Secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, avvalorato dalla pronuncia n. 228/1995 della Corte Costituzionale, “in tema di pagamenti spettanti al fallito, come pure di atti di disposizione, l’inefficacia degli stessi, se effettuati dopo la dichiarazione di fallimento ed a soggetti diversi dalla curatela, è conseguenza automatica dell’indisponibilità del patrimonio del fallito, valevole erga omnes e senza che assuma rilevanza lo stato soggettivo del solvens”.
Ne consegue come non possa farsi valere la buona fede dell’acquirente a fronte della mancata trascrizione della sentenza di fallimento, posto che l’assenza ovvero la ritardata trascrizione non produce quali effetti l’inopponibilità di questa al terzo, finanche in buona fede.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha, pertanto, rigettato il ricorso con il quale i terzi acquirenti deducevano la loro buona fede a fronte della mancata conoscenza della dichiarazione di fallimento in ragione dell’assenza della trascrizione della sentenza.