1. I primi tentativi di regolamentazione: il Protocollo di Kyoto e la Direttiva ETS del 2003 – 2. Le modifiche alla Direttiva ETS – 3. Il funzionamento (attuale) del mercato delle emissioni – 3.1. La partecipazione alle aste – 3.2. Il mercato secondario delle quote – 4. La natura giuridica delle quote di emissioni e le novità della Direttiva MiFID II – 5. La repressione degli abusi di mercato
1.- I primi tentativi di regolamentazione: il Protocollo di Kyoto e la Direttiva ETS del 2003
La disciplina dello scambio di quote di emissioni trova la sua origine nel Protocollo di Kyoto, l’accordo internazionale stipulato nell’omonima città giapponese nel dicembre 1997 nell’ambito della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, allo scopo di realizzare misure volte alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di origine antropica.
Il Protocollo è entrato in vigore soltanto nel 2005, nonostante i ripetuti inviti dell’ONU a una massiccia adesione e ratifica da parte dei singoli Stati. L’obiettivo non può dirsi compiutamente raggiunto; se infatti la maggioranza dei Paesi si è impegnata a rispettare i parametri dettati del provvedimento (l’Unione Europea lo ha ratificato, per esempio, nel 2002), ci sono state significative prese di distanza: tra tutte, ovviamente, la più eclatante è quella degli Stati Uniti d’America, che ad oggi non hanno ancora ratificato il Protocollo e hanno più volte spinto per il suo superamento.
Venendo (sinteticamente) al merito, il provvedimento ha imposto obiettivi vincolanti, differenziati e progressivi, a carico dei Paesi industrializzati, prevendendo apposite scadenze temporali per il loro raggiungimento.
In primo luogo, gli Stati sono stati chiamati a introdurre misure interne di riduzione delle emissioni, in modo che “le loro emissioni antropiche aggregate di gas ad effetto serra […] non superino le quantità loro assegnate, calcolate in funzione degli impegni quantificati di riduzione e limitazione”.
Nel rispetto del limite delle quantità massime loro assegnate dal Protocollo, gli Stati ratificanti avrebbero poi dovuto procedere alla distribuzione delle quote di emissione tra i vari operatori nazionali.
In secondo luogo, il Protocollo ha previsto, in via complementare rispetto agli interventi nazionali e al fine di consentire un alleggerimento dei costi che da tali operazioni derivano, la possibilità per gli Stati di ricorrere a “meccanismi flessibili”, tra i quali è stato appunto introdotto il sistema di c.d. Emission Trading[1].
Il sistema di negoziazione previsto dal Protocollo di Kyoto è fondato sul modello cap-and-trade, in base al quale l’autorità pubblica stabilisce inizialmente un limite massimo di emissioni di gas a effetto serra che si ritengono tollerabili (cap) in relazione a uno specifico inquinante, un determinato periodo di tempo e una determinata area e, sulla base del livello totale di inquinamento stabilito, viene rilasciato agli operatori, attraverso l’utilizzo di criteri predefiniti, un corrispondente numero di permessi di emissione commerciabili (trade).
Grazie a questo meccanismo, i Paesi inquinanti che, nell’arco di tempo prestabilito, siano riusciti a ridurre la quantità di emissioni prodotte in misura maggiore rispetto all’obiettivo a loro assegnato (target), possono beneficiare della possibilità di vendere ad altri Paesi industrializzati il surplus di quote di emissione di cui dispongono.
L’Unione Europea, allo scopo di promuovere il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto, e ancor prima della sua entrata in vigore, ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra all’interno della Comunità (il c.d. “EU ETS – European Union Emission Trading Scheme”), emanando la Direttiva 2003/87/CE (“Direttiva ETS”).
Il sistema comunitario di negoziazione delle quote di emissioni [2] non è stato concepito come un sistema chiuso, ma, al contrario, come uno strumento compatibile con gli altri sistemi internazionali di scambio esistenti; è chiarissimo in proposito l’art. 25 della Direttiva ETS, in base al quale “dovrebbero essere conclusi accordi con paesi terzi di cui all’allegato B del protocollo di Kyoto che hanno ratificato il protocollo, ai fini del riconoscimento reciproco delle quote di emissioni fra il sistema comunitario e altri sistemi per lo scambio di quote di emissioni”.
Inoltre, nel 2004 è stata emanata la Direttiva 2004/101/CE (c.d. “Direttiva Linking”), al fine di promuovere un’armonizzazione tra il sistema di Emission Trading comunitario e gli altri meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto. Dall’armonizzazione tra i sistemi deriva la possibilità, per i gestori degli impianti della Comunità, di utilizzare anche i crediti di emissione che sono stati ottenuti a seguito dell’attuazione dei progetti di riduzione previsti dai meccanismi di Clean Development Mechanism e Joint Implementation, seppur l’utilizzo sia consentito in percentuale limitata ed entro il termine del 2020.
Il sistema di Emission Trading era (ed è tuttora) vincolante per tutti gli impianti rientranti nel campo di applicazione della Direttiva ETS, che essenzialmente ricomprende i settori industriali a forte intensità energetica, il settore energetico e, a partire dal 2013, il settore dell’aviazione.
Affinché tali impianti possano legittimamente esercitare una delle attività previste ed emettere sostanze inquinanti, è necessario che i relativi gestori ottengano il rilascio di un’autorizzazione da parte dell’autorità nazionale competente, la quale procederà alla concessione solo dopo aver verificato l’idoneità del gestore al controllo e alla comunicazione delle emissioni.
Anche il sistema di scambio comunitario, al pari di quello previsto dal Protocollo di Kyoto, è basato sul modello cap-and-trade, in esecuzione del quale ciascuno Stato membro è stato inizialmente chiamato a elaborare un piano nazionale che determinasse le quote totali di emissioni da assegnare in un dato periodo (inizialmente di tre anni e successivamente di cinque) e le relative modalità di assegnazione.
In merito ai metodi di allocazione iniziale dei diritti di inquinamento, due sono quelli utilizzati principalmente nei sistemi di cap-and-trade: il sistema delle aste (auctioning) e l’attribuzione gratuita (grandfathering). È questo secondo criterio che è stato dapprima privilegiato dalla Direttiva ETS, ai sensi della quale la quasi totalità della percentuale delle quote di emissioni disponibili avrebbe dovuto essere assegnato a titolo gratuito.
Ogni anno, entro il 30 aprile, il gestore di ciascun impianto che ha ottenuto l’autorizzazione e, di conseguenza, l’assegnazione di un determinato numero di quote, è tenuto a restituire il numero di permessi corrispondenti alle emissioni totali rilasciate dall’impianto nell’anno precedente, affinché le quote riconsegnate siano cancellate. Sono previste forti penalizzazioni economiche per i soggetti inquinanti che non rispettano i parametri stabiliti dalla Direttiva ETS.
I permessi non utilizzati nell’arco di un determinato periodo sono “bancabili”, cioè possono essere utilizzati, previa conversione da parte dell’Autorità nazionale competente, in un periodo di riferimento successivo a quello di generazione o acquisizione (c.d. banking). Inoltre, un secondo strumento di flessibilità previsto dal sistema di negoziazione comunitario è il c.d. borrowing, in base al quale gli operatori sono autorizzati a restituire le quote corrispondenti alle emissioni prodotte nell’anno in corso fino al 30 aprile dell’anno successivo, potendo utilizzare, in tal modo, quote rilasciate nell’anno nuovo per compensare emissioni dell’anno precedente.
Per garantire l’attuazione di un meccanismo di negoziazione trasparente ed efficiente, che generi fiducia e sia funzionale al raggiungimento dello scopo prefissato, è stato istituito un sistema di registri nazionali sotto forma di banche dati elettroniche e standardizzate accessibili al pubblico, al fine di contabilizzare in maniera accurata e precisa i “movimenti” delle quote che vengono assegnate, possedute, cancellate o cedute [3].
Inoltre, sono state adottate dalla Commissione delle Linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni, cui devono attenersi i gestori degli impianti negli adempimenti informativi nei confronti dell’autorità nazionale competente, la quale, a sua volta, è tenuta a verificarne la correttezza.
La conformità delle comunicazioni è condizione essenziale affinché il gestore di un impianto possa regolarmente traferire il surplus delle proprie quote di emissione.
La possibilità di cedere i propri permessi di inquinamento è specificamente disciplinata all’art. 12 della Direttiva ETS, ai sensi del quale le quote possono essere trasferite sia tra persone all’interno della Comunità, sia tra persone della Comunità e persone di Paesi terzi con i quali siano stati conclusi accordi ai fini del riconoscimento reciproco delle quote.
2.- Le modifiche alla Direttiva ETS
L’originaria disciplina del sistema di Emission Tradingha subito alcune rilevanti modifiche a seguito dell’emanazione della Direttiva 2009/29/CE, recepita in Italia con il d.lgs. 13 marzo 2013, n. 30.
Le modifiche introdotte derivano da un’analisi delle criticità rilevate in merito al funzionamento del sistema di negoziazione e sono volte al potenziamento degli obiettivi di efficienza, trasparenza e armonizzazione che già la precedente disciplina si era imposta.
La nuova normativa ha mantenuto il modello cap-and-trade, ma, a fronte di una constatata inidoneità dei piani nazionali al raggiungimento degli obiettivi di riduzione che l’Unione Europea si era prefissata, è stata sottratta agli Stati membri la discrezionalità nella determinazione del quantitativo complessivo di quote da assegnare. Ciò a favore della previsione di un unico cap comunitario, il cui ammontare dovrà subire, ogni anno, una riduzione lineare dell’1,74% rispetto al quantitativo medio annuo totale di quote che gli Stati membri hanno rilasciato nell’ultimo quinquennio.
In secondo luogo, è stato emendato il metodo di allocazione iniziale delle quote; infatti, se la Direttiva ETS, nella sua formulazione originale, privilegiava l’attribuzione gratuita dei permessi, il nuovo intervento legislativo ha incrementato notevolmente la percentuale di quote messe all’asta [4].
Il metodo dell’auctioning offre il vantaggio di consentire l’acquisto dei permessi di inquinamento in maniera più trasparente ed efficiente e dovrebbe rappresentare un incentivo ad investire negli interventi di riduzione della quantità di emissioni prodotte; con il risultato di ridurre il numero di quote di cui ogni operatore necessita.
D’altra parte, però, tale soluzione contribuisce all’incremento dei costi che gli operatori devono sostenere per esercitare una delle attività rientranti nel campo di applicazione della Direttiva ETS, in quanto li costringe, a differenza del sistema di grandfathering, a dover acquistare le quote per poter inquinare legittimamente.
In merito ai proventi derivanti dalla vendita all’asta delle quote, inoltre, è stato disposto che gli Stati membri ne stabiliscano la destinazione. È stato, infatti, previsto un vincolo di investimento di almeno il 50% dei ricavi in misure a sostegno dell’ambiente, quali ad esempio la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra o lo sviluppo di energie rinnovabili.
Anche la disciplina in materia di monitoraggio, comunicazione e relativa verifica di conformità è stata oggetto di modifiche: in luogo delle precedenti Linee guida, la Commissione è ora incaricata di adottare Regolamenti, allo scopo di eliminare le divergenze sussistenti tra i diversi sistemi utilizzati finora dagli Stati membri, garantendo un sistema maggiormente efficiente e armonizzato.
Ancora, ai fini di integrare il meccanismo di negoziazione comunitario con gli altri sistemi di scambio, è stata introdotta la possibilità di concludere accordi per il mutuo riconoscimento delle quote anche con Paesi terzi che non abbiano ratificato il Protocollo di Kyoto, ma che utilizzino sistemi che prevedono tetti massimi per le emissioni assolute.
Infine, è stato cambiato il sistema di registrazione delle quote di emissioni. Le quote sono infatti registrate su appositi conti – iscritti nel Registro dell’Unione (che dal 2013 ha sostituito i singoli registri nazionali) -, che ogni persona, fisica o giuridica, che voglia operare nel sistema di Emission Trading è tenuta ad aprire; la sezione italiana del Registro dell’Unione è amministrata dall’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (l’ISPRA).
3.- Il funzionamento (attuale) del mercato delle quote di emissioni
3.1.- La partecipazione alle aste
A partire dal 2013, come si è visto, l’assegnazione delle quote di emissioni avviene prevalentemente a titolo oneroso tramite asta, salvo eccezioni legate all’esigenza di tutela della competitività di determinati settori di mercato.
Per poter mettere all’asta le proprie quote, è necessario che ogni Stato membro nomini un “Responsabile nazionale del Collocamento”, il c.d. Auctioneer, ruolo che l’Italia, ai sensi del d. lgs. 13 marzo 2013, n. 30, ha attribuito al GSE – il Gestore dei Servizi Energetici. Tra le principali attività di competenza di tale soggetto rientrano la custodia dei proventi derivanti dalla vendita all’asta, il monitoraggio e l’analisi del mercato delle quote e l’adempimento degli obblighi informativi circa il sistema di collocamento.
Il meccanismo introdotto dal Regolamento del 12 novembre 2010 n. 1031 (il c.d. “Regolamento Aste”) prevede che le quote siano messe in vendita su apposite piattaforme individuate tramite gara d’appalto europea.
Attualmente, sono tre le piattaforme operative, una delle quali, la piattaforma d’asta comune europea (EU T-CAP), è centralizzata a livello europeo e raccoglie, tra le altre, le quote di proprietà dell’Italia; viceversa, le altre due sono piattaforme nazionali: la piattaforma tedesca (EEX DE) e la piattaforma britannica (ICE UK), in cui collocano le proprie quote rispettivamente Germania e Regno Unito.
Tutti gli operatori, in ogni caso, indipendentemente dallo Stato membro in cui hanno sede, possono partecipare sia alle aste bandite dalla piattaforma d’asta comune, sia a quelle bandite dalle piattaforme nazionali.
Il collocamento delle quote sulla piattaforma, ai sensi del Regolamento Aste, avviene mediante contratti elettronici standardizzati, che possono assumere la forma di contratti spot a due giorni – tipologia utilizzata finora dalle piattaforme – o di contratti future a cinque giorni.
Per quanto riguarda i soggetti legittimati a presentare domanda di partecipazione all’asta, l’art. 18 del Regolamento Aste li identifica specificamente nelle seguenti categorie:
- i gestori di impianti od operatori aerei che ricadono nell’ambito operativo della Direttiva ETS;
- le imprese di investimento e le banche che presentano un’offerta per conto proprio o per conto dei clienti;
- i raggruppamenti di gestori di impianti o operatori aerei che agiscono in qualità di rappresentanti dei loro membri;
- gli organismi pubblici o enti di proprietà pubblica che controllano gestori di impianti o operatori aerei.
Fino all’entrata in vigore della Direttiva MiFID II, come si vedrà, le quote di emissione non sono considerate strumenti finanziari. Da ciò discende che la partecipazione alle aste di banche e imprese di investimento è subordinata alla compatibilità di tale operatività con il perimetro delle attività esercitabili in base alla normativa nazionale, in quanto la negoziazione delle quote di emissione non sembra rientrare, di per sé, in alcuna delle attività istituzionali di tali soggetti.
3.2.- Il mercato secondario delle quote
Una volta assegnate o acquistate all’asta, le quote di emissioni, nelle loro diverse tipologie, possono essere liberamente scambiate sul mercato secondario; è questo, del resto, il fulcro del sistema dell’Emission Trading.
Gli operatori che partecipano alle negoziazioni sono sia i soggetti inquinanti, che hanno la necessità di approvvigionarsi dei permessi di emissione per rispettare i limiti loro imposti dalla normativa di riferimento, sia investitori e speculatori estranei al settore industriale sottostante, che mirano semplicemente a lucrare sulla differenza tra i prezzi di acquisto e vendita delle quote e ad approfittare di arbitraggi regolamentari tra le varie sedi di negoziazione disponibili.
La partecipazione può avvenire sia direttamente, se ciò è consentito dalle regole del mercato, o tramite intermediari specializzati, che acquistano o vendono le quote per conto dei propri clienti. Si tratta di un numero non significativo di soggetti, destinato ad ampliarsi con l’inserimento delle quote nel catalogo degli strumenti finanziari: oltre alle divisioni di grandi gruppi bancari internazionali, sono particolarmente attivi i più rilevanti player del settore termoelettrico e società di trading focalizzate su questo specifico settore, spesso di dimensioni contenute.
I servizi prestati dagli intermediari non si limitano alla mera conclusione di contratti spot per conto terzi, ma spaziano dalla consulenza strategica alla gestione del portafoglio dei permessi di emissione, dal confezionamento e offerta di prodotti finanziari complessi aventi come sottostante le quote di emissioni alla conclusione di contratti derivati e di operazioni pronti contro termine.
Le piattaforme più usate in Italia, secondo uno studio diffuso dal GSE [5], risultano quelle organizzate dalla già citata EEX European Energy Exchange, operativa anche sul mercato primario, e da ICE Futures Europe.
In Italia, Spagna e Portogallo è inoltre attiva SENDECO2, la Borsa Europea di Diritti di Emissione e Crediti di Carbonio, i cui partecipanti possono accedere in maniera anonima agli scambi, presentando i loro ordini di acquisto e vendita sulla base di prezzi quotati dagli stessi partecipanti.
Una quota significativa delle contrattazioni avviene comunque al di fuori dei mercati. L’attività over the counter appare favorita dal numero, tutto sommato, esiguo o comunque chiuso di operatori, che conoscono le necessità reciproche.
Il prezzo al quale avvengono gli scambi è fortemente influenzato, oltre che dai prezzi formatisi sul mercato primario in sede di asta, dal quadro normativo, che appare in perenne evoluzione e che ha finora scoraggiato molti intermediari e, soprattutto, gli investitori istituzionali a riporre il loro interesse nel mercato delle emissioni.
4.- La natura giuridica delle quote di emissioni e le novità della Direttiva MiFID II
Per lungo tempo, la dottrina italiana si è interrogata in merito alla qualificazione giuridica da attribuire alle quote di emissioni.
Infatti, né il Protocollo di Kyoyo, né tantomeno la Direttiva ETS, hanno fornito una definizione tecnicamente soddisfacente delle quote, perlomeno in termini giuridici. Si è, infatti, anticipato che, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva ETS, per quota di emissioni debba intendersi “il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato, valido unicamente per rispettare le disposizioni della presente direttiva e cedibile conformemente alla medesima”.
La stessa nozione di “quota” è propria dell’ordinamento italiano (e di quello francese), mentre nella versione inglese si parla di “allowance”, ovvero di “permesso”.
Secondo una prima possibile ricostruzione, le quote avrebbero potuto essere considerate alla stregua di veri e propri strumenti finanziari, per la loro natura di “titoli di massa”, peraltro dematerializzati, e per la loro negoziabilità sul mercato. In particolare, le quote sarebbero state “valori mobiliari”: sottocategoria degli strumenti finanziari presa in considerazione dalla Direttiva 1993/22/CEE (c.d. “Direttiva ISD”) e successivamente dalla Direttiva 2004/39/CE (la “Direttiva MiFID”) e da quest’ultima definita come “categorie di valori, esclusi gli strumenti di pagamento, che possono essere negoziate nel mercato dei capitali”, tra cui azioni e obbligazioni (cfr. art. 4, comma 1, numero 18 della direttiva MiFID).
Una simile opzione ermeneutica, il cui accoglimento avrebbe avuto ricadute dirompenti sul mercato delle quote, sia in termini di soggetti abilitati alla negoziazione e alla gestione delle piattaforme di scambio, sia in termini di regole organizzative e di condotta applicabili, non è stata tuttavia sposata dalla dottrina.
La piena assimilazione delle quote di emissioni agli strumenti finanziari, si è osservato, sarebbe stata impedita dalla peculiare natura delle quote, emesse e negoziate non in vista della realizzazione di un investimento, ma all’adempimento di precisi obblighi normativi [6].
D’altra parte, fattore dirimente che ha portato a escludere l’applicabilità, fino ad oggi, della disciplina degli strumenti finanziari alle quote di emissione è stata l’inclusione, operata dalla Direttiva MiFID, dei contratti derivati su quote di emissione nell’elenco degli strumenti finanziari: circostanza che ha portato ad escludere che si volessero ricondurre nel novero anche le stesse quote di emissione.
Nell’Allegato I, Sezione C, alla Direttiva MiFID, compaiono infatti, tra gli strumenti finanziari, al punto 10, i “contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (‘futures’), ‘swap’, contratti a termine sui tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, quando l’esecuzione debba avvenire attraverso il pagamento di differenziali in contanti o possa avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti (invece che in caso di inadempimento o di altro evento che determini la risoluzione del contratto) (omissis)”.
Oltretutto, si osservava che nemmeno tutti i contratti derivati con sottostanti quote di emissioni fossero automaticamente da considerarsi strumenti finanziari, occorrendo una puntuale valutazione funzionale delle loro caratteristiche specifiche [7].
Se, quindi, la tesi della natura “finanziaria” delle quote non ha avuto grande fortuna, si è invece lungamente disquisito, valorizzandone la natura e l’origine amministrativa, se le quote fossero qualificabili in termini di “autorizzazioni” ad emettere sostanze inquinanti (in quanto l’Autorità pubblica avrebbe rimosso un ostacolo all’esercizio di un diritto preesistente) o, più propriamente, di “concessioni” (poiché sarebbe stato attribuito un diritto non esistente prima del provvedimento amministrativo) [8].
Se però era (ed è tuttora) indiscutibile l’origine amministrativa delle quote, che non esisterebbero senza un provvedimento dell’Autorità, è invece dubbio se la ricostruzione sic et simpliciter in termini di autorizzazione o concessione fosse la più corretta, considerato che, una volta emesse, le quote circolano liberamente, peraltro senza alcun intervento o valutazione discrezionale della stessa Autorità: una caratteristica, quella della libera trasferibilità, che mal si attaglia con la natura dei provvedimenti amministrativi.
Un altro orientamento privilegia quindi la natura di veri e propri beni delle quote. Si è, infatti, sottolineato che bene giuridico è ciò che, oltre che essere astrattamente idoneo allo scambio, è suscettibile di valutazione economica, “caratteristica, quest’ultima, che discende direttamente dalla ricorrenza di una scarsità relativa che interessi il bene diretto a soddisfare un bisogno umano” [9].
Nel caso delle quote di emissioni, il meccanismo insito nell’Emission Trading, come congegnato dal Protocollo di Kyoto e dalla Direttiva ETS, determina un numero chiuso di quote di emissioni, certamente inferiore alle pretese inquinanti degli operatori: tanto che, come si è visto, si è affermato (seppure con alterne fortune) un mercato primario e secondario delle quote, con prezzi ivi formatasi.
In particolare, si tratterebbe (rectius, si sarebbe trattato) di beni immateriali, incorporanti un diritto fortemente regolamentato dall’ordinamento, non appartenenti ad alcuna delle categorie classiche di beni giuridici – e per questo riconducibili alla discussa classe delle c.d. new properties [10].
Coerentemente l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 71/E del 20 marzo 2009, ha precisato che le operazioni di acquisto e vendita relative ai permessi CO2 sono equiparate alle cessioni di diritti immateriali e, con ciò, si qualificano come prestazione di servizi, ai sensi del DPR 633 del 1972.
Infine, secondo un Autore, le quote avrebbero dovuto essere considerate alla stregua di merci; ma si tratta di una tesi forse estrema, che trascura il dato della non tangibilità (in senso ampio, ovviamente) delle quote stesse [11].
Ciò detto, gran parte della dottrina riconosceva che l’eventuale sottoposizione delle quote alla disciplina dei servizi di investimento avrebbe reso più trasparente ed efficiente il mercato, ne avrebbe migliorato la liquidità e avrebbe contribuito a un contenimento dei costi di transazione; in senso opposto, però, si evidenziava il rischio di irrigidirne eccessivamente la negoziazione, limitandone lo sviluppo.
Il dibattito è stato definitivamente risolto dalle disposizioni della Direttiva 2014/65/UE (c.d. “Direttiva MiFID II”) e del Regolamento UE del 15 maggio 2014, n. 600 (c.d. “Regolamento MiFIR”), insieme il “Pacchetto MiFID II”.
Nel considerando 11 della Direttiva MiFID II si legge infatti chiaramente che, alla luce delle pratiche fraudolente riscontrate nei mercati secondari a pronti di quote di emissioni, tali da compromettere il regolare funzionamento dei meccanismi di scambio previsti dalla Direttiva ETS (sul punto, si veda il paragrafo seguente), si rivela opportuno classificare le quote come strumenti finanziari.
E in effetti, nell’Allegato I, Sezione C, che elenca gli strumenti finanziari, compaiono, alla casella 11, le “quote di emissioni che consistono di qualsiasi unità riconosciuta conforme ai requisiti della direttiva 2002/87/CE (sistema per lo scambio di emissioni)”.
La direttiva prevede però una serie di esenzioni applicabili al mondo delle quote di emissioni.
Infatti, restano esclusi dall’ambito applicativo del provvedimento:
- gli operatori “soggetti agli obblighi della direttiva 2003/87/CE che, quando trattano quote di emissione, non eseguono ordini di clienti e non prestano servizi o attività di investimento diversi dalla negoziazione per conto proprio, a condizione che non applichino tecniche di negoziazione algoritmica ad alta frequenza” (art. 2, lett. e), nonché
- tutti coloro (non solo gli operatori, dunque) che, purché in via accessoria rispetto alla loro attività principale (diversa dalla prestazione di servizi di investimento o di attività bancaria) e senza avvalersi di high frequency trading:
– negoziano per conto proprio quote di emissione o derivati dalle stesse, senza eseguire ordini dei clienti; - prestano servizi di investimento, diversi dalla negoziazione per conto proprio, in quote di emissioni o strumenti derivati dalle stesse in favore di clienti o ai
– fornitori della loro attività principale.
Gli Stati Membri, in sede di recepimento (entro quindi il 3 gennaio 2017), potranno poi prevedere ulteriori esenzioni (facoltative) in favore di coloro che prestano servizi di investimento esclusivamente in quote di emissioni e/o relativi strumenti finanziari derivati al solo di fine di limitare i rischi commerciali delle loro società controllanti, rappresentati però da imprese elettriche locali, imprese di gas naturale e gestori di impianti ai sensi della Direttiva ETS.
L’assoggettamento alla Direttiva MiFID II comporta una vera rivoluzione nel settore dell’Emission Trading: al di fuori delle esenzioni sopra descritte, chiunque intenda effettuare negoziazioni aventi ad oggetto quote di emissioni, o comunque prestare servizi di investimento aventi ad oggetto tali strumenti, dovrà possedere un’apposita autorizzazione da parte delle Autorità competenti.
L’impatto sarà particolarmente rilevante per tutti quei player del settore diversi dalle divisioni delle grandi banche internazionali, che finora hanno operato con una forma giuridica “ordinaria” (in Italia, per esempio, alcuni trader rivestono attualmente la forma di società a responsabilità limitata, con capitale sociale minimo) e con una struttura organizzativa semplificata, anche se alcune sedi di negoziazione richiedono già l’adozione, da parte dei partecipanti agli scambi, di sistemi di controlli interni e procedure di know your customer simili, se non uguali, a quelli tipici degli intermediari abilitati.
Saranno, infatti, prescritti requisiti di capitale e di dotazione patrimoniale, particolarmente significativi in caso di assunzione di rischi in proprio da parte dell’intermediario (come nel caso della negoziazione per contro proprio), e la strutturazione di un sistema di controlli interni su tre livelli. Tali requisiti rappresenteranno una forte barriera all’ingresso e spingeranno i piccoli trader oggi esistenti a cercare aggregazioni con soggetti simili o a cambiare attività.
Non solo; l’ingresso nel “mondo MiFID” comporterà l’applicazione delle regole di condotta previste a carico di chi presta servizi di investimento: si pensi quindi agli obblighi di best execution e di gestione dei conflitti di interesse, nonché i limiti alla percezione di incentivi.
Deve comunque osservarsi che gran parte di tali regole potranno essere disapplicate qualora il cliente nel cui interesse vengano compravendute le quote di emissioni sia classificato, di diritto o dietro sua richiesta, come un cliente professionale: eventualità tutt’altro che remota, considerando che i gestori degli impianti inquinanti e gli operatori del settore dell’aviazione, primi destinatari della Direttiva ETS, sono spesso imprese con requisiti dimensionali e di fatturato significativi e, prevedibilmente, con una pregressa esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, se non altro per finalità di copertura dei rischi assunti.
Le novità introdotte dalla Direttiva MiFID II potrebbero anche rappresentare un’opportunità di crescita per il mercato delle quote di emissione e per il buon funzionamento del sistema di Emission Trading.
Gli intermediari, finora piuttosto timidi nell’approcciarsi a un settore considerato troppo regolamentato e normativamente instabile, hanno infatti a disposizione nuovi servizi da poter proporre alla clientela, specie di quella evoluta. Per esempio, si può immaginare la nascita di linee di gestione patrimoniale dedicate alle quote di emissioni, o che investano, tra i vari strumenti finanziari, anche in quote di emissioni; o la prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti a favore degli operatori interessati dal sistema di Emission Trading, che comprenda anche l’ottimizzazione della gestione delle quote.
Dalla sottoposizione alla nuova disciplina derivano conseguenze rilevanti anche per le sedi di negoziazione, che dovranno necessariamente assumere la forma di una delle trading venues consentite, ovvero un mercato regolamentato, un sistema multilaterale di negoziazione (MTF) o un sistema organizzato di negoziazione (OTF), nuova categoria di piattaforma introdotta “allo scopo di rendere i mercati finanziari dell’Unione più trasparenti ed efficienti nonché di definire condizioni eque tra le varie sedi che offrono servizi di negoziazione multilaterale” (considerando n. 8 del Regolamento MiFIR) e che, per esplicita previsione, costituirà una delle possibili sedi di negoziazione delle quote di emissioni.
Alle sedi ufficiali, si affiancheranno gli internalizzatori sistematici, la cui definizione è stata rivisitata dalla Direttiva MiFID II e che potranno eseguire al proprio interno ordini dei clienti aventi ad oggetto quote di emissioni [12].
Alle negoziazioni concluse sulle trading venues si applicheranno, con riferimento alle quote di emissioni, gli obblighi di trasparenza pre e post trading previsti, rispettivamente, dagli artt. 8 e 10 del Regolamento MiFID. Regole ad hoc sono dettate per le operazioni concluse dagli internalizzatori sistematici
Il nuovo contesto normativo garantirà quindi una notevole trasparenza sui meccanismi di formazione dei prezzi e sui volumi degli scambi, che potrà rappresentare un ulteriore volano per lo sviluppo del settore.
5.- La repressione degli abusi di mercato
L’introduzione del sistema di scambio delle quote di emissione ha avuto come effetto non desiderato il proliferare di speculazioni e condotte poco limpide, favorite da un quadro normativo fluido e in continuo devenire e dall’assenza di un efficace apparato repressivo.
L’art. 12, paragrafo 1bis, della Direttiva ETS, introdotto dalla Direttiva del 2009, ha quindi assegnato alla Commissione il compito di verificare se il mercato fosse “adeguatamente protetto dall’abuso di informazioni privilegiate o dalla manipolazione del mercato”.
Con la comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 21 dicembre 2010, n. 0796 (denominata “Verso un quadro rafforzato di sorveglianza del mercato per il sistema di scambio delle quote di emissione dell’Unione Europea”), la Commissione ha descritto le principali criticità manifestatesi nel mercato dalle sue origini, identificato le principali problematiche nella disciplina e formulato alcune considerazioni, al fine di pervenire a un sistema di scambi integro ed efficacemente vigilato.
La Commissione ha rilevato tre principali ordini di incidenti che si erano manifestati nel corso del biennio 2009/2010, non necessariamente ricostruibili in termini di abuso di mercato in senso stretto:
- frodi in materia di IVA, ravvisabili, d’altra parte, già in altre tipologie di mercato [13];
- attacchi di phishing, attraverso i quali i frodatori si sono insinuati senza autorizzazione nei conti degli operatori del mercato;
- rivendita sul mercato delle unità di riduzione certificata delle emissioni già utilizzate nel sistema comunitario.
In realtà, poco prima della citata Comunicazione, la Commissione aveva già emanato un provvedimento dedicato anche agli abusi di mercato, ovvero il già menzionato Regolamento Aste.
In particolare, in uno scenario normativo imperniato sulla nozione di strumento finanziario dettata dalla Direttiva MiFID, che, come si è visto in precedenza, non contemplava le quote di emissione se non quando rappresentavano il sottostante di contratti derivati, il Regolamento Aste si proponeva di estendere le regole e i presidi stabiliti dalla Direttiva 2003/6/CE (la direttiva sugli abusi di mercato o “Direttiva MAD”) e relativi provvedimenti di attuazione anche alle negoziazioni aventi ad oggetto quote di emissione, indipendentemente dalla loro qualificazione in termini di strumenti finanziari.
A tal fine, veniva previsto un “microcosmo normativo” in tema di abusi di mercato, modellato sulla falsariga di quello di cui alla Direttiva MAD, comprendente proprie definizioni, condotte vietate, poteri di vigilanza e sanzioni.
Il modello riproponeva naturalmente la controversa definizione di informazione privilegiata, seppur riadattata al mondo dell’Emission Trading, e la summa divisio tra insider trading e market manipulation tipica della Direttiva MAD.
Lo scenario cambierà radicalmente con l’implementazione del Regolamento (UE) del 16 aprile 2014, n. 596 (il regolamento relativo agli abusi di mercato o “Regolamento MAR”), che sostituisce la Direttiva MAD.
Il considerando 37 del citato provvedimento, dato atto dell’esistenza di un regime parallelo di disciplina degli abusi di mercato dedicato esclusivamente al mercato delle quote di emissione, chiarisce fin da subito l’intenzione del legislatore comunitario di dettare “un testo normativo unico sugli abusi di mercato applicabile alla totalità dei mercati primari e secondari delle quote di emissioni”; con ciò superando, pertanto, le previsioni del Regolamento Aste sul punto.
L’obiettivo appare oggi perseguibile, grazie all’inclusione delle quote di emissione nel catalogo degli strumenti finanziari, operata con l’emanazione della Direttiva MiFID II. Le preoccupazioni (fondate) di un vuoto normativo che avevano indotto la Commissione a emanare il Regolamento Aste non sono quindi più attuali: la disciplina volta a prevenire e sanzionare l’insider trading e la market manipulation si applicherà nel nuovo panorama normativo anche alle negoziazioni relative ai prodotti de quibus.
Passando brevemente in rassegna, senza pretese di esaustività, le principali previsioni dedicate alle quote di emissioni, il Regolamento MAR detta innanzitutto una definizione di informazione privilegiata specificamente rivolta alle quote di emissioni, stabilendo all’art. 7, comma 1, lett. c), che per informazione privilegiata debba intendersi “un’informazione avente un carattere preciso, che non è stata comunicata al pubblico, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più di tali strumenti e che, se comunicata al pubblico, potrebbe avere un effetto significativo sui prezzi di tali strumenti o sui prezzi di strumenti finanziari derivati collegati”.
Come si vede, è stato opportunamente eliminato, poiché sarebbe stato del tutto privo di significato vista la natura amministrativa dei permessi, qualsivoglia riferimento alle c.d. “corporate information”, ovvero alle informazioni relative all’emittente, che compare invece nella definizione standard di informazione privilegiata.
Quanto alle condotte vietate di insider trading, non si ravvisano significative particolarità: anche con riferimento alle quote di emissioni, sono quindi considerate illecite le fattispecie di trading, di tipping e di tayautage, nonché le pratiche di front running.
Volgendo lo sguardo alla manipolazione di mercato, è interessante notare l’individuazione, tra le condotte manipolative tipizzate, dell’”acquisto o la vendita sul mercato secondario, in anticipo sull’asta tenuta ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010 (il Regolamento Aste, NdR), di quote di emissioni o dei relativi strumenti derivati, con l’effetto di fissare il prezzo di aggiudicazione dell’asta a un livello anormale o artificiale o di indurre in errore gli altri partecipanti all’asta” (art. 12, comma 2, lett. e) del Regolamento MAR).
Infine, viene estesa anche ai partecipanti al mercato delle quote di emissioni (ovvero “chiunque effettua operazioni, incluso l’inoltro di ordini di compravendita, in quote di emissioni, prodotti oggetto d’asta sulla base di tali quote o derivati connessi”) la disciplina delle comunicazioni al pubblico delle informazioni privilegiate (cfr. art. 17, comma 2). Tuttavia, è previsto che la Commissione stabilisca una soglia minima di emissioni o di potenza termica nominale (in caso di attività di combustione) prodotta o raggiunta dagli impianti inquinanti o dalle attività di trasporto aereo, al di sotto della quale opera un’esenzione agli obblighi di comunicazione. Come chiarito dal considerando 51, il perimetro dei destinatari dell’imposizione è infatti circoscritto ai soli gestori che, per dimensione e attività, si ritiene siano in grado di influenzare sensibilmente i prezzi delle quote o dei prodotti a esse correlati [14].
[1] Nello specifico, l’art. 17 del Protocollo dispone che “La Conferenza delle Parti definisce i principi, le modalità, le norme e le linee guida, in particolare per la verifica, la preparazione dei rapporti e la contabilità relativa al commercio dei diritti di emissione. Le Parti incluse nell’Allegato B possono partecipare al commercio dei diritti di emissione al fine di adempiere agli impegni assunti a norma dell’Art. 3. Ogni commercio di questo tipo è supplementare alle misure adottate a livello nazionale per adempiere agli impegni quantificati di riduzione e limitazione delle emissioni di cui all’articolo 3”.
Oltre al sistema di Emission Trading, sono stati introdotti due ulteriori meccanismi flessibili: i meccanismi di “sviluppo pulito” e di “attuazione congiunta”, entrambi basati sull’attuazione di progetti volti alla riduzione della produzione di emissioni, a fronte dei quali gli Stati che li realizzano ottengono ulteriori crediti validi per la compensazione delle emissioni prodotte. Nello specifico, il Clean Development Mechanism prevede che i Paesi elencati nell’Allegato I sviluppino misure di riduzione a favore degli Stati non inclusi nell’elenco, determinandone così un principio di sviluppo; viceversa, la Joint Implementation prevede che i Paesi soggetti a vincoli pongano in essere congiuntamente progetti di riduzione, tali da sfruttare le differenze nei costi marginali di abbattimento esistenti tra i diversi Stati.
[2] Con l’espressione “quota di emissioni”, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva ETS, deve intendersi “il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato, valido unicamente per rispettare le disposizioni della presente direttiva e cedibile conformemente alla medesima”.
[3] Tecnicamente le quote sono stringhe alfanumeriche registrate su un registro elettronico gestito a livello europeo e contenute in appositi conti, al cui intestatario viene assegnata la proprietà della quota registrata. La disciplina relativa al“sistema standardizzato e sicuro di registri a norma della direttiva 2003/87/CE”è stabilita dal Regolamento n. 2216/2004 della Commissione.
[4] In attuazione del nuovo sistema di allocazione inziale delle quote di emissioni, è stato emanato dalla Commissione il Regolamento n. 1031/2010 “relativo ai tempi, alla gestione e ad altri aspetti della vendita all’asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra a norma della direttiva 20o3/87/CE”.
[5] Cfr. GSE, Rapporto sulle aste di quote europee di emissione, II trimestre 2014.
[6] Sul punto, Jacometti, Lo scambio di quote di emissione, Milano, 2010, 427 ss.
[7] In tal senso, Annunziata, L’atmosfera come bene negoziabile. I contratti di cessione di quote di emissione tra tutela dell’ambiente e disciplina del mercato finanziario, in Scambi su merci e derivati su commodities, Milano, 2006, evidenziava come la Direttiva MiFID avesse introdotto un nuovo indice di valutazione ai fini della definizione della natura di un contratto derivato in termini di strumento finanziario, costituito dalla sua necessaria finanziarietà. Anche la posizione assunta dal CESR, nel parere rilasciato in merito alle misure attuative della MiFID (doc. 05/290b), secondo questa ricostruzione, avrebbe confermato la correttezza di un simile approccio.
[8] Cfr. de’ Capitani di Vimercate, L’emission trading scheme: aspetti contabili e fiscali, in Diritto e Pratica Tributaria, 2010, 15; Grippo – Manca, Manuale breve di diritto dell’energia, Padova 2008, 164.
[9] Cfr. Lucchini Guastalla, Il trasferimento delle quote di emissione di gas serra, in Nuova giur. Civ. comm. 2005, II, 288.
[10] Cfr. Gaspari, Tutela dell’ambiente, regolazione e controlli pubblici: recenti sviluppi in materia di EU Emission Trading Scheme (ETS), in Riv. It. Dir. Pubbl. comunit. 2011, 1149; Jacometti, cit., 434.
[11] Cfr. Gratani, Le “quote” per inquinare: a titolo gratuito o oneroso?, in Riv. Giur. Ambiente, 2013, 392.
[12] Nel Final Report – Technical Advice sulla Direttiva MiFID II e sul Regolamento MiFIR reso dall’ESMA alla Commissione, pubblicato il 19 dicembre 2014, vengono proposti i requisiti strutturali e dimensionali per poter considerare “internalizzatore sistematico” l’impresa di investimento che esegue ordini con l’intermediazione del conto proprio su quote di emissioni,
[13] Negli ultimi anni, il fenomeno delle c.d. frodi carosello si è manifestato in maniera prepotente nel mercato delle quote di emissioni. Nel 2009 sono stati rilevati casi di operazioni fraudolente che avrebbero determinato, in Europa, perdite fiscali per un ammontare di circa 5 milioni di euro.
Per quanto riguarda l’Italia, nello specifico, nel dicembre 2014 è stato denunciato un caso eclatante che ha portato all’arresto da parte della Guardia di Finanza di Milano di nove soggetti con l’accusa di partecipazione ad associazione a delinquere a carattere transnazionale, finalizzata alla frode fiscale. Una soluzione al problema sarà offerta dalla sottoposizione del sistema diEmission Trading al pacchetto MiFID II che determinerà l’armonizzazione del regime IVA sulla transazioni e dunque porrà fine a tali pratiche.
[14] Al riguardo, nel Final Report sulle misure di implementazione del Regolamento MAR pubblicato il 3 febbraio 2015, l’ESMA suggerisce alla Commissione di prevedere, quali soglie, sei milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno e 2.430 MW annui.