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La nuova fattispecie di conversione delle “DTA” introdotta dal Decreto “Cura Italia”

23 Marzo 2020

Giulio Andreani, Dottore Commercialista, Tax Partner, Dentons Europe Studio Legale Tributario; Angelo Tubelli, Dottore Commercialista

Di cosa si parla in questo articolo

Al fine di incentivare la cessione di crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni e dunque con l’obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica, le imposte anticipate riferite alle perdite pregresse e alle eccedenze ACE (anche se non iscritte in bilancio) possono essere convertite in credito d’imposta; l’importo complessivo delle due suddette posizioni soggettive rileva a tal fine per un ammontare massimo non eccedente il 20% del valore nominale dei crediti deteriorati ceduti.

La nuova misura di sostegno, pur costituendo un aiuto per le imprese (soprattutto in alcune circostanze), appare tuttavia un po’ timida e risulterebbe assai più utile se avesse a oggetto le DTA relative a tutte le perdite fiscali e le eccedenze ACE, ovverosia senza la limitazione del 20% attualmente prevista e indipendentemente dal possesso e dalla cessione di crediti deteriorati. Tale misura non risulterebbe irragionevole alla luce della situazione attuale e sarebbe coerente con la ratio del decreto che la prevede.

 

1. Premessa

Con l’art. 55 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (“Decreto Cura Italia”) è stata introdotta, quale misura di sostegno finanziario alle imprese, una nuova forma di “monetizzazione” delle attività per imposte anticipate (DTA), in aggiunta a quella “ordinaria” a suo tempo introdotta dall’art. 2, commi da 55 a 58, del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, avente a oggetto la trasformazione delle attività per imposte anticipate inerenti alle svalutazioni e perdite relative a crediti, avviamento e altre immobilizzazioni immateriali[1]. La nuova fattispecie è stata inserita, dal citato art. 55, attraverso l’integrale sostituzione dell’art. 44-bis del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, che prevede(va) incentivi fiscali di varia natura, tra i quali anche la trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate dei soggetti partecipanti all’aggregazione agevolata disciplinata dal medesimo articolo. La versione dell’art. 44-bis del D.L. n. 34/2019 vigente fino al 17 marzo 2020, infatti, rientrava tra le misure adottate per incentivare le aggregazioni (deliberate entro il 31 dicembre 2020) di società aventi la sede legale nel Mezzogiorno, assumendo rilevanza agli effetti della conversione le imposte anticipate risultanti dalle situazioni patrimoniali approvate ai fini dell’aggregazione.

Anche a seguito della predetta sostituzione dell’art. 44-bis, da parte dell’art. 55 del decreto “Cura Italia”, la misura di sostegno finanziario consiste nella possibilità di convertire in credito d’imposta le attività per imposte anticipate riferibili a due particolare posizioni soggettive (o “componenti rilevanti”) maturate dall’impresa, le “perdite fiscali pregresse” e le “eccedenze ACE”[2].

2. Le imposte anticipate convertibili in credito d’imposta

Poiché entrambe le suddette posizioni soggettive sono scomputabili unicamente dal reddito d’impresa imponibile (e non dalla base imponibile IRAP), ne discende che il credito d’imposta riguarda solo l’IRES (e questa conclusione pare confortata dal nesso che lega la conversione in questione con la cessione di crediti[3]) e va determinato applicando al relativo ammontare l’aliquota IRES (aumentata delle relative addizionali, quali quella del 3,5% applicata agli intermediari finanziari[4] e quella cui sono soggette le imprese operanti nel settore dei trasporti in base a concessioni autostradali, a concessioni di gestione aeroportuale, autorizzazioni e concessioni portuali e concessioni ferroviarie[5]). Pertanto, nella generalità dei casi, l’ammontare del credito d’imposta è pari al 24% dell’importo delle componenti rilevanti, potendo essere rilevate in bilancio le imposte anticipate in relazione alle suddette posizioni soggettive unicamente agli effetti dell’IRES.

Va infine rilevato che le imposte anticipate riferite alle perdite pregresse e alle eccedenze di cui trattasi possono peraltro essere convertite in credito d’imposta anche se non sono state iscritte in bilancio. Tale precisazione tiene evidentemente conto del fatto che in ordine a tali posizioni soggettive alcune imprese potrebbero avere prudenzialmente evitato di rilevare in bilancio le relative imposte anticipate, in assenza della ragionevole previsione del conseguimento di redditi imponibili in misura idonea ad assorbirle (ovverosia in caso di mancato superamento del probability test)[6].

3. La cessione dei crediti deteriorati quale presupposto per la fruizione e la determinazione del credito d’imposta

La possibilità di trasformare in credito d’imposta le imposte anticipate riferibili alle componenti rilevanti è tuttavia subordinata alla cessione a titolo oneroso entro il 31 dicembre 2020 dei crediti in denaro “deteriorati” (ovverosia, in base al criterio oggettivo sancito dal comma 5 del nuovo art. 44-bis, i crediti rimasti insoddisfatti per oltre novanta giorni dalla data convenuta per il loro pagamento [7]).

Dispone infatti il comma 1 dell’art. 44-bis che, ai fini della trasformazione in credito d’imposta, l’importo complessivo delle due posizioni soggettive rileva “per un ammontare massimo non eccedente il 20% del valore nominale dei crediti ceduti”. Ne discende che la cessione dei crediti di cui trattasi entro il 31 dicembre 2020 costituisce il presupposto per poter accedere all’agevolazione e, al contempo, definisce l’importo massimo agevolabile.

Si consideri al riguardo la tabella n. 1:

Tabella 1

Caso 1

Caso 2

Caso 3

Caso 4

Perdite pregresse (A)

950.000

950.000

950.000

950.000

Eccedenze di ACE (B)

50.000

50.000

50.000

50.000

Totale componenti rilevanti (C = A + B)

1.000.000

1.000.000

1.000.000

1.000.000

Valore nominale dei crediti deteriorati ceduti (D)

0

5.000.000

7.500.000

2.500.000

Prezzo di cessione (E)

0

2.000.000

3.000.000

1.000.000

Importo massimo rilevante (F = D x 20%)

0

1.000.000

1.500.000

500.000

Importo da considerare (G = minore tra C ed F)

0

1.000.000

1.000.000

500.000

Aliquota Ires (H)

24%

24%

24%

24%

Imposte anticipate convertibili in credito d’imposta (I = G x H)

0

240.000

240.000

120.000

Perdita su crediti (J = D – E)*

3.000.000

4.500.000

1.500.000

* Per comodità espositiva si è assunta la perfetta coincidenza tra il valore contabile/fiscale e il valore nominale dei crediti ceduti

In assenza di cessioni a titolo oneroso di crediti deteriorati durante l’anno 2020, dunque, non si ha alcun diritto all’agevolazione (caso 1). In presenza di tali cessioni, invece, all’ammontare del valore nominale dei crediti complessivamente ceduti è commisurato l’ammontare massimo delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE convertibili in credito d’imposta sulla base dell’aliquota Ires applicabile: pertanto quanto maggiore è l’ammontare dei crediti ceduti, tanto maggiore può essere l’agevolazione.

Oltre alla suddetta soglia percentuale, il comma 1 dell’art. 44-bis prevede anche una soglia in valore assoluto, stabilendo che i crediti ceduti possono essere considerati per un valore nominale massimo pari a 2 miliardi di euro, da computarsi in un’ottica di gruppo. Ne discende che per le imprese facenti parte di un gruppo l’ammontare complessivo dei crediti deteriorati ceduti a titolo oneroso da ciascuna delle società del gruppo rileva per le stesse fino a detto importo, non dando diritto all’agevolazione la parte eccedente [8].

Nessuna rilevanza, invece, risulta essere stata attribuita dalla norma al prezzo di cessione dei suddetti crediti. Posto che la cessione deve essere effettivamente intercorsa con soggetti terzi (tant’è che, in forza del comma 6 dell’art. 44-bis, non si considerano come “cessioni di crediti” quelle intervenute tra società appartenenti al medesimo gruppo) e che le perdite fiscali pregresse e le eccedenze di ACE utilizzate per la conversione non sono più riportabili in avanti (in quanto “consumate” in conseguenza della stessa), l’eventuale perdita su crediti realizzata a fronte della cessione deve intendersi come ordinariamente deducibile ai sensi dell’art. 101, comma 5, del TUIR.

Come chiarito nella relazione illustrativa, infatti, la ratio del nuovo art.44-bis è quella di “incentivare la cessione di crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni, anche per effetto della crisi finanziaria, con l’obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica. I crediti deteriorati oggetto dell’incentivo possono essere sia di natura commerciale sia di finanziamento”. In questo contesto, dunque, l’ammontare delle perdite realizzate a seguito dello smobilizzo dei crediti deteriorati (definiti nella relazione come “oneri di cessione”) risulta indirettamente compensato dal beneficio derivante dalla monetizzazione delle perdite fiscali e le eccedenze di ACE di cui dispone, senza dover attendere il conseguimento di redditi imponibili; al contempo le perdite su crediti così emerse restano componenti negativi deducibili che, in quanto tali, riducono il reddito d’impresa relativo allo stesso anno nel corso del quale è stata attuata la cessione ovvero, per l’eccedenza, danno origine a una nuova perdita fiscale utilizzabile negli esercizi successivi.

4. Le componenti rilevanti agli effetti dell’agevolazione

Le perdite fiscali pregresse sono costituite dalle perdite fiscali utilizzabili a riduzione del reddito imponibile di esercizi successivi a quello in cui esse sono maturate. Al riguardo l’art. 84 del TUIR distingue tra perdite fiscali conseguite nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione e quelle maturate successivamente. Queste ultime possono essere computate in diminuzione del reddito in misura non superiore all’80% del reddito stesso e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare, venendo perciò denominate come “perdite utilizzabili in misura limitata”; le perdite maturate nei primi tre periodi d’imposta possono essere invece computate in diminuzione del reddito senza la predetta limitazione e sono perciò dette “perdite utilizzabili in misura piena”. Come espressamente confermato dal comma 1 dell’art. 44-bis, agli effetti della trasformazione in credito d’imposta la suddetta distinzione non assume però alcuna rilevanza[9].

Con riguardo alle cosiddette “eccedenze ACE” occorre rammentare che, con l’art. 1 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, è stato concesso un beneficio fiscale alle imprese che eseguono investimenti, consistente nello scomputo dal reddito d’impresa del “rendimento virtuale” del nuovo capitale investito, calcolato applicando una determinata percentuale di rendimento nozionale (variata più volte negli ultimi anni) all’ammontare complessivo degli apporti di capitale in denaro (comprese le rinunce ai crediti) e degli utili destinati alle riserve disponibili a decorrere dall’anno 2011, computato al netto dell’ammontare complessive delle riserve distribuite a partire dal medesimo anno. La parte del rendimento maturata in ciascun periodo d’imposta, che non trova capienza nel reddito d’impresa conseguito per il medesimo periodo, è appunto denominata “eccedenza ACE” ed è riportabile in avanti (alla stregua delle perdite fiscali pregresse) per essere scomputata dal reddito d’impresa dei periodi d’imposta successivi.

Ai fini dell’agevolazione rileva l’ammontare delle due componenti “non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile … alla data della cessione” (che deve essere eseguita entro il 31 dicembre 2020) e che dunque non sono state ancora utilizzate.

Relativamente all’applicazione della disposizione di cui trattasi il primo dubbio posto dalla nuova disciplina concerne la possibilità di considerare anche le perdite fiscali e le eccedenze che si stanno formando nell’anno 2020 oppure se, invece, si deve tenere conto unicamente di quelle formatesi alla data di chiusura dell’esercizio precedente (per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare, quindi, quelle formatesi alla data del 31 dicembre 2019). Al riguardo – stante il riferimento della norma rispettivamente all’art. 84 del TUIR, che disciplina l’utilizzo in un esercizio delle perdite dei periodi precedenti, e al comma 4 dell’art. 1 del D.L. n. 201/2011 – la conclusione conforme alla norma appare essere la seconda, anche se una diversa previsione (quale quella di consentire già nel 2020 l’utilizzo di crediti d’imposta discendenti da DTA relative a perdite fiscali formatesi nel corso del medesimo anno) sarebbe stata tecnicamente possibile e probabilmente maggiormente conforme alla finalità dell’agevolazione.

Ne discende quindi che, salvo auspicabili modifiche, l’ammontare di riferimento, da assumere ai fini della conversione delle imposte anticipate in credito d’imposta, dovrebbe essere costituito dall’importo complessivo delle perdite fiscali e delle “eccedenze ACE” complessivamente maturate al 31 dicembre 2019 (compresa la quota formatasi nell’esercizio in corso a tale data) riportabili in avanti.

Dispone infine l’ultima disposizione contenuta nel comma 1 del nuovo art. 44-bis che, dalla data di efficacia della cessione dei crediti deteriorati, viene meno la possibilità di utilizzare, in diminuzione del reddito d’impresa, le perdite fiscali pregresse e le eccedenze ACE per l’importo computato ai fini della conversione in credito d’imposta delle attività per imposte anticipate riferibili a dette posizioni soggettive. Pertanto, ai fini della verifica relativa all’ammontare delle componenti rilevanti è necessaria la previa determinazione del reddito d’impresa conseguito nel periodo d’imposta chiuso il 31 dicembre 2019 e, quindi, della parte di esse da utilizzare previamente in compensazione dello stesso.

5. L’esercizio dell’opzione

Per evitare che la conversione delle DTA potesse risolversi in un aiuto di Stato, con l’art. 11 del D.L. 3 maggio 2016, n. 59 il legislatore aveva stabilito (seguendo le prescrizioni della Commissione europea) che la possibilità di attribuire il credito d’imposta in relazione alle componenti negative temporaneamente indeducibili annoverate dal citato art. 2, commi 55 e ss., del D.L. n. 225/2010, è subordinata ad apposita opzione irrevocabile (fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2030), da esercitarsi mediante il versamento di un canone annuo pari all’1,5% della differenza tra l’ammontare delle imposte anticipate da convertire e le imposte da versate a titolo di IRES, addizionali IRES e di IRAP con riferimento al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008 e a quelli successivi, fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 [10]. Il canone annuo, che in sostanza “costituisce la garanzia da corrispondere allo Stato, in virtù di un’anticipata monetizzazione delle DTA di tipo 2 per le quali non sono state corrisposte imposte” [11], va determinato con il medesimo meccanismo per ciascun esercizio (sulla differenza tra l’ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate come risultante alla data di chiusura dell’esercizio precedente) e deve essere versato (a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016) entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relativo all’esercizio precedente.

Per il primo periodo di applicazione l’opzione per il mantenimento dell’applicazione delle disposizioni sulla trasformazione delle attività per imposte anticipate (comprensive di quelle del tipo 2”) si esercitava effettuando il versamento del canone annuo entro il 1° agosto 2016. In caso di differenza con segno negativo (ovverosia quando le imposte realmente versate dall’impresa eccedono le imposte anticipate da convertire), l’opzione andava esercitata sempre entro il 1° agosto 2016 attraverso l’invio di un’apposita comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata della Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente [12].

Al mancato esercizio dell’opzione nelle forme previste è conseguito (ai sensi dell’art. 11, comma 10, del D.L. n. 59/2016) il divieto di trasformare le attività per imposte anticipate di “tipo 2” in crediti d’imposta, restando tale possibilità limitata a quelle di “tipo 1”, cioè a quelle che hanno trovato corrispondenza in un effettivo versamento di imposte[13].

Ciò premesso, l’onere di esercitare formalmente la medesima opzione deve essere assolto anche con riferimento alle imposte anticipate di cui trattasi (così come previsto per quelle convertibili in base all’art. 44-bis previgente). Ai sensi del comma 3 del nuovo art. 44-bis, infatti, “La trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta è condizionata all’esercizio, da parte della società cedente, dell’opzione” di cui al sopra citato art. 11, comma 1, del D.L. n. 59/2016.

Ne discende che, per evitare la violazione della normativa unionale in tema di aiuti di Stato, anche la trasformazione delle imposte anticipatedequibus, sussistendone i relativi presupposti, soggiace all’obbligo di versamento del canone annuo [14].

Al pari della disciplina previgente [15] resta altresì stabilito che “L’opzione, se non già esercitata, deve essere esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti; l’opzione ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione”. Deve perciò presumersi che, qualora l’esercizio dell’opzione non sia stata già esercitata nell’anno 2016, con riguardo alle imposte anticipate di cui trattasi essa deve essere esercitata attraverso il pagamento del canone annuo entro il 31 dicembre 2020 ovvero, in presenza di una “differenza negativa”, attraverso l’effettuazione della predetta comunicazione entro il medesimo termine [16]. Giusta quanto precisato nello stesso comma 3, il canone annuo deve essere determinato secondo le regole ordinarie computando, nell’ammontare delle attività per imposte anticipate, anche quelle trasformabili in crediti d’imposta e i crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione delle stesse in base all’art. 44-bis in commento [17].

6. Il momento di fruizione del credito d’imposta

Il credito d’imposta ottenuto dalla trasformazione delle imposte anticipate non è produttivo di interessi e costituisce un provento fiscalmente irrilevante (ai fini sia dell’IRES sia dell’IRAP), e deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta 2020 (presumibilmente nel quadro RU). Tale credito può essere:

  • utilizzato in compensazione verticale oppure orizzontale nel Mod. F24, senza limiti di importo e, quindi, senza che operi il limite di 700.000 euro l’anno;
  • ceduto a terzi al valore nominale;
  • chiesto a rimborso in misura totale o parziale (anche da parte dell’impresa che lo abbia precedentemente acquistato).

Per quanto concerne il momento a decorrere dal quale il credito d’imposta è fruibile, il penultimo periodo del comma 1 del nuovo art. 44-bis stabilisce che “la trasformazione in credito d’imposta avviene alla data di efficacia della cessione dei crediti”[18].

Si è però dapprima riferito che, allo stesso tempo, il comma 3 del medesimo art. 44-bis dispone che “l’opzione ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione”.

Appare quindi lecito domandarsi se (ai sensi del suddetto comma 1) il credito d’imposta si renda fruibile per la compensazione a decorrere dal momento in cui ha acquistato efficacia la cessione dei crediti da cui è originato oppure (ai sensi del successivo comma 3) dall’esercizio successivo a quello in cui tale cessione ha avuto efficacia.

In considerazione delle valutazioni di ordine economico e finanziario che hanno indotto il Governo a introdurre questa nuova fattispecie di conversione di DTA, è da ritenere corretta la prima tesi. Solo attraverso l’immediata fruizione del credito d’imposta derivante dalla conversione delle imposte anticipate correlate alle posizioni soggettive dequibus, infatti, si consente effettivamente alle imprese “di ridurre il fabbisogno di liquidità connesso con il versamento di imposte e contributi, aumentando così la disponibilità d cassa in un periodo di crisi economica e finanziaria connessa con l’emergenza sanitaria” che ha giustificato l’intera manovra, come espressamente riconosciuto nella relazione illustrativa al decreto.

A tale conclusione conduce altresì la disposizione finale contenuta nel comma 1 del nuovo art. 44-bis, secondo cui dalla data di efficacia della cessione dei crediti viene altresì meno la possibilità di utilizzare, in diminuzione del reddito d’impresa, le perdite fiscali pregresse e le eccedenze ACE per l’importo computato ai fini della conversione in credito d’imposta delle attività per imposte anticipate riferibili a dette posizioni soggettive.

La condizione dell’effettivo esercizio dell’opzione di cui all’art. 11 del D.L. n. 59/2016 parrebbe quindi porsi quale condizione risolutiva, da rispettare al fine di non decadere dall’agevolazione, la quale spetta dalla data di efficacia della cessione dei crediti deteriorati anche se tale momento l’opzione non è stata ancora esercitata.

Restano invece oscuri i motivi della sostanziale riproposizione della medesima previsione contenuta nel comma 3 dell’art. 44-bis previgente circa la postergazione dell’efficacia dell’opzione. Nela formulazione previgente, infatti, si stabiliva che “l’opzione ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto l’aggregazione”, in coerenza con il fatto che la trasformazione delle imposte anticipate “decorre dalla data di approvazione del primo bilancio della società risultante dall’aggregazione”. Analoga esigenza non si rinviene invece nella disciplina dequa, atteso che il penultimo periodo del comma 1 del nuovo art. 44-bis è chiaro nell’attribuire efficacia alla trasformazione in credito d’imposta “alla data di efficacia della cessione dei crediti”. Non può quindi escludersi che la previsione relativa alla postergazione dell’efficacia dell’opzione possa costituire un mero refuso frutto della concitazione e dell’urgenza che hanno caratterizzato l’emanazione del decreto “Cura Italia” e, quindi, anche della riformulazione dell’art. 44-bis del D.L. n. 34/2019.

7. Soggetti destinatari

Con riguardo all’ambito soggettivo di applicazione il nuovo art. 44-bis, facendo uso di una tecnica legislativa approssimativa, fa generico riferimento alle società. Posta la conseguente esclusione, allo stato, delle imprese individuali e degli altri soggetti non costituiti in forma di società, la questione che si pone è se l’agevolazione operi anche con riguardo alle società di persone. Tuttavia la conclusione dovrebbe essere negativa, in quanto tali società, in quanto caratterizzate dal regime di trasparenza, necessariamente attribuiscono ai propri soci pro-quota le perdite fiscali maturate, perdendo così il diritto di riportale in avanti.

Il comma 4 dell’art. 44-bis, inoltre, esclude espressamente dall’agevolazione le società per le quali sia stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, ovvero lo stato di insolvenza ai sensi dell’art. 5 della legge fallimentare o dell’art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (in vigore dal 15 agosto 2020).

8. Il meccanismo di conversione nei regimi fiscali del consolidato e della trasparenza fiscale

Atteso che il diritto di utilizzare in compensazione le perdite pregresse maturate in vigenza del regime di consolidato fiscale spetta alla società consolidante, il diritto di trasformare in credito d’imposta le correlate imposte anticipate deve necessariamente essere attribuito alla stessa [19]. Diversamente è a dirsi per le “eccedenze di ACE”, le quali, per la parte non trasferita alla consolidante a riduzione del reddito imponibile di gruppo, restano nelle disponibilità delle singole consolidate, cui quindi va del pari attribuito il diritto di trasformare in credito d’imposta le correlate imposte anticipate[20].

Per quanto concerne il regime di trasparenza fiscale, poiché la società trasparente necessariamente attribuisce pro-quota ai propri soci le perdite fiscali maturate, il diritto di conversione va attribuito a questi ultimi in relazione alle perdite fiscali complessivamente disponibili. Diversamente è a dirsi per le “eccedenze di ACE”, che, per la parte che non ha trovato capienza nel reddito d’impresa da trasferire pro-quota i soci, restano nella disponibilità della stessa, cui quindi deve intendersi riferito il diritto di conversione.

9. Conclusioni

Gli effetti benefici che potranno derivare dall’agevolazione in oggetto saranno di fatto minimi, giacché, come esemplificato nella stessa relazione illustrativa, “se una società cede crediti per 1 mld, potrà trasformare in credito d’imposta al massimo una quota di DTA riferibile a 200 mln di euro di componenti indicati dalla norma, equivalente – supponendo che l’aliquota IRES applicabile sia quella ordinaria al 24% – a 48 mln di euro”. Nella relazione tecnica si stima altresì la cessione di crediti deteriorati nel valore complessivo di venti miliardi di euro, cui conseguirebbe un minor gettito pari a 857 milioni di euro.

La disposizione di cui trattasi, pur costituendo un aiuto per le imprese (soprattutto in alcune circostanze), appare quindi un po’ timida e risulterebbe assai più utile se avesse a oggetto le DTA relative a tutte le perdite fiscali e le eccedenze di ACE, senza la limitazione del 20% attualmente prevista e indipendentemente dal possesso e dalla cessione di crediti deteriorati. Tale misura non risulterebbe irragionevole alla luce della gravità della situazione.

 


[1] In forza dell’art. 17 del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, le imposte anticipate aventi ad oggetto la svalutazione dell’avviamento e di altre attività immateriali possono essere convertite in crediti d’imposta unicamente per la quota iscritta nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014. Non sono dunque convertibili le imposte anticipate relative alla svalutazione di detti componenti negativi iscritte a decorrere dal bilancio relativo all’esercizio successivo. Va altresì rammentato che l’art. 16 del medesimo D.L. n. 83/2015 ha stabilito (con decorrenza dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014) l’integrale deducibilità ai fini dell’Ires e dell’Irap delle perdite su crediti verso la clientela e delle relative rettifiche di valore, con conseguente impossibilità di rilevare ulteriori imposte anticipate con riguardo a detti componenti negativi.

[2] Alle imposte anticipate relative a entrambe le posizioni soggettive era infatti diretta la conversione in credito d’imposta prevista dalla norma previgente, cui si aggiungevano quelle iscritte (dagli intermediari finanziari) in relazione al differimento “in decimi” (sancito dall’art. 1, comma 1067, della L. 30 dicembre 2018, n. 145) delle perdite rilevate in sede di prima applicazione del principio contabile IFRS 9. In merito alla disciplina previgente si vedano G. Manguso, “Aggregazioni al Sud: un regime ‘straordinario’ di trasformazione in crediti di imposta delle DTA”, in il fisco n. 31/2019, pag. 3022; V. Russo, “La conversione delle DTA in crediti di imposta: da misura a regime a strumento di agevolazione”, in Bilancio e reddito d’impresa, n. 8-9/2019, pag. 13.

[3] Anche sotto questo profilo, quindi, la conversione de qua si differenzia profondamente da quella disciplinata dall’art. 2, commi 55-58, del D.L. n. 225/2010, che subordina tale possibilità alla presenza di perdite d’esercizio o di perdite fiscali pregresse ovvero all’apertura di una fase di liquidazione volontaria o all’assoggettamento a procedure concorsuali.

[4] Art. 1, comma 65, della L. 28 dicembre 2015, n. 208.

[5] L’addizionale Ires per questa seconda categoria di soggetti è stata introdotta, per il triennio 2019-2021, dall’art. 1, commi 716-718, della L. 27 dicembre 2019, n. 160.

[6] Ciò è chiarito anche nella relazione illustrativa al decreto “Cura Italia”.

[7] La verifica dell’inadempimento superiore a novanta giorni va operata alla data di cessione.

[8] In questa particolare ipotesi resta però da stabilire se detta eccedenza possa essere riferita solo ad alcune imprese del gruppo (per esempio partendo a ritroso da quelle che hanno proceduto per ultime alla cessione dei crediti) oppure se debba applicarsi necessariamente un criterio proporzionale.

[9] Per espressa previsione normativa viene altresì disattivata la limitazione prevista con riguardo alle imprese che fruiscono di un regime di esenzione dell’utile, il cui riporto in avanti (ai sensi dell’art. 84, comma 1, primo periodo, del TUIR) è ammesso unicamente per l’ammontare che eccede l’utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti. Nella relazione illustrativa si spiega che la disapplicazione di detto limite risponde allo scopo “di consentire il pieno raggiungimento degli obiettivi previsti dalla norma”, ma (vista l’assenza di una limitazione temporale nel riporto delle perdite pregresse) non si chiarisce se sia soltanto la perdita fiscale conseguita nell’ultimo periodo d’imposta a poter assumere rilevanza piena ai fini della conversione oppure ciò valga anche per le perdite fiscali maturate nei periodi d’imposta anteriori.

[10] Cfr. G. Scala, “Il canone annuo per la trasformazione delle DTA”, in il fisco n. 32-33/2016, pag. 3129; G. Molinaro, “Le istruzioni dell’Agenzia sul canone per continuare a trasformare le DTA in crediti d’imposta”, in Corriere Tributario n. 34/2016, pag. 2589.

[11] Così V. Russo, cit.

[12] La procedura è disciplinata dal provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate del 22 luglio 2016, prot. 117661/2016.

[13] Cfr. circolare 22 luglio 2016, n. 32/E, par. 4.

[14] Il canone annuo è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP nel periodo d’imposta in cui avviene il pagamento.

[15] Il comma 3 del previgente art. 44-bis prevedeva che “L’opzione, se non già esercitata, deve essere esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto l’aggregazione; l’opzione ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto l’aggregazione”. Nella disciplina previgente, infatti, l’agevolazione era diretta a incentivare le aggregazioni aziendali (e non la cessione dei crediti deteriorati).

[16] L’esercizio dell’opzione, nelle forme previste dall’art. 11 del D.L. n. 59/2016, è dunque obbligatoria per potere fruire della conversione delle imposte anticipate in crediti d’imposta.

[17] Sembra dunque trattarsi di una sorta di remissione in termini.

[18] Nella previgente versione, il comma 4 dell’art. 44-bis faceva invece decorrere il momento della fruizione dalla data di approvazione del primo bilancio della società risultante dall’aggregazione da parte dell’assemblea dei soci o del diverso organo competente, nella misura del 25% del credito d’imposta, acquisendo efficacia la trasformazione del restante 75% in tre quote uguali nei tre esercizi successivi a decorrere dalla data di approvazione del rispettivo bilancio.

[19] Ai sensi dell’art. 11, comma 6, del D.L. n. 59/2016, in caso di partecipazione al regime di consolidato fiscale nazionale l’effettuazione del versamento del canone annuo o della comunicazione alla Direzione regionale competente da parte della consolidante determina l’esercizio dell’opzione per le società consolidate interessate dalle disposizioni sulla trasformazione delle imposte anticipate in crediti di imposta. Una volta esercitata l’opzione, nella determinazione del canone annuo si tiene conto dell’ammontare complessivo delle imposte anticipate e delle imposte versate da tutte le singole imprese appartenenti alla fiscal unit. Cfr. circolare n. 32/E/2016, par. 5.

[20] Cfr. Documento n. 5 del 15 maggio 2012, predisposto congiuntamente da Banca d’Italia, Consob ed ISVAP.

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