1. Quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento (alla data del 26 ottobre 2015)
Come noto, la disposizione di legge di rango primario che disciplina l’anatocismo è l’art. 1283 cod. civ. a mente del quale “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.
La norma in questione, che si applica a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di danaro sulla quale spettino interessi di (pressoché) qualsiasi natura, pone limiti precisi alla cosiddetta “capitalizzazione degli interessi” su un capitale, allo scopo di renderli a loro volta produttivi di ulteriori interessi a precise condizioni, escludendo in tal modo che il debito per interessi si configuri alla stregua di una qualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi ex se il diritto ad ulteriori interessi ai sensi dell’art. 1282 cod. civ.[1]
Il tema della capitalizzazione degli interessi ha visto nello specifico ambito dei rapporti tra banche e clienti un’incessante attività di interventi legislativi, interpretazioni giurisprudenziali e letture dottrinali, ancora oggi in continua evoluzione.
Dall’originaria “quiete” dovuta all’assenza nel “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” (“TUB”) – D.Lgs. 385/1993 – di qualsiasi disposizione in tema di disciplina degli interessi e da una iniziale giurisprudenza che, sino al 1999[2], riteneva che in ogni rapporto tra banche e clienti sussistesse un uso normativo che consentiva la decorrenza di interessi sugli interessi di cui il cliente fosse debitore al di là dei limiti dell’art. 1283 cod. civ., superabili grazie al richiamo agli usi contrari fatto dal medesimo articolo, si passa al “tempestoso” overruling[3] con il quale la Suprema Corte (a partire dalle storiche sentenze Cass. n. 2374/1999 e, successivamente, Cass. n. 3096/99 e Cass. 12507/1999) scardinò l’interpretazione tradizionale, affermando che l’esistenza di un uso normativo idoneo a derogare i limiti di ammissibilità dell’anatocismo previsti dalla legge appare più oggetto di un’affermazione basata su un incontrollabile dato di comune esperienza, più che di una convincente dimostrazione.
Con tale revirement giurisprudenziale si affermò dunque che gli usi contrari che consentono di derogare ai limiti imposti dall’art. 1283 cod. civ. devono essere usi normativi, mentre gli usi bancari di capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi sono mere clausole d’uso.
A fronte dei notevoli oneri cui le banche sarebbero andate incontro per effetto del mutato orientamento giurisprudenziale, il legislatore intervenne con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 modificativo di numerosi articoli del TUB (cosiddetto “primo intervento salvabanche”), il cui art. 25, comma 2 e comma 3, modificativo dell’art. 120 TUB (mediante l’introduzione del nuovo secondo comma), così recitava:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.
3. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”.
Quest’ultima disposizione fu però stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 425/2000 per eccesso di delega.
La censura della Corte Costituzionale veniva mossa contro il comma 3 dell’art. 25 sopra riportato in quanto con esso si sarebbe introdotta un’indiscriminata validità temporanea delle clausole anatocistiche bancarie contenute nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore (con efficacia dal luglio 2000) della deliberazione del “Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio” (“CICR”), prescindendo dal tipo di vizio in concreto e soprattutto da ogni collegamento con il TUB[4].
Infatti, come rilevato dai giudici che hanno per primi sollevato la questione di costituzionalità, anche la più ampia interpretazione delle finalità di “integrazione e correzione” perseguite dal legislatore delegante, non avrebbe potuto legittimare una disposizione “di condono”, come quella contestata, che per il solo “anatocismo bancario” introduce una norma in deroga all’art. 1283 cod. civ. considerando “valide ed efficaci” le clausole relative alla produzione di interessi su interessi, purché anteriori alla data di entrata in vigore della deliberazione CICR.
A fronte della possibile “valanga” di ricorsi[5], si assistette ad un nuovo intervento normativo (cosiddetto “secondo intervento salvabanche”) che con l’art. 2, comma 61, Legge 26 febbraio 2011, n. 10 (“Legge Milleproroghe”), tentò di restringere il termine di prescrizione delle azioni di ripetizione degli interessi anatocistici, secondo i principi enunciati dalle menzionate Sezioni Unite della Corte di Cassazione[6].
La Corte Costituzionale, con sentenza del 78/2012, dichiarò tuttavia incostituzionale il suddetto disposto normativo in quanto contrario ai principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti all’art. 3 della Costituzione, conseguendone un nuovo intervento normativo con la Legge n. 147/2013 (cosiddetta “Legge di Stabilità” per il 2014), entrata in vigore il 1 gennaio 2014, con la quale fu innovato l’articolo 120 TUB nei termini che seguono:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
E’ appena il caso di ricordare che con il Decreto Legge 91/2014, art. 31, si è provato a sostituire il nuovo articolo 120 TUB, tentando di legittimare nuovamente la capitalizzazione annuale degli interessi, ma in sede di conversione tale disposizione è stata stralciata[7].
All’opposto rispetto a tali tentativi di nuovi “rovesciamenti di fronti”, si registrano ulteriori lavori parlamentari nei quali, prendendosi atto della circostanza che le molteplici e ravvicinate modifiche alla legislazione dedicata alla regolamentazione della capitalizzazione degli interessi scaduti hanno causato un evidente disallineamento tra la normativa primaria e quella secondaria anche per via dell’utilizzo di una terminologia non chiara (il riferimento è alla “capitalizzazione”) ed affermandosi che non sarebbe consentito di determinare in maniera diretta e incontrovertibile se, a tutt’oggi, l’anatocismo debba ritenersi ancora ammesso, si propongono nuovi interventi di modifica all’art. 120, comma 2, TUB[8].
2. La ratio sottesa al nuovo art. 120, comma 2, TUB e le finalità perseguite (alla luce dei lavori parlamentari e delle prime interpretazioni giurisprudenziali, nonché di alcuni spunti comparatistici)
Nei lavori parlamentari preparatori della Legge 147/2013 (Proposta di legge n. 1661 presentata il 4 ottobre 2013) si afferma che con la stessa “si intende stabilire l’illegittimità della prassi bancaria in forza della quale vengono applicati sul saldo debitore, generalmente a cadenza trimestrale, i cosiddetti “interessi composti” (o interessi sugli interessi). In pratica, gli interessi vengono conteggiati dalla banca ogni trimestre, esposti come “voce” nell’estratto conto e utilizzati nel trimestre successivo come “debito” sul quale calcolare ulteriori interessi: si tratta di una prassi assolutamente vietata già dal codice civile. La giurisprudenza ha più volte chiarito l’ambito di applicazione della norma richiamata [art. 1283 cod. civ.], precisando che non può farsi rientrare negli “usi contrari” il cosiddetto “uso di piazza” richiamato dalle banche per giustificare la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi contenuta nei contratti di conto corrente”.
Il medesimo legislatore, rilevando tuttavia che “malgrado i giudici di merito ribadiscano costantemente il richiamato orientamento, di fatto le banche continuano a capitalizzare periodicamente gli interessi”, per la prima volta tipizza l’improduttività degli interessi composti, intendendo in tal modo “mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore”.
L’interpretazione fornita dalle prime pronunce giurisprudenziali risulta coerente con l’intervento (almeno all’apparenza) “draconiano” apportato all’art. 120, comma 2, TUB dalla Legge 147/2013.
Pressoché tutte le pronunce sinora edite[9], ripercorrono le “linee guida” ermeneutiche riferite dalla Sezione VI del Tribunale di Milano (riunione del 10 febbraio 2014), secondo la quale al di là delle espressioni contraddittorie usate dal legislatore, appare indubbia l’intenzione di abolire l’anatocismo nei contratti bancari.
Secondo il Tribunale di Milano tale intenzione si ricaverebbe dai seguenti rilievi, testuali e concettuali:
– esplicita è la relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera, della quale sono sopra riportati alcuni passaggi;
– l’espressione “produzione di interessi sugli interessi maturati”, già presente al comma 2 dell’art. 120 TUB, è stata sostituita dall’espressione “produzione di interessi”;
– alla lettera b) del comma 2 il dato saliente è il principio secondo cui “gli interessi ulteriori … sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Il Tribunale di Milano rileva la contraddittorietà della formulazione della lettera b) dell’art. 120, comma 2, TUB, nella parte in cui menziona interessi “periodicamente capitalizzati” ed esclude la capitalizzazione nelle successive operazioni, facendo in tal modo intendere un’operazione (se non altro iniziale) di capitalizzazione; ciò tuttavia, sempre secondo il Tribunale ambrosiano, non può ricorrere, dato che, una volta capitalizzati gli interessi, ossia divenuti capitale, gli stessi non potrebbero che produrre interessi ulteriori.
Verosimilmente, quindi, l’espressione “capitalizzazione” risulta impropriamente usata come sinonimo di “conteggio”, in quanto una capitalizzazione anche solo iniziale degli interessi conteggiati renderebbe inevitabile che sull’importo capitalizzato maturino ulteriori interessi.
Una definitiva esclusione dell’anatocismo sembra invece realizzabile – stando al Tribunale milanese – solo se, alla concordata scadenza contabile periodica, si proceda separatamente al conteggio algebrico delle poste capitale, in entrata ed uscita, e al conteggio algebrico degli interessi attivi/passivi maturati nel singolo periodo contabile, mantenendo anche nel proseguo colonne separate, per il capitale da un lato e per gli interessi dall’altro.
La logica e inevitabile conseguenza è che, intesa la nuova norma nei suddetti termini, appare ultronea la previsione di cui alla lettera a) dell’art. 120, comma 2, TUB, essendo irrilevante che il conteggio degli interessi sia effettuato contabilmente ogni mese, ogni trimestre, oppure annualmente, dato che nella colonna separata degli interessi va calcolato l’interesse a debito (o credito) giornalmente su ciascun saldo debitorio (o creditorio) giornaliero, per poi sommare alla chiusura del conto tutti i saldi d’interesse giornalieri; effettuare un conteggio con cadenze periodiche annuali o infrannuali (da sommare a fine conto) non modificherà il saldo degli interessi dovuti, ma potrà avere unicamente un effetto di visibilità, e consapevolezza, per il correntista.
3. I termini temporali di applicazione dell’innovato art. 120 TUB e il ruolo del CICR
Altrettanto allineate alle indicazioni fornite dalla Sezione VI del Tribunale di Milano risultano le ordinanze dei Tribunali che si sono espresse in merito alla vigenza e conseguente applicabilità della nuova disciplina, nel senso di affermare che la previsione normativa risulta cogente anche prima dell’emanazione della delibera CICR, avendo introdotto il principio che non è più possibile, a decorrere dall’1 gennaio 2014, che gli interessi maturati producano ulteriori interessi[10].
Alcuni Tribunali hanno peraltro avuto cura di dimostrare che non possono ricavarsi elementi di segno contrario dalla (antcedente) riforma dell’art. 120 TUB di cui al D.Lgs. 342/99, che rimandava a futura delibera CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati”; ciò in quanto in quel caso la norma di legge dava legittimità ad una prassi anatocistica vietata dal codice civile, sulla scorta di una granitica giurisprudenza di legittimità e di merito, con la conseguenza che non vi era alcuna urgenza nel rendere operativa con norma regolamentare una modalità di conteggio degli interessi più gravosa per il correntista. Nel caso del nuovo art. 120, comma 2 TUB si rileva, invece, che l’eliminazione legislativa dell’anatocismo è destinata ad operare nelle operazioni bancarie in corso a vantaggio del correntista e, proprio sempre e in forza del principio del favor per il consumatore di matrice comunitaria, ampiamente applicato nell’ordinamento positivo, non potrebbe una norma regolamentare procrastinare l’entrata in vigore di una simile disposizione di legge.
Le suddette pronunce si esprimono sino al punto di affermare che il CICR non potrà immutare in senso peggiorativo (ossia ripristinando l’anatocismo) rispetto alla fonte sovraordinata il metodo di calcolo degli interessi, posto che in quel caso sarebbe senza dubbio illegittima e andrebbe disapplicata da parte del giudice ordinario investito della applicazione della disposizione di fonte primaria. Il menzionato Comitato quindi potrà al più esprimersi circa le specifiche tecniche bancarie contabili, eventualmente differenziando a seconda delle diverse tipologie di contratti bancari (es. contratti di conto corrente, mutui, finanziamenti, leasing, ecc.), ma non potrà disporre diversamente dal divieto di anatocismo, che, come scritto, si reputa operante dall’1 gennaio 2014, sia per i contratti in corso, sia per i contratti futuri[11].
Neppure risultano aver resistito, di fronte ai ricorsi presentati dalle associazioni dei consumatori, gli asseriti (dalle banche convenute) conflitti con il diritto dell’Unione europea, in particolare sotto il profilo della libertà di impresa e di concorrenza a livello comunitario.
A tale riguardo, i Tribunali che si sono sinora pronunciati hanno infatti ritenuto che appare difficile non individuare una disciplina comunitaria che in tutti i settori, anche in quello bancario, offra una tutela maggiore, rafforzata, al contraente più debole, ed in particolare al consumatore, ciò comportando evidentemente legittime difformità contrattuali, anche rispetto ad altri operatori economici.
Nell’ambito del diritto comunitario è peraltro ammessa la discrezionalità del legislatore nazionale nel disciplinare l’istituto dell’anatocismo secondo gli obiettivi sociali, politici ed economici perseguiti e, quindi, si deve escludere che la difformità della normativa di uno Stato dell’UE rispetto a quella di altri Stati membri possa, per ciò solo, dar luogo a violazione dei principi espressi nei Trattati e nella legislazione comunitaria.
I Tribunali che si sono sinora espressi hanno altresì constatato che se in taluni Stati membri dell’Unione la pratica anatocistica è ammessa, ve ne sono altri in cui è espressamente vietata o limitata al rispetto di determinate condizioni, analogamente a quanto disposto dal Codice civile italiano, sicché neppure sarebbe coerente, almeno a questo momento, il riferimento a condizioni deteriori che affliggerebbero solo chi volesse esercitare imprese bancarie in Italia[12].
Al contrario, è stato rilevato, il divieto di anatocismo per gli interessi passivi – che hanno usualmente un tasso nettamente superiore a quelli attivi riconosciuti dalle Banche – comporterebbe condizioni più favorevoli per il correntista e ciò permetterebbe alle Banche straniere o nazionali di realizzare in Italia una concorrenza più efficace rispetto a quella che potrebbero realizzare nell’ambito dei Paesi dell’UE, il cui ordinamento riconosce l’anatocismo nel corso del rapporto.
4. La Delibera CICR 9 febbraio 2000 e la proposta di (nuova) Delibera CICR a confronto
Al fine di meglio comprendere la nuova disciplina dell’anatocismo, risulta tuttavia utile, tenendo sempre a mente la norma civilistica di rango primario (per quanto generale) dettata dall’art. 1283 cod. civ., porre a confronto non solo, come sinora fatto, le norme di rango primario speciali, ma anche le relative norme attuative (anche se, quanto alla nuova Delibera CICR, ancora de jure condendo).
Si propone quindi di seguito la lettura comparata della Delibera CICR 9 febbraio 2000 e della Proposta di Delibera CICR (attualmente e sino allo scorso 23 ottobre 2015 in consultazione), potendosi da esse trarre nuovi spunti di riflessione (…vincendo il senso di confusione che inizialmente può cogliere il lettore).
Delibera CICR 9 febbraio 2000
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Proposta di Delibera CICR |
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Art. 1
1. Ai fini del presente provvedimento si definisce: – “cliente” […]; – “intermediario” […].
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Art. 1
Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono.
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Art. 2
1. La presente delibera attua l’articolo 120, comma 2, del TUB e si applica alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti. 2. La produzione di interessi nelle operazioni di cui al comma 1 è regolata secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli 3 e 4. […] |
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Art. 3
Nelle operazioni indicate dall’articolo 2, comma 1, gli interessi maturati non possono produrre interessi.
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Art. 2
1. Nel conto corrente l’accreditoe l’addebitodegli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. 2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. 3. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.
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Art. 4
1. Il presente articolo si applica ai rapporti regolati in conto corrente e in conto di pagamento nonché ai finanziamenti a valere su carte di credito. 2. Il contratto stabilisce la stessa periodicità, comunque non inferiore a un anno, nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti; per i contratti stipulati nel corso dell’anno, il conteggio è effettuato il 31 dicembre. 3. Gli interessi maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale. Il saldo periodico della sorte capitale produce interessi nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo. 4. Gli interessi, attivi e passivi, divengono esigibili decorso un termine di sessanta giorni dal ricevimento da parte del cliente dell’estratto contoinviato ai sensi dell’articolo 119 del TUB o delle comunicazioni previste ai sensi dell’articolo 126-quater, comma 1, lettera b), del TUB. Il contratto può prevedere termini diversi, se a favore del cliente. Decorso il termine di sessanta giorni, o quello superiore eventualmente stabilito, il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi sul conto o sulla carta; in questo caso, la somma addebitata è considerata sorte capitale. 5. Il contratto può stabilire che, dal momento in cui gli interessi sono esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito da interessi. 6. In caso di chiusura definitiva del rapporto, il saldo relativo alla sorte capitale può produrre interessi, se contrattualmente stabilito; quanto dovuto a titolo di interessi non produce ulteriori interessi.
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Art. 3
1. Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importocomplessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. 2. Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l’importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. […]
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Art. 5
Gli interessi scaduti possono produrre interessi, oltre che nelle ipotesi e secondo le modalità di cui ai precedenti articoli, dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi.
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La già riferita sensazione di confusione che può cogliere il lettore della sopra riportata proposta di Delibera CICR consegue dalla circostanza che, dopo una prima affermazione particolarmente chiara e tranchant di cui all’art. 3, ossia “Nelle operazioni indicate dall’articolo 2, comma 1 [i.e. tutte le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti], gli interessi maturati non possono produrre interessi”, all’art. 4 – dedicato ai soli rapporti regolati in conto corrente e in conto di pagamento, nonché ai finanziamenti a valere su carte di credito – il comma 4 stabilisce che, laddove il cliente lo autorizzi (rectius, lo richieda, a fronte, evidentemente, della propria impossibilità di adempiere al pagamento), gli interessi (passivi per il correntista) maturati e divenuti esigibili, decorso il termine di sessanta giorni dall’adempimento degli obblighi informativi in capo alla banca (o quello superiore eventualmente stabilito in contratto), possono essere addebitati sul conto (o sulla carta).
In tale caso, statuisce la proposta di Delibera CICR, la somma addebitata è considerata “sorte capitale”, la quale – aggiunge l’interprete – a mente dell’art. 1282 cod. civ., produrrà interessi di pieno diritto…salvo che la legge (o il titolo) stabiliscano diversamente[13].
5. Possibili letture della nuova disciplina
Alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali sinora offerte alla normativa in parola (invero, ad oggi, all’art. 120, comma 2, TUB), parrebbe che la stessa non possa che essere intesa come rivolta a vietare tout court l’anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall’art. 1283 cod. civ., con l’effetto che, se dal 2000 al 2013 la normativa speciale era rivolta ad ammettere nei rapporti bancari l’anatocismo in misura più ampia rispetto alla regola generale, oggi l’art. 1283 cod. civ. sarebbe derogato per i rapporti bancari in termini di maggior rigore, capovolgendo la disciplina previgente.
Le ordinanze di condanna delle banche convenute lasciano infatti assai pochi “margini di manovra”, allorché si esprimono in termini di “rigorosa esclusione dell’anatocismo nei rapporti bancari”[14] e di “intangibilità assoluta del divieto di anatocismo”[15], affermando apertis verbis che “l’art. 120 TUB – in una visione sinottica tra lettera a) e lettera b) – non può che significare come gli interessi potranno essere conteggiati secondo scadenze temporali applicando un criterio di pari periodicità, ma ad ogni scadenza essi non potranno in senso tecnico-giuridico “capitalizzarsi”, così consentendo il vietato effetto anatocistico della produzione degli interessi sugli interessi, ma dovranno essere computati sempre sul solo capitale”[16].
In tal senso sembrerebbero esprimersi anche parte della dottrina che per prima ha analizzato le novità apportate all’art. 120, comma 2, TUB[17], nonché gli orientamenti espressi da alcune categorie professionali[18].
Invero, è appena il caso di ricordare che alcuni Autori avevano già ritenuto di desumere dal tenore letterale dell’art. 5 della Delibera CICR del 2000 l’inequivoca volontà del CICR di sottrarre al disposto dell’art. 1283 cod. civ. ogni sua possibile applicazione e valenza nell’ambito dei rapporti bancari e finanziari. A parte non contenere alcun riferimento agli “usi contrari”, il testo dell’art. 5 riproponeva infatti negli stessi termini quanto disposto dall’art. 1283 cod. civ., determinandone secondo alcuni implicitamente, per quanto attiene ai rapporti bancari e finanziari, la sua inapplicabilità[19].
Rispetto a tali interpretazioni che comporterebbero la definitiva espulsione da tutti i rapporti creditizi[20] della disciplina civilistica dettata dall’art. 1283 cod. civ., a parere di altra dottrina, alla quale chi scrive ritiene di aderire[21], risulta possibile una diversa lettura della novità normativa, maggiormente coerente con i principi che regolano, civilisticamente, i rapporti tra creditore e debitore, nonché capace di contemperare le rispettive esigenze, anche finanziarie, tra loro apparentemente incompatibili.
In particolare, pare possibile recuperare (rectius, doveroso conservare) l’applicabilità, anche ai rapporti creditizi, della disciplina dettata dall’art. 1283 cod. civ., ai termini e alle condizioni ivi indicati, volgendo lo sguardo a quell’annosa e logorante “guerra di trincea” che, a fronte di opachi ed invisi usi bancari, ha visto contrapporsi le sentenze degli ultimi anni del secolo scorso e dei primi anni di questo (sollecitate dalle associazioni dei consumatori) e le ondivaghe reazioni del legislatore (dilaniato tra le esigenze, sempre di natura finanziaria, proprie dei correntisti, per un verso, e delle banche, per il verso opposto[22]).
A tale obiettivo di riequilibrio delle posizioni contrattuali cui tutta la normativa sulla trasparenza da sempre tende paiono finalizzati anche il nuovo disposto normativo dell’art. 120 TUB (identificabile come il cuore “economico” del Titolo VI del TUB, dedicato appunto alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti) e, in particolare, la proposta di Delibera CICR.
Come già scritto altrove[23], l’evoluzione legislativa, nonché quella giurisprudenziale, soprattutto in materia bancaria, mostra una crescente e decisa volontà del sistema di intervenire, a mò di elemento esogeno nel campo dell’autonomia negoziale, al fine di offrire al contraente debole l’unica possibilità di sfuggire alla vessatorietà di talune clausole contrattuali, tra le quali senza dubbio quelle anatocistiche per lungo tempo invalse nella prassi bancaria più volte censurata per scarsezza, se non addirittura totale assenza, di trasparenza[24].
Ebbene, in tale contesto e con dette finalità debbono essere interpretati gli ultimi interventi normativi in punto di anatocismo, volti pertanto a fare definitivamente “piazza pulita” di prassi bancarie assai poco commendevoli, censurate dai giudici di legittimità e (per quanto in termini meno netti) di merito, eppure inopinatamente reiterate dagli operatori bancari approfittando di un tessuto normativo che in materia è sempre stato assai poco chiaro e tutt’altro che … trasparente.
In tale ottica risulta quindi fondamentale – ad avviso di chi scrive – tentare in ogni modo di recuperare (anche) nella proposta di delibera CICR l’applicabilità nei rapporti creditizi della norma primaria civilistica di cui all’art. 1283 cod. civ.
Pur a fronte dell'(apparentemente) insormontabile ostacolo posto dal nuovo art. 120, comma 2, lett. b), TUB – ma altrettanto consapevoli dell’opaca e, come tale, affatto univoca formulazione dello stesso che inevitabilmente costringe gli operatori (Banca d’Italia inclusa) ad interpretazioni teleologicamente orientate – non v’è dubbio che laddove non fosse recuperata la norma civilistica davvero “primaria” (anche rispetto al TUB), ogni tentativo di lettura “armonica” della stessa proposta di delibera apparirebbe davvero ostica.
Tra le “storture” che conseguirebbero dal fallimento del suddetto “salvataggio” possono ravvisarsi almeno le seguenti:
– le ingiustificate diversità di disciplina in punto di maturazione degli interessi tra gli operatori bancari e il resto dei possibili finanziatori (si pensi, tra gli altri, alle imprese di assicurazione italiane, alle società di cartolarizzazione dei crediti, e agli OICR ai quali le recenti novelle normative, D.Lgs. 44/2014, hanno consentito l’esercizio dell’attività di erogazione dei finanziamenti)[25];
– le paradossali differenze tra il mutuo (fattispecie per la quale l’art. 1283 cod. civ., sinora applicato in maniera lineare e priva di particolari criticità, sarebbe oggi del tutto vietato)[26] e i rapporti in conto corrente (i quali, al contrario, avendo sinora dato adito all’applicazione disinvolta e dubbia di meccanismi anatocistici, ne vedrebbero consentita l’applicazione, pur secondo le modalità e i criteri di cui all’art. 4 della proposta di delibera);
– la non pacifica distinzione tra interessi convenzionali e interessi moratori (sulla quale la stessa Autorità di Vigilanza compie notevoli sforzi di autoconvincimento nella relazione di accompagnamento della proposta di delibera), posto che, come ogni interesse, a prescindere dalla sua causa in termini di corrispettività o di penalità, anche quello moratorio matura e scade con le periodicità contrattualmente o per legge previsti, ponendo analoghe questioni in punto di relativa capitalizzazione, come rilevato anche in giurisprudenza[27];
– in ogni caso, l’inevitabile lettura dell’art. 4 della proposta di delibera come “forzatura” operata dalla norma secondaria (o, addirittura, di terzo livello, dopo il codice civile e il TUB) per reintrodurre un meccanismo che non può che definirsi sostanzialmente (e, a mio avviso, anche formalmente) anatocistico;
– infine, l’incomprensibile “anelasticità” di un sistema che, verso il debitore inadempiente (almeno in punto di pagamento degli interessi), porrebbe il creditore di fronte all’unica possibile opzione di risolvere il rapporto creditizio, con conseguente recupero forzoso del credito, non disponendosi invece della possibilità di posticipare la debenza degli interessi applicandovi un’adeguata remunerazione (ovviamente pur sempre rispettosa dei tassi soglia). Tale sistema, oltreché “sclerotico”, apparirebbe peraltro affetto anche da forte “miopia” laddove non si vedesse che analogo effetto finanziario conseguirebbe dalla diversa compulsata soluzione, senza dubbio lecita, di ricorso da parte del debitore ad un soggetto (ri)finanziatore diverso dall’originario creditore[28].
6. Conclusioni
Alla luce delle sintetiche considerazioni sopra esposte, la conclusione che consentirebbe di conservare piena armonicità alla disciplina in parola, applicata al sistema del credito in generale, pare quindi quella che confermi la piena vigenza dell’art. 1283 cod. civ., i cui termini e le cui condizioni di applicazione subirebbero tuttavia una peculiare declinazione tecnica-operativa (essenzialmente, identica periodicità annuale nel conteggio degli interessi attivi e passivi, contabilizzazione separata degli interessi rispetto al capitale, decorrenza del termine minimo di esigibilità degli interessi per l’addebito in conto dei medesimi, previa esplicita autorizzazione – necessariamente ex post – del cliente) nell’ambito dei rapporti di conto corrente bancario in ragione delle specificità in essi rinvenibili, che da sempre hanno reso e rendono di difficile applicazione la disciplina anatocistica nei termini necessariamente generici declinati dalla regola civilistica primaria.
Il tentativo di ricostruzione sopra riportato parrebbe peraltro non distonico rispetto alla giurisprudenza che (come nel caso delle ordinanze sinora emesse in materia di anatocismo post art. 120, comma 2, TUB novellato) manifesta una sicura tendenza ad assumere atteggiamenti energici contro comportamenti non trasparenti e non corretti degli operatori economici, ed altresì con il legislatore, anche nella veste “delegata” degli organi di vigilanza, che oramai da anni ha in corso di predisposizione un apparato normativo che consenta al consumatore – specie quando agisce come categoria – di avvicinarsi a passo veloce e sicuro verso “l’agognata cittadella in cui sono arroccati e ben difesi gli interessi degli enti creditizi”[29].
Resta in ogni caso la sensazione chel’incessante attività di regolamentazione della materia alla quale si è fatto cenno, certamente apprezzabile nell’ottica del rafforzamento della tutela del particolare cliente che risulta essere quello bancario / finanziario, non sembra tuttavia offrire né all’interprete, né all’operatore, un quadro disciplinare di agevole ricomposizione e lettura[30].
[1] Residui risultano gli ambiti nei quali i limiti posti dall’art. 1283 cod. civ. non sono applicabili, come ad esempio nel caso degli interessi riconosciuti sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, rappresentando detti interessi una componente stessa del risarcimento (giurisprudenza costante, ex multis, Cass. S.U. 6476/1984, Cass. 3761/1985, Cass. 2296/1990, Cass. 13508/1991, Cass. 11065/1992, Cass. 5506/1994, Cass. 7082/1994), ovvero in materia tributaria ove vigono norme speciali di legge (a tale ultimo riguardo vale la pena ricordare che in forza di uno dei cinque decreti legislativi di attuazione della delega per il riordino del sistema fiscale, legge 11 marzo 2014 n. 23, e, in particolare, di quello sulla “Semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione”, D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 159, è ipotizzata l’eliminazione della norma che prevedeva, in caso di rateizzazione delle somme iscritte a ruolo, il pagamento degli interessi sugli interessi e gli interessi sulle sanzioni).
[2] Tra le altre, Cass. n. 6631/1981, Cass. 4920/1987, Cass. 7571/1992, Cass. 9227/1995, Cass. 12675/1998.
[3] L’espressione è di V. Carbone, “Anatocismo e usi bancari: la Cassazione ci ripensa”, in Banca, borsa e titoli di credito, 1999, II, pag. 389, a commento di Cass. n. 2374/1999 e Cass. n. 3096/99, ripresa, tra gli altri, da A. Spangaro, “Anatocismo bancario: i giudici di merito contrastano la Cassazione”, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 6, Novembre-Dicembre 2001, pag. 617, a commento di Trib. Monza, 2.10.2000, Trib. Bari 28.2.2001 e Trib Firenze, 8.1.2001, che affermano la natura normativa dell’uso bancario censurato dalla giurisprudenza della Cassazione. A tal proposito, si veda anche il contributo di A.C. Vaccaro Belluscio e C. Piana, “Interessi “uso piazza”, anatocismo trimestrale e commissione di massimo scoperto”, in I Contratti, n. 4/2002, pag. 376 ss.. A seguito delle citate pronunce della Corte di Cassazione, alcuna dottrina auspicò sin da subito una pronuncia a sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, cod. proc. civ. (De Nova, “Capitalizzazione trimestrale: verso un “revirement”della Cassazione ?”, in I Contratti, 1999, 442 ss.), che in effetti interverrà in più occasioni (vedasi infra). Le successive pronunce della Suprema Corte hanno continuato a confermare tale orientamento, affermando che “[…] le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive (NUB) delle associazioni di categoria (ABI), venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilità, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell’articolo 1283 del codice civile), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive […]” (Cass. S.U. 21095/2004, intervenuta ai sensi dell’art. 374, comma 2, cod. proc. civ.)e ancora “Prima che difettare di “normatività”, usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine di capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né di necessario bilanciamento con quelli creditori” (Cass. S.U. 24418/2010). In maniera pienamente conforme, da ultimo, Cass. 9127/2015 e Cass. 9169/2015, secondo la quale ultima “[…] le ragioni che la consolidata giurisprudenza di questa Corte […] giudica idonee a condurre alla nullità – rilevabile d’ufficio dal giudice, anche quindi in assenza di una tempestiva deduzione ad opera dell’interessato – della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, valgono anche per la capitalizzazione annuale […]”. Per una recente panoramica normativa e giurisprudenziale, N. Mancini, L’anatocismo bancario alla luce dei mutamenti normativi dell’estate 2014, NLCC, 2/2015, pag. 327 ss.
[4] In realtà, è stato fatto notare da alcuna dottrina (V. Roppo, “L’anatocismo bancario dopo l’intervento della Corte Costituzionale”, in Il Corriere Giuridico n. 11/2000, pag. 1453) che “anche la disposizione dell’art. 25, comma 2 del D.Lgs. 342/99, benché non retroattiva, non si sottrae alle stesse censure di estraneità e di indeterminatezza rispetto ai principi del TUB ai quali il governo avrebbe dovuto attenersi”.
[5] Sul tema, si veda, tra gli altri, il contributo di A.C. Vaccaro Belluscio e C. Piana, op. cit., pag. 377 ss..
[6] Tale norma, di interpretazione autentica, faceva infatti decorrere la prescrizione dal giorno dell’annotazione delle singole operazioni a prescindere dalla natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse in conto corrente. Veniva così eliminata ogni chance di ottenere in restituzione gli interessi indebitamente pagati oltre i dieci anni precedenti.
[7] Tale disposizione prevedeva che il comma 2 dell’articolo 120 TUB, fosse sostituito dal seguente:“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre“. Secondo alcuni dei Tribunali che si sono sinora pronunciati in materia (tra gli altri, Tribunale Milano, ord. 25 marzo 2015), sollecitati dalle associazioni dei consumatori, la voluntas legis di definitiva abolizione dell’anatocismo dai rapporti bancari sarebbe ulteriormente riscontrabile proprio dalla mancata conversione in legge dell’art. 31 del D.L. 91/2014.
[8] Il riferimento è al disegno di legge S/1849, presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 26 marzo 2015 (iniziativa parlamentare Giuseppe Vacciano), con il cui art. 1 si specifica l’arco temporale in cui si attua la medesima periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi e si introduce il concetto di “contabilizzazione” dell’interesse che dovrebbe sostituire quello di “capitalizzazione”, dissipando in tal modo qualsiasi dubbio interpretativo riguardo l’applicazione di interessi su interessi (ora esplicitamente esclusa), creato dalla precedente formulazione della norma. Stando a tale proposta di legge, il comma 2 dell’articolo 120 TUB, verrebbe (nuovamente) sostituito dal seguente:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi, con periodicità non inferiore ad un anno, nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente titolo, prevedendo in ogni caso che:
a) nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi;
b) gli interessi periodicamente contabilizzati non possano produrre interessi ulteriori e nelle successive operazioni di contabilizzazione siano calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
[9] Tribunale di Milano, ord. 25 marzo 2015, Tribunale di Milano, ord. 3 aprile 2015, Tribunale di Torino, ord. 16 giugno 2015, Tribunale di Cuneo, ord. 29 giugno 2015, Tribunale di Biella, ord. 7 luglio 2015, Tribunale di Milano, ord. 29 luglio 2015, Tribunale di Milano, ord. 29 luglio 2015, Tribunale di Milano, ord. 5 agosto 2015, Tribunale di Roma, ord. 20 ottobre 2015, tutte su questa rivista.
[10] Tra le (poche) pronunce in senso difforme, si registra quella del Tribunale di Cosenza che, con ordinanza del 27 maggio 2015, ha affermato che“Non possono essere valorizzate le contestazioni inerenti alla validità della clausola anatocistica, per effetto della disciplina di riforma introdotta con la legge di stabilità 2014, che ha modificato la previsione di cui all’art.120 TUB, considerato che, in difetto della delibera CICR, dubbia appare l’operatività di detta previsione”.
[11] Ritiene, diversamente, che il CICR abbia un “ruolo centrale nell’interpretazione della novella normativa” e che la relativa delibera “…permetterà di avere a disposizione l’interpretazione ufficiale di un importante organo del potere esecutivo”, N. Mancini, L’anatocismo bancario…”, op. cit., pag. 330.
[12] Per una presentazione generale sulla normativa in materia di anatocismo nei paesi europei si rimanda a Institut für finanzdienstleistugen e. V. (IFF) e Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung GmbH (ZEW), Study on interest rate restrictions in the EU (2010); “La capitalizzazione degli interessi bancari”, studio di diritto comparato (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna), a cura di K. Roudier, V. Keil, G. Scaccia, P. Passaglia, T. Giovannetti, C. Guerrero Picò – Collana Studi e ricerche di diritto comparato della Corte Costituzionale (maggio 2007). Invero, analizzando tali discipline straniere, i principi ispiratori e i limiti per la produzione di interessi da parte di interessi scaduti e non pagati risultano analoghi a quelli sottesi all’art. 1283 cod. civ. e in esso espressamente indicati.
[13] A tale lettura aderisce D. Maffeis, Il nuovo articolo 120 TUB e la proposta di delibera CICR della Banca d’Italia, in questa rivista, estratto del n. 10/2015, secondo il quale la nuova disposizione normativa a mente della quale gli interessi si capitalizzano, ma, una volta capitalizzati, non possono produrre interessi ulteriori sta a significare che “Per dirla con l’art. 1282 cod. civ., abbiamo qui un’ipotesi di “credit(o) liquid(o) ed esigibil(e) di somm(a) di danaro” che non “produc(e) interessi” perché “la legge dispone diversamente””.
[14] Tribunale di Milano, ord. 25 marzo 2015.
[15] Tribunale di Biella, ord. 7 luglio 2015.
[16] Tribunale di Biella, ord. 7 luglio 2015.
[17] “La nuova formulazione dell’art. 120, 2° comma, lett. b), pertanto, lungi dal prevedere un residuo anatocismo, se pur parziale, dispone, invece, che gli interessi, periodicamente conteggiati (lett. a), si trasformino in capitale, se pur infruttifero”afferma A. Quintarelli, Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione, Il Caso.it, 5 gennaio 2015, pag. 2 ss.. Analogamente si esprime D. Maffeis, op. cit., secondo il quale “La ratiodella disciplina codicistica dell’anatocismo non mi pare l’esigenza di trasparenza – com’è invece nel nuovo art. 120 TUB – bensì mi pare la disapprovazione, antica, di una forma aggravata – per il debitore – di produzione di interessi. Questa – cioè la differenza in termini di ratio legis– è una delle ragioni per le quali, a mio avviso, la nuova disciplina dell’art. 120 TUB esaurisce, quale lex specialis, ogni profilo di disciplina dell’anatocismo, nei rapporti bancari, escludendo l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1283 cod. civ.”.
[18] Nel documento del Consiglio Nazionale del Notariato, Ufficio Studi, Quesito n. 80-2014/C, facendosi leva sulla distinzione dottrinaria tra «anatocismo» (produzione di interessi sugli interessi ai sensi dell’art. 1283 cod. civ.) e «capitalizzazione» (applicazione della disciplina stabilita per l’obbligazione del capitale all’obbligazione degli interessi), si afferma che: “[…] è come se la nuova lettera b) dell’art. 120 TUB avesse stabilito come limite invalicabile per la nuova delibera CICR che gli interessi che scadono periodicamente vengono assimilati, quanto al trattamento giuridico, al capitale, il quale peraltro sarebbe infruttifero, in conformità alla deroga dell’art. 1282, comma 1, c.c.”. Torna sulla rilevanza della distinzione tra “anatocismo bancario” e “capitalizzazione degli interessi”, N. Mancini, L’anatocismo bancario…”, op. cit., pag. 330.
[19] M. Santucci, “Riflessioni sulla nuova derogabilità del divieto di anatocismo”, in Giur. comm. 28.2, Marzo-Aprile 2001, pag. 217; A. Petraglia, “Anatocismo e usura nei contratti a medio lungo termine”, in Il Fallimento n. 12/2001, pag. 1316.
[20] L’ambito “oggettivo” di omnicomprensiva applicazione della nuova disciplina a tutte le “operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria” alle quali fa riferimento l’art. 120, comma 2, TUB, ossia a tutte “le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito” di cui parla la proposta di Delibera CICR, risulta altrettanto ampio anche quanto al suo perimetro “soggettivo”. Le pronunce sin qui esaminate affermano infatti che nulla autorizza la lettura “differenziata” dell’art. 120 TUB (come novellato) fra “cliente-consumatore” e “cliente ordinario”, posto che il divieto appare generalmente applicabile alla contrattualistica banca-cliente (che rivesta o meno la qualifica di consumatore). Conferma di ciò si trae anche dalla nozione di “cliente” contenuta nella proposta di Delibera CICR, ossia “qualsiasi soggetto che ha in essere un rapporto contrattuale con un intermediario”: da questa categoria sono espressamente esclusi, in ragione delle loro caratteristiche e della loro operatività, taluni soggetti nominativamente individuati (ad esempio, banche, società finanziarie, istituti di moneta elettronica, imprese di assicurazione, imprese di investimento); sono altresì escluse le società aventi natura finanziaria controllanti, controllate o sottoposte al comune controllo dei soggetti sopra ricordati.
[21] “La modifica normativa disposta dalla legge n. 147/13 ripristina l’inderogabilità dell’art. 1283 c.c. L’inderogabilità dell’art. 1283 c.c. costituisce una norma imperativa, si estende ad ogni forma di credito, aperture di credito, anticipazioni e scoperti di conto corrente, mutui ed ogni altro tipo di finanziamento”sostiene R. Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera CICR 9/2000, Il Caso.it, 12 dicembre 2014, pag. 4 ss. “E’ sicuramente valida, così, la “convenzione” anatocistica “posteriore alla … scadenza” degli interessi (“sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi”), di cui discorre la parte centrale dell’art. 1283 c.c. Non è comunque pensabile, invero, che la riforma dell’art. 120 TB venga a mettere le banche in posizione deteriore rispetto agli altri soggetti dell’ordinamento”, afferma A.A. Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole “da inadempimento”), in questa rivista, gennaio 2015, nota 20. Idem, 12 osservazioni sulla riforma dell’anatocismo bancario. A margine della proposta di delibera CICR, Il Caso.it, 20 ottobre 2015. Analogamente, R. Marcelli, L’anatocismo, espunto dal Parlamento, riemerge nella delibera CICR. Gli “accorgimenti della Banca d’Italia”, in Il Caso.it, 26 ottobre 2015 (Atti del Convegno “Il nuovo art. 120 TUB e la proposta Delibera CICR della Banca d’Italia” – Roma, 16 ottobre 2015), pag. 40 ss. e, ibidem, P. Fiorio, Il divieto di anatocismo e la nuova disciplina degli interessi bancari. Prime osservazioni alla bozza di deliberazione CICR, pag. 102.
[22] Per comprendere le dimensioni finanziarie del fenomeno si rimanda al sito www.movimentoconsumatori.it, sezione “Stop anatocismo – La dimensione del fenomeno: gli interessi anatocistici del 2014 ammontano a circa 2 miliardi di euro”. R. Marcelli, in L’anatocismo …, op. cit., pag. 70, aggiorna il dato ad Euro 4 miliardi per il biennio 2014/2015.
[23] M. Bascelli – P. Carrière, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: le nuove regole della Banca d’Italia, I Contratti 6/2009.
[24] L’analisi di tale evoluzione legislativa può essere letta in E. Capobianco, I contratti delle banche: trasparenza ed equilibrio nei rapporti con la clientela, in Diritto della banca e del mercato finanziario, Padova, 2002, n. 2, pag. 206. A proposito dell’evoluzione giurisprudenziale in punto di riequilibrio delle condizioni contrattuali, oltre alle numerose pronunce già citate in tema di anatocismo, si segnalano le sentenze che hanno accertato la vessatorietà ed hanno conseguentemente inibito l’utilizzo di numerose disposizioni contenute nelle condizioni generali di contratto predisposte dall’ABI (Tribunale di Roma, 21 gennaio 2000, in Foro Italiano, 2000, I, 2045, con nota di A. Palmieri e P. Laghezza, Consumatori e clausole abusive: l’aggregazione fa la forza, e Corte di Appello di Roma, 24 settembre 2002, in Foro italiano, 2003, I, 341). La circostanza che l’“evoluzione del quadro normativo – impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell’usura – ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente … relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole” è chiaramente evidenziata nella sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite 21095/2004.
[25] Rileva tale inaccettabile disparità di trattamento A.A. Dolmetta, Rilevanza usuraria …, op. cit., nota 20. Idem, 12 osservazioni …, op. cit..
[26] Per una puntuale ricostruzione del divieto di anatocismo nei contratti di finanziamento con rimborso raetale, A. Stilo, Dall’art. 120, comma 2, TUB alla proposta di delibera CICR: verso il ritorno dell’anatocismo bancario ?, in Il Caso.it, 26 ottobre 2015 (Atti del Convegno “Il nuovo art. 120 TUB e la proposta Delibera CICR della Banca d’Italia” – Roma, 16 ottobre 2015), pag. 165 ss.
[27] Si sofferma criticamente (anche) su tale aspetto, R. Marcelli, L’anatocismo …, op. cit., pag. 52 ss.. In termini conformi si esprime anche P. Fiorio, Il divieto di anatocismo …, op. cit., pag. 108.
[28] Ulteriori “storture” operative sono efficacemente immaginate da E. Girino, Il nuovo (non)anatocismo bancario ovvero la quadratura impossibile di un cerchio sbilenco, in Il Caso.it, 26 ottobre 2015 (Atti del Convegno “Il nuovo art. 120 TUB e la proposta Delibera CICR della Banca d’Italia” – Roma, 16 ottobre 2015), pag. 231, secondo il quale “La più che probabile reazione consisterà nell’abbandono dei fidi a tempo determinato e nel dilagare dei fidi a revoca, che consentiranno alla banca di ridurre al minimo indispensabile il tempo di esposizione infruttifera degli interessi provocando nel contempo uno stato di perdurante precarietà degli affidamenti”.
[29] I riferimenti terminologici sono a A. Gambaro, Le clausole vessatorie tra impresa e consumatore. Un viaggio nella western legal tradition, in Trasparenza e legittimità delle condizioni generali di contratto, a cura di A. Marini e C. Stolfi, Napoli, 1992, ove l’Autore efficacemente segnala come “all’osservatore esterno può sembrare assurdo che una impresa spenda cifre considerevoli in advertising, cerchi in ogni altro modo di accreditare la propria immagine sul mercato, agisca in ogni direzione all’unico scopo di accattivarsi la preferenza del consumatore e poi al momento della conclusione del contratto gli imponga clausole ributtanti”, pag. 33 ss. I riferimenti sono altresì a G. Alpa, Note minime sulla trasparenza dei contratti bancari e finanziari, in La Nuova Legge Bancaria – Commentario a cura di P.F. Luzzi e G. Castaldi, Tomo III, Milano, 1996, pag. 1782 ss..
[30] L’impressione di “sempre maggiore confusione nel reperimento delle fonti normative” ingenerata in particolare dalla tecnica legislativa che fa sì che le norme di rango primario deleghino “ad organi amministrativi il potere di derogare alle norme generali con norme speciali” è, tra gli altri, anche di U. Majello, a commento degli artt. 115 – 120 TUB, in Commento al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 – Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio, V. Santoro, Bologna, 2003, Volume II, pag. 1934. Sulla sempre più immanente presenza delle Autorità amministrative cosiddette “indipendenti” nei campi originariamente lasciati all’autonomia privata – attraverso l’incessante opera di regolamentazione delle attività svolte nei settori di competenza e dei connessi poteri di soluzione delle controversie – la letteratura è vasta. Si sofferma incisivamente sul “fenomeno della normazione delle Autorità Indipendenti in materia di contratti” G. De Nova, Le fonti di disciplina del contratto e le Autorità Indipendenti, in Rivista di diritto privato, Milano, n. 1/2003, pag. 5 ss., ove l’Autore individua limpidamente il motivo per cui i contratti trovano la loro disciplina (anche) nei regolamenti delle Autorità indipendenti, “perché l’Autorità Indipendente è anche giudice, ilgiudice, e dunque ogni sua dichiarazione diventa norma, precedente vincolante per l’operatore quotidiano”. La funzione di “giudici del comportamento dell’operatore economico” delle Autorità indipendenti, le cui “decisioni sono destinate a divenire orientamenti per la valutazione della correttezza dei soggetti che operano nel settore di mercato da esse regolato”, è evidenziata anche da G. Vettori, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Rivista di diritto privato, Milano, n. 2/2003, pag. 253 ss.. Ricorre alla definizione di “contratto amministrato”, anche nel settore dei servizi e dei prodotti bancari, per descrivere “il processo di amministrazione in senso tecnico dell’autonomia contrattuale delle parti” svolto dalle Autorità in parola, G. Gitti, Autorità indipendenti, contrattazione collettiva, singoli contratti, in Rivista di diritto privato, Milano, n. 2/2003, pag. 260 ss.. Dei poteri normativi e di quelli “paragiurisdizionali” delle autorità amministrative scrive M. Orlandi, Autonomia privata e Autorità indipendenti, in Rivista di diritto privato, Milano, n. 2/2003, pag. 271 ss.. La funzione regolativa e di controllo dello squilibrio del potere contrattuale svolto dalle Autorità indipendenti è bene evidenziata da F. Macario, Autorità indipendenti, regolazione del mercato e controllo di vessatorietà delle condizioni contrattuali, in Rivista di diritto privato, Milano, n. 2/2003, pag. 308 ss..