L’art. 1815, secondo comma, c.c., laddove dispone che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” ha come chiave di lettura proprio la congiunzione “e”, che unisce nullità della clausola e non debenza di interessi, dal che razionalmente si deduce che gli interessi non dovuti sono quelli previsti nella clausola nulla. Circoscrivendo a quel che si definisce “la clausola”, il legislatore non ha investito tutto il negozio, bensì ha dettato una nullità parziale e, immediatamente, ne ha determinato gli effetti in termini pieni e realmente sanzionatori:, facendo cadere tutti gli interessi che la clausola risultata nulla regolava.
La pattuizione di interessi con un saggio superiore al tasso soglia non costituisce, di per sé, reato, dal momento che coincide esclusivamente con l’elemento oggettivo della fattispecie criminosa. L’art. 644 c.p., prevede un delitto doloso, il quale è costituito anche dallo specifico elemento soggettivo. La clausola nulla ex art. 1815 c.c., comma 2, si pone su un piano diverso, a nulla rilevando l’esistenza o meno di un dolo sotteso alla formazione della volontà di stipulare detta clausola. Nell’applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, non si è di fronte a un “usuraio” né ad una “vittima del reato”, bensì, soltanto, ad una nullità per violazione di norma imperativa.
L’art. 1815, comma 2, c.c. detta una nullità parziale che investe della sanzione civile solo il focolaio di illegittimità – la clausola degli interessi usurari -, e non l’intera conformazione dell’accordo negoziale. E dunque il negozio “resta in piedi”, conservando il suo nerbo di onerosità: cade la debenza esclusivamente degli interessi regolati dalla clausola nulla, il che significa che possono essere non dovuti gli interessi corrispettivi se la clausola nulla li riguarda, e che possono essere non dovuti quelli moratori se la clausola nulla riguarda loro. La sanzione non contagia le clausole legittime.