La Corte di Cassazione, nel provvedimento in commento, ha l’occasione di precisare alcuni profili, anche di tipo sistematico, in merito alla natura della responsabilità del curatore fallimentare e della rilevanza da attribuire all’autorizzazione da parte del giudice delegato.
In particolare la Corte, richiamando a propria giurisprudenza, conferma che “l’azione di responsabilità contro il curatore revocato, prevista dall’art. 38 legge fall., ha natura contrattuale, in considerazione della natura del rapporto (equiparabile lato sensu al mandato) e del suo ricollegarsi alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico dell’organo concorsuale”.
Infatti, secondo la Corte di Cassazione, la responsabilità contrattuale del debitore di una prestazione (nel caso di specie il curatore fallimentare revocato) può aversi non soltanto laddove l’obbligo di eseguire la stessa derivi strettamente da un contratto, ma anche nel caso in cui “essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte”.
Inoltre, nella sentenza in commento la Suprema Corte evidenzia – sotto il profilo sistematico – il parallelismo tra la nuova formulazione dell’art. 38 l.fall., che fa riferimento all’obbligo del curatore di adempiere ai doveri del proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, e il disposto dell’art. 1176, comma 2, c.c., ove è richiamata la medesima nozione di diligenza “qualificata”.
Pertanto, secondo la Corte, “dal curatore si pretende non già un livello medio di attenzione e prudenza, ma la diligenza correlata (anche) alla perizia richiesta dall’incarico professionale, secondo specifici parametri tecnici”, risultando al fine di tale accertamento irrilevante l’autorizzazione da parte del giudice delegato: essa, infatti, è da intendersi come rimozione di un limite giuridico all’azione del curatore e, al più, come fonte di responsabilità dell’organo giudiziale in concorso con il curatore che abbia in concreto posto in essere l’atto.