“Il riconoscimento [della natura strumentale] del bene presuppone la prova da parte del contribuente della funzione strumentale del bene medesimo in rapporto all’attività dell’azienda anche nel caso in cui si alleghi la natura strumentale dell’immobile in ragione delle sue caratteristiche, non potendosi ritenere sussistente una categoria di beni la cui strumentalità è in re ipsa e rilevando tale circostanza solo ai fini di non richiedere l’utilizzo diretto del bene da parte dell’azienda.”
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 3249/2020.
La vicenda scaturiva dall’impugnazione del diniego di rimborso di un credito Iva relativo al 2009, esposto quale eccedenza nella dichiarazione annuale del contribuente, e relativo all’imposta derivante dall’acquisto di tre immobili quali beni ammortizzabili, concessi poi in locazione ad altre società consociate.
Il detto diniego era stato giustificato dall’Amministrazione finanziaria in ragione della ritenuta assenza del requisito della ammortizzabilità dei beni immobili locati alle consociate, poiché, peraltro, la locazione costituiva attività sociale principale del contribuente e non poteva ritenersi dimostrato il nesso di strumentalità.
I cespiti erano ritenuti, invece, ammortizzabili dai giudici di primo e secondo grado, aditi dal contribuente, in virtù della semplice presenza di due elementi: la categoria catastale dei beni immobili e la loro annotazione nel libro cespiti.
Di diverso avviso è stata la Corte di Cassazione che, dopo aver ribadito i caratteri dei beni strumentali ([…] beni che hanno, quale unica destinazione, quella di essere direttamente impiegati nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, così da non essere idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti) ha precisato che, ai fini della loro qualificazione, non è sufficiente una valutazione in astratto ma è necessario verificare, caso per caso, l’esistenza di una relazione tra l’utilizzo del bene e la specifica attività economica esercitata dall’impresa.
Non essendo stata la predetta valutazione compiutamente espletata dal giudice d’appello, la Corte, in accoglimento dei motivi dell’Agenzia delle Entrate, rinviava alla CTR la causa.