate. Per un primo approfondito commento del nuovo testo dell’art. 120 T.U.B., cfr. M. Bascelli-E. Grigò, La nuova regolamentazione dell’anatocismo bancario, in Ventiquattrore Avvocato, 7-8, 2016, 21.

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