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La nuova direttiva UE su trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere

7 Febbraio 2020

Avv. Andrea Aiello, partner, Avv. Caterina Pistocchi, associate, Dipartimento Societario, Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

In data 12 dicembre 2019 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale europea la direttiva (UE) 2019/2121 del 27 novembre 2019 (la “Direttiva”) avente per oggetto le trasformazioni, le fusioni e le scissioni transfrontaliere.

La Direttiva apporta modifiche alla direttiva (UE) 2017/1132 che disciplinava le fusioni transfrontaliere delle società di capitali e regolamenta anche le operazioni di trasformazione e scissione transfrontaliere, mai state oggetto di una specifica regolamentazione, nel solco di promuovere la crescita economica attraverso una maggiore armonizzazione della disciplina applicabile alle imprese che intendano perseguire la mobilità nel contesto europeo. Conseguentemente, la Direttiva ha introdotto una disciplina organica e completa di tutte le operazioni straordinarie transfrontaliere, comprese le trasformazioni e scissioni, ponendo fine alle incertezze applicative riscontrate nella prassi in virtù di una regolazione non organica di tali materie.

Si precisa che la Direttiva prevede che gli Stati membri si conformino alle disposizioni in essa contenute entro il 31 gennaio 2023.

2. Finalità della Direttiva

L’obiettivo principale perseguito dal legislatore europeo attraverso la Direttiva è quello di favorire la mobilità transfrontaliera delle imprese offrendo strumenti normativi predefiniti per riorganizzare l’assetto societario e migliorare l’allocazione del capitale e dei fattori produttivi.

Oltre a consentire la crescita e il consolidamento a livello transnazionale delle imprese, la Direttiva consente un più ampio esercizio della libertà di stabilimento che rappresenta, come noto, uno dei principi cardine del diritto dell’Unione, in conformità a quanto disposto, rispettivamente, dagli artt. 49, comma 2 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il tutto nel pieno rispetto del principio di tutela dei lavoratori, dei creditori e dei soci ([1]).

In proposito, la Direttiva medesima (al considerando n. 2) cita l’orientamento interpretativo consolidato della Corte di giustizia dell’Unione europea in merito alla mobilità delle imprese secondo cui, pur in assenza di una normativa applicabile armonizzata e di altre norme di diritto derivato che definiscano regole per le operazioni transfrontaliere, vige il principio di libertà di stabilimento ([2]). Tale orientamento, in principio condivisibile e fatto proprio anche dal legislatore in sede di approvazione della Direttiva, ha tuttavia prestato il fianco ad atteggiamenti opportunistici che hanno comportato conseguenze patologiche che, ad oggi, la Direttiva si pone l’obiettivo di evitare. In sintesi, il riferimento è agli scandali fiscali degli ultimi anni che hanno mostrato come talune imprese abbiano eseguito operazioni cross-border – ad esempio costituendo società controllate in determinati Stati membri senza che tali società effettivamente svolgessero un’attività economica in loco – per scopi abusivi, fraudolenti o criminali, ad esempio al solo fine di eludere o di aggirare la legislazione fiscale nazionale.

In proposito, la Direttiva prevede (ai considerando nn. 35 e 36) che qualora, in sede di controllo della legalità di un’operazione transfrontaliera, l’autorità competente venga a conoscenza del fatto che l’operazione transfrontaliera è stata effettuata per scopi abusivi o fraudolenti, detta autorità non dovrebbe rilasciare il certificato preliminare.

3. Le fusioni

A differenza delle trasformazionie scissioni transfrontaliere, la disciplina delle fusioni è stata oggetto di numerosi studi e interventi anche da parte del legislatore europeo sin dagli anni sessanta. In particolare, nel 2005, il legislatore comunitario ha emanato la cosiddetta decima direttiva(direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005) recante la disciplina delle fusioni transfrontaliere tra società di capitali, sostituita, successivamente, dalla direttiva 2017/1132 (che riporta, inter alia, integralmente la disciplina esposta nella direttiva del 2005) attraverso la quale si è proceduto ad un’attività di sistematizzazione della normativa comunitaria in materia di diritto societario ([3]).

La disciplina delle fusioni transfrontaliere intracomunitarie trova applicazione ad operazioni di fusione che coinvolgono una o più società di capitali ([4]) aventi sede in differenti Stati membri dell’Unione Europea.

Ciò posto, con riferimento agli aspetti più propriamente procedurali, si noti come a fronte della diversità negli ordinamenti nazionali delle società che potrebbero prendere parte ad un’operazione di fusione cross-border, il legislatore abbia previsto una separazione tra la fase preparatoria e decisionale della fusione e la fase esecutiva e di verifica del perfezionamento della fusione.

La prima fase, regolata dalla normativa nazionale di ciascuna delle società partecipanti alla fusione, si articola nella predisposizione e pubblicazione di:

  • un progetto comune di fusione transfrontaliera ([5]);
  • le relazioni illustrative dell’organo amministrativo ai soci e ai dipendenti. La Direttiva ha introdotto una disciplina maggiormente dettagliata in merito alla relazione dell’organo amministrativo prevedendo che essa illustri e giustifichi, anche da un punto di vista economico, l’operazione di fusione e che sia articolata in due distinte sezioni destinate, rispettivamente, ai soci e ai dipendenti, ferma restando la possibilità per la società di elaborare due relazioni separate contenenti la sezione pertinente. La sezione della relazione per i soci non è obbligatoria se tutti i soci hanno concordato di rinunciarvi.

Il progetto di scissione viene, poi, esaminato da un esperto indipendente che elabora una propria relazione destinata ai soci ed avente ad oggetto le valutazioni in merito all’adeguatezza della liquidazione in denaro e del rapporto di cambio e viene sottoposto all’approvazione dell’assemblea dei soci. Il legislatore europeo si preoccupa di sottolineare l’opportunità che, ai fini dell’indipendenza dell’esperto, gli Stati membri (i) tengano conto dei requisiti di cui agli articoli 22 e 22-ter della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, (ii) stabiliscano norme che disciplinino la responsabilità civile dell’esperto indipendente e (iii) dispongano norme volte a garantire che l’esperto sia indipendente e non abbia conflitti di interesse con la società e che il parere dell’esperto sia imparziale e obiettivo.

Successivamente, le società partecipanti alla fusione sono tenute a presentare la domanda di certificato preliminare all’autorità nazionale competente trasmettendo il progetto di fusione, le relazioni illustrative, la relazione dell’esperto, nonché le informazioni in merito all’approvazione dell’operazione da parte dell’assemblea. Il controllo dell’autorità competente avviene entro tre mesi dalla data di ricevimento della documentazione e della notizia di approvazione da parte dell’assemblea della fusione (tale termine può essere prorogato di ulteriori tre mesi ove vi sia esigenza di acquisire ulteriori elementi informativi) e sfocia in uno dei seguenti esiti: (a) l’autorità competente rilascia il certificato preliminare alla fusione; (b) l’autorità competente non rilascia il certificato preliminare alla fusione, informando la società dei motivi della decisione assunta, ove la fusione transfrontaliera non soddisfa tutte le condizioni applicabili o non sono state espletate tutte le procedure e le formalità necessarie. In tal caso, l’autorità competente può dare alla società l’opportunità di soddisfare le condizioni applicabili o di espletare le procedure e formalità entro un lasso di tempo adeguato.

Per quanto riguarda la seconda fase (esecutiva e di verifica), la disciplina è assoggettata alla legislazione nazionale dello Stato membro della società incorporante. In particolare, l’autorità nazionale competente è tenuta al controllo di legalità della fusione transfrontaliera.

Con la Direttiva, inoltre, il legislatore europeo ha affrontato e regolato le carenze che erano state osservate nell’applicazione della normativa precedente, prevedendo un rafforzamento, attraverso norme ad hoc, della tutela offerta ai creditori, ai soci e ai dipendenti. Tale rafforzamento trova applicazione anche nelle operazioni di scissione e trasformazione transfrontaliera. Si precisa che con riferimento alla tutela dei dipendenti, come anticipato, è stato previsto l’obbligo dell’organo amministrativo di predisporre una relazione ad hoc finalizzata a illustrare le implicazioni della fusione per l’attività futura della società e per la salvaguardia dei rapporti di lavoro, le eventuali modifiche rilevanti delle condizioni d’impiego e dell’ubicazione delle sedi di attività.

In primo luogo, è previsto che gli Stati membri provvedano a che, nelle società partecipanti alla fusione, sia garantito (quanto meno) ai soci che abbiano votato contro l’approvazione del progetto comune di fusione il diritto di alienare la propria partecipazione, offrendogli un congruo corrispettivo in denaro.

La congruità della liquidazione in denaro è assoggettata alla verifica dell’esperto indipendente il quale prenderà in considerazione il prezzo di mercato delle azioni delle società che partecipano alla fusione prima dell’annuncio della proposta di fusione o il valore delle società, prescindendo dall’effetto della fusione proposta, calcolato secondo metodi di valutazione generalmente riconosciuti.

Si tratta di un elemento certamente innovativo nella disciplina delle operazioni cross-border che era del tutto assente nel precedente quadro normativo e che potrebbe essere assimilata nel contesto domestico, stante la sostanziale coincidenza della ratio sottostante, al diritto di vendita di cui all’art. 2506-bis, comma 4, c.c. previsto per le scissioni non proporzionali, a mente del quale «il progetto (…) deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso, indicando coloro a cui carico è posto l’obbligo di acquisto». Di talché, al fine dell’esercizio del diritto di alienazione di cui all’art. 126-bis della Direttiva, potrebbero trovare applicazione le norme previste dall’art. 2506-bis, comma 4, c.c. e dall’art. 2437 e ss. c.c. ([6]).

Per assicurare ai creditori sociali maggiore protezione in caso di fusione transfrontaliera, la Direttiva prevede la possibilità per gli Stati membri di esigere che l’organo amministrativo delle società che partecipano alla fusione fornisca una dichiarazione che rifletta accuratamente la situazione finanziaria della società, ad una data non anteriore ad un mese rispetto alla pubblicazione della dichiarazione. Nella dichiarazione detto organo afferma che a sua conoscenza, viste le informazioni di cui dispone alla data della dichiarazione ed effettuate indagini ragionevoli, nulla indica che la società derivante dalla fusione possa non essere in grado di rispondere delle proprie obbligazioni alla scadenza.

4. Le trasformazioni

La possibilità di effettuare operazioni di trasformazione transfrontaliera rappresenta un’indubbia novità per le società che intendono espandersi in altri Stati membri, tenuto conto che, sino ad oggi, mancava completamente un quadro normativo certo che regolasse la materia a livello nazionale ed europeo, seppure fosse pacificamente riconosciuta (anche alla luce di un consolidato orientamento della Corte di Giustizia ([7])) la possibilità di trasferire la sede sociale in un altro stato europeo, con conseguente assoggettamento della società alla legge applicabile nel paese di destinazione, secondo le regole generali del diritto internazionale privato ([8]).

In proposito, si noti come nella prassi si sia spesso fatto ricorso a operazioni di fusione finalizzate a trasferire la sede sociale all’estero, attraverso fusioni per incorporazione di società (ad es. italiana) in altra, appositamente costituita nello stato europeo di destinazione e posseduta interamente dalla prima, in modo da beneficiare di un quadro normativo certo.

La peculiarità di tale operazione societaria, come noto, consiste nel poter conservare la personalità giuridica della società mediante la trasformazione in altra forma societaria prevista dall’ordinamento giuridico di destinazione, senza tuttavia procedere al preventivo scioglimento della società preesistente, né a differenti operazioni straordinarie finalizzate a scopi diversi (i.e., la fusione).

Con la proposta di Direttiva, il legislatore comunitario mira a consentire alle imprese, mediante la predisposizione di una procedura specifica, di effettuare trasformazioni transfrontaliere in virtù della modifica della propria forma giuridica del diritto di uno Stato membro in una forma giuridica analoga di un altro Stato membro senza sciogliersi e ricostituirsi a tal fine, tenendo conto anche della fattispecie in cui tale trasformazione possa costituire un abuso di diritto. Allo stesso tempo, la proposta prevede anche regole articolate per proteggere i vari portatori di interessi in maniera proporzionata e adeguata.

La Direttiva definisce la trasformazione transfrontaliera “l’operazione mediante la quale una società, senza essere sciolta né sottoposta a liquidazione, pur conservando la propria personalità giuridica, muta il tipo in cui è iscritta nello Stato membro di partenza in uno dei tipi di società elencati nell’allegato II previsti per le società nello Stato membro di destinazione, nel quale si trasferisce almeno la sede sociale”.

Si noti come a livello procedurale la trasformazione segue le medesime regole previste per le fusioni cross-border, al pari di quanto accade per le scissioni.

Pertanto, il primo elemento della procedura consiste nella definizione del progetto di trasformazione transfrontaliera, della relazione sugli aspetti giuridici ed economici della trasformazione destinata ai soci e ai dipendenti e della relazione dell’esperto indipendente.

Il progetto viene poi approvato dall’assemblea dei soci e, successivamente, l’autorità nazionale competente dello Stato membro di “partenza” viene chiamata ad esaminare i documenti per il rilascio del certificato preliminare alla trasformazione, che verrà poi trasmesso all’autorità competente dello Stato membro di “destinazione” per il controllo di legalità sull’operazione. Infine, in assenza di obiezioni da parte dello Stato membro di destinazione, la società verrà iscritta nel registro e cancellata dal registro dello Stato membro di partenza, acquistando efficacia la trasformazione.

5. Le scissioni

La libertà di effettuare scissioni transfrontaliere (freedom to divide) rappresenta un’ulteriore estrinsecazione della libertà di stabilimento. Tuttavia, l’assenza di una specifica regolamentazione in materia ha reso particolarmente difficile una sua applicazione concreta, tant’è che nella prassi si assiste spesso ad operazioni articolate in più fasi volte a perseguire il medesimo obiettivo delle scissioni transfrontaliere (ad es. attraverso la costituzione di una società estera interamente controllata con il successivo conferimento di attività, ovvero una scissione domestica seguita dal trasferimento della sede all’estero).

Inoltre, si rappresenta come nell’ordinamento domestico diversi autori si siano interrogati circa l’applicabilità delle norme in materia di fusioni transfrontaliere anche alle operazioni di scissione transfrontaliera, ma non vi è unanimità di vedute.

La Direttiva, pertanto, apporta un’importante novità nel mondo delle operazioni straordinarie cross-border, provvedendo ad una regolazione specifica della scissione.

Ai fini della Direttiva, per scissione si intende l’operazione che produce uno dei seguenti effetti: a) all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la società scissa trasferisce a due o più società beneficiarie l’intero patrimonio attivo e passivo in cambio dell’attribuzione di titoli o quote delle società beneficiarie ai soci della società scissa e, se applicabile, di un conguaglio in denaro non superiore al 10% del valore nominale ovvero, in mancanza di valore nominale, non superiore al 10% della parità contabile di tali titoli o quote (“scissione totale”); b) la società scissa trasferisce a una o più società beneficiarie parte del proprio patrimonio attivo e passivo in cambio dell’attribuzione ai propri soci di titoli o quote delle società beneficiarie, della società scissa o sia delle une sia dell’altra e, se applicabile, di un conguaglio in denaro non superiore al 10% del valore nominale ovvero in mancanza di valore nominale, non superiore al 10% della parità contabile di tali titoli o quote (“scissione parziale”); oppure c) la società scissa trasferisce a una o più società beneficiarie parte del patrimonio attivo e passivo in cambio dell’attribuzione di titoli o quote delle società beneficiarie alla società scissa (“scissione per scorporo”).

Si precisa, in ogni caso, che la scissione regolata dalla Direttiva riguarda unicamente le scissioni in favore di società beneficiarie di nuova costituzione e, volutamente, non prevede regole per le scissioni mediante incorporazione, ossia la fattispecie in cui una società trasferisce attività e passività a società preesistenti.

La procedura della scissione cross-border è analoga a quella prevista in materia di fusione e trasformazione transfrontaliere; pertanto, la prima fase si articola nella redazione di un progetto di scissione e della relazione illustrativa per i soci e i dipendenti. Il progetto di scissione viene, poi, esaminato da un esperto indipendente che elabora una propria relazione destinata ai soci avente ad oggetto le valutazioni in merito all’adeguatezza della liquidazione in denaro e del rapporto di cambio.

Successivamente, i documenti esaminati devono essere pubblicati prima dell’approvazione da parte dell’assemblea dei soci della società scissa.

Anche per la scissione transfrontaliera, documento necessario è il certificato preliminare alla scissione. Il controllo dell’autorità competente avviene entro tre mesi dalla data di ricevimento della documentazione e della notizia di approvazione da parte dell’assemblea della scissione (tale termine può essere prorogato di ulteriori tre mesi ove vi sia esigenza di acquisire ulteriori elementi informativi) e sfocia in uno dei seguenti esiti: (a) l’autorità competente rilascia il certificato preliminare alla scissione; b) l’autorità competente non rilascia il certificato preliminare alla scissione, informando la società dei motivi della decisione assunta, ove la scissione transfrontaliera non soddisfa tutte le condizioni applicabili o non sono state espletate tutte le procedure e le formalità necessarie. In tal caso, l’autorità competente può dare alla società l’opportunità di soddisfare le condizioni applicabili o di espletare le procedure e formalità entro un lasso di tempo adeguato.

In ogni caso, è previsto che l’autorità competente non rilasci il certificato preliminare alla scissione qualora, in conformità del diritto nazionale, la scissione transfrontaliera è effettuata per scopi abusivi o fraudolenti, comportando la o essendo diretta all’evasione del diritto dell’Unione o nazionale, o all’elusione degli stessi, ovvero, per scopi criminali.

Quanto al controllo di legittimità della scissione transfrontaliera, la Direttiva stabilisce che gli Stati membri designano l’organo giurisdizionale, il notaio o altra autorità competente deputata a controllare la legalità della scissione transfrontaliera per la parte della relativa procedura di realizzazione disciplinata dal diritto degli Stati membri delle società beneficiarie e ad approvare la scissione transfrontaliera. Tale autorità si accerta, in particolare, che le società beneficiarie rispettino le disposizioni del diritto nazionale relative alla costituzione e all’iscrizione delle società nel registro delle imprese.

È inoltre previsto che il diritto dello Stato membro della società scissa stabilisca la data a decorrere dalla quale la scissione transfrontaliera acquisti efficacia (in ogni caso, successivamente al completamento della fase di controllo di legalità della scissione).

6. Sintetiche conclusioni

Il quadro normativo dianzi delineato mostra come l’Unione europea abbia compiuto, con la Direttiva, un ulteriore e importante passo in avanti verso l’adozione di norme comuni a tutti gli Stati membri che potranno agevolare la mobilità transfrontaliera delle imprese nel contesto europeo.

L’introduzione di procedure complete e armonizzate per l’implementazione di operazioni di trasformazione, scissione e fusione transfrontaliere per le società di capitali consentirà a queste ultime di (i) beneficiare dei vantaggi di un mercato unico dei capitali e, allo stesso tempo, (ii) garantire una tutela uniforme agli azionisti, ai dipendenti e ai creditori della società interessata dall’operazione.

Si tratta, pertanto, di un importante tassello per la creazione di un’architettura di vertice dell’ordinamento societario europeo e per favorire una migliore allocazione del capitale e dei fattori produttivi all’interno dell’Unione europea.

 


[1] In particolare, si osservi come la Corte di Giustizia, nella sentenza del 13 dicembre 2005, SEVIC Systems AG, causa C-411/03, abbia ritenuto che “le operazioni di fusione transfrontaliere, al pari delle altre operazioni di trasformazione di società, rispondono alle esigenze di cooperazione e di raggruppamento di società stabilite in Stati membri differenti. Esse costituiscono modalità particolari di esercizio della libertà di stabilimento, importanti per il buon funzionamento del mercato interno, e rientrano pertanto tra le attività economiche per le quali gli Stati membri sono tenuti al rispetto della libertà di stabilimento”.

[2] Il riferimento è alle sentenze Daily Mail e General Trust plc (C-81/87), Centros (C-212/91), Überseering (C-208/00), Inspire Art (C-167/01), Cadburry Schweppes (C-196/04), Sevic (C-411/03), Cartesio (C-201/06), VALE (C-210/06), National Grid Indus (C-371/10).

[3] Con la direttiva 2017/1132 sono state abrogate le direttive n. 82/891/CEE, n. 89/666/CEE, n. 2005/56/CE, n. 2009/101/CE, n. 2011/35/UE e n. 2012/30/UE.

[4] Con riferimento al tipo societario, il legislatore lascia poco spazio all’interpretazione del termine “società di capitali”, fornendo all’Allegato II della direttiva 2017/1132 un elenco completo dei tipi societari interessati per ciascun ordinamento giuridico dell’Unione europea. In particolare, per l’Italia sono considerate società di capitali: le società per azioni, le società in accomandita per azioni e le società a responsabilità limitata.

[5] Il progetto di fusione contiene, inter alia, i seguenti elementi: (a) per ciascuna delle società che partecipano alla fusione, il loro tipo, denominazione e l’ubicazione della loro sede sociale, nonché il tipo e la denominazione proposti per la società risultante dalla fusione transfrontaliera e l’ubicazione della sede sociale proposta, (b) il rapporto di cambio dei titoli o delle quote rappresentative del capitale sociale e l’importo dell’eventuale conguaglio in denaro, se previsto, (c) le modalità di assegnazione dei titoli o delle quote rappresentativi del capitale sociale della società derivante dalla fusione transfrontaliera; (d) le probabili ripercussioni della fusione transfrontaliera sull’occupazione; (e) la data a decorrere dalla quale tali titoli o quote rappresentativi del capitale sociale danno diritto alla partecipazione agli utili, nonché ogni modalità particolare relativa a tale diritto; (f) la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società che partecipano alla fusione si considerano, dal punto di vista contabile, compiute per conto della società derivante dalla fusione transfrontaliera; g) i diritti accordati dalla società derivante dalla fusione transfrontaliera ai soci titolari di diritti speciali o ai possessori di titoli diversi dalle quote rappresentative del capitale sociale o le misure proposte nei loro confronti.

[6] Alla luce dell’omogeneità sostanziale tra il diritto di recesso e il diritto di vendita, in dottrina, si ritiene chei due istituti perseguano lo stesso obiettivo (appunto, quello di consentire l’exit del socio “scontento”) e appaiano, pertanto, giuridicamente fungibili; ne consegue che si è ritenuto che il corrispettivo offerto ai soci che esercitano il diritto di vendita, nonché il termine per l’esercizio del diritto di vendita di cui all’art. 2506-bis, comma 4, c.c. viene “determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso. Cfr., G. Scognamiglio, Le Scissioni, in Trattato delle società per azioni, (diretto da) G.E. Colombo – G.B. Portale, vol. 7** 2, Torino, 2004, pag. 182.

[7] Ci si riferisce alla sentenza della Corte di Giustizia del 25/10/2017, Polbud, causa C-106/16.

[8] Si v. per un inquadramento generale della fattispecie, D. Boggiali e A. Ruotolo, Il trasferimento della sede sociale all’estero e la trasformazione internazionale, Studio n. 283/2015/I del Consiglio Nazionale del Notariato.

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