L’argomento esaminato dalla Risoluzione n. 61/E dell’8 agosto 2018 emanata dall’Agenzia delle Entrate riguarda il regime IVA del servizio di ricerca in materia di investimenti (cfr. contenuti correlati).
Un’Associazione ha infatti presentato richiesta di consulenza giuridica concernente l’interpretazione dell’art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972 con specifico riferimento al servizio di ricerca in materia di investimenti, a seguito delle modifiche normative introdotte a decorrere dal 3 gennaio 2018 dalla Direttiva delegata 2017/593/UE, integrativa della Direttiva 2014/65/UE (i.e. Direttiva MIFID II) relativamente alle condizioni di ricevibilità del servizio di ricerca in materia di investimenti reso dai negoziatori agli intermediari che svolgono il servizio di gestione individuale di portafogli.
Nello specifico l’Associazione istante chiedeva di conoscere se, a seguito del mutato quadro normativo, il servizio di ricerca in materia di investimenti reso ai gestori individuali di portafogli possa continuare a beneficiare del regime di esenzione.
Dal punto di vista normativo, prima delle modifiche introdotte dalla Direttiva delegata 2017/593/UE, il servizio di ricerca in materia di investimenti non aveva un’autonoma rilevanza economica rispetto al servizio di esecuzione di ordini fornito dai negoziatori ai gestori individuali di portafogli, in quanto la remunerazione imputabile alla ricerca era compresa nell’unica commissione di negoziazione pagata al negoziatore.
A decorrere dal 3 gennaio 2018 la Direttiva delegata 2017/593/UE ha introdotto rilevanti modifiche normative alle condizioni di ricevibilità del servizio di ricerca in materia di investimenti reso dai negoziatori agli intermediari che svolgono il servizio di gestione individuale di portafogli, al fine di garantire una maggiore trasparenza nei rapporti tra gestore e clienti/investitori.
Più esattamente, l’art. 13 della Direttiva citata prevede che il servizio di ricerca in materia di investimenti, così come definito dall’art. 36 del Regolamento delegato UE 2017/565 (integrativo della Direttiva MIFID II), non sia considerato “incentivo” ai sensi dell’art. 11 della medesima Direttiva e, dunque, possa essere ricevuto da una gestione individuale qualora sia remunerato direttamente dal gestore mediante risorse proprie oppure imputando il costo del servizio ad un conto di pagamento aperto ad hoc e finanziato da uno specifico onere per la ricerca a carico del cliente.
La medesima disposizione stabilisce inoltre che l’onere di ricerca a carico del cliente non è collegato al volume e/o al valore delle operazioni eseguite per conto del cliente medesimo (cfr. art. 13, par.2, lett.b).
Con riferimento agli obblighi cui sono tenuti gli intermediari negoziatori che forniscono il servizio di ricerca in materia di investimenti, il paragrafo 9 dell’art. 13 impone agli stessi di identificare separatamente non solo (come in passato) il costo dell’esecuzione degli ordini, ma anche e in via separata il costo relativo ai servizi di ricerca da essi prestati.
Quest’ultimo obbligo comporta una rilevante modifica rispetto al previgente quadro normativo, dove la ricerca ricevuta dal negoziatore era in linea generale remunerata implicitamente tramite la commissione di negoziazione.
In base alla nuova normativa vigente il servizio di ricerca, pertanto, si configura come distinto ed autonomo, anche sotto il profilo economico, rispetto al servizio di esecuzione di ordini fornito dal negoziatore.
Con riferimento all’ambito di applicazione della nuova disciplina, le modifiche introdotte dalla Direttiva delegata 2017/593/UE non riguardano il servizio di ricerca in materia di investimenti tout court, ma esclusivamente quello fornito agli intermediari che svolgono il servizio di gestione individuale di portafogli e non, invece, il servizio fornito dai negoziatori agli intermediari/gestori che svolgono il servizio di gestione collettiva del risparmio i quali avrebbero, quindi, la possibilità di scegliere se continuare ad applicare la previgente disciplina (cioè continuare a ricevere la ricerca senza essere obbligati a definire un budget a carico degli OICR gestiti) ovvero adeguarsi alle nuove regole di ricevibilità del servizio.
Tali modifiche normative incidono direttamente anche sul trattamento fiscale dei servizi in commento.
Con specifico riferimento al regime IVA, in base alla normativa previgente la ricerca, implicitamente remunerata con l’unico corrispettivo pagato al negoziatore per l’esecuzione degli ordini, non godendo di autonomia economica, è stata considerata esente in quanto riconducibile alle “prestazioni di mediazione, intermediazione e mandato”, relative alle operazioni su titoli, ai sensi dell’art. 10, comma 1, nn. 4 e 9, del D.P.R. n. 633 del 1972.
A seguito dell’introduzione delle nuove disposizioni in materia occorre ridefinire il regime fiscale ai fini IVA di tali servizi, individuando altresì possibili regimi differenziati a seconda della tipologia di soggetto al quale il servizio di ricerca è fornito (i.e. gestori individuali di portafogli oppure gestori collettivi).
Al riguardo è utile inquadrare sinteticamente la questione sotto il profilo fiscale.
In linea generale, il servizio di consulenza in materia di investimenti, definito dall’art. 1, comma 5, lett. f) del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente (potenziale investitore), dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario.
In materia di imposta sul valore aggiunto, l’art. 135, paragrafo 1, lett. f) della direttiva 2006/112/CE (i.e. direttiva IVA) dispone che “1. Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: […]f) le operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli […]”
Sulla identificazione di quali però siano esattamente le transazioni relative a servizi finanziari esenti dall’imposta non vi è una interpretazione univoca e certa. Non è un caso, del resto, che la categoria delle esenzioni relative ai servizi finanziari e assicurativi rappresenti probabilmente la più importante fonte di controversie e questioni sollevate davanti alla Corte di Giustizia UE in termini di rilevanza sia numerica che economica.
La problematica, infatti, ha importanti conseguenze applicative in quanto l’esenzione, escludendo il diritto alla detrazione, e limitando l’ammontare dell’imposta complessivamente detraibile mediante il meccanismo del c.d. pro-rata, rappresenta una deroga al principio di neutralità del tributo che può causare, oltre che problemi tecnici relativi alla identificazione delle transazioni esenti, anche importanti perdite di gettito ed effetti distorsivi della concorrenza causati da un aumento dei costi a carico del consumatore finale.
Le ragioni dell’aumento esponenziale delle cause relative alla questione in esame risiedono nella mancata armonizzazione del sistema dell’imposta sul valore aggiunto e nella difficoltà da parte del Consiglio europeo, all’indomani dell’introduzione del tributo, a raggiungere una opinione unanime nella applicazione e modernizzazione della sua disciplina, esigenza che sorge in maniera più evidente in quei settori, quale quello dei servizi finanziari, caratterizzati da una crescente complessità e da una rapida evoluzione.
Sebbene le recenti iniziative legislative assunte dalla Commissione europea abbiano perseguito l’obiettivo di migliorare il sistema di funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto, riducendo il ricorso al contenzioso, rimane aperto il problema costituito dalla ricezione delle direttive comunitarie all’interno della legislazione dei singoli Stati membri. Di conseguenza spesso la Corte di Giustizia UE, pur negando esplicitamente tale ruolo, ha di fatto supplito alle carenze della legislazione attraverso la sua attività nomofilattica.
La complessità del problema si riflette nella questione sottoposta all’Amministrazione finanziaria e oggetto della Risoluzione in commento.
Nella disciplina nazionale, che recepisce quella comunitaria, le prestazioni di mediazione, interpretazione e mandato sono esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 4 e n. 9, del D.P.R. n. 633 del 1972.
Sulla individuazione di quali siano esattamente tali prestazioni nell’ambito delle più ampia categoria delle attività relative ai servizi finanziari non esiste tuttavia una regola chiara ed univoca.
In merito la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha adottato un approccio casistico, volto a fornire interpretazioni a singoli casi concreti e impedendo, pertanto, che si potesse individuare una regola di carattere generale applicabile alla generalità delle esenzioni in parola.
Con riferimento al servizio di consulenza in materia di investimenti, l’Amministrazione finanziaria ha inquadrato, ai fini IVA, tale attività nell’ambito delle prestazioni di mediazione, intermediazione e mandato esenti dall’imposta sul valore aggiunto in base al combinato disposto dei numeri 4 e 9 dell’art. 10, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 precisando che, affinché l’attività di consulenza in materia di investimenti possa fruire del regime di esenzione dall’imposta, è necessario che sussista un collegamento funzionale di tale attività rispetto ad un’operazione di negoziazione.
Analizzando la giurisprudenza della Corte europea, si desume che il concetto di “negoziazione” comprende “un’attività fornita da un intermediario che non occupa il posto di una parte in un contratto relativo ad un prodotto finanziario e la cui attività è diversa dalle prestazioni contrattuali tipiche fornite dalle parti di un siffatto contratto” (in tal senso Corte di Giustizia, sentenza 13 dicembre 2001, causa C-235/00, CSC Financial Services Ltd, punto 39, conforme sentenza 21 giugno 2007, causa C-453/05, Volker Ludwig).
Successivamente i giudici comunitari, pronunciandosi in merito al trattamento fiscale delle prestazioni in materia di investimenti fornite da un terzo ad una società di investimento di capitali, gestore di un fondo comune di investimento, hanno incidentalmente precisato che “i servizi di consulenza forniti a persone fisiche o giuridiche che investono direttamente il loro denaro in titolo sono, invece, soggetti ad IVA” (Corte di Giustizia, sentenza 7 marzo 2013, causa C-275/11, punto 29), senza tuttavia che da tale asserzione sia possibile desumere una definizione univoca del servizio di consulenza in materia di investimenti e, conseguentemente, un regime fiscale di carattere generale applicabile a detto servizio.
Interpellato sulla questione, il Comitato IVA ha fornito il parere in base al quale “un servizio di consulenza in materia di investimenti in titoli in cui il prestatore del servizio di consulenza non è coinvolto nella negoziazione e conclusione del contratto tra il cliente e la parte che promuove i titoli, non rientra nel campo di applicazione dell’art. 135 (1) (f) della direttiva IVA”, risultando pertanto soggetto al tributo (Working Paper n. 849 del 22 aprile 2015).
Il parere fornito dal Comitato IVA, dunque, accoglie una definizione di “consulenza in materia di investimento” più ristretta, che non necessariamente coincide con la definizione di attività di intermediazione (i.e. negoziazione) fatta propria dalla Corte di Giustizia.
Con la Risoluzione n. 38/E del 15 maggio 2018 (cfr. contenuti correlati) l’Amministrazione Finanziaria ha aderito sostanzialmente all’interpretazione fornita dal Comitato consultivo IVA, delimitando la riconducibilità del servizio di consulenza in materia di investimenti fornito da una società alla nozione di attività di intermediazione (i.e. negoziazione) esente nei termini sopra indicati, da valutare nel caso concreto.
Ciò posto, in ordine al trattamento fiscale del servizio di ricerca fornito agli intermediari che svolgono il servizio di gestione individuale di portafogli, con la Risoluzione n. 61/E dell’8 agosto 2018 l’Amministrazione Finanziaria conferma tale l’orientamento stabilendo che tale servizio non sia riconducibile ad alcuna delle fattispecie di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972 e, in particolare, non possa essere inquadrato tra le “prestazioni di mediazione, intermediazione e mandato”, relative alle operazioni su titoli di cui ai nn. 4 e 9 della medesima disposizione. Di conseguenza tale servizio deve essere assoggettato ad IVA con applicazione dell’aliquota ordinaria.
Per quanto riguarda invece il trattamento fiscale del servizio di ricerca in materia di investimenti fornito dai negoziatori ai gestori collettivi, l’Amministrazione Finanziaria ritiene che lo stesso possa ancora fruire del regime di esenzione qualora detto servizio sia separatamente identificato sotto il profilo economico rispetto all’attività di negoziazione, e purché il servizio sia inquadrabile nell’ambito della gestione di fondi comuni di investimento ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, nell’accezione fatta propria dalla Corte di Giustizia nella sentenza 4 maggio 2006 (causa C-169/04, Abbey National plv c/ Commisioners of Customs & Excise).
In merito alle caratteristiche dei servizi in cui si sostanzia la gestione del fondo, la Corte di Giustizia ha infatti precisato che non è preclusa, in linea di principio, la possibilità di fruire del regime di esenzione da IVA anche nel caso in cui la gestione di fondi comuni di investimento sia frazionata in servizi distinti forniti da un soggetto esterno al fondo. Tuttavia, per essere esenti, i servizi forniti dal terzo in outsourcing devono formare un insieme distinto, valutato globalmente che abbia l’effetto di adempiere le funzioni specifiche ed essenziali del servizio per il quale è prevista l’esenzione, cioè l’attività di gestione del fondo.
Pertanto, secondo il parere fornito nella Risoluzione in commento, il servizio di ricerca in materia di investimenti fornito dal negoziatore ai gestori collettivi può essere considerato uno dei servizi esternalizzati di cui si compone la gestione di fondi esenti da IVA, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, purché detto servizio presenti le caratteristiche indicate dalla giurisprudenza comunitaria.
Ad una prima analisi della Risoluzione in commento, la diversa soluzione interpretativa adottata, basata sulla forma giuridica del soggetto che riceve il servizio di ricerca in materia di investimenti (i.e. non esenzione per i gestori individuali di portafogli ed esenzione, invece, per i gestori collettivi), comporta disuguaglianze applicative nel trattamento fiscale ai fini IVA del servizio di ricerca in materia di investimenti che, seppur giustificate da una disciplina normativa differenziata, non appaiono rispondere a pieno alle esigenze di armonizzazione complessiva dell’imposta sul valore aggiunto.
Ad ogni modo, in attesa di interventi legislativi che rendano uniforme la disciplina dei servizi (anche di ricerca) in materia di investimenti, l’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria relativamente al regime fiscale ai fini IVA dei servizi di ricerca forniti agli intermediari che svolgono il servizio di gestione individuale di portafogli, a seguito delle recenti modifiche normative, rappresenta una ulteriore applicazione del criterio di stretta interpretazione adottato di frequente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE. Tale criterio viene infatti adottato di frequente dalla giurisprudenza comunitaria nella interpretazione delle disposizioni legislative in materia di imposta sul valore aggiunto derogatorie al principio di neutralità del tributo, in particolare quelle in materia di esenzioni, al fine di garantire, per quanto possibile, l’applicazione eguale ed uniforme del tributo e al fine di eliminare gli effetti distorsivi alla concorrenza nel mercato comune.