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Attualità

La natura solutoria delle rimesse di conto corrente dev’essere valutata sulla base del saldo rettificato

27 Maggio 2020

Francesco Autelitano, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

La sentenza della Corte di Cassazione, 19 maggio 2020, n. 9141 (disponibile al link indicato tra i contenuti correlati), chiarisce un punto controverso attinente alla qualificazione dei versamenti eseguiti dal correntista in favore della banca e alla conseguente efficacia solutoria o ripristinatoria degli stessi, aspetto di rilievo in ragione degli effetti che ne derivano in particolare sulla prescrizione dei diritti rivendicati in giudizio.

Nelle controversie aventi ad oggetto la contestazione di addebiti illegittimamente effettuati sul conto corrente (per anatocismo e non solo) il regime della prescrizione costituisce tema di centrale rilevanza pratica.

Basti qui rammentare la giurisprudenza che costituisce il filo conduttore del contenzioso in materia, che ha portato la Corte di Cassazione, dapprima, a stabilire la nullità della capitalizzazione trimestrale (aprendo la via alle pretese restitutorie del correntista) e, poi, a delimitare la disciplina della prescrizione sulla scorta del criterio cardine costituito dalla distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie.

Con la prima pronuncia citata (la notissima sentenza n. 2374 del 16 marzo 1999) la Suprema Corte ha stabilito per la prima volta che la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente della banca è nulla, in quanto contraria alla norma imperativa prevista dall’art. 1283 cod. civ. che sancisce il divieto di anatocismo.

Poiché la capitalizzazione degli interessi ha costituito da sempre un uso radicato nella prassi bancaria, il citato revirement ha immediatamente dischiuso la via a un enorme ambito applicativo rappresentato da rapporti bancari sorti in tempi lontani, proseguiti negli anni e nei decenni, con reiterazione delle clausole poi giudicate illegittime, rapporti nei quali si sono stratificati gli effetti economico-finanziari delle clausole stesse.

Il principio enunciato dalla Suprema Corte, dunque, oltre che ai rapporti futuri, si è immediatamente rivolto al passato anche remoto.

La ricostruzione storica dei rapporti bancari e le rettifiche volte a neutralizzare gli effetti di clausole invalide, possono risalire, concettualmente, anche alle origini più antiche.

Il diritto pone però il limite della prescrizione (oltre ai limiti che pone la pratica, legati alla ricerca dei documenti su cui basare le operazioni tecniche e le prove).

Da qui l’accesa disputa – una tra le molteplici nella complessa materia – inerente al dies a quo della prescrizione dei diritti azionati dal cliente nei confronti della banca per la restituzione delle somme illegittimamente addebitate.

Secondo una tesi, il termine di prescrizione sarebbe da correlarsi alla data dei singoli addebiti sul conto corrente, sicché sarebbero prescritte le pretese restitutorie inerenti agli addebiti avvenuti più di dieci anni prima dell’interruzione della prescrizione.

La contraria tesi, fondata sull’unitarietà del rapporto di conto corrente nel quale confluiscono i movimenti di dare e avere, sostiene che la data rilevante per la prescrizione è solo quella di chiusura del conto: pertanto la citazione può risalire a tutti gli addebiti anche remoti purchè il conto corrente non sia stato chiuso da più di dieci anni.

E’ quindi giunta la seconda pronuncia di legittimità cui si è accennato, tramite la quale è stata introdotta la distinzione (che ha assunto di lì in poi rilievo basilare) tra versamenti fatti nei limiti dell’affidamento e versamenti eseguiti senza fido o oltre il limite; e, correlativamente, tra rimesse ripristinatorie e rimesse solutorie (Cass. Sezioni Unite, 2 dicembre 2010, n. 24418).

Le Sezioni Unite hanno posto in luce il fatto che il correntista, allorché effettua un versamento nei limiti dell’affidamento concessogli, non esegue un pagamento in senso giuridico, ma si limita a ripristinare la disponibilità della linea: in tal caso il versamento ha natura ripristinatoria. Esso rileva ai fini del ricalcolo complessivo del rapporto inter partes, che può alla fine generare un saldo a credito del cliente. Tale credito è soggetto a prescrizione decennale decorrente dal momento in cui si estingue il rapporto di conto corrente stesso.

Diverso è il caso in cui il versamento venga eseguito senza affidamento o oltre i limiti concessi, poiché qui il correntista – proseguono le Sezioni Unite – esegue un pagamento effettivo a beneficio della banca, con una rimessa di natura solutoria. Se tale pagamento è indebito (in quanto basato su clausola contrattuale nulla) il diritto alla ripetizione a favore del solvens, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., si prescrive in dieci anni a decorrere da ciascun singolo versamento avente natura solutoria.

Questo è il contesto, sommariamente ricordato, nel quale si inserisce la sentenza n. 9141/2020.

Nel caso di specie il correntista ha convenuto in giudizio la banca lamentando addebiti illegittimi derivanti da capitalizzazione trimestrale degli interessi, dal rinvio al tasso c.d. uso piazza, dalla commissione di massimo scoperto. La consulenza tecnica svoltasi in corso di giudizio ha operato la rettifica dei saldi di conto corrente evidenziando un credito del correntista. La banca ha, tra l’altro, eccepito la prescrizione dei diritti del cliente. L’eccezione è stata svolta richiamando il principio espresso da Cass. n. 24418/2010, con riferimento a tutte le rimesse solutorie risalenti a più di dieci anni dall’atto interruttivo di prescrizione.

La peculiarità dell’eccezione di prescrizione svolta risiede nel fatto che essa si fonda sull’argomento secondo cui sarebbero rimesse solutorie tutte quelle che risultavano extra fido nel momento in cui sono avvenute, sulla scorta dell’andamento del rapporto pro tempore vigente.

I giudici della Corte d’appello, prima, e la Corte di Cassazione, poi, hanno disatteso l’eccezione di prescrizione e le argomentazioni svolte a supporto della stessa, giudicando che costituiscono rimesse solutorie solo quelle che risultino extra fido dopo aver compiuto il conteggio volto ad eliminare gli addebiti illegittimi e dopo essere così giunti alla rettifica dei saldi.

Sono evidenti le ricadute pratiche delle due diverse opzioni, quella sostenuta in giudizio dalla banca e quella accolta dalla Corte di legittimità.

La prima opzione interpretativa, considerando tutti gli addebiti (inclusi quelli poi giudicati illegittimi) comporta che gli sconfinamenti siano più numerosi rispetto a quelli riscontrabili dopo aver rettificato i saldi depurandoli dagli addebiti illegittimi.

Di conseguenza sarebbero più numerose anche le rimesse solutorie, suscettibili di prescrizione decennale, decorrente dal momento in cui sono state fatte (anziché dalla data di chiusura dei rapporti).

L’adozione della citata interpretazione, peraltro, non inficerebbe il saldo finale ricostruito in conformità alle norme applicabili ma aumenterebbe il numero di versamenti coperti da prescrizione.

Perciò il credito azionato rimarrebbe di per sé immutato essendo comunque rappresentato dal conto rettificato che, in ipotesi, dia luogo a un saldo attivo.

Tuttavia la pretesa creditoria, seguendo la descritta tesi, subirebbe la falcidia della prescrizione per tutte quelle operazioni compiute ab origine extra fido.

Di contrario avviso, come detto, è la sentenza Cass. n. 9141/2020, la quale ha giudicato che, per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento.

La sentenza, oltre a chiarire nei termini illustrati la questione di diritto, offre indicazioni di notevole rilevanza pratica.

Il principio espresso implica la necessità di svolgere l’analisi dei rapporti pregressi e il compimento di opportune operazioni tecnico-contabili di rettifica dei saldi di conto corrente progressivamente verificatisi nella storia dei rapporti intercorsi tra banca e cliente.

Il risultato delle rettifiche consente di vedere, accanto all’andamento dei conti così come è storicamente avvenuto, anche il medesimo andamento dei conti come avrebbe dovuto avvenire secondo diritto.

Accanto alla realtà storica si pone la realtà giuridica.

Il metodo della fictio iuris riconosce prevalenza a quest’ultima e le conferisce la dignità di unica realtà riconosciuta dalla legge.

La Suprema Corte, affermando che i versamenti su conto corrente sono extra fido solo se tali risultano dopo le rettifiche imposte dalle norme di diritto, ha dato continuità al brocardo fictio iuris idem operatur, quod veritas.

L’insegnamento giurisprudenziale illustrato può e deve costituire il parametro per le parti litiganti: sia banca che correntista, nell’affrontare la controversia, è bene che istruiscano la pratica indirizzando opportunamente l’analisi dei documenti e le operazioni tecniche in modo da avere evidenza – oltre che del saldo rettificato e del relativo rapporto di debito/credito – anche delle date di effettuazione dei versamenti con efficacia solutoria anziché ripristinatoria.

Al predetto scopo, dunque, non andrebbero considerati coperti da prescrizione i movimenti i quali, sebbene originariamente extra fido, sono destinati ad essere riclassificati, in virtù dei criteri poc’anzi richiamati.

Inoltre, nei casi non infrequenti di carenza di documentazione inerente al fido all’epoca vigente, non andrebbero utilizzati criteri presuntivi quali quello basato sul tasso applicato dalla banca, risultante dagli estratti conto (criterio per il quale, se l’estratto conto evidenzia che era stato applicato il tasso per operazioni eseguite nei limiti dell’affidamento, allora andrebbe presunto che in quell’epoca vi fosse il fido; e viceversa). Difatti, se anche risultasse che la banca ha considerato la rimessa extra fido (applicando il relativo tasso di interessi) ciò non significa che tale rimessa sia extra fido anche nella realtà giuridica.

Tutto ciò consentirebbe altresì di misurare correttamente e preliminarmente il rispettivo rischio di causa, con l’ulteriore conseguenza che, applicando entrambe le parti i dovuti criteri legali e tecnici, si potrebbe in molti casi evitare il contenzioso favorendo soluzioni stragiudiziali in definitiva più efficienti, per tutti i contendenti, anche dal punto di vista economico.

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